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Categoria: Nativo
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Home Giuseppe Nativo

2007

Gennaio 2007

- Camarina 2600 anni dopo la fondazione (Dialogo, gennaio 2007)

- “Il coraggio di essere uomini” in un libro di Giuseppe Mirabella (Insieme, 15/01/2007)

- Provincia di Ragusa: 80 voglia di crescere (Insieme, 31/01/2007)

 

Febbraio 2007

- La Provincia di Ragusa compie il suo 80° compleanno (Dialogo, febbraio 2007)

- Camarina approda all’Università Statale di Milano (Dialogo, febbraio 2007)

- L’alimentazione nei bambini (Insieme, 14/02/2007)

- La responsabilità sociale delle imprese: problemi e prospettive (Insieme, 14/02/2007)

 

Marzo 2007

- “Iddu. La cattura di Bernardo Provenzano” (Dialogo, marzo 2007)

- I proverbi questi sconosciuti (Insieme, 01/03/2007)

- Sette anni fra le nuvole parlanti: importante anniversario per il museo del fumetto di Santa Croce Camerina (Insieme, 01/03/207)

- Il berretto a sonagli (Insieme, 15/03/2007)

- Quando la terra nasconde la luna con un bacio (Insieme, 15/03/2007)

- La rivolta servile di Euno (Insieme, 31/03/2007)

- Occhio all’occhio – Meeting scientifico sull’Oculistica: prevenzione e patologie (Insieme, 31/03/2007)

 

Aprile 2007

Il “Museo del Fumetto Xanadu” e le nuvolette parlanti (Dialogo, aprile 2007) (Insieme, 30/04/2007)

Il Centro Studi “F. Rossitto” promuove presentazione libro di Giorgio Napolitano

Maria Attanasio al Centro Studi “F. Rossitto” presenta “L’Ironia” del poeta Migliorisi

 

Maggio 2007

- Il Presidente della Repubblica si racconta. Il Centro Studi “F. Rossitto” presenta volume di Giorgio Napolitano “Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica” (Dialogo, maggio 2007)

- “L’Ironia”. Maria Attanasio al Centro Studi “F. Rossitto” presenta l’opera del poeta Umberto Migliorisi (Insieme, 02/05/2007)

- Il Centro Studi “F. Rossitto” promuove presentazione libro di Giorgio Napolitano (Insieme, 02/05/2007)

- Gramsci a settant’anni dalla scomparsa. Il Centro Studi “F. Rossitto” promuove una giornata di studi. (Insieme, 16/05/2007)

- Giornalismo d’inchiesta tra ricerca e coraggio. A Ragusa il viaggio nel giornalismo d’inchiesta attraverso i volti dei cronisti uccisi (Insieme, 16/05/2007)

- Fonti per la storia di Vittoria. Mostra documentaria presso l’Archivio di Stato di Ragusa (Insieme, 31/05/2007).

 

Giugno 2007

- Antonio Gramsci nella vita del XX secolo (Dialogo, giugno 2007)

- Lungo i sentieri di Angkor. Al Centro Studi “F. Rossitto” una interessante mostra fotografica di Francesco Lucania (Insieme, 15/06/2007)

- Territorio ibleo e Malta. Un gemellaggio di tradizioni e feste religiose (Insieme, 15/06/2007)

- Destini che si intrecciano “nel luogo delle tavole”. Presentato al Centro Studi “F. Rossitto” il libro di Giovanni Occhipinti (Insieme, 29/06/2007)

 

Luglio 2007

- La cultura musicale nelle carte d’archivio (Insieme, 16/07/2007)

- L’Eroe dei Due Mondi in mostra all’Archivio di Stato di Ragusa (Insieme, 16/07/2007)

 

Settembre 2007

- La “Sfinge” a Ragusa. Scultura donata alla Città dal maestro Franco Cilia (Insieme, 17/09/2007)

 

Ottobre 2007

- L’immutabilità delle antiche prerogative nella controversia tra la Contea e la Corona Sabauda. Presentato il libro di Giuseppe Chiaula (Dialogo, ottobre 2007);

- Il pesce fresco merita attenzione (Insieme, 02/10/2007);

- Importante riconoscimento a due poeti ragusani: Umberto Migliorisi e Salvatore Vicari (Insieme, 20/10/2007);

- Una vita per il suo verso. Presentato a Ragusa il volume di poesie di Corrado Calabrò (Insieme, 20/10/2007;

 

Novembre 2007

- Nel 35° anniversario dalla scomparsa. Una giornata in ricordo di Giovanni Spampanato. Il giornalista ragusano che cercava e scriveva la verità (Dialogo, novembre 2007);

- Giovanni Occhipinti e la poesia del Novecento (Insieme, 06/11/2007);

- Oltre il teatro (Insieme, 06/11/2007);

- “Il liberalismo di Piero Gobetti” in un libro di Pietro Polito (Insieme, 16/11/2007)

 

Dicembre 2007

- Al Centro Studi “F. Rossitto” Mostra grafica di Rocco Cafiso (Dialogo, dicembre 2007);

- Al Centro Studi “F. Rossitto” debutto poetico di Diego Guadagnino (Insieme, 03/12/2007);

- Pennellate iblee. Un “viaggio” pittorico nel quartiere barocco di Ragusa Ibla (Insieme, 21/12/2007);

- “Fumetto e Didattica” si sposano a Santa Croce Camerina (Insieme, 21/12/2007);

- Storia e invenzione nell’ultimo romanzo di Maria Attanasio “Il falsario di Caltagirone” (Insieme, 21/12/2007).

 

 

 

GENNAIO 2007

 

 

Nuovi studi sulla città e sul territorio

Pubblicazione atti del Convegno Internazionale tenutosi a Ragusa 2002/2003

 

Camarina 2600 anni dopo la fondazione

 

Gli studi raccolti in questo volume sono importanti per la ricostruzione dell’identità storica del nostro territorio. E’ assolutamente necessario che essi siano conosciuti, perché, assieme al complesso degli studi pubblicati precedentemente, rivoluzionano le conoscenze che si ritenevano acquisite nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento”. Questo l’incipit del Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”, On. Giorgio Chessari, alla prefazione del volume che raccoglie gli Atti del Convegno Internazionale di studi - tenutosi a Ragusa nella sessione del 7 dicembre 2002 ed in quella conclusiva dal 7 al 9 aprile 2003 - organizzato per celebrare i 2600 anni della fondazione di Camarina con la partecipazione di eminenti studiosi nel settore della ricerca archeologica, urbanistica, topografica, filologica e storica. L’idea di celebrare Camarina nella ricorrenza dei suoi 26 secoli della sua fondazione deriva da un progetto lanciato nell’ambito delle molteplici iniziative culturali che l’Amministrazione comunale di Ragusa ha promosso nel 1997 per ricordare il settantesimo anniversario (quest’anno ricorre l’80° compleanno) della riunificazione amministrativa della Città e della sua elevazione a Capoluogo di Provincia. “La cerimonia solenne – specifica Chessari – fu conclusa dal discorso pronunciato dall’On.le Giorgio Napolitano (all’epoca Ministro dell’Interno), il quale ebbe ad apprezzare come si fosse voluta cogliere l’occasione del 70° anniversario della riunificazione per riflettere sulle trasformazioni sociali e sulla necessità di operare la ricomposizione unitaria del tessuto storico urbano di Ragusa”. Per suggellare gli impegni assunti nei sopra menzionati momenti culturali si è recentemente tenuta, presso l’Auditorium della Camera di Commercio di Ragusa, la presentazione del volume che raccoglie i citati Atti ed avente come titolo “Camarina 2600 anni dopo la fondazione. Nuovi studi sulla città e sul territorio”. A farsi promotore di tale iniziativa è stato il Centro Studi “F. Rossitto” in sinergica cooperazione con il Comune e la Provincia Regionale di Ragusa unitamente alla Regione Siciliana (Assessorato Regionale BB.CC.AA.). Il volume (Roma, novembre 2006, pp. 420)- edito dallo stesso Centro Studi “F. Rossitto” e dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, curato dalla prof.ssa Paola Pelagatti (Università della Tuscia, Viterbo – Accademia dei Lincei), dall’archeologo ragusano Di Stefano prof. Giovanni (Università della Calabria – Cosenza) e dalla prof.ssa Lucilla de Lachenal (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) - pone le basi per l’arricchimento delle acquisizioni scientifiche sulla città ed il territorio di Camarina consentendo di apprezzare pienamente il valore e la portata del contributo che gli autori hanno dato con le loro ricerche in un’area ricca di insediamenti. Nell’ultimo ventennio sono state fatte delle scoperte archeologiche di rilevante importanza “per la conoscenza delle strutture fondamentali della vita civile nel mondo greco”. E’ sufficiente richiamarne una, tra le tante che si potrebbero menzionare, riguardante da vicino Ragusa. “Si tratta della relazione della prof.ssa Pelagatti – ha sottolineato Chessari nel corso della sua relazione introduttiva all’Auditorium della Camcom – con cui ci ha fornito una notizia sensazionale. La grande ‘lekàne figurata attica con doppio fregio zoomorfo’, conservata nel Museo Archeologico di Ragusa, rinvenuta da Antonino Di Vita (Professore Emerito – Università degli Studi di Macerata – Accademia dei Lincei, che ha presieduto la presentazione del volume) nel 1956 nella necropoli di Rito (in agro ragusano), è un reperto eccezionale perché è stato accertato che essa, attraverso Camarina, è arrivata da Atene ai Greci installati presso le popolazioni autoctone che vivevano nell’area urbana dell’odierna Ragusa. Dunque, il territorio di Ragusa, nel VI secolo a.C. , aveva relazioni con Atene!”. La presentazione del volume – dopo i saluti del Sindaco di Ragusa (Nello Dipasquale), del Presidente della Provincia Regionale di Ragusa (Giovanni Franco Antoci) e della Soprintendente per i Beni Culturali e Ambientali di Ragusa (Enza Cilia Platamone) – è stata affidata al prof. Nicola Bonacasa (Ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana – Università degli Studi di Palermo – Accademia dei Lincei). Viva soddisfazione è stata espressa dai vari ambienti culturali ragusani in quanto la pubblicazione degli Atti getta nuova luce sulla storia politica, sociale ed economica dell’antica colonia greca di Camarina, auspicando che la pubblicazione delle ricerche venga diffusa e conosciuta nelle scuole affinché “i nostri ragazzi, nel pensare al loro futuro, vivano il presente, non dimenticando la storia e le radici di questa nostra meravigliosa terra”.

 

 

 

 

“Il coraggio di essere uomini” in un libro di Giuseppe Mirabella

 

Che cos’è un libro? E’ quello “scrigno nel quale si conservano le tracce delle impressioni sensibili e delle cognizioni intellettuali”. E’ questo il messaggio che Giuseppe Mirabella, vittoriese di nascita ma ragusano d’adozione, vuole far conoscere attraverso la lettura del suo “Il coraggio di essere uomini” (edito da “La Biblioteca di Babele”, Modica, pp. 45). Si tratta di un “viaggio” alla scoperta dell’essere, dell’uomo inteso come soggetto pulsante e pensante e non come un “ripetitivo robot”. A metà tra il libro e l’opuscolo, la traccia comunicativa in cui si inserisce l’Autore accompagna il lettore verso un percorso tematico contraddistinto da “riflessioni e considerazioni sul pensiero dei saggi del passato”. Lo fa attraverso gli insegnamenti ricevuti dalla vita che traggono linfa vigorosa da quelle discipline orientali verso cui si sente attratto, essendone anche un cultore. E’ necessario avere il controllo del proprio essere per ri-trovare quell’equilibrio smarrito nelle frastagliate pieghe del quotidiano vivere. Da “studente della vita”, Mirabella punta l’attenzione sul corpo che va “fortificato e disciplinato” come la mente.

La sua passione per le discipline orientali lo spinge a creare un “ponte” introspettivo volto ad accrescere le potenzialità della mente e porre il giusto equilibrio al corpo. Per vivere bene è necessario conoscere la natura delle cose, ma anche il potere dell’energia vitale. Quest’ultima rappresenta la nostra anatomia invisibile, è la meno conosciuta eppure ci appartiene dalla nascita alla morte. La sofferenza, rappresentata dall’ansia e dalla paura, è una delle emozioni negative. La disciplina di sé contribuisce a rafforzare quella “scorza” fisica, quella “macchina” che è il corpo. “L’azione perfetta” – afferma l’Autore – “è ottenibile solo attraverso la dedizione all’azione. La dedizione totale all’attività svolta produce abilità e l’abilità ci rende gioiosi di fare”. E’ questo l’aspetto “interessante” della vita, che “è un’avventura meravigliosa e come tale va vissuta”. Sopraffatti dalle mille azioni quotidiane, a volte ripetitive, a volte fulminee, ci si rende conto di essersi allontanati dal vero senso delle cose, dal loro divenire, da quel susseguirsi di causa-effetto la cui caratteristica intrinseca rappresenta, in definitiva, un “avvenimento curioso o straordinario che genera stupore”. E’ appunto questo che bisogna riscoprire: la capacità di stupirsi. “Un’onnivora curiosità nell’esperire la vita… Cavalcando il desiderio, senza nessun attaccamento…”.

E’ sulla base di tali istanze che il volume ha trovato giusta collocazione nella biblioteca in dotazione alla Casa Circondariale di Ragusa. Quest’ultima ha accolto con vivo interesse la donazione – da parte dell’Autore – di alcune copie del libro per metterle a disposizione dei detenuti.

 

 

 

 

Provincia di Ragusa: 80 voglia di crescere

 

La frazione dell’attuale comune di Ragusa, denominata Ragusa inferiore, è costituita in comune distinto […]. Il nostro Ministro dell’Interno è incaricato […] d’attendere a tutti i provvedimenti necessari per la delimitazione dei territori dei predetti due comuni”. Così recita il Regio Decreto n. 2681 che, emesso in data 10 dicembre 1865, segna il momento della divisione amministrativa tra i due comuni di Ragusa e Ragusa Inferiore. Tutto ciò quasi a voler porre fine alle contese che da tempo laceravano gli animi dei due gruppi di abitanti, considerati diversi “per origine, per tradizione, per indole e per topografica posizione”. Negli anni a seguire si profilano all’orizzonte non poche difficoltà di ordine burocratico-amministrativo, tra cui la complicata questione sulla cinta daziaria di separazione tra i due Comuni aventi caratteristiche e densità abitativa differenti; la controversia – peraltro mai definita - instauratasi tra le parti per la suddivisione dell’area rurale e, non ultima, la diatriba in ordine alle prerogative ecclesiastiche tra le parrocchie afferenti alla chiesa di San Giorgio (fulcro dell’antica città) e a quella di San Giovanni (simbolo della parte “nuova” di Ragusa superiore). Tali questioni, incardinate in molteplici problematiche di natura politico-amministrativa (in proposito vedasi G. Chessari e G. Veninata, “Ragusa dalla separazione all’unità”, Rg 1997), perdurano per molti anni fino ad oltrepassare la soglia del secolo XIX. Le dispute tra i due comuni si riaccendono nei primi anni del ‘900. I successivi eventi bellici nonché il periodo del primo dopoguerra affievoliscono le citate annose controversie. La situazione economica iblea, come nel resto del Paese, risulta molto precaria. Miseria e disoccupazione imperversano. Verso la fine degli anni Venti nuovi fermenti, facenti capo all’avv. Filippo Pennavaria di Ragusa, militante nel partito fascista, caratterizzano quel periodo per i rilevanti mutamenti nel quadro politico e sociale. Al Pennavaria, “dotato di spirito pratico e intraprendente, bene introdotto nella dirigenza di partito a livello nazionale, la borghesia iblea affidò le proprie fortune, sicura di non rimanere delusa nella necessaria intermediazione con il Governo” (cfr. G. Miccichè, “Lotte politiche e sociali”, in “La provincia iblea dall’Unità al secondo dopoguerra”, Ricerche storiche a cura del Centro Studi “F. Rossitto”, Rg 1996, p. 23). A seguito dell’interessamento dell’on. Pennavaria, all’epoca Sottosegretario alle PP. TT., si perviene al Regio Decreto Legge n. 33, emanato in data 7 gennaio 1926, con cui è istituita la “circoscrizione circondariale di Ragusa con capoluogo Ragusa e con i comuni di Biscari (oggi Acate), Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Monterosso Almo, Ragusa Ibla, S. Croce Camerina e Vittoria che vengono staccati dal circondario di Modica”. Il momento più significativo per la storia della città di Ragusa giunge l’anno seguente con il Regio Decreto Legge n. 1 che, datato 2 gennaio 1927 ed entrato in vigore il successivo 12 gennaio, riordinando le “circoscrizioni provinciali per meglio adeguarle alle esigenze dei servizi”, istituisce all’art. 1 “la provincia di Ragusa con capoluogo Ragusa, comprendente i comuni dei circondari di Ragusa e di Modica”, mentre all’art. 3 è disposto che “Il Comune di Ragusa Ibla è unito a quello di Ragusa” (cfr. G. Chessari e G. Veninata, op. cit., p. 40). Inizia per Ragusa la grande stagione delle opere pubbliche e dell’espansione urbanistica della Città.

A ricordare quella data e, quindi, commemorare l’80° anniversario della istituzione della provincia di Ragusa, la Città ha dato vita ad una serie di eventi culturali al fine di ripercorrere le tappe amministrative di quel tempo. E’ proprio l’Archivio di Stato di Ragusa - diretto dalla dott.ssa Anna Maria Iozzia, brillantemente coadiuvata dai suoi collaboratori - in sinergica cooperazione con la Provincia Regionale ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - a “raccontare”, attraverso la mostra documentaria dal titolo “Ragusa, una ‘giovane’ Provincia di 80 anni”, con un percorso espositivo ricco di documenti, disegni e foto d’archivio (mediante carteggi del fondo Prefettura, dell’Archivio storico della Provincia e delle collezioni private di Mario Nobile e Giancarlo Zago), alcuni dei momenti più significativi della vita del capoluogo ibleo. A tale proposito sono state programmate quattro giornate per festeggiare l’80° compleanno della Provincia di Ragusa. La mostra storico-documentaria (che si potrà visitare fino al 10/02/2007, lun. e sabato ore 9,00-12,00; mart.-ven. ore 9,00-12,00 e 15,00-17,00) abbraccia un intervallo di tempo che va dal periodo immediatamente precedente l’istituzione della Provincia a quegli anni che portano in città un forte rilancio anche da un punto di vista industriale con l’impianto di due cementifici e lo sfruttamento del giacimento petrolifero scoperto a Ragusa nel 1951. Tra le tante opere pubbliche del Regime corre l’obbligo ricordare, oltre il Palazzo del Governo e della Provincia, la costruzione del “nuovo” ospedale e sanatorio “Benito Mussolini” (ne dà notizia con ampio risalto “La Vedetta Iblea”, settimanale di propaganda fascista per la provincia di Ragusa, con un articolo a cinque colonne pubblicato in data 26 marzo 1933, Arch. Stato Rg, fondo Prefettura, Gabinetto, b. 2319); l’approvazione del progetto del nuovo carcere giudiziario a cui si dà estesa diffusione, l’11 giugno del 1932, a mezzo di manifesti, a firma del vice podestà Veninata, con i quali si rende noto alla cittadinanza il telegramma di S.E. Pennavaria: “Progetto carcere giudiziario Ragusa è stato approvato ed è stato autorizzato appalto primo lotto per un milione e mezzo di lire” (Arch. Stato Rg, Prefettura, Gabinetto, b. 2423). Sugli eventi storici che hanno accompagnato la città di Ragusa sin dai suoi primi vagiti come novella Provincia, si sono confrontati - dopo la serata inaugurale presso i locali dell’Archivio di Stato di Ragusa, la cerimonia protocollare all’Auditorium della Camcom e la celebrazione liturgica concelebrata dai Vescovi delle diocesi di Ragusa e Noto – illustri relatori provenienti dalle Università di Catania, Palermo e Parigi (professori Barone, Dufour, Marino, Raniolo, Palidda, Piraino, Poidomani) che hanno argomentato sui profili istituzionali ed economico-sociali di quel travagliato periodo storico. Un folto pubblico ha seguito i lavori che si sono svolti presso la sala convegni del Palazzo della Provincia, dove, a conclusione degli stessi, è stato proiettato un filmato di quegli anni, commentato dalla professoressa Margherita Bonomo, proveniente dagli archivi dell’Istituto Luce di Roma.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

FEBBRAIO 2007

 

 

La Provincia di Ragusa compie il suo 80° compleanno

 

Roma 6-12-1926 ore 13. Sindaco - Ragusa

Oggi su mia proposta il Consiglio dei Ministri ha elevato cotesto Comune alla dignità di Capoluogo di Provincia stop Sono sicuro che col lavoro con la disciplina e con la fede Fascista cotesta popolazione si mostrerà sempre meritevole della odierna decisione del Governo Fascista.

Mussolini” (testo riportato su manifesto del Municipio di Ragusa, a firma del podestà S. Spadola, diffuso in data 6/12/1927 per ricordare alla cittadinanza, alla distanza di un anno, lo storico telegramma del Duce; Arch. Stato Rg, fondo Prefettura, Gabinetto, b. 2230).

 

Modica 18-12-1926. Questa cittadinanza memore delle sue benemerenze nella amministrazione straordinaria questo comune esulta oggi saperla capo nuova provincia et ricambia suo cortese saluto bene augurando mediante opera sagace intelligente patrocinio nostra Modica ossequi” (telegramma del Sindaco di Modica De Leva al prefetto della nova provincia di Ragusa G. De Blasio; Arch. Stato Rg, fondo Prefettura, Gabinetto, b. 2056).

 

Nel 1927 per effetto del Regio Decreto Legge n. 1 del 2 gennaio 1927, entrato in vigore il successivo 12 gennaio, all’art. 1, nell’ambito del “riordinamento delle circoscrizioni provinciali”, è sancita l'istituzione di ben 17 province, tra cui la città di Ragusa come “provincia con capoluogo Ragusa, comprendente i comuni dei circondari di Ragusa e di Modica”, mentre all’art. 3 è disposto che “Il Comune di Ragusa Ibla è unito a quello di Ragusa” (cfr. G. Chessari e G. Veninata, “Ragusa dalla separazione all’unità”, Rg 1997, p. 40). Il R.D.L. segna così uno dei momenti significativi della città di Ragusa affettuosamente salutata con un telegramma dell’on. Filippo Pennavaria, all’epoca Sottosegretario alle PP. TT., al prefetto di Ragusa G. De Blasio: “Roma 27-02-1927. Con sentimento alta estimazione per Vossignoria e per tutti i membri della giunta provinciale amministrativa e con sicura fede nell’opera che fascisticamente sarà fatta per la nuova provincia ricambio saluto cordiale bene augurando. Pennavaria” (Arch. Stato Rg, fondo Prefettura, Gabinetto, b. 2230). E‘ in quegli anni che nuovi fermenti - facenti capo all’avv. Filippo Pennavaria di Ragusa, militante nel partito fascista e bene introdotto nella dirigenza di partito a livello nazionale - caratterizzano quel periodo per i rilevanti mutamenti nel quadro politico e sociale. Una fervida politica di lavori pubblici crea in molti comuni, in particolare a Ragusa, che necessita di nuove ed adeguate strutture, ma anche a Modica, Pozzallo e Scicli, una “attività feconda […] confortata dalla volontà ricostruttrice del Governo” intesa come “… fonte di nuovo maggiore benessere …” (stralcio manifesto, a firma del Prefetto di Ragusa, G. De Blasio, diffuso in data 11/12/1926; Arch. Stato Rg, fondo Prefettura). Ha inizio per il capoluogo ibleo la grande stagione delle opere pubbliche e dell’espansione urbanistica della Città. Ciò emerge attraverso un prospetto dei lavori eseguiti, in corso di esecuzione e da eseguire redatto dalla Amministrazione provinciale in data 14/07/1939. Sul comparto dell’edilizia, “Opere eseguite”, alla voce “Edili”, si legge: “1°) Palazzo del Governo e della Provincia (a. 1932) Lit.5.000.000,00; 2°) Caserma Divisionale CC. RR. (a. 1935) Lit.880.640,00; 3°) n.24 casette cantoniere distribuite nella rete stradale (a. 1934) Lit.240.000,00”. Diverse le opere “Stradali” (rientra in queste, al 12° posto, la “Pavimentazione Piazza dell’Impero” - oggi Piazza della Libertà – per “Lit.103.000”), mentre per diversi comuni sono elencati i lavori di “Cilindratura con trattamento asfaltico e bituminoso”. Per Modica, ad esempio, sono specificate: “Variante Caitana Km.2 per Lit.100.000; Accesso Stazione ferroviaria (km.0+805) Lit.40.250,00; Tratti interni di Modica Alta (km.2+300) dipendente dalla provinciale Modica-Favarotta (a. 1936) Lit.115.000; Tratto interno di Modica Bassa (km.0+875) dipendente dalla provinciale Modica-Passogatta (a. 1934) Lit.43.750,00; Tratto interno di Modica (km.1) dipendente dalla provinciale S.Antonio-S.Marta (a. 1937) Lit.50.000,00” (Arch. Stato Rg, fondo Prefettura, Gabinetto, b. 2563).

Per commemorare l’80° anniversario della istituzione della provincia di Ragusa, la Città ha dato vita ad una serie di eventi culturali al fine di ripercorrere le tappe amministrative di quel tempo. E’ proprio l’Archivio di Stato di Ragusa - diretto dalla dott.ssa Anna Maria Iozzia, brillantemente coadiuvata dai suoi collaboratori - in sinergica cooperazione con la Provincia Regionale ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - a “raccontare”, attraverso la mostra documentaria dal titolo “Ragusa, una ‘giovane’ Provincia di 80 anni”, con un percorso espositivo ricco di documenti, disegni e foto d’archivio (mediante carteggi del fondo Prefettura, dell’Archivio storico della Provincia e delle collezioni private di Mario Nobile e Giancarlo Zago), alcuni dei momenti più significativi della vita del capoluogo ibleo. A tale proposito sono state programmate quattro giornate per festeggiare l’80° compleanno della Provincia di Ragusa. La mostra storico-documentaria è stata predisposta per abbracciare un intervallo di tempo che va dal periodo immediatamente precedente l’istituzione della Provincia a quegli anni che portano in città un forte rilancio anche da un punto di vista industriale con l’impianto di due cementifici e lo sfruttamento del giacimento petrolifero scoperto a Ragusa nel 1951. Tra le tante opere pubbliche del Regime corre l’obbligo ricordare la costruzione del “nuovo” ospedale e sanatorio “Benito Mussolini” (ne dà notizia con ampio risalto “La Vedetta Iblea”, settimanale di propaganda fascista per la provincia di Ragusa, con un articolo a cinque colonne pubblicato in data 26 marzo 1933, Arch. Stato Rg, fondo Prefettura, Gabinetto, b. 2319); l’approvazione del progetto del nuovo carcere giudiziario a cui si dà estesa diffusione, l’11 giugno del 1932, a mezzo di manifesti, a firma del vice podestà Veninata, con i quali si rende noto alla cittadinanza il telegramma di S.E. Pennavaria: “Progetto carcere giudiziario Ragusa è stato approvato ed è stato autorizzato appalto primo lotto per un milione e mezzo di lire” (Arch. Stato Rg, Prefettura, Gabinetto, b. 2423). Sugli eventi storici che hanno accompagnato la città di Ragusa sin dai suoi primi vagiti come novella Provincia, si sono confrontati - dopo la serata inaugurale presso i locali dell’Archivio di Stato di Ragusa, la cerimonia protocollare all’Auditorium della Camera di Commercio e la celebrazione liturgica concelebrata dai Vescovi delle diocesi di Ragusa e Noto – illustri relatori provenienti dalle Università di Catania, Palermo e Parigi (professori Barone, Dufour, Marino, Raniolo, Palidda, Piraino, Poidomani) che hanno argomentato sui profili istituzionali ed economico-sociali di quel travagliato periodo storico. Un folto pubblico ha seguito i lavori che si sono svolti presso la sala convegni del Palazzo della Provincia, dove, a conclusione degli stessi, è stato proiettato un filmato di quegli anni, commentato dalla professoressa Margherita Bonomo, proveniente dagli archivi dell’Istituto Luce di Roma.

 

 

 

 

Camarina approda all’Università Statale di Milano

 

Approda all’Università Statale di Milano il volume “Camarina 2600 anni dopo la fondazione. Nuovi studi sulla città e sul territorio”, recentemente edito dal Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa e dall’Istituto Poligrafico dello Stato.

Il volume, che raccoglie gli Atti del Convegno di Studi tenutosi nel capoluogo ibleo in due sessioni, nel 2002 e nel 2003, è stato infatti presentato nel corso di una solenne cerimonia, lunedì 12 febbraio, nella Sala di rappresentanza del Rettorato dell’Università milanese. Sono stati presenti alla cerimonia il Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Elio Franzini, e il Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Prof. Giuseppe Canotto. La cerimonia di presentazione del volume, molto attesa negli ambienti accademici, è stata conclusa dal Presidente del Centro Studi “Feliciano Rossitto”, on. Giorgio Chessari. Sono stati chiamati a tenere la presentazione del volume ben due illustri studiosi di fama internazionale: Michel Gras, Direttore dell’École Française de Rome e il Prof. Giorgio Bejor, Ordinario di Archeologia classica all’Università di Milano. Alla presidenza della giornata è stata chiamata Federica Cordano, Docente di Storia Greca.

Il volume di studi su Camarina, una vera summa enciclopedica sull’antica città greca, a cui hanno partecipato trenta studiosi italiani e stranieri, è stato già presentato a Ragusa nello scorso dicembre, riscuotendo grande successo.

Alla presentazione del volume sono stati presenti anche i curatori dell’opera: prof.ssa Paola Pelagatti (Università della Tuscia, Viterbo – Accademia dei Lincei), l’archeologo ragusano Di Stefano prof. Giovanni (Università della Calabria – Cosenza) e la prof.ssa Lucilla de Lachenal (Ministero per i Beni e le Attività Culturali).

A margine della presentazione del volume su “Camarina 2600 anni dopo la fondazione”, voluto dal Centro Studi “F. Rossitto”, l’Università Statale di Milano ha organizzato un Convegno di Studio su ”Mythoi siciliani in Diodoro”. Al simposio, svoltosi lunedì 12 e martedì 13 febbraio, hanno partecipato studiosi che si sono occupati di Diodoro, fra cui Delfino Ambaglio dell’Università di Pavia, Piera Anello dell’Università di Palermo, Luca Asmonti del King’s College di Londra, Cinzia Bearot dell’Università Cattolica di Milano, Paola Castiglioni dell’Università di Grenoble, Giovanni Di Stefano dell’Università degli Studi della Calabria, Federico Santangelo dell’Università di Lampeter, Fabio Copani dell’Università di Milano, Paola Schirrippa, Anna Simonetti dell’Università di Milano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alimentazione infantile: dall’allattamento alla prima infanzia

 

La nostra vita dipende strettamente dal cibo che assumiamo non solo perché esso apporta il nutrimento che ci serve per vivere, ma anche perché alimenta la nostra parte più profonda”. E’ questo il tema principe attorno a cui è ruotata la conferenza dal titolo “Alimentazione infantile dall’allattamento alla prima infanzia” recentemente tenutasi presso i locali della “Libreria Saltatempo” di Ragusa in sinergia con il “Centro Servizi Culturali”, “Club Unesco Ragusa” unitamente alle Associazioni “Cibo è Salute” e “AMIK” (Associazione Medica Italiana Kousmine), nonché con la consulenza scientifica de “La Leche League Italia” (“Lega per l’allattamento materno”, organizzazione di volontariato che, sorta nel 1956, attualmente presente in 66 Paesi del mondo, sostiene le madri che allattano mediante consulenza telefonica e gruppi di incontro). A relazionare sono stati chiamati la dott.ssa Oriana Iacono, figlia degli iblei, alla quale è stata affidata l’introduzione relativamente all’alimentazione del bambino, con particolare riferimento al latte materno, ed il prof. Sergio Chiesa, nutrizionista e presidente di “Cibo è Salute” (associazione, con sede in provincia di Novara, che si propone di divulgare un’alimentazione più coerente con criteri di salvaguardia della salute e di cura delle malattie), il quale ha posto l’accento sullo svezzamento.

Quell’insieme di norme nutrizionali, più giuste ed appropriate, quelle cioè che fonderanno la base degli stili alimentari dell’adulto, devono essere apprese proprio durante l’infanzia ed in particolare nei primissimi anni di vita. Nella vita di ciascuno esistono due grandi rivoluzioni alimentari, due soli punti che rappresentano il momento di “rottura” e che si verificano in età pediatrica. Il primo di questi è rappresentato dalla nascita: è questo il momento in cui, dopo 9 mesi circa di alimentazione per vena (attraverso cioè i vasi ombelicali che ricevono il nutrimento dalla placenta), si passa per la prima volta ad un’alimentazione orale, rappresentata dal latte, sia esso – come è altamente auspicabile e raccomandabile – materno, sia invece con un latte “alternativo” che rappresenta la cosiddetta “alimentazione artificiale”. Il secondo momento di stacco avviene a circa 6-7 mesi di vita con lo svezzamento. In questo processo, che dura circa 1 anno, si passa progressivamente da un’alimentazione prettamente lattea ad una “diversificata” sia per consistenza che per composizione.

Riguardo all’allattamento al seno del bambino la dott.ssa Iacono si è soffermata sull’importanza e sui benefici che esso comporta, facendo rilevare che il latte materno contiene tutti i nutrienti che sono necessari affinché il bambino cresca bene ed in buona salute. L’allattamento al seno – che deve essere prolungato quanto più possibile – offre al bambino numerosi vantaggi, spesso incommensurabili, quali: giusto apporto nutrizionale per lo sviluppo neurologico, fornendo difese contro le infezioni intestinali e respiratorie; è facile da digerire e si trova sempre a temperatura giusta per essere assunto; non ultimo, il contatto intimo protratto per diverse ore al giorno permette alla madre di comunicare nel modo più naturale il proprio amore per il figlio sin dalle sue prime ore di vita, ponendo così le basi per una relazione fatta di affetto e fiducia.

Il prof. Chiesa ha introdotto la tematica in ordine allo svezzamento ponendo l’attenzione sul ruolo dell’alimentazione. Nel nostro Paese, negli ultimi decenni, sono scomparsi i problemi correlati alla scarsità di cibo, parallelamente sono aumentati quelli connessi ad una cattiva alimentazione. Ciò si è verificato anche come conseguenza del progressivo inserimento di nuove abitudini alimentari a scapito della dieta mediterranea. I dati allarmanti sull’obesità nella fascia adolescenziale devono far riflettere al fine di porre in essere idonei interventi per sviluppare un progetto di prevenzione all’obesità nell’età evolutiva. E’ necessario, dunque, operare molto sul versante delle corrette informazioni allo scopo di fornire ai genitori gli strumenti per far crescere i propri figli in salute fisica e mentale. Lo svezzamento è anche il momento in cui inizia la delicata fase di distacco psicologico dalla figura materna, rappresentando i primi, importantissimi, passi verso l'autonomia. “Bere” e “mangiare” assumono una valenza molto significativa nel processo di sviluppo emotivo del bambino. Da un punto di vista psicologico lo svezzamento rappresenta un importante processo di “maturazione” in quanto è il primo tentativo di autonomia nei confronti della figura materna, permettendo l’acquisizione di nuove esperienze orali e gustative. Gli schemi di alimentazione non devono essere troppo rigidi. E’ necessario rispettare le preferenze del bambino e le abitudini familiari introducendo i nuovi cibi con gradualità. Nessun cibo in assoluto è indispensabile per la crescita, poiché i principi essenziali si ritrovano in molti alimenti diversi.

 

 

 

 

La responsabilità sociale delle imprese: problemi e prospettive

 

La responsabilità sociale delle imprese riguarda una problematica dalle poliedriche sfaccettature che riflettono i valori fondamentali della società in cui desideriamo vivere. Essa è rivolta alle singole imprese che, a prescindere dalle dimensioni, possono migliorare le loro prestazioni economiche sul versante ambientale, economico e sociale attraverso la fornitura di prodotti e servizi innovativi mettendo in campo specifiche competenze. E’ attraverso tale impegno che deve emergere lo sviluppo di sinergie volte a creare un ambiente di lavoro più gratificante e motivante. Il tutto deve convergere verso un obiettivo comune che è quello di fornire un apporto necessario per un comportamento responsabile delle parti interessate in maniera conforme ai valori e principi europei ed internazionali. Ciò nel rispetto dell’uomo e della natura.

E’ questa, in estrema sintesi, la cocente problematica trattata in un’intensa giornata di lavori congressuali recentemente tenutisi presso l’Auditorium “G. B. Cartia” della Camera di Commercio di Ragusa. Enti organizzatori del simposio sono stati la C.C.I.A.A. di Ragusa, il “CeDoc” (Centro di Documentazione e Studi sulle Organizzazioni Complesse e i sistemi locali, Università degli Studi di Catania), la I-CSR (Fondazione per la diffusione della responsabilità sociale delle imprese) che - con il patrocinio della Presidenza Regione Siciliana, Provincia Regionale, Comune di Ragusa e Unioncamere di Roma - hanno affrontato il tema su “La Responsabilità Sociale delle Imprese in Sicilia: quali strategie per quale futuro”.

“La responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsability – CSR) è stata definita, sul Libro Verde della Commissione Europea del 2001, come integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Così recita il documento diramato dalla Unioncamere, predisposto per la definizione del progetto CSR, relativo al protocollo d’intesa tra i soggetti coinvolti nel concetto di gestione socialmente responsabile d’impresa. Questi sono tutti i “portatori d’interesse”, definiti stakeholder, che, se distinti in gruppi, sono così individuati: Soci/Azionisti e Comunità finanziaria; Partner finanziari; Fornitori; Clienti; Stato, Enti locali e Pubblica amministrazione; Comunità; Ambiente; e, non ultime, le Risorse Umane. Il tema della CSR deve essere inserito nell’ambito delle politiche volte ad ottenere competitività dell’impresa e del sistema economico, ricollegandosi così al concetto di “sviluppo sostenibile”. Sostenibilità è la “capacità di una organizzazione (o società) di continuare, in maniera duratura nel tempo, le proprie attività, tenendo in debita considerazione l’impatto che queste ultime hanno sul capitale naturale, sociale e umano”. In buona sostanza, la CSR è il contributo che le imprese offrono allo sviluppo sostenibile. Sul tema delle risorse umane è necessario porre la massima attenzione stante l’ormai, purtroppo, esteso fenomeno del “lavoro nero, irregolare e sommerso” che da qualche tempo ha colpito anche il territorio ibleo. Da anni l’Europa porta avanti azioni finalizzate alla diffusione della CSR e i capi di Stato, riuniti a Lisbona nel 2000, hanno già fissato un obiettivo strategico da raggiungere entro il 2010: fare dell’Unione Europea “l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale”. L’Italia, durante la presidenza del semestre europeo, ha inserito la responsabilità sociale tra le priorità del proprio programma politico.

Su queste variegate problematiche si sono confrontati - nelle due sessioni (antimeridiana e pomeridiana) in cui è stato suddiviso il convegno di studi - illustri relatori dopo i saluti dei vertici politico-istituzionali del capoluogo ibleo nonché della Regione Siciliana.

I lavori, moderati dalla prof.ssa Sonia Randone (CeDoc, Università degli Studi di Catania) e dal dott. Carmelo Arezzo (Segretario Generale della C.C.I.A.A. di Ragusa), sono stati seguiti da numerosi operatori nel campo sindacale, imprenditoriale, sociale e culturale.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MARZO 2007

 

 

Al Centro Servizi Culturali di Ragusa presentato libro di Bellavia e Mazzocchi

“Iddu. La cattura di Bernardo Provenzano”

 

Un “fantasma” che per oltre quarant’anni è riuscito a non lasciare traccia. Nonostante le nuove tecnologie impiegate, “iddu”, l’innominato, è rimasto fuggitivo. Sembrava che nessuno potesse farlo cadere in trappola. Appostamenti e pedinamenti, in un territorio dove è facile incappare in vendette mafiose, hanno reso difficile il duro lavoro della “Squadra” investigativa. Gli ultimi momenti prima dalla cattura, avvenuta l’11 aprile del 2006, l’avvicendarsi delle lunghe ed estenuanti indagini, durate otto anni, che hanno portato a scoprire il covo di “Zu Binnu” sulla Montagna dei Cavalli a Corleone, sono le immagini, trasferite in forma narrativa, che scorrono, come fotogrammi di una pellicola, nelle pagine del libro di Enrico Bellavia e Silvana Mazzocchi (entrambi giornalisti di “Repubblica”), dal titolo “Iddu. La cattura di Bernardo Provenzano” (edito da Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006, pp. 296). Il volume, alla presenza di numerosi operatori culturali e giornalisti, è stato recentemente presentato a Ragusa presso la sala convegni del Centro Sevizi Culturali di Via A. Diaz. L’iniziativa è stata organizzata dall’associazione “L’Occhio Aperto” (Presidente il giovane Vincenzo La Monica), da alcuni anni impegnata a promuovere attività culturali di rilevante spessore formativo e sociale.

L’introduzione alla serata è stata affidata al dott. Gianni Molè (responsabile dell’Ufficio stampa della Provincia Regionale di Ragusa) che ha evidenziato il ruolo della stampa nel settore della comunicazione. A presentare il libro, alla presenza di Enrico Bellavia, è stato chiamato il dott. Franco Nicastro (Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Regione Siciliana), che ha posto l’accento sulla necessità di fornire delle risposte qualitativamente elevate ai lettori. L’esigenza primaria di informare i fruitori delle notizie deve trovare un solido connubio con la qualità stessa delle informazioni. Talora mancano le inchieste, manca l’approfondimento e, quindi, la certezza di rigore nella raccolta di notizie nel pieno rispetto delle regole classiche del giornalismo. A tali istanze si rivolge il volume sulla cattura di Bernardo Provenzano. Il libro racconta “storia di attese” – come ha sottolineato Bellavia nel corso della sua relazione – “e delusioni, ma principalmente di una sapiente indagine che ha ricostruito il mosaico di fiancheggiatori e quella ‘via dei pizzini’ attraverso la quale Iddu continuava a governare Cosa Nostra e i grandi affari siciliani”. Il titolo del libro (“iddu” significa “lui”) nasce da un’intercettazione rivelatasi assai importante. Nel corso di una conversazione, i due fratelli di Provenzano avendo fatto riferimento al fatto che “iddu ancora ca’ è” hanno dato lo spunto per una svolta decisiva delle indagini. Bellavia e Mazzocchi hanno lavorato in parallelo. Prima di iniziare a stendere il testo hanno ascoltato la testimonianza di Renato Cortese, il capo della “Squadra” creata otto anni fa con il preciso compito di stanare il “fantasma” di Corleone. “Una storia vera” – come recita la seconda di copertina – “corredata in Appendice dai rapporti originali”. Una storia fatta di sacrifici da parte dei servitori dello Stato che si sono sobbarcati interminabili e massacranti turni e trasferte improvvise. Accanto alla “cronaca della caccia”, serrata e coinvolgente come una fiction, il libro tratteggia lo scenario dell’ascesa di “Binnu” e dei Corleonesi rappresentando un quadro, dipinto nelle sue linee essenziali, di quella “borghesia mafiosa” che a partire dalle stragi degli anni ’90 del secolo scorso “ha sposato la strategia della sommersione di Provenzano favorendo il silenzioso proliferare del malaffare e della malapolitica, e garantendogli un’inviolabile impunità grazie a talpe e complicità gravissime”.

 

 

 

 

I proverbi, questi sconosciuti.

 

Che cos’è un proverbio? Il termine deriva dal latino “proverbium” composto di “pro” (“avanti”) e “verbum” che significa “parola”. E’ un’espressione popolare che indica, in forma più o meno breve, un concetto, un pensiero o una massima. Generalmente è in rima o sotto forma di assonanza o allitterazione. Esistono gruppi di proverbi che regolano le pratiche agricole, mentre altri collegano determinate fasi lunari a determinati lavori. Ve ne sono tantissimi altri che riguardano in particolare l’amicizia, i comportamenti, le constatazioni, la famiglia, gli insegnamenti di vita. Insomma rappresentano la summa della saggezza popolare stratificata nel tempo e supportata dalle osservazioni e riscontri plurisecolari. Ogni proverbio nasce sempre da un’esperienza di vita che è fatica, dolore, gioia, sacrificio, impegno, speranza, delusione, coraggio. I proverbi sono nati con l’uomo nel momento in cui ha iniziato a parlare e ad aggregarsi, ponendosi quotidianamente in discussione e riflettendo sulle proprie esperienze. E’ per questo che non pochi proverbi, se raffrontati, sembrano conservare una intrinseca “contraddizione” anche se hanno origine dalla medesima realtà.

Su tali argomentazioni, applicate alle problematiche della moderna società, è ruotata la conversazione recentemente intrattenuta, presso il Centro Servizi Culturali di Via A. Diaz di Ragusa, dal prof. Francesco Schembari, per gli amici Ciccio, già dirigente scolastico, avente per tema “I proverbi, conoscenza valida?”. L’iniziativa culturale, organizzata dall’As.Pe.I. (Associazione Pedagogica Italiana) e dall’Associazione Culturale Docenti “Gian Battista Hodierna”, in sinergia con lo stesso Centro Servizi Culturali ed il Comune di Ragusa, è stata seguita da un numeroso ed attento pubblico. La relazione introduttiva è stata curata dal prof. Giovanni Firrito che ha posto l’accento sulla necessità di cogliere l’anima dei proverbi che rappresentano dei documenti di sapienza popolare. Questa si perpetua ispirandosi ai modi di essere in quanto, come recita un vecchio adagio, “li pruverbi sù tutti pruvati”. Esempi di proverbi si trovano oltre che nella tradizione popolare anche in quella letteraria, come ha evidenziato il prof. Schembari nel corso della sua simpatica e brillante discettazione. I proverbi esprimono la vita con tutte le sue “contraddizioni”. Il Verga, ne “I Malavoglia”, anche attraverso i proverbi riesce a narrare, nella maniera più immediata, la vita dei siciliani sempre cadenzata da norme scrupolose e irrinunciabili. La peculiarità del proverbio è la brevità. Quest’ultima facilita l’apprendimento e la “conservazione” nel tempo. Altra caratteristica è quella di essere sempre attuale in quanto il proverbio, risultando continuamente agganciato alla quotidiana realtà, tratteggia in maniera puntuale il buonsenso popolare, la sua filosofia e le sue virtù.

Al termine della conversazione, il prof. Cirnigliaro, Presidente del Centro Servizi Culturali, ha espresso viva soddisfazione per le argomentazioni affrontate dal prof. Ciccio Schembari il quale ha toccato una tematica non di rado messa da parte dalle nuove generazioni sempre più distratte dai mezzi di comunicazione di massa che coltivano la dimensione virtuale a scapito di quella reale ed umana da cui trae linfa vitale l’anima dei proverbi. Il prof. Cirnigliaro ha, inoltre, puntato l’attenzione sulla necessità di promuovere l’approfondimento di quelle espressioni brevi ed argute, quali sono i proverbi, che sono da considerare ed apprezzare come scrigno prezioso di sagge tradizioni popolari. La serata ha fatto registrare anche la presenza di un ospite d’eccezione come il Sindaco di Ragusa, Nello Dipasquale, il quale ha formulato vivo compiacimento non solo per la conversazione esplicitata in maniera serena e puntuale dal relatore ma anche per le molteplici ed interessanti iniziative culturali cui il Centro Servizi Culturali si fa, ormai da diversi anni, promotore.

 

 

 

 

 

 

Sette anni fra le nuvole parlanti:

Importante anniversario per il museo del fumetto

di Santa Croce Camerina

 

“I fumetti hanno sempre la vocazione di narrare gli attimi privilegiati di personaggi immaginari destinati a vivere un eterno presente. La struttura della narrazione si fonda su un’armonica sutura di suoni e di immagini”. Questo scriveva Oreste Del Buono sul mitico “Europeo” oltre trent’anni fa per dire che il fumetto fa parte di quella “letteratura disegnata” intesa come veicolo culturale in cui vanno a confluire obiettivi didattici, quali il recupero di conoscenze storico-grafiche e, non ultimo, lo studio di tendenze, pensiero ed evoluzioni di una memoria stratificata nel tempo che può essere letta attraverso le avvincenti storie dei fumetti. Sulla base di tali considerazione nasce, nel 2000, a Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, il “Museo del Fumetto Xanadu” fondato dall’architetto Giuseppe Miccichè. Impegnato da diversi anni nella raccolta, selezione e conservazione dei variegati esemplari di fumetti, l’arch. Miccichè è riuscito ad implementare l’archivio storico del Museo arricchendolo di materiale (raccolte e collezioni) reperito da ogni parte d’Italia. La struttura museale, presente anche su rete internet, unica nel suo genere in Sicilia ed una delle pochissime in Italia, con i suoi 150 mq di esposizione permanente, presenta al suo interno – in modo ampio ed esaustivo – un percorso storico del fumetto che abbraccia un intervallo di tempo che va dagli inizi sino ai giorni nostri. Attraverso le varie sale si può avere una visualizzazione del materiale cartaceo che, suddiviso in base alle diverse case editrici, parte dal periodo anteguerra con case editrici simbolo (Nerbini, Mondadori, Universo, Vecchi) ed altre, dalla vita commerciale abbastanza breve, che hanno dato vita a personaggi e testate quali (per citarne alcune) Topolino, L’Avventuroso, Intrepido, Il Vittorioso, Il Corriere dei Piccoli. Nel dopoguerra, sebbene le difficoltà del periodo, sorgono altre case editrici tra cui l’Editrice Audace (divenuta in seguito “Bonelli”), la Victory, la Ventura e relativi personaggi o testate quali: Tex, Miky, Blek, Tarzan, Monello, Albo dell’Intrepido e tanti altri. Per la gioventù dei primi anni del dopoguerra i giornalini sono una forma di “cultura alternativa” al di fuori di quella scolastica. Talora i genitori, supportati dalla cultura dell’epoca, costituiscono un forte ostacolo per una “serena” lettura dei fumetti che, non di rado, vanno al macero. E’ una lotta senza quartiere ma perdente, come dimostra l’enorme quantità di esemplari sopravvissuti. In questa lotta si inseriscono le case editrici riducendo il formato degli albi ed introducendo così il formato striscia, avuto riguardo anche alla scarsità della carta che favorisce tale processo. Le caratteristiche didascalie in calce a ciascuna vignetta vengono sostituite dalle “nuvolette”, simili a sbuffi di fumo, utilizzate per riportare il dialogo tra i personaggi. A seconda del tratto che ne definisce i contorni, la nuvoletta può esprimere un discorso parlato o pensato, o ira, o paura. Spesso sono utilizzati segni con chiare funzioni onomatopeiche (Gulp!, Sigh, Sob, Boom!). Dalle “mini” storie, molto schematizzate degli anni ’30 e ’40 si passa a quelle più articolate dei decenni successivi. Negli anni ’60 e ’70 una buona parte dei fumetti è a colori, mentre è già in fase avanzata l’integrazione degli eroi “importati” dall’estero con quelli “nostrani”. E’ il momento dei “Supereroi” come l’Uomo Ragno, Devil, i Fantastici Quattro, ma anche di testate come Linus, Eureka, Diabolik e Alan Ford che si affermano nel mercato fumettistico. Il “periodo moderno” (anni ’80 e ’90) è contraddistinto da una miriade di case editrici che durano, non di rado, lo spazio di un miserere. Su tutti, due fenomeni s’impongono all’attenzione dei mass-media: i “Fumetti Giapponesi” e la “Bonelli”, leader oggi in Italia, che con il suo capofila Tex – pubblicato ininterrottamente da più di cinquant’anni - ha raggiunto vertici abbastanza alti di lettori. “Il fumetto” – come sottolinea l’architetto Miccichè in una delle piacevoli conversazioni intrattenute con la Redazione di Insieme – “è una forma espressiva che, coniugando letteratura, lingua e disegno, dà più di altre forme di comunicazione in quanto in grado di raggiungere qualsiasi uomo di qualunque età e cultura, graduando solo l’intensità e la qualità del messaggio. Esso nasce, muore, rinasce con sorprendente vitalità, seguendo mode e aspirazioni, alla ricerca del dialogo con il pubblico”. Un dialogo che viene garantito anche dalla tenacia e dal costante impegno profuso dalla moglie Lina.

 

 

 

Quando la Terra nasconde la Luna con un bacio

 

Sabato 3 marzo diversa gente è rimasta col naso all’insù. Appuntamento ai Giardini Iblei alle ore 21,30 non per andare a ballare – poiché sarebbe stato troppo presto – ma per osservare un evento particolare messo in onda dalla natura: l’eclisse totale di Luna. Il fenomeno, visibile in Italia (ma anche in Europa, Africa e Asia occidentale) nella notte tra il 3 e 4 marzo, per un intervallo di tempo oscillante tra le 22,30 (con ingresso nella penombra alle 21,16) e le 3,25 (con fuoriuscita dall’ombra, “egresso dall’ombra”, alle 2,11), ha toccato il massimo oscuramento (“massimo dell’eclisse”) alle 0,20 di domenica 4 marzo. Diverse le iniziative programmate e messe a punto dagli astrofili iblei che, per “celebrare” l’evento astronomico, hanno organizzato una serata di “sky-watch” – così è chiamata, in gergo tecnico, l’osservazione della volta celeste, mettendo a disposizione un congruo numero di telescopi per poter cogliere appieno l’eclissi. L’iniziativa è stata organizzata dall’AIDA (Associazione Iblea Divulgazione Astronomica) con il patrocinio dal Comune di Ragusa, Assessorato alle Politiche Giovanili. Le eclissi, che hanno da sempre affascinato l’uomo, non sono tanto rare. Infatti, in media ogni due anni si hanno tre eclissi di Luna. Ma possono verificarsi fino a tre eclissi in un anno, se si tiene conto di quelle “totali” nonché delle “parziali”. L’unico problema, peraltro non indifferente, specie per un’eclissi totale, è quello di trovarsi in una zona geografica favorevole per la relativa osservazione. Ma che cos’è una eclisse di Luna? L’eclisse è il parziale o totale occultamento di un corpo celeste da parte di un altro. L’eclisse di Luna si verifica quando la Terra si colloca tra il nostro satellite e il Sole. In tal modo il nostro pianeta, intercettando i raggi solari, crea un cono d’ombra. Se la Luna attraversa completamente questo cono si verifica una “eclisse totale”. Viceversa, se lo interrompe solo parzialmente si ottiene una “eclisse parziale”. Considerato che l’orbita lunare è inclinata di circa 5° rispetto all’orbita terrestre, non si avrà un’eclisse ad ogni “plenilunio” (luna piena). C’è da aggiungere che le caratteristiche del cono d’ombra sono modificate dall’atmosfera terrestre. Quest’ultima devia i raggi solari per effetto della rifrazione operando anche un assorbimento di gran parte di essi ad eccezione di quelli vicini alla lunghezza d’onda del rosso. In tal guisa solo la componente rossa del flusso luminoso si riversa sulla Luna illuminandola di una “colorazione cuprea”, in quanto ricorda il colore del rame. L’intensità del colore rossiccio della Luna nel corso di un’eclisse è espressa attraverso una scala di valori (da L=0  a  L=4, a seconda del grado di accentuazione del colore assunto dalla Luna), la “Danjon Scale” (dal nome di chi l’ha inventata), che serve per classificarlo nel momento in cui è osservato l’evento (quello di sabato 3 marzo si sarebbe attestato tra il livello L=3 ed L=4). Durante l’eclisse la superficie lunare subisce una profonda e marcata escursione termica. Nella fase di penombra si passa da 130° C a 120° C per attestarsi, con l’avanzare dell’ombra ed in circa 100 minuti, a -100° C. Al termine dell’eclisse il ripristino delle temperature iniziali risulta ancora più brusco del calo.

L’evento astronomico è stato seguito anche attraverso la rete Internet. A tale proposito l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) ha creato un apposito web-site (www.guardacheluna.com) dove, per l’occasione, sono state inserite numerose informazioni astronomiche. Alla stessa stregua l’U.A.I. (Unione Astrofili Italiani), attraverso il proprio sito (www.uai.it) ha organizzato uno specifico collegamento, che è stato battezzato “Il cielo in diretta”, con specifiche postazioni di aggiornamento on-line dell’evento.

Le ore notturne (con una percentuale di umidità tra il 78 e l’88%) a cavallo tra il 3 e 4 marzo, sono state caratterizzate da un cielo, in buona parte sereno, che ha dato allo spettatore la possibilità di osservare appieno il fenomeno celeste sebbene, in alcuni momenti, la visibilità sia stata offuscata da leggeri strati di nubi sospinte da una brezza tesa in direzione ovest-sud-ovest. La temperatura registrata (intorno ai 10° C.) non ha impedito ai curiosi ed agli appassionati di poter apprezzare l’evento attraverso l’uso dei telescopi messi a disposizione dai membri dell’AIDA. L’eclisse lunare si è, dunque, rivelata un’occasione da non perdere considerato che l’ultima volta si è verificata il 28 ottobre 2004 ed avuto riguardo anche al fatto che la prossima, anch’essa “totale”, sarà visibile in Italia il 21 febbraio 2008.

 

 

 

 

 

“Il Berretto a sonagli” proposto dal Teatro Utopia

 

Distruzione della maschera costruita dall’individuo. Così si potrebbe ribattezzare la commedia pirandelliana “Il Berretto a sonagli”, scritta nell'agosto del 1916, in dialetto siciliano, per Angelo Musco con il titolo “A birritta cu ‘i ciànciani”, poi modificato in “A birritta cu ‘i ciancianeddi” (le fonti narrative del testo sono riconducibili a due novelle, “Certi obblighi” e “La verità”, pubblicate entrambe sul “Corriere della sera” nel 1912), dallo stesso messa in scena nel giugno del 1917. Sebbene siano trascorsi novant’anni dalla prima, la tematica affrontata riguarda ancora una storia “viva” in cui si ritrova l’umorismo di Pirandello con i suoi personaggi immersi in una continua lotta tra “essere” e “apparire”. Nella visione pirandelliana del mondo “non vi è una ragione, una logica, un diritto, ma tanti quanti sono gl’individui, e per lo stesso individuo tanti quanti ne crea nelle sue infinite variazioni il sentimento, ciascun personaggio dal suo particolare punto di vista ha ragione”. Sulla base di tali istanze ruota l’intera tessitura scenica di questo lavoro recentemente riproposto, per la regia di Giorgio Sparacino ed andato in scena sul palco del M.A.S.D., dalla compagnia “Teatro Utopia” di Ragusa, in sinergia con la Regione Siciliana (Assessorato BB. CC. AA. e P.I.), il Centro Studi “F. Rossitto” ed il Centro Servizi Culturali. Il “Teatro Utopia”, giunto  al suo quinto anno di attività, raccoglie l’esperienza di formazioni precedenti legate al nome dell’attore e regista teatrale Giorgio Sparacino, figlio degli iblei, con alle spalle la messa in scena di numerosissime opere negli ultimi decenni.

La vicenda si snoda nel salotto della casa del cavalier Fiorìca (più volte nominato ma che non appare mai): una stanza arredata con mobilio dal vago sapore liberty, illuminata da luci soffuse, chiusa e ovattata. Un mondo a parte, da cui la vita esterna è esclusa come per incanto e verso cui sono puntati tutti gli occhi del paese. La signora Beatrice (Natalina Lotta), nobile e rispettabilissima moglie del nobiluomo Fiorìca, gelosa e insoddisfatta intende denunciare – su perfido consiglio della “Saracena” (Ornella Cappello) – al Delegato Spanò (Claudio Giummarra), amico di famiglia, il tradimento del marito con Nina (Rosaura Lucenti), giovane moglie del suo scrivano Ciampa (Giorgio Sparacino). Quest’ultimo, un uomo non più giovane e con occhi “acuti” e “mobilissimi dietro i grossi occhiali a staffa”, appare ignaro dei fatti che conosce perfettamente in cuor suo, tollerando la situazione che si era creata tra i due amanti purché venga salvato il suo “pupo”, cioè la sua onorabilità e la “faccia”. Inutili si rivelano gli sforzi di Ciampa che cerca di evitare la denuncia tentando di persuadere la signora Beatrice a “far girare la corda seria” quella che fa ragionare ed evita i disastri. Secondo le argomentazioni addotte da Ciampa ogni persona porta sulla fronte tre “corde” come d’orologio: “la seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile, per cui sta qua in mezzo alla fronte...; sulla tempia destra, c’è la corda seria, per parlare seriamente, a quattr’occhi; a sinistra la corda pazza... quella che fa perdere la vista degli occhi… ed uno non sa più quello che fa”. La signora Beatrice fa di tutto, riuscendo nell’intento, per fomentare lo scandalo. Tutta la famiglia le va contro: la madre, la signora La Bella (Maria Terranova); il fratello, Fifì (Giuseppe Antoci), nonché l’anziana e fidata serva Fana (Ida Fisichella). Alla fine il signor Delegato riesce a minimizzare l’intera vicenda dimostrando che dai verbali giudiziari non emerge alcun rapporto tra il cavaliere e la giovane Nina. Ma è proprio al Ciampa, al marito tradito, che la cosa ora non va più bene in quanto si sente offeso e ferito. In paese adesso tutti sanno, dopo tutto quel chiasso, che porta il “berretto a sonagli”, il cappello da buffone e da becco, e per tale motivo vuole la rivincita. Sarà la signora Beatrice, che si è tolta lo sfizio di far girare la corda “pazza”, a subire le conseguenze dello scandalo e salvare il buon nome del Ciampa. Come? Facendosi ricoverare per tre mesi in un manicomio. “Si è comportata da pazza”, grida Ciampa con profondo dolore, “...ha bollato con un marchio d’infamia tre persone: uno, d’adulterio; un’altra, di sgualdrina e me (Ciampa), di becco… deve dimostrare di essere pazza -pazza davvero- da rinchiudere!... Bisogna chiuderla! Bisogna chiuderla! ...E’ pazza! E’ pazza!” La commedia termina “con una orribile risata di Ciampa, risata di rabbia, di selvaggio piacere e di disperazione ad un tempo”.

E’ questo l’amaro umorismo di Pirandello, magistralmente esternato dagli attori del Teatro Utopia.

Essere o apparire? In questo interviene il “pupo”. Questi rappresenta la “facciata” che gli altri fanno “apparire” obbligando a sostenere i “ruoli” assegnati a ciascuno dalla società. Ma quando tutti questi “pupi” diventano parte di ciascuno perchè interiorizzati, come deve essere giustificato il loro comportamento? Come si può accettarli e perdonarli? E’ questo l’eterno dilemma…

 

 

 

“La rivolta servile di Euno” al Centro Studi F. Rossitto di Ragusa

 

La ricostruzione delle problematiche socio-economiche degli avvenimenti siciliani in epoca romana è uno dei compiti per i quali la ricerca storica si propone di affrontare attraverso varie discipline scientifiche, non ultima l’archeologia. E’ attraverso gli scavi, i manufatti e la miriade di reperti portati alla luce che si entra in contatto con un passato tanto lontano nel tempo quanto vicino per le cocenti tematiche che man mano emergono studiando le condizioni “servili” delle popolazioni dell’Isola al tempo della dominazione romana. Tali argomentazioni hanno rappresentato il punto di partenza della conferenza, recentemente tenutasi presso la sala convegni del Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, avente per tema “La rivolta servile di Euno (136-133 a.C.). Schiavi e padroni nella Sicilia romana”. A relazionare è stato l’archeologo ragusano Di Stefano prof. Giovanni (docente presso l’Università degli Studi della Calabria), esperto in Storia dell’Arte tardo-antica e Archeologia delle province romane. L’introduzione alla serata è stata curata dal Presidente del Centro Studi, on. Giorgio Chessari, il quale ha posto in evidenza come la “ricchezza” delle numerose testimonianze archeologiche ritrovate nella Sicilia sud-orientale, in particolare nel territorio di Camarina, pone la zona iblea al centro dell’attenzione per la ricerca storico-archeologica come è dimostrato dalla pregevole pubblicazione (“Camarina 2600 dopo la fondazione”) degli atti sul convegno internazionale tenutosi a Ragusa (2002-2003) recentemente presentato, tra l’altro, all’Università Statale di Milano alla presenza di numerosi ricercatori ed illustri personalità. La lunga ma esauriente e puntuale discettazione del prof. Di Stefano ha tratto spunto da quanto tramandato da Diodoro Siculo, storico nato ad Agirio (oggi Agira, in territorio di Enna), vissuto tra l’80 e il 20 a. C., autore della Biblioteca Storica, una storia universale in 40 libri, in cui sono registrati gli avvenimenti dall’età mitica alla spedizione di Cesare in Gallia (59 a.C.). Si tratta di un’opera che per certi versi può considerarsi come una “summa” della storiografia greca classica ed ellenistica in quanto molteplici sono le fonti consultate dall’autore anche se, spesso, letteralmente ricopiate.

Per meglio comprendere il tema centrale affrontato è necessario inquadrare il momento storico in cui si trova la Sicilia. Quanto riportato da Livio (storico latino, 59 a.C. - 17 d.C.) offre una visione completa, sebbene sintetica, relativamente alla conquista della Sicilia da parte di Roma: sei città prese d'assalto con le armi, venti conquistate per tradimento e quaranta, infine, che cedono spontaneamente le armi. Nel 211 a. C. si registra la capitolazione di Siracusa per opera di Marcello, eletto console nel 210. La Sicilia è poi ceduta a M. Valerio Levino che si fa carico di un’opera restauratrice basata sulla rimessa a cultura delle terre abbandonate, su un modello tributario simile a quello operante sotto Gerone II (lex Hieronica) ed un sistema di esazione affidato a percettori locali per la riscossione delle decime. Funzionari romani si stabiliscono in Sicilia per incassare l’affitto degli agri pubblici. Il nuovo meccanismo politico-tributario prevede anche il pagamento di un gravame, su base annua, rappresentato in gran parte dal grano. In tale periodo sembra che il mercato siciliano abbia favorito un “import-export” basato sul “surplus” del grano in cambio di contropartite di altri generi di prodotti. Corre l’obbligo fare presente che in Sicilia, dopo la seconda guerra punica (218 – 201 a. C.) affluisce un cospicuo numero di schiavi di origine greca e cartaginese. Ciò incoraggia i ceti nobili ad incrementare con fattorie e pascoli i loro possedimenti utilizzando manodopera a basso costo sfruttata in condizione servile. Le recenti riletture storiche supportate anche dalle scoperte archeologiche confermano un fermento economico caratterizzato anche dalla concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani dell’aristocrazia romano-italica ed un’accentuazione dello schiavismo. Le precarie condizioni servili di vasti gruppi di persone, talora ridotte in schiavitù a seguito degli assoggettamenti coatti, portano ben presto a delle rivolte che accendono i cuori dei “rivoltosi”. Una di queste è quella verificatasi tra il 136 e 133 a. C. in agro ennese per opera di Euno (schiavo di origine siriana con reputazione di mago e profeta), che trova moltissimi proseliti anche tra i cittadini liberi nullatenenti che aspirano ad un affrancamento dal dominio romano. La rivolta, dopo lunghe lotte durate circa un triennio, è però sedata dal console Publio Rupilio. Si tratta di un periodo drammatico che, sebbene Diodoro Siculo ne traccia le linee essenziali, merita di essere ulteriormente approfondito.

La serata si è conclusa con l’ascolto della voce possente dell’attore Giorgio Sparacino che, leggendo alcuni passi tratti dal libro XXXIV dello storico di Agirio, ha condotto quasi per mano il folto ed attento pubblico presente in sala regalando vibranti arcane suggestioni che hanno riportato dall’oblio cocenti problematiche di schiavitù e sofferenza, ma anche di rivolta per quella condizione servile che annullava la dignità umana.

 

 

 

Meeting scientifico sull’Oculistica: prevenzione e patologie

 

Le problematiche che rientrano nel comparto dell’Oculistica rivestono, oggigiorno, una rilevante importanza tanto per gli aspetti relativi alla prevenzione quanto per quelli strettamente correlati alle affezioni che intaccano la sfera visiva o le strutture dell’occhio a questa connesse.

Su tali delicate e cocenti tematiche è ruotato il meeting scientifico, promosso ed organizzato dal Direttore dell’unità operativa di Oculistica dell’Azienda Ospedaliera di Ragusa, dott. Salvatore Azzaro, di concerto con la Direzione Generale aziendale attraverso l’Ufficio di Formazione della stessa struttura, avente per tema le “Problematiche del Segmento Anteriore” e recentemente tenutosi presso la sala convegni dell’Hotel Mediterraneo. A relazionare sono stati chiamati medici specialisti nei diversi campi dell’Oculistica. Ospite d’eccezione il dott. Calogero Termini (Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera di Ragusa) che ha dato il via ai lavori congressuali auspicando che la costruenda struttura ospedaliera possa continuare a dare lustro a tutta la provincia iblea rappresentando il motore propulsivo non solo per la diagnostica ma anche per le attività terapeutiche connesse alla varie patologie sofferte da un’utenza proveniente anche da un ambito extra provinciale.

L’introduzione al tema del simposio è stata curata dal dott. Salvatore Azzaro, che ha argomentato sulle problematiche dell’occhio arrossato, ponendo l’attenzione – nel corso della suo secondo intervento programmato – sulla profilassi antibatterica da seguire nel corso degli interventi chirurgici nella zona del “segmento anteriore”.

L’occhio è una struttura complessa composta da un bulbo oculare, del diametro di circa 25 mm, che si trova ben protetto all’interno della cavità orbitaria. Esso