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Categoria: Nativo
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Home Giuseppe Nativo

2011

 

Gennaio 2011

- La Sicilia di Vincenzo Consolo (Dialogo, gennaio 2011)

- Troppi i ricoveri in ospedale non necessari (Insieme, 23/01/2011)

 

Febbraio 2011

- Chiafura e gli aggrottati nella montagna del purgatorio (Dialogo, febbraio 2011)

- Arance, agrumi e vitamine ci aiutano contro l'influenza (Insieme, 13/02/2011)

- L'amore onirico e irraggiungibile (Insieme, 13/02/2011)

- Medici in prima linea (Insieme, 27/02/2011)

 

Marzo 2011

- Ambiente e malattie tumorali. Esiste una correlazione? (Dialogo, marzo 2011)

- Persistono pregiudizi sui farmaci equivalenti (Insieme 13/03/2011)

- Quando le cure dei medici creano danni ai pazienti (Insieme, 27/03/2011)

 

Aprile 2011

- “Alle armi prodi fratelli...”. Le tappe del popolo siciliano verso l'Unità, attraverso le carte d'archivio (Dialogo, aprile 2011)

- Il pianto di Maria all'alba del giorno senza tramonto (Insieme, 24/04/2011)

 

Maggio 2011

- “Corale con trittico” (Dialogo, maggio 2011)

- Una carta d'identità della salute (Insieme, 29/05/2011)

 

Giugno 2011

- San Giorgio, santo cavaliere (Dialogo, giugno 2011)

 

Ottobre 2011

- Disturbi mentali: quali le nuove frontiere? (Dialogo, ottobre 2011);

- Attenzione, l'alcol fa male anche al feto (Insieme, 23/10/2011);

 

Novembre 2011

- Presentato “Il Feudo Modicano e il Regno di Sicilia” di Giuseppe Chiaula (Dialogo, novembre 2011);

- L'eredità che ci lascia Antonino Di Vita (Insieme, 13/11/2011);

 

Dicembre 2011

- “Giovanni Cartia. L’uomo, il politico” (Dialogo, dicembre 2011);

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GENNAIO 2011

 

 

La Sicilia di Vincenzo Consolo

Conversazione letteraria del professore Nino Cirnigliaro

al Centro Servizi Culturali di Ragusa

 

“Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ...inoltrarmi all'interno, sostare in città e paesi, ...rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania... Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca”.

(Vincenzo Consolo, Le pietre di Pantalica, Mondadori, Milano 1988)

 

E' questa la Sicilia tanto cara a non pochi scrittori. Cara anche a Vincenzo Consolo, una delle massime voci letterarie italiane, con DNA siciliano e col cuore e la mente nell'Isola. E' sufficiente leggere solo alcune delle sue opere per rendersi conto come lo scrittore colga l'essenza dell'Isola, scandagliandola nelle sue molteplici e variegate sfaccettature. “Ipotecata dalla letteratura, dal mito, dalla leggenda”, come la definisce lo stesso Consolo, la Sicilia, col suo retaggio di miti, di leggende e di storia, esercita da sempre un fascino particolare che ammalia non poco. Consolo riesce, anche grazie al distacco del suo essere “esule”, a guardare in maniera lucida alla propria terra, di cui coglie l'intima essenza di sapori e di odori, scegliendo di raccontarla. Raccontarla e mirabilmente descriverla, riuscendo a conservare la memoria di mondi scomparsi. E' sulla base di tali istanze che il professore Nino Cirnigliaro, fine studioso di Storia Patria e Tradizioni popolari nonché Presidente del Centro Servizi Culturali di Ragusa, ha recentemente tenuto, presso un'affollata sala conferenze dello stesso Centro, una piacevole, apprezzata ed articolata disquisizione letteraria dal titolo “La Sicilia di Vincenzo Consolo”. L'incontro, organizzato da varie strutture (Associazione Pedagogica Italiana, presidente Giovanni Firrito; Associazione Italiana Maestri Cattolici, presieduta da Rosa Messana; Associazione Culturale Docenti “G.B. Hodierna” di Ragusa, presidente Raffaele Antoci), rientra nell'ambito delle variegate attività culturali promosse dal Centro Servizi e volte a far conoscere le diverse personalità letterarie che tanto lustro hanno dato e continuano ancora a dare all'Isola.

“Nell'opera di Consolo vi sono cento Sicilie, mille Sicilie. La Sicilia che viene, da una, spezzettata in tante e queste tante poi si uniscono per realizzare l'unità. Sono le tante Sicilie di cui parla Consolo nei suoi scritti”, ha esordito il professore Cirnigliaro dopo gli interventi introduttivi curati da Giovanni Firrito e Rosa Messana. Nel rappresentare l'Isola Consolo sceglie la dimensione della memoria. E' attraverso le proprie descrizioni che consegna al lettore immagini e ricordi, non solo di luoghi che il tempo e l'incuria hanno ineluttabilmente cambiato, ma anche di quegli oggetti quotidiani appartenenti a terre e culture altrimenti condannati al silenzio. Insieme ai luoghi e agli oggetti sopravvivono nelle opere dello scrittore siciliano le parole, come risultato di una grande ricerca. Dalle pagine di Consolo, emerge la figura di un intellettuale impegnato in un perenne viaggio alla scoperta della propria terra, tra la malinconia per un grande passato e lo sconforto per un presente di degrado. Lo stile di Consolo è anche estremamente mutevole e pronto ad adattarsi alle esigenze narrative. Laddove la descrizione si sofferma sugli aspetti del quotidiano, la lingua assume i caratteri del parlato popolare assumendo un ritmo serrato e, non di rado, privo di qualunque segno di punteggiatura. La lingua di Consolo non è però un dialetto ma “l'immissione nel codice linguistico nazionale di un materiale che non era registrato” e, dunque, “l'innesto di vocaboli che sono stati espulsi e dimenticati”. E' un linguaggio in bilico tra poesia e prosa che evoca, nelle pagine in cui la bellezza della natura siciliana prende il sopravvento, la musicalità della tragedia greca.

Quelle di Consolo sono pagine di grande lirismo in cui crea talvolta neologismi o accosta vocaboli in maniera apparentemente avventata per esprimere al meglio anche le sfumature dei colori. Nascono così sintagmi come “l'azzurro tremulo del lino” o “viola di parasceve”.

 

 

 

Troppi i ricoveri in ospedale non necessari

Il dottor Salvo Figura: “In questo modo lievitano i costi della sanità”

 

Una recente indagine statistica elaborata da   Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Istat, Università di Roma Tor Vergata e Nebo Ricerche ha posto sotto la lente di ingrandimento la delicata tematica dei ricoveri ospedalieri. Una fotografia della situazione degli ospedali italiani, basata sulle schede dimissione del 2008, da cui emerge un numero di ricoveri inappropriati o prevenibili, concentrati in prevalenza al Sud. In pratica, il rischio di passare un giorno in ospedale per cause potenzialmente inappropriate è ancora una causa su cui porre la massima attenzione. Tutto ciò si riflette sulla spesa affrontata dalle strutture ospedaliere per ogni giorno di degenza del paziente e, dunque, sull'efficacia e l'efficienza del Servizio Sanitario nazionale i cui fondi potrebbero essere recuperati e reinvestiti.

Secondo i dati statistici le giornate di degenza registrate nel 2008 avrebbero potuto essere evitate con appropriati strumenti di politica sanitaria, controllo pre-ospedaliero dei casi acuti e, soprattutto, con interventi di prevenzione primaria. Tuttavia l'indagine ha messo in evidenza una diminuzione del  numero dei ricoveri che in Sicilia, nel periodo tra il 2005 e il 2008, è pari al dodici per cento. Dato incoraggiante che comunque converge sulla problematica riguardante l'efficienza delle strutture sanitarie ospedaliere. Ma è possibile intervenire evitando o riducendo i giorni di degenza considerato che, ad esempio, le malattie respiratorie sono responsabili, da sole, di buona parte dei ricoveri considerati “inappropriati”? Come intervenire sui pazienti che presentano malattie “croniche” ovvero bisognosi di frequenti terapie ospedaliere che comportano il ricovero? Abbiamo girato le domande al dottor Salvo Figura, medico anestesista rianimatore presso un noto ospedale ibleo. «Da parte mia inquadrerei il tema dei “ricoveri inappropriati” nei due grandi problemi della “Medicina difensiva” e in quello dell'allarme ingigantito dalla televisione e dai giornali. E’ indubbio che oramai la richiesta di salute da parte dell’utenza ha fatto lievitare i costi della nostra Sanità. La gente chiede sempre più benessere psicofisico e pretende che gli operatori sanitari la diano. Rifiutare, ad esempio, un ricovero, su espresso desiderio del paziente (talora contro il parere del sanitario) diventa sempre più difficile e pericoloso dal punto di vista medico-legale. E il povero medico ospedaliero, pur in scienza e coscienza, spesso si vede costretto ad aderire alla richiesta dell’utente. Non bisogna, poi, dimenticare cos’è successo lo scorso anno con l’influenza H1N1: pur in presenza di un numero di decessi di molto inferiore alle “normali” pandemie influenzali, si creò un allarmismo tale da intasare in breve buona parte degli ospedali». Quale la soluzione? «Innanzi tutto una corretta educazione sanitaria per addetti e non. Ciò per evitare il ricorrere all’ospedale che spesso sfocia in ricoveri inappropriati (posti liberi permettendo)». E quanto alle patologie respiratorie croniche? «Il problema, anche qui, è molto complesso e andrebbe esaminato caso per caso in base alla gravità dei disturbi accusati dal paziente».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

FEBBRAIO 2011

 

 

Chiafura e gli aggrottati nella montagna del purgatorio

Il Giornale di Scicli pubblica la ristampa del volumetto che descrive

la “visita del '59”

 

Quella timida giornata di primavera sciclitana del 1959 non si preannunciava come la solita che, con viso spaventato, avrebbe ceduto il passo, come ogni giorno, alle insistenti gocce di luce da cui le buie sagome di solitudine notturna sarebbero fuggite spaventate. Aveva qualcosa di particolare. Si sarebbe presentata particolarmente intensa per l'intera cittadina di Scicli (Rg), immersa e sperduta in una zona sud orientale della Trinacria, verde, deserta, greca, araba, normanna, angioina, ancora spagnoleggiante, gesuitica, coperta di fiori e di pietre, dove le nespole e le tegole profumano d'antico, inebriata dal delicato profumo di zagara, accarezzata e lambita dall'azzurro mare e dalle spumeggianti onde dal sapore saraceno. Un drappello di intellettuali era sceso dall'Urbe per constatare di persona quanto segnalato dalla comunità sciclitana, attraverso l'infaticabile opera del locale Circolo culturale “Vitaliano Brancati”, degnamente supportato dall'Amministrazione comunale (espressione dei partiti di sinistra che allora avevano la maggioranza in consiglio comunale) fattasi portavoce, verso i vertici nazionali del partito, di una cogente problematica.

Ma cos'era tanto fermento e, soprattutto, perché? A tali domande risponde, in maniera esaustiva, la recente ristampa del volumetto dal titolo “Chiafura, la visita del '59”, edito da “Il Giornale di Scicli”, contraddistinto da pagine intense, di familiare genuinità, accompagnate da bellissime foto in bianco e nero che documentano quella memorabile giornata rimasta certamente scolpita nel cuore degli iblei. Oggetto di interesse gli aggrottati di Chiafura, quartiere di Scicli posto sul lato occidentale del costone di San Matteo. Un insediamento “rupestre inserito quasi a sorpresa nella cinta urbanistica della cittadina, con una geografia umana tra le più emarginate e deboli della popolazione locale”, così annota Franco Causarano nell'introduzione. Già utilizzate in tempi arcaici, le grotte si erano trasformate, nel corso dei secoli, da semplici spelonche a vere e proprie abitazioni per le classi meno abbienti. Grotte abitate, “prive di servizi igienici e di possibile uso di acqua corrente”, dove, sino alla fine degli anni Cinquanta, erano costretti a vivere non poche centinaia di esseri umani.

I fermenti sociali che caratterizzavano quegli anni e “la forte presenza dei partiti politici” rappresentavano la punta di forza per portare in primo piano in quel di Scicli l'ormai annoso “problema

degli aggrottati”. Il deputato Giancarlo Pajetta (1911 - 1990), accettando la sollecitazione degli sciclitani e facendosi carico “della denuncia della condizione di miseria e di sottosviluppo meridionale”, si adoperò in Parlamento affinché venissero risolti i segnalati problemi impegnandosi a  mobilitare un gruppo di intellettuali chiamati ad esprimersi e soprattutto a sensibilizzare, attraverso la loro voce e testimonianza, l'opinione pubblica sulle condizioni di arretratezza e indigenza della gente di Scicli, costretta a vivere nelle grotte di Chiafura, “ultimo angolo della Sicilia”.

Il drappello di intellettuali, costituito da Renato Guttuso, Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini, Antonello Trombadori, Paolo Alatri e Maria Antonietta Macciocchi (direttrice di “Vie Nuove”, la rivista su cui saranno pubblicate le loro impressioni), era accompagnato dai giovani del “Brancati” che preparavano l'accoglienza agli artisti e agli intellettuali interessando l'intera cittadinanza e organizzando la conferenza-dibattito tenutasi nella sala consiliare del Palazzo Comunale traboccante di pubblico.

L'intera giornata è documentata fotograficamente da un giovane del Circolo, Egidio Vaccaro, mentre la cronaca dell'evento è affidata a Gaetano Giavatto (“un maestro appena diplomato e disoccupato, pieno d'un riso generoso e pacifico, con grossi occhiali umanistici”), di cui conserva memoria scritta anche la recente ristampa del volumetto unitamente alla riproposizione degli scritti di Pasolini e Macciocchi (pubblicati su “Vie Nuove”).

Agli occhi del gruppo, incamminatosi per un sentiero in salita ed accidentato che si inerpicava oltre la chiesa di San Bartolomeo, le prime grotte adibite a botteghe artigianali mentre l'aria era impregnata da un intreccio di profumi che “alcune erbe aromatiche emanavano dai camini accesi”. Inizia così la scalata. Quasi un viaggio dantesco verso “una montagna del purgatorio, coi gironi uno sull'altro, forati dai buchi delle porte delle caverne preistoriche”, come scriverà poi Pasolini. Un ascendere verso quel locus gravido di tanti sapori, memorie, affetti, dolori, privazioni, dove le gocce dell'abbondante rugiada, rifugiatasi tra i solchi delle vetuste basole, non riescono a lavare gli odori e cancellare i ricordi di un'infanzia rubata. Una voce di donna, vestita di nero e “dal viso fermo e nobile”, si aggiunge a quelle del gruppo, quasi con amara fierezza, avverte: “Sono nata qui dentro. Sono chiafurara anch'io”.

Oggi Chiafura è lì, inerme, deserta, ammialiante, fiera e silenziosa testimone sommersa nell'oceano dei giorni scomparsi.

 

 

 

 

Arance, agrumi e vitamine ci aiutano contro l’influenza

Si avvicina il periodo nel quale più forte e contagiosa sarà l’epidemia

 

Con l’inverno arriva puntuale l’influenza, quell’affezione respiratoria che anche le antiche cronache definiscono come “pestifero et contagioso morbo”. Si tratta di un’infezione di natura virale che colpisce ogni anno milioni di persone in tutto il mondo con epidemie che si verificano, in genere, in un arco temporale che va da dicembre-gennaio a febbraio-marzo. Con l’influenza altrettanto puntuale arriva l’invito da parte di tutti, dal medico di famiglia alla vecchia zia, a consumare cibi ricchi di vitamine. Gli agrumi occupano il primo posto. Si sa che l’assunzione delle vitamine fa bene.

Ma perché le vitamine e gli agrumi? Andiamo con ordine. Le vitamine sono piccole molecole non proteiche che affiancano gli enzimi nella loro funzione di catalizzatori, ovvero favoriscono le reazioni chimiche del nostro organismo per il buon funzionamento dello stesso. In buona sostanza, le vitamine sono molecole indispensabili per il metabolismo del corpo umano. Poiché l’organismo, in linea generale, non è in grado di sintetizzarle è necessario che vengano attinte dall’ambiente, cioè dagli alimenti. Una di queste è la vitamina C il cui compito è quello di rafforzare il sistema immunitario, facilitare l’assorbimento intestinale del ferro, favorire la formazione del collagene (cioè quelle fibre che svolgono azione di sostegno dei tessuti) a beneficio della pelle, regolare la resistenza e la permeabilità dei capillari contribuendo al benessere di denti e gengive. Il fabbisogno giornaliero di vitamina C varia in relazione all’età ed alle necessità (negli stati febbrili e nelle convalescenze è necessario un maggiore apporto).

Un’alimentazione variegata ed equilibrata fornisce, in genere, l’apporto necessario di vitamina C. Le arance, per le loro caratteristiche intrinseche, detengono una postazione d’eccellenza. L’arancia rossa di Sicilia, protetta dal marchio “I.G.P.” (cioè “Indicazione Geografica Protetta”, sin dal 1997), rappresenta un esempio di stretto legame tra fattori climatici e caratteristiche del prodotto. Secondo recenti dati statistici elaborati per la provincia di Ragusa gli agrumi, in generale, occupano una superficie coltivata di oltre cinquemila ettari, mentre le aree coltivate ad arancio, che ricoprono una superficie di circa tremila ettari, producono frutti per circa cento quintali per ettaro (fonte Istat, dati aggiornati a luglio 2010). L’arancia rossa è ricca di vitamine e sostanze benefiche utili per regolare le funzioni digestive e metaboliche, aiutare la vista, prevenire infezioni e raffreddori. Il suo limitato contenuto zuccherino la rende accettabile anche ai diabetici. In cucina, oltre ad essere consumata fresca, può essere utilizzata nella preparazione di succhi, insalate e liquori. La buccia, grattugiata, è adoperata per preparare canditi, salse e dolci, mentre, tagliata a pezzi, si utilizza nelle marmellate.

 

 

 

L’amore onirico e irraggiungibile

Nel volume “Nei miei sogni” di Elisabetta Puglisi Gissara

 

«Questo libro contiene tanto amore ma anche sofferenza come tutti gli altri miei libri in cui è stata sempre evidenziata… la mia è stata una vita dura dove il dolore e la solitudine sono stati sempre presenti… ho dato moltissimo agli altri affannandomi per renderli felici». Sono queste le parole di Elisabetta Puglisi Gissara nel corso della sua prolusione volta a spiegare le motivazioni che hanno spinto il suo cuore a pubblicare un’ulteriore raccolta di poesie.

Si tratta del libro dal titolo “Nei miei sogni” (edito da Libroitaliano World di Ragusa) che, presentato al centro Servizi Culturali, con il patrocinio del Comune di Ragusa, in collaborazione con A.N.A.P.S. Gruppo Mario Gori, ha ricevuto una straordinaria ed affettuosa accoglienza da parte del folto ed attento pubblico presente in sala. Un’accoglienza contraddistinta dalla presenza di Mimì Arezzo (già assessore alla cultura del Comune di Ragusa), della sig.ra Capaccio (in rappresentanza del Questore di Ragusa) e dell’assessore Elisa Marino (in rappresentanza del primo cittadino del capoluogo ibleo), quest’ultima intervenuta per testimoniare la presenza delle istituzioni nel comparto culturale nonché l’affetto che la città di Ragusa nutre per l’autrice. Elisabetta Puglisi Gissara, con DNA ibleo ma residente a Inghilterra per motivi strettamente familiari, ha parlato della sua vita a Manchester e del suo bisogno “nostalgico e affettivo” di tornare periodicamente nella sua Ragusa che ha fornito linfa vitale a gran parte dei suoi versi poetici raccolti in vari libri («Quei bei giorni», «Tu e il tuo mondo meraviglioso» e, ovviamente, «Nei miei sogni»).

La serata, introdotta da Emanuele Schembari (Vice Presidente del centro Servizi Culturali), si è  rivelata molto interessante per le riflessioni-interviste curate da Salvo Miccichè e Marco Iannizzotto (rispettivamente Direttore editoriale e Redattore del quotidiano on line Ondaiblea) i quali hanno messo in luce le linee guida del volume. La lettura di alcuni poesie è stata affidata al poeta Pippo Di Noto che ha curato l’analisi comparativa tra l’amore narrato nel libro e l’amore presente nel Cantico dei Cantici. «Come Alda Merini – ha spiegato Di Noto – anche la nostra Elisabetta Puglisi Gissara ha come mèta l’amore divino e non solo quello umano, che idealizza e sogna: amore corporale e amore onirico, amore vicino e amore irraggiungibile…».

 

 

 

Le novità del piano sanitario nazionale 2011-2013 approvato dal governo

Medici di famiglia in prima linea

Gli ambulatori resteranno aperti 24 re su 24

 

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del ventuno gennaio scorso, su proposta del Ministro della salute, ha approvato il nuovo Piano sanitario nazionale triennale (2011 – 2013). I principi generali su cui è basato tale Piano sono improntati sulla «responsabilità pubblica per la tutela del diritto di salute della comunità e della persona; di eguaglianza e di equità d’accesso alle prestazioni; di libertà di scelta; di informazione e di partecipazione dei cittadini; di gratuità delle cure nei limiti stabiliti dalla legge, di globalità della copertura assistenziale come definito dai livelli essenziali di assistenza» (www.governo.it, newsletter n. 3 del 25.01.2011).

In particolare, gli sforzi posti in essere riguardano la prevenzione, la ricerca e le innovazioni mediche attraverso «l’integrazione tra le azioni che competono alle Istituzioni ed alla società».

Tra le novità: l’apertura continuativa per 24 ore degli ambulatori gestiti dai medici di famiglia, per i casi meno gravi, al fine di evitare, ove possibile, il ricorso al pronto soccorso degli ospedali. Ma il Piano sanitario punta anche su non pochi obiettivi che riguardano la salute pubblica, tra i quali: miglioramento dei percorsi diagnostici terapeutici, fissando i relativi tempi massimi di attesa (nel settore cardiovascolare e oncologico è stata posta molta attenzione ad una ulteriore regolamentazione dei relativi tempi di attesa per garantire la tempestività della diagnosi e del trattamento); miglioramento nella gestione degli accessi attraverso l’uso del sistema Centro unico prenotazioni (ovvero la possibilità per l'utente di prenotare telefonicamente le visite mediche evitando di recarsi personalmente agli sportelli, ottenendo in tempo reale le date delle prestazioni sanitarie) prevedendo possibilità di sviluppo di iniziative tecnologiche per realizzare funzionalità automatizzate volte al miglioramento del processo di prescrizione, prenotazione e consegna referti.

In relazione a tali indifferibili esigenze tecnico operative, è stato stabilito che «verranno sentite le organizzazioni sindacali» e che tale piano di interventi verrà inviato alle Commissioni parlamentari per il parere ed alle competenti strutture sanitarie per la prevista intesa.

 

Giuseppe Nativo

 

 

MARZO 2011

 

 

“Osservatorio” delle patologie oncologiche nel territorio ibleo

Ambiente e malattie tumorali. Esiste una correlazione?

 

Una delle cocenti problematiche che la società moderna deve affrontare è l'inquinamento e le possibili correlazioni con le malattie tumorali. Anche il territorio ibleo, da questo punto di vista, è da anni sotto i riflettori da parte delle strutture preposte al controllo dell'ambiente e con queste gli specialisti di medicina attraverso un “osservatorio” delle patologie oncologiche. Quest'ultimo è rappresentato da uno strumento prezioso: il Registro tumori di Ragusa, che da anni costituisce un punto di riferimento a livello europeo in quanto rappresentante qualificato della realtà del Sud Italia.

Istituito nel 1981, abbraccia tutto il territorio afferente alla provincia di Ragusa, cioè un'area che copre una popolazione di circa trecentomila abitanti. La struttura che detiene il Registro ha sede operativa nel capoluogo ibleo, presso l'Azienda Sanitaria Provinciale (ASP), ed ha il compito di rilevare, codificare, archiviare, studiare e pubblicare tutti i dati di incidenza e di sopravvivenza inerenti le patologie tumorali in provincia di Ragusa, privilegiando la prevenzione attraverso indagini e ricerche epidemiologiche in raccordo con il territorio.

L'inquinamento ambientale è da tempo ritenuto uno dei principali fattori di rischio per l'insorgenza di malattie tumorali. Quale l'incidenza delle malattie neoplastiche che si registra a Ragusa e quale correlazione esiste tra queste e l'inquinamento urbano? Abbiamo girato la domanda al dottor Rosario Tumino, responsabile del Registro tumori della ASP n. 7 di Ragusa. «E' bene precisare che oggi la comunità scientifica internazionale è unanime nel ritenere che le cause del cancro siano multiple ma riassumibili come risultante della interazione ambiente-gene; la parola gene è qui intesa come componente genica (o genomica) delle nostre cellule (ovvero unità fondamentale del sistema genetico, localizzata nei cromosomi e, quindi, intrinseca in ciascuno di noi sin dalla nascita). Per alcuni tumori la componente “estrinseca” (attribuibile all'alimentazione, inquinamento, virus, radiazioni, etc.) può essere particolarmente alta, come per esempio patologie tumorali al collo dell’utero, al fegato (a causa dell’aflatossina o del virus HCV), alla pelle (melanoma) per  esposizione al sole, a carico dei polmoni per il fumo di sigarette, solo per citarne alcuni. Anche i fattori ambientali contribuiscono, purtroppo, ad incrementare il rischio tumorale colpendo diverse parti del corpo quali, ad esempio, vescica, polmoni, tiroide, leucemie/linfomi, cervello e pleura (in quest’ultimo caso a causa dell’amianto). Diciamo subito che la provincia di Ragusa per questi tumori si colloca a un rischio di incidenza basso in confronto ad altre aree italiane. Ma all’interno del territorio abbiamo notato, in zona acatese e vittoriese, un’incidenza di leucemie/linfomi maggiore a quanto ci aspetteremmo di trovare».

Un punto cruciale è la prevenzione. Che cosa dicono i dati raccolti ed elaborati in ambito provinciale?

«I nostri dati pubblicati in numerose riviste internazionali dicono che a fronte di una minore incidenza i tumori della provincia iblea vengono diagnosticati in uno stadio più avanzato rispetto ad altre aree geografiche. Ciò accade, in particolare, per  i tumori della mammella (anche se in questi ultimi anni, poiché su tale patologia è aumentata l’attenzione, stiamo registrando dei miglioramenti), del colon-retto e della prostata. E' proprio su questa linea che il dipartimento di prevenzione della nostra ASP ha già attivato le campagne di screening (ovvero indagini diagnostiche su un vasto campione di popolazione). Per quanto riguarda la prevenzione primaria (cioè quella rivolta ad annullare le cause ambientali) bisogna ricordare di seguire abitudini alimentari congrue (ricordo sempre la dieta mediterranea), non fumare, controllare il proprio peso corporeo, fare attività fisica, non bere alcolici in eccesso, provvedere a vaccinarsi contro il virus hpv (allo scopo di prevenire i casi di tumore del collo dell’utero o cervice uterina; ciò è molto consigliabile per le adolescenti), stare attenti a non esporsi eccessivamente al sole, evitare esposizioni a sostanze tossiche nel proprio ambiente di lavoro usando le idonee misure di protezione. In altre parole avere cura, proteggere e rispettare il proprio corpo».

 

 

 

 

Mentre aumenta la spesa che ogni famiglia sostiene

per garantirsi il diritto alla salute

Persistono pregiudizi sui farmaci equivalenti

 

Nei primi nove mesi del 2010 la spesa farmaceutica territoriale, per i farmaci essenziali o per malattie croniche, posta a carico del Servizio Sanitario Nazionale, ha subito un piccolo incremento rispetto allo stesso periodo del 2009. E' ciò che emerge dai dati illustrati nel Rapporto Nazionale OsMed (Osservatorio Nazionale sull'Impiego dei Medicinali) riguardante il periodo gennaio-settembre 2010, reso noto di recente dall'Istituto superiore di sanità.

Dall'indagine è stato rilevato anche uno spostamento della prescrizione medica verso specialità più costose, mentre la spesa privata (rappresentata da farmaci per automedicazione, farmaci con ricetta) è rimasta sostanzialmente stabile, con una crescita fatta registrare nella spesa per farmaci di classe A (acquistati privatamente). L'aumento più elevato nella prescrizione si rileva per farmaci dermatologici, gastrointestinali, del sistema nervoso e per quelli cardiovascolari. Stante l'attuale congiuntura, le medicine pesano in maniera non indifferente sul bilancio familiare.

Quale tipologia di utenza e quale prescrizione di farmaci si registra qui a Ragusa? In pratica, c'è un consumo smoderato di farmaci? Abbiamo girato la domanda al dottor Giuseppe Guccione che svolge la sua attività presso una nota farmacia del centro urbano: «Ritengo che il dato della nostra città sia in linea con quello registrato a livello nazionale. Nessun consumo smodato di farmaci , ma in genere un incremento “fisiologico” compatibile con l’invecchiamento della popolazione e l’aumento di patologie correlabili con l’opulenza della nostra società , come il diabete. Da non sottovalutare anche l’efficientismo della nostra epoca, che impone di non fermarsi facendo ricorso ai farmaci avvolte prima del tempo necessario, e la potenza persuasiva della pubblicità».

In materia di farmaci cosiddetti “senza marca” ovvero i medicinali equivalenti (che presentano un costo inferiore rispetto alle “grandi marche”) persistono ancora pregiudizi. Cosa consigliate in caso di richiesta di suggerimenti da parte dell'utenza? «Noi offriamo sempre ai pazienti l’alternativa dei generici, anche per dovere etico, ma obiettivamente la diffidenza è tanta e spesso fondata su

 opinioni che precedono la “ nostra “proposta. Ciò nonostante, c’è chi accetta il cambio alla ricerca di condizioni economiche migliori, che di questi tempi non guastano».

 

 

 

 

 

Il rischio clinico è sempre in agguato

Quando le cure dei medici creano danni ai pazienti

 

Quando si sente parlare di rischio clinico connesso alla professione medica, il pensiero va subito ai pazienti ricoverati in una struttura ospedaliera o comunque sotto cura di specialisti.

La gestione di quello che in sanità viene chiamato rischio clinico  rappresenta l’insieme delle azioni volte a migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie e, nel contempo, garantire la sicurezza dei pazienti. La richiesta di prestazioni assistenziali di qualità e personalizzate è sempre in aumento. Si accresce pertanto anche il livello di competenza e responsabilità del personale medico e paramedico nei confronti della persona assistita. I tempi esigono professionisti preparati, capaci non solo di confrontarsi in gruppi di lavoro multidisciplinari, ma anche di saper dare garanzie sulle proprie azioni, avuto riguardo alla consapevolezza delle conseguenze che possono derivare dalle loro decisioni e dal modo di condurre gli interventi. La sicurezza dei pazienti, dunque, si colloca nella prospettiva di un complessivo miglioramento della qualità, valorizzando il ruolo e la responsabilità di tutte le figure professionali che operano in sanità. Sebbene da un punto di vista giurisprudenziale sembra tramontare il concetto di “colpa professionale” come colpa singola, avulsa da contesto organizzativo e strutturale nel quale si svolge la prestazione, diventa sempre più urgente l'esigenza di attuare una “mappatura degli errori” affinché la sicurezza rappresenti un diritto dei cittadini ed un dovere dei professionisti quale elemento qualificante delle prestazioni erogate. Relativamente alla gestione del rischio clinico è possibile attivare una prevenzione degli errori evitabili e, quindi, il contenimento dei loro possibili effetti dannosi? Abbiamo girato il quesito al dottor Salvo Figura, medico anestesista rianimatore presso un noto ospedale ibleo. «Desidero prima dare una veloce definizione di “rischio”: “E’ la possibilità che un paziente subisca un danno o un disagio involontario, imputabile alle cure sanitarie, che causa un prolungamento della degenza, delle cure o la morte” Tale “rischio” si misura in termini di probabilità che accada un evento e la gravità del danno che ne consegue. Nel calcolo della probabilità si considera la capacità del fattore umano di individuare e bloccare le conseguenze dell’evento potenzialmente dannoso».

Secondo la sua esperienza ultra trentennale in campo medico, quanto influisce sul rischio clinico una non adeguata organizzazione dei servizi e quale può essere la relazione tra il “chi” e il “perché” dei rischi medesimi allo scopo di non far vacillare la fiducia della popolazione nei confronti del Servizio sanitario?

«La inadeguata organizzazione dei servizi è proprio la causa prima del verificarsi dell’evento avverso, poiché impedisce proprio la previsione o l’individuazione dei cosiddetti “eventi sentinella”, quelle situazioni cioè che anticipano il verificarsi dell’evento».

 

Giuseppe Nativo

 

 

APRILE 2011

 

 

“Alle armi prodi fratelli...”

Le tappe del popolo siciliano verso l'Unità, attraverso le carte d'archivio

 

“Signor Generale,

Modica, la popolosa Modica, la quinta città di Sicilia, che si è sempre distinta in tutte le fasi della patria libertà appena seppe la Vostra portentosa entrata a Palermo innalzò giubilante la tricolore bandiera, costituì il suo Comitato e il primo atto del Comitato è un indirizzo di omaggio al Generale Garibaldi. Lo indirizzo è questo. Vi prego di gradirlo”.

“Bene la brava Modica – ei mi rispose – ringraziatemi a nome mio il Comitato”.

(7 giugno 1860, Palermo, lettera, senza firma, inviata all'abate Giuseppe De Leva Gravina, presidente del Comitato di Modica, dalla persona incaricata di consegnare il messaggio del Comitato di Modica al generale Garibaldi; Sezione Archivio di Stato - Modica, fondo De Leva, Corrispondenza, atti e scritture del periodo risorgimentale, b. 5/5, fasc. 4)

 

Bollettini di guerra, stampe, documenti, dispacci, giornali, lettere e telegrammi: è il ricco percorso della mostra documentaria avente per tema le tappe del popolo siciliano, con particolare riferimento al territorio ibleo, visto attraverso il periodo risorgimentale che converge verso l'Unità d'Italia. L'articolata esposizione di vetusti carteggi, che si tiene presso l'Archivio di Stato di Ragusa dal 14 marzo al 30 aprile, si inserisce nell'ambito delle manifestazioni storico-culturali che quest'anno hanno contraddistinto la ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.

Le tappe garibaldine vengono seguite attraverso la documentazione proveniente dal corposo Archivio De Leva (che copre un arco temporale che va dal 1542 al 1935), in particolare dalle carte dell'abate Giuseppe De Leva (1786–1861), procuratore generale del conte di Modica nel 1823 e vicario foraneo (1841-1851; 1856-1867), figura di spicco tra gli esponenti del Risorgimento modicano. Eletto deputato al Parlamento di Palermo nel 1812, è presidente dei Comitati rivoluzionari di Modica del 1848 e del 1860. Attraverso la serie “Corrispondenza e scritture varie del periodo risorgimentale” (1856-1861) possono essere tracciati gli effetti che la spedizione dei Mille produce nella Sicilia sud orientale.

Lo sbarco di Garibaldi a Marsala (11 maggio 1860) segna l’inizio della rivolta siciliana contro il regime borbonico. Nell'area iblea numerosi sono i comuni che insorgono nei primi giorni di maggio (Modica, Ragusa, Scicli, ma anche Comiso e Vittoria). Dopo lo sbarco a Marsala (Tp), sulla costa occidentale, i volontari di Garibaldi hanno la meglio sull’esercito borbonico nei pressi della città di Calatafimi (Tp). A Salemi (Tp), il 14 maggio, Garibaldi si autoproclama “dittatore” della Sicilia. La notizia è diffusa il 30 maggio dal Comitato di Noto (Sr) con un volantino a stampa, a firma del vice-presidente Antonio Sofia, mediante il quale si rende noto a tutti che Garibaldi, “comandante in capo delle forze nazionali in Sicilia”, avuto riguardo al fatto che “in tempo di guerra è necessario che il potere civile militare fosse concentrato in mano di una sola persona”, assume la “dittatura” dell'Isola in nome di Vittorio Emanuele II di Savoia, anticipatamente qualificato re d'Italia (“Avviso interessante”, Sezione Archivio di Stato - Modica, fondo De Leva, Corrispondenza, atti e scritture del periodo risorgimentale, b. 5/5, fasc. 3).

Tra le tante comunicazioni indirizzate all'abate De Leva se ne segnalano due. Una lettera con firma autografa di Salvatore Castiglia (questi aveva partecipato con Bixio al colpo di mano che aveva consegnato ai Mille le navi “Piemonte” e “Lombardo”; combattendo valorosamente a Calatafimi aveva meritato la stima di Garibaldi che, al ritorno a Palermo, lo nomina comandante generale della Marina siciliana), inviato da Garibaldi in missione a Pozzallo (maggio 1860): “Con questo mio officio le invio otto individui nostri connazionali, i quali sono venuti meco in Pozzallo precedendo d'un giorno la piccola spedizione sotto gli ordini del sig. Nicola Fabrizio. Dovendo io qui rimanere ancora qualche giorno, dove ho ad adempiere altra missione affidatami dal Generale Garibaldi; non potendoli accompagnare personalmente, le raccomando alla sua benignità e protezione. Dessi attenderanno costà l'arrivo del loro capo sig. Fabrizio...”. L'altra riguarda una comunicazione telegrafica (5 giugno 1860) trasmessa dal vice presidente del Comitato di Noto al presidente del Comitato di Modica: “Noto, ore 7 antemeridie. Dietro l'attacco di Giovedì i Regi abbandonarono Catania imbarcandosi per Messina. La città governata dai buoni cittadini...” (Sezione Archivio di Stato - Modica, fondo De Leva, Corrispondenza, atti e scritture del periodo risorgimentale, b. 5/5, fasc. 4  e  10).

Dopo Palermo, anche Catania registra l'inarrestabile percorso dei garibaldini verso l'Unità d'Italia.

 

 

 

Il pianto di Maria all'alba del giorno senza tramonto

 

Quale incomparabile dolore abbia provocato la fibrillazione del cuore di Maria alla vista del Figliolo

messo in croce è sicuramente al di là dell'umana comprensione. L'aria, resa appena frizzantina dal

vento fresco ma moderato di primo vespro, accarezza quasi con dolcezza il corpo emaciato ed esangue del Cristo. Una folata gira attorno ai suoi, ai curiosi, ai soldati quasi volteggiando e facendo vibrare i cimieri, sfavillanti come saette, dei soldati preposti alla vigilanza dei condannati. Lacrime amare, quasi asciutte, percorrono il viso non ancora del tutto crespato di Maria che, avvolta nel suo mantello, vuole abbracciare con il suo sguardo tutta la persona dolorosa del Figlio.

Gli occhi velati d'amaro pianto sono rivolti al cielo, mentre il cuore di mamma rammenta le tenere cure date al fanciullo accarezzando con amore le memorie di quel tempo in cui il Figlio era tutto suo e si affidava all'affetto materno.

Oggi è così lontano da lei, così superiore alla sua debolezza, trasfigurato dalla missione divina che Egli ha da compiere.

Il pianto di Maria svolge quasi l'unico motivo dell'incontro e del contrasto fra l'umano ed il divino, che trovano la loro unità profonda solo in uno slancio d'intenso e sublime amore. La Vergine non è soltanto il simbolo dell'umanità, ma è essa stessa una donna vivente e sofferente alla vista del Figlio tanto martoriato dall'umana crudeltà.

E' anche la Madre di Gesù; come Cristo, che è Dio, è pure figlio amoroso ed umano. 

Dalla visione triste di questo mondo, dove l'interrogazione ansiosa del mortale e la risposta divina si incontrano invano nell’immanente, non nasce nell’animo la disperazione ma piuttosto un senso di accorata speranza, inconsapevole e misteriosa come la forza d'amore che la ispira.

La stessa forza che ha sprigionato quell'energia, incommensurabile all'umano intelletto, redentrice delle colpe primordiali.

Ed ecco l'alba del nuovo giorno senza tramonto, foriera di luce e vincitrice sulle tenebre: la Risurrezione di Cristo che ci richiama il primo mattino luminoso del creato.

E' l'inizio di una nuova creazione.

E' una forza nuova che è lievito di vita la cui essenza è ineffabile, com'ebbe a dire il sommo poeta...."oh quanto è corto il dire e come fioco /al mio concetto! e questo..../è tanto, che non basta a dicer poco. /O luce eterna che sola in te sidi, /sola t'intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi!..." (PAR., XXXIII, 121-126).

 

Giuseppe Nativo

 

 

MAGGIO 2011

 

 

“Corale con trittico”

Alla Camera di Commercio di Ragusa presentata l'ultima fatica letteraria

di Giovanni Occhipinti

 

Corale con trittico è un viaggio nella parola e nella memoria. E' una rilettura potente delle proprie paure, delle proprie certezze di ieri che sono state rimembrate dal dolore delle vicende della vita, delle incertezze di oggi, delle speranze, del senso mistico della poesia, dell'altro, della parola, del verbo...”. Inizia così l'intervento di Carmelo Arezzo (critico letterario e giornalista) cui è stata affidata anche l'introduzione alla serata culturale, promossa dall'Associazione Teatro Club “Salvy D'Albergo”, Centro Servizi Culturali e Centro Studi “F. Rossitto”, recentemente tenutasi presso l'Auditorium “Giambattista Cartia” della Camera di Commercio di Ragusa. Un serata culturale molto particolare che ha visto avvicendarsi illustri relatori come S.E. Mons. Carmelo Ferraro (Arcivescovo Emerito della Diocesi di Agrigento), Elisa Mandarà (docente in materie letterarie, giornalista, critico letterario) e Mario Specchio (Ordinario dell'Università di Siena), i cui interventi ben calibrati ed articolati sono stati intervallati dalla lettura, da parte del giovane attore Giovanni Arezzo, di alcuni brani tratti dal volume “Corale con trittico (2008 – 2009)” (Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2010, pp. 94). Si tratta della recente fatica letteraria di Giovanni Occhipinti, illustre poeta, fine narratore e sapiente critico letterario, nato a Santa Croce Camerina (Rg), la cui attività illumina il capoluogo ibleo dove ha insegnato a lungo, anche da docente di scrittura creativa negli Istituti medi e superiori. Circa quarant’anni di poesia contraddistinguono l’esperienza letteraria di Occhipinti, fondatore di riviste letterarie (la più recente è “Trasmigrazioni”, rassegna semestrale di civiltà letteraria globale, diretta da Giorgio Bàrberi Squarotti, Giovanni Occhipinti e Nunzio Zago, edita dal Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa). Saggista letterario, ha al suo attivo una lunga avventura in campo poetico (inediti di poesia sono tradotti all'estero in diverse lingue) che gli ha dato la possibilità di essere parte attiva in quel frastagliato e contraddittorio panorama letterario del secondo '900. Pochi, infatti, come Occhipinti hanno attraversato quella stagione della letteratura in cui si sono alternati gruppi, movimenti, riviste e tendenze di ogni ordine e provenienza. Ed è proprio da questa esperienza maturata negli anni che trae origine il suo “Corale con trittico” dove l'autore mira al sublime, “al di là delle forme poetiche di più ampio e canonico uso del secondo Novecento” quali “il sogno, la visione, il tragico, il sacro, la riflessione concettuale, la contemplazione della bellezza e dell'estasi dell'anima” come annota il prefatore Bárberi Squarotti.

“Occhipinti – precisa il professore Specchio (che ha anche curato l'introduzione al volume) – ha aggiunto, ad ogni suo libro, un pilastro all'edificio atettonico sul quale si è disposta la storia e la cronaca, la vicenda privata e la risonanza che ogni vita produce nell'ecologia dell'universo”. La sua poesia ha una “valenza musicale”. Una “musicalità tutta interna al divenire della lingua,... una musica la cui percezione avvia alla percezione del mistero...”. In quest'ultima opera Giovanni Occhipinti si avvale di due “supporti d'arti affini, la musica e la pittura” in un itinerario poetico “nel quale la Parola scaturisca dalla musica, e dalla musica della parola fluisca l'immagine”.

“La copertina, lungi dal porsi quale nudo involucro ad un contenuto, - sottolinea la professoressa Mandarà – riprende un'opera (“Incontro nel mare”) di Piero Guccione artefice, sulla tela, della struggente dimensione di un infinito assolutamente credibile. Il titolo, “Corale con trittico”, risulta  potentemente metaforico... Continuando il dialogo con la pittura Occhipinti richiama il “trittico” opera tripartita largamente impiegata nell'arte sacra medievale e non solo...”. Non a caso l'opera di Occhipinti risulta suddivisa in tre parti (Corale uno, Corale due, Corale tre) in cui la parola, in un amalgama “cromatico-fonico”, diviene portatrice di un messaggio che va oltre la parola stessa.

Nella sua esplorazione interiore, “la parola – come puntualizza Mons. Ferraro - diventa arcobaleno di luce. Affiora nel testo un percorso illuminante e impenetrabile sul mistero dell'uomo da cui emerge il bisogno di pensiero e di immagine... Il mistero dell'uomo che cerca il Mistero di Dio...”, cercando di raggiungerlo in quella che Occhipinti chiama “polifonia del silenzio / per captarne le voci, come in un coro muto che ti contempli.../”.

 

 

 

 

 

Promette di migliorare l'assistenza ai cittadini

Una carta d'identità della salute

 

Riassetto della vigente normativa in materia di sperimentazione clinica dei medicinali, riforma degli ordini delle professioni sanitarie, avvio del fascicolo sanitario elettronico per tutti i cittadini. E’ quanto approvato dal Consiglio dei Ministri dopo una prima valutazione risalente a settembre dello scorso anno e dopo aver ottenuto il parere favorevole dalla conferenza Stato-regioni.

L'attuazione delle norme sulla sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano dovrà trovare attuazione entro nove mesi dall'entrata in vigore della legge delega, mediante l’emanazione di uno o più decreti legislativi.

Relativamente alle professioni sanitarie è previsto, con una delega al governo, il riordino della disciplina degli albi, degli ordini, e delle relative federazioni nazionali, dei medici chirurghi, degli odontoiatri, dei farmacisti e dei medici veterinari, che saranno soggetti alla vigilanza del ministero della Salute. Maggiore attenzione sarà posta sulla formazione ed aggiornamento professionale.

Nuove applicazioni informatiche troveranno piena attuazione nel cosiddetto Fse (fascicolo sanitario elettronico), inteso come «l'insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi riguardanti l'assistito», che verrà istituito dalle Regioni allo scopo di consentire la prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione nonché ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico. In buona sostanza una sorta di carta d'identità sanitaria «in grado di migliorare l’assistenza e di permettere un intervento rapido ed efficace in caso di emergenze, realizzando anche un risparmio di risorse». Si tratta, dunque, di un passo avanti nella realizzazione del progetto che entro il prossimo anno potrà essere reso disponibile su tutto il territorio nazionale. Il fascicolo elettronico, realizzato previo consenso dell’assistito, coprirà l'intera vita del paziente e sarà costantemente aggiornato dai soggetti che lo prendono in cura.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

GIUGNO 2011

 

 

San Giorgio, santo cavaliere

Immagini di una festa attraverso i clic di Vincenzo Giompaolo

 

   “La fotografia è un attimo di irripetibile equilibrio tra il fatto ed il sentimento, tra il contenuto e la forma”. Così nel ’72 Leonardo Sciascia scrive nella prefazione di un volume fotografico. Lo scatto si rivela come testimonianza visiva di un luogo o sintesi di una storia di cui è immortalato un fermo immagine, una porzione di attimo fuggente nel fluido divenire della quotidiana realtà. Ciò emerge in ogni libro di Vincenzo Giompaolo, palazzolese ma ragusano di adozione, che, dagli anni Settanta in poi, da Gibellina ai Nebrodi, dai Peloritani agli Iblei, viaggiando con la sua inseparabile macchina fotografica ha raccontato visivamente l’intima anima dell’universo siciliano cogliendone le espressioni più autentiche, la variegata umanità: la Sicilia dei quartieri popolari, delle tradizioni religiose.

   Accanito cultore di etnografia e studi sulle tradizioni popolari siciliane, raccogliendo un cospicuo materiale fotografico e magnetofonico, Giompaolo giunge adesso alla sua ottava pubblicazione con il volume “San Giorgio 2010 (Ragusa Ibla). Immagini di una festa” (Santocono Editore, Rosolini-Sr- 2011. pp. 128), con testi di Mimì Arezzo, Nino Cirnigliaro, Gaetano Cosentini e Sac. Pietro Floridia.

   Storia, mito, immagini, colori ed emozioni sono il perfetto mix su cui si fonda l’intera architettura tematica affrontata dal libro di Giompaolo sapientemente accompagnata dal suo prezioso e mirabile reportage fotografico effettuato in occasione dei festeggiamenti del santo patrono di Ragusa Ibla, San Giorgio martire, che, a maggio del 2010, sono culminati con la rappresentazione scenografica del martirio.

   “Ho voluto aggiungere alle mie pubblicazioni un ulteriore volume di cui parte preponderante è rappresentata, ancora una volta, dalle foto che riprendono non solo alcuni particolari momenti festivi ma anche scene del cosiddetto martirio” - precisa l’autore – “alla ricerca di un sapore antico sotto la scorza della fredda quotidianità”. E’ proprio questo l’obiettivo che si prefigge l’opera di Giompaolo che, attraverso i testi ben calibrati di Arezzo, Cirnigliaro, Cosentini e Sac. Floridia, fornisce al lettore un quadro di insieme sulla figura del Santo toccandone i variegati aspetti religiosi, iconografici, festivi e folcloristici.

   Il culto di S. Giorgio, come santo e martire, è presente in tutto il mondo e “nella quasi totalità delle chiese cristiane, ed è onorato perfino dai musulmani”, annota Mimì Arezzo, specificando che il nome del Santo “era invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe”. Nella iconografia greca è facile confondere S. Giorgio con S. Demetrio anche se si nota qualche differenza: il primo ha il cavallo bianco mentre per l’altro è nero; e il “bersaglio” del cavaliere (Giorgio uccide un drago, Demetrio un moro). A Ragusa Ibla il ricordo del Santo è molto sentito in quanto “festa di primo grado”, come attesta un decreto del 1879 citato da Nino Cirnigliaro il quale precisa che “il martirio e la leggenda, come per tanti altri santi, camminano insieme e così si racconta del Santo Martire Giorgio tagliato in due da una ruota chiodata” e che “miracolosamente risorto, opera parecchie conversioni… risuscita persone morte da secoli e con un semplice alito abbatte le statue degli idoli”. In tempi passati, ricorda Gaetano Cosentini, la festa del patrono S. Giorgio assumeva una valenza particolare nella cosiddetta rappresentazione del “Martiriu”, cioè una sorta di processione figurata, con carri allegorici e figure umane. La prima notizia certa di tale processione volta a “solennizzare il Martirio del patrono S. Giorgio” si ricava da una “Provvista” concessa, in data 24 dicembre 1630, da mons. Fabrizio Antinoro da Napoli (vescovo di Siracusa dal 1629 al 1635) con formula “pro clericis tantum” per farvi cioè partecipare i chierici, estesa ai sacerdoti nel 1632.

   Per il Sac. Pietro Floridia il momento religioso è “espressione della religiosità popolare iblea, è senz'altro un ricco e significativo momento della multiforme realtà sociale del ragusano, che non solo richiama ed esprime aspetti della psicologia ed antropologia propri dell'uomo siciliano, ma che particolarmente interpella il senso cristiano del popolo che di essa ne è il soggetto e il protagonista”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

OTTOBRE 2011

 

 

Disturbi mentali: quali le nuove frontiere?

 

Secondo una recente analisi elaborata dall'Organizzazione mondiale della Sanità sono circa 450 milioni le persone che, in tutto il mondo, accusano disturbi a carico del sistema nervoso (disturbi neurologici, mentali e comportamentali). In Italia recenti studi hanno messo in evidenza una prevalenza annuale dei disturbi mentali nella popolazione generale pari a circa l'otto per cento. Da un sondaggio (fonte: www.salute.gov.it) , condotto su un campione di psichiatri italiani, è emerso un aumento, rispetto a dieci anni fa, della frequenza con cui vari disturbi mentali giungono all'osservazione clinica. Anche in Italia, come in altri Paesi industrializzali, i disturbi mentali rappresentano una delle maggiori fonti di carico assistenziale e di costi per il Servizio Sanitario Nazionale. Non di rado forme di sofferenza psichica, che si presentano in tutte le classi d'età, sono associate a difficoltà nelle attività quotidiane, nel lavoro, nei rapporti interpersonali e familiari, alimentando spesso forme di emarginazione e di esclusione sociale.

   La società moderna è immersa quotidianamente nel tumultuoso caos della giungla urbana caratterizzata da ansia, forme depressive o da panico e quant'altro. E' plausibile, pertanto, affermare che sia in atto una trasformazione del disagio psichico e della sua presentazione sintomatologica a causa dei profondi mutamenti sociali. In pratica i disturbi psichici tenderebbero a presentarsi con forme cliniche differenti rispetto al recente passato, non di rado con la sovrapposizione di problematiche psicologiche e psichiatriche diverse.

Ma quali sono le nuove frontiere per la cura dei disturbi psichici (trattamenti farmacologici e psicoterapie) che consentono di guardare con più ottimismo agli esiti di malattia in relazione anche all'annosa questione costi-efficacia? Abbiamo girato la domanda al dottor Onofrio Falletta, medico psichiatra presso una struttura sanitaria iblea.

«Negli ultimi decenni la ricerca di nuove cure per i disturbi psichiatrici ha permesso di utilizzare farmaci sempre più efficaci e ben tollerati quali i cosiddetti antipsicotici atipici, i quali non presentano gli effetti collaterali che davano i vecchi antipsicotici e che diventano essi stessi fattore di ulteriore stigmatizzazione. Con tali farmaci, che tra l’altro presentano una buona efficacia e maneggevolezza, è a volte difficile individuare un soggetto che ne fa uso e tale fatto, assieme alla scarsità di effetti collaterali fastidiosi, aumenta la compliance ovvero l’adesione alla terapia dei pazienti, fattore questo che fa diminuire le recidive. Inoltre tali farmaci permettono di attuare anche percorsi riabilitativi più puntuali e che di per sé aumentano il miglioramento, attraverso una maggiore articolazione della vita del paziente sia nei confronti dell’altro, che della società. Unico neo di tali farmaci è il costo molto alto e infatti essi vengono distribuiti, dopo piano terapeutico delle strutture pubbliche, presso le farmacie ospedaliere o presso il servizio farmaceutico. Anche nelle altre patologie esistono farmaci abbastanza sicuri e maneggevoli con pochi effetti collaterali, sia verso la depressione che i disturbi d’ansia, cosicché si può affermare che ormai le possibilità di cura dei disturbi mentali è molto elevata e sicura».

In molte condizioni cliniche si pone la questione di una corretta prescrizione di farmaci in aderenza anche alla normativa riguardante il consenso informato in pazienti la cui somministrazione farmacologica può, talora, ridurre la capacità giuridica della persona. In tali casi qual'è il comportamento dello specialista?

«In linea di massima nelle strutture sanitarie pubbliche non è possibile somministrare o prescrivere farmaci senza il consenso da parte dell’utente. Lo stesso principio vale anche per le patologie psichiatriche per cui di prassi noi richiediamo, dopo avere informato il paziente, la firma del consenso informato. Viene escluso tale obbligo solo in caso di ricovero per TSO ovvero “trattamento sanitario obbligatorio” nel qual caso le condizioni cliniche del paziente richiedono un ricovero coatto che prescinde quindi dall’accettazione dello stesso da parte del paziente. E’ evidente che si tratta di una procedura medica marginale rispetto alla grande quantità di ricoveri volontari che noi effettuiamo e che richiedono, sempre e comunque, il consenso da parte del paziente. Tale consenso deve essere fornito anche nelle altre prestazioni che il Dipartimento di Salute Mentale eroga quali visite ambulatoriali, attività di riabilitazione o di day hospital».

In Sicilia il dipartimento di Salute Mentale, attraverso un'articolata rete, rappresenta la struttura che assicura gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione in ciascuna azienda sanitaria provinciale. In che cosa consiste la prevenzione? «Quando si parla di prevenzione bisogna operare una differenziazione tra prevenzione primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria agisce sulle cause generali che producono una malattia e si comprende come, nel caso delle patologie psichiatriche che hanno una genesi multifattoriale, la prevenzione primaria sia molto difficile da attuare perché bisogna agire a vari e multipli livelli familiari, sociali, educativi e spesso in fase molto precoce. La prevenzione secondaria e quella terziaria trovano attuazione attraverso la cura e la riabilitazione dei disturbi psichiatrici ed in particolare per quanto riguarda il rischio di recidive e ricadute che spesso sono presenti. Nelle nostre strutture portiamo avanti attività riabilitative sia nei Centri Diurni che direttamente nel territorio con attività sia risocializzanti che strettamente riabilitative, con atelier, laboratori protetti e con attività esterne alle strutture in stretto contatto con il territorio e le sue articolazioni. Gli utenti che entrano nei progetti riabilitativi molto spesso necessitano di minori quantità di farmaci e presentano un minor tasso di riospedalizzazione per recidive mantenendo per un periodo più lungo un periodo di benessere».

 

 

 

Attenzione, l'alcol fa male anche al feto

Anche i neonati sono esposti all'alcol nel grembo materno.

E’ quanto emerge da una recente analisi elaborata dall’Istituto Superiore di Sanità e diffusa in occasione della prima Giornata internazionale della consapevolezza sulla sindrome feto-alcolica (www.iss.it). Lo studio di prossima pubblicazione è stato condotto attraverso una sostanza in grado di rilevare l’esposizione all’alcol nel meconio che rappresentano le prime feci dei neonati. Il gruppo di studio ha rilevato che c’è un consumo di alcol in gravidanza sottostimato o non riconosciuto da parte delle donne che partoriscono. L’analisi di oltre seicento neonati ha rivelato un’esposizione media di poco più del sette per cento, con una distribuzione nelle diverse città campione dello studio molto diversificata. E’ necessario, pertanto, far luce su un fenomeno sommerso come quello delle patologie pediatriche sviluppate in relazione all’assunzione di bevande alcoliche durante la gravidanza.

In territorio ibleo esiste tale problematica? Come sono fronteggiate eventuali insorgenze di tali patologie e, soprattutto, come vengono diagnosticate? Abbiamo girato i quesiti al dottor Salvo Figura, medico anestesista rianimatore (già in servizio presso un nosocomio ibleo). «Non ho dati certi per poter affermare che nel territorio ibleo esista questa problematica. E’ sufficiente però l’osservazione diretta di stuoli di teenager, sotto i quindici anni, andare in giro per i lungomare del litorale ibleo sbandierando la loro birretta rigorosamente tedesca o messicana, con sale e limone al seguito, per poter prevedere un alcoolismo precoce e precoci danni al feto in caso di gravidanza. Purtroppo per l’alcool non è mai stata prodotta una seria campagna di prevenzione com’è stato fatto per il fumo. Eppure il suo consumo e abuso è nettamente superiore a quello del fumo».

Nella sua lunga esperienza di medico anestesista rianimatore ha avuto a che fare con casi di particolare rilevanza?

«Di sbornie, anche pesanti, ne ho viste tante. Talune che giungevano sino alla perdita totale della coscienza e all’anestesia da alcool. Ho visto anche delle morti da metanolo usato specialmente da giovani dell’est Europa per incrementare la gradazione alcoolica di birre o altri alcoolici. L’assunzione del metanolo è devastante! Sugli esiti sul feto posso dire poco come esperienza diretta, ma certamente è dagli anni Settanta che Paesi evoluti dal punto di vista della ricerca studiano il fenomeno. L’alcool in quantità molto modeste, specialmente o unicamente, il vino rosso, è un ottimo elisir di “lunga vita”. Antiossidante per eccellenza, aiuta il cuore e i vasi. Nelle gravide ne bastano due bicchieri in più al giorno per far rischiare loro la nascita di figli deformi nel fisico e nel cervello. Non scordiamo mai che l’alcool è un solvente di grassi e proteine, i mattoni di geni e cromosomi; cioè del DNA, cioè ancora della “Banca dati e programmazione” di tutto il nostro organismo».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

NOVEMBRE 2011

 

 

Al via gli appuntamenti culturali del Caffè Letterario Quasimodo

Presentato “Il Feudo Modicano e il Regno di Sicilia” volume di Giuseppe Chiaula

 

   Nella storia siciliana la Contea di Modica è tradizionalmente rammentata come regnum in regno, per aver rappresentato, dal suo sorgere al suo cessare, una delle realtà politiche istituzionali più interessanti dei periodi medievale e moderno. Su tale nodo si intrecciano le tematiche storico-giuridiche affrontate nel recente volume di Giuseppe Chiaula, “Il Feudo Modicano e il Regno di Sicilia” (Arti Grafiche Monolithus, Modica, pp. 104).

   L’autore, con alle spalle non poche pubblicazioni anche di natura storica, nativo di Modica, risiede da oltre un cinquantennio a Roma, dove ha operato come magistrato della Corte dei Conti.

   Il volume è stato presentato al Palazzo della Cultura di Modica (Rg) rappresentando il primo degli appuntamenti promossi ed organizzati dal Caffè Letterario Quasimodo di Modica che, anche per l’edizione 2011-2012, ha presentato un fitto calendario di eventi culturali. «Si tratta – ha spiegato Domenico Pisana, presidente del Caffè Letterario - della sesta stagione dei “sabati letterari” che si inserisce non solo come attività culturale e letteraria ma anche come impulso per approfondire e sviluppare tematiche giuridiche, in genere, poco praticate in campo storico ma che rivestono particolare importanza per meglio comprendere aspetti del passato, come quelli affrontati con perizia da Giuseppe Chiaula nel suo libro», ponendo all’attenzione del folto pubblico presente in sala l’importanza e la necessità di «creare occasioni di scambio e momenti di riflessione».

   La presentazione è stata affidata all’avvocato Antonio Borrometi che, nel suo articolato excursus, si è più volte soffermato su determinate problematiche affrontate dall’autore focalizzando l’attenzione su taluni aspetti peculiari del territorio comitale tratteggiando alcune dinamiche storiche affrontate nel libro. Un criterio di indagine, quello adottato da Chiaula, che cerca di cogliere le specificità degli antichi istituti feudali evidenziandone le differenze rispetto all’assetto ordinamentale che ne è seguito. Borrometi ha saputo cogliere aspetti del testo che delineano la capitale della Contea in un periodo storico “passato” ma che si riallaccia a tematiche ancora oggi di grande attualità.

   Questo saggio, riconsiderando varie questioni trattate in un precedente volume, va ad analizzare problematiche in tema di rapporti fra l’ordinamento comitale modicano, con quello del sopraordinato regno di Sicilia, anche al fine di individuare aspetti similari ed analogici. La particolarità dell’opera sta nella capacità di ricerca intrapresa con l’occhio analitico del giurista, accompagnata dal “rigore storiografico e la passione civile”, come avverte il prefatore, il magistrato Salvatore Rizza. Nella sua articolata trattazione, Chiaula offre notevoli e preziosi spunti per una “rivisitazione ragionata” della storia comitale mettendo in piena luce i “fermenti autonomistici” che “si verificarono e anticiparono la presa di coscienza popolare manifestatasi poi nel XIX secolo”.

   Nel saggio in disamina si perviene alla conclusione che il regime differenziato del feudo modicano, malgrado le gravi interferenze subite, nel corso della sua storia, dall'assolutismo, primario e secondario, abbia comunque lasciato prova di qualche valenza. La lontananza dei Conti, interessati solo alle copiose rendite, il frazionamento delle proprietà, la partecipazione di ampie categorie di cittadini alle pubbliche funzioni, ha consentito, nel relativo territorio, esperienze e tirocini altrove impossibili, e quindi praticamente utili per affrontare le impegnative sfide del XIX secolo.

   La serata è stata impreziosita da uno spazio musicale affidato al Mº Lino Gatto e contraddistinta dalla lettura di alcuni dei passi più significativi del volume che hanno tratteggiato, tra l’altro, la delicata tematica dell’Inquisizione siciliana di rito spagnolo (presente anche in territorio comitale sin dai primi decenni del XVI secolo) resa ancora più viva dalle voci di Ernesto Ruta e Teresa Floridia.

 

 

 

 

 

 

 

L'eredità che ci lascia Antonino Di Vita

E' scomparso a 85 anni l'archeologo chiaramontano “papà” di Camarina

 

Il console romano Attilio Calatino, nel 258 a. C., malgrado gli incendi, stragi e saccheggi di incredibile ferocia, non è riuscito a cancellare per sempre la memoria di Camarina, antica colonia greca. Essa, resa immortale dalla lirica del grande poeta greco Pindaro, è tornata a risplendere di luce propria, emergendo dal silenzio del tempo grazie al grande impegno profuso da illustri archeologi come Paolo Orsi, Biagio Pace, Paola Pelagatti, Giovanni Distefano e, non ultimo, Antonino Di Vita.

Archeologo chiaramontano, recentemente venuto a mancare dopo ottantacinque primavere, Di Vita è stato un illuminato ricercatore e studioso, componente dell'Accademia dei Lincei, nonché soprintendente alle Antichità e Belle arti. Ha insegnato presso le Università di Palermo, Perugia e Macerata, di cui è prima stato preside della Facoltà di Lettere e poi Rettore dal 1974 al 1977. Ha diretto la Scuola Archeologica Italiana di Atene dal 1977 al 2000. A lui si devono molte campagne di scavi nel sito archeologico di Camarina, a cominciare dal 1958. La sua intensa ed instancabile attività di archeologo ha rappresentato il punto di partenza per ulteriori ricerche e missioni di scavi in Italia e all'estero. Non a caso è stato considerato il «padre» della Città Stato di Camarina.

Ed è proprio per la «sua» Camarina che l'anno scorso ha lanciato un appello, di cui si è fatto portavoce il Centro Studi Feliciano Rossitto, scrivendo un'accorata lettera alle autorità iblee affinché prendessero consapevolezza dei problemi riguardanti il danneggiamento dell'area archeologica di Camarina, a causa dell'erosione subita dalla costa: «E' con la più viva preoccupazione che sento da Giovanni Distefano delle condizioni di estremo pericolo cui si vengono a trovare le mura lungomare di Camarina... L’acqua lambisce i resti di quella torre di V secolo a. C. a picco sulla foce dell’Ippari (raro esempio di una torre di età classica in Sicilia) che nel 1958 potei individuare e scavare nell’ambito di quelle ricerche con le quali mi fu possibile sfatare la convinzione che di Camarina greca i Romani non avessero lasciato pietra su pietra». Di Vita scrive con il cuore in mano citando Camarina come «una delle antiche città siceliote meglio conosciuta e assai visitata, grazie all’opera della professoressa Pelagatti prima e del dott. Distefano poi, che hanno dato nerbo e hanno esteso i miei limitatissimi saggi. Sarebbe davvero una grave iattura vedere crollare in mare le mura di Camarina conservatesi per 2500 anni...».

«La città di Ragusa e la sua provincia – scrive Giorgio Chessari, presidente del Feliciano Rossitto, nel suo messaggio di cordoglio - gli devono moltissimo non solo per la sua attività di archeologo, portando alla luce testimonianze di grande rilevanza sulla identità storica del nostro territorio (da Camarina, a Castiglione, a Rito), ma anche perché dagli anni Cinquanta fino ad oggi si è battuto per la salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale delle nostre città».

Di Vita è stato un profeta ed un precursore della battaglia volta a difendere il centro storico di Ragusa antica e moderna perché è stato il primo a chiedere, già nel 1967, sulle pagine di un quotidiano siciliano, la emanazione di una legge speciale.

Una delle ultime fatiche che stava per intraprendere è la preparazione per la stampa del libro sulla necropoli di contrada Rito, relativa alla presenza dei Greci a Ragusa in età arcaica.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

DICEMBRE 2011

 

 

“Giovanni Cartia. L’uomo, il politico”

Presentato al Centro Studi Feliciano Rossitto il saggio di Giuseppe Miccichè

 

“Quando, nel luglio del 1959, Giovanni Cartia morì, qualcuno scrisse che era scomparsa una grande figura di siciliano. L'affermazione si fondava su dati certi. Cartia era stato per lunghi anni l'interprete di un socialismo democratico che in contesti difficili, all’indomani della prima e della seconda Guerra mondiale, cercava di conquistare e difendere uno spazio e di additarsi come esempio di costruttività reale”.

Così si legge, in maniera sintetica ma incisiva, sulla quarta di copertina del recente saggio, “Giovanni Cartia. L'uomo, il politico” (Ragusa 2011, pp. 112), pubblicato dal professore Giuseppe Miccichè, figlio illustre di Santa Croce Camerina (Rg), per il quale il Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa interviene non solo in veste di ente organizzatore della serata culturale promossa per presentare il libro ma anche in quella editoriale. Una serata di alto spessore per la presenza di un team navigato di politici e storici, Natalino Amodeo (ex deputato nazionale), Nello Rosso (ex deputato regionale), Giorgio Veninata (storico), che hanno tratteggiato l’opera di Miccichè, dopo l’intervento introduttivo del Presidente del Feliciano Rossitto, on. Giorgio Chessari, alla presenza di non pochi rappresentanti dei vertici istituzionali e di un folto ed attento pubblico.

Giuseppe Miccichè, già docente di Italiano e Storia nelle Scuole secondarie, co-fondatore nel 1981 del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa (ricoprendo la carica di Presidente fino al 2002), ha al suo attivo non pochi saggi che hanno sviscerato, in maniera esaustiva, variegate tematiche riguardanti la storia politica e sociale siciliana tra ‘800 e ‘900 (tra cui “Dopoguerra e fascismo in Sicilia 1919-1927”, 1976; “I Fasci dei lavoratori nella Sicilia sud-orientale”, 1981; “La Sicilia tra fascismo e democrazia”,1987; “Il Movimento Cattolico nella Sicilia sud-orientale”, 1994; “Uomini illustri della provincia iblea - secoli XIX-XX”, 2001; “Stampa e lotta politica dal 1901 al 1922”, 2008; “Un lungo cammino. Il movimento socialista nella Sicilia sud-orientale”, 2009).

“Quella di Giovanni Cartia - ha affermato Giorgio Veninata - è stata una vita all'insegna della coerenza, secondo i principi del socialismo riformista che non avevano avvertito (o avevano sottovalutato) il pericolo del fascismo”. Il saggio del professore Miccichè ha un merito significativo in quanto “racchiude in maniera concisa la vicenda umana, professionale, politica, di uno dei figli migliori della nostra provincia”. Cartia, nato a Scicli nel cuore dell’estate del 1894, è nominato, dopo lo sbarco degli alleati, primo prefetto di Ragusa; eletto alla Costituente nella lista socialista, ricopre la carica di sottosegretario al Ministero dell'agricoltura nei governi presieduti dall'on. De Gasperi; membro della Consulta regionale siciliana, deputato al Parlamento nazionale, pubblico amministratore, nonché pubblicista. Attivissimo tra coloro che elaborano lo Statuto per l'autonomia da concedere all'Isola, esercita la professione forense fino alla fine.

“Conobbi l’avvocato Cartia, e ne rimasi immediatamente affascinato, verso la metà degli anni '50”, ha poi ricordato Nello Rosso, precisando di essere stato tra “i praticanti nel suo studio; era un uomo che credeva nella libertà e nella democrazia; un uomo di grande signorilità e di grande modestia”. “Un grazie al professore Miccichè e all’on. Giorgio Chessari per aver riportato alla memoria di tutti la figura di uno degli uomini più importanti, nel secolo scorso, nella nostra provincia” ha poi continuato Natalino Amodeo, puntualizzando che il libro è uno squarcio sugli anni dell’immediato dopoguerra. “Ho conosciuto Cartia a Pozzallo nel 1946 – ha aggiunto Amodeo - lui parlava, senza microfono, dal balcone di palazzo Pandolfi; con quella voce roca, calda; era un autentico incantatore». Con emozione sempre crescente Amodeo ha portato non poche testimonianze su Cartia come uomo politico: “Durante un comizio ebbe a dire: La Democrazia cristiana ci accusa di essere di sinistra, come se fosse una colpa; noi socialisti diciamo: a destra c'è il portafoglio, ma a sinistra c’è il cuore”.

La serata ha avuto il suo momento conclusivo con il contributo finale dell’autore e l'intervento del figlio di Giovanni Cartia, Girolamo. Quest’ultimo – mostrando in sala le non poche medaglie al valore conquistate in guerra dal padre (compreso una pala dell'elica di un aereo austriaco abbattuto dal padre nel 1916 nel corso di una delle tante battaglie aeree) – ha ricordato, con forte emozione, la figura del genitore non solo sotto l'aspetto professionale (avvocato con spiccate doti oratorie), ma anche umano per l'alta sensibilità mostrata nell’aiutare e difendere il prossimo.

 

Giuseppe Nativo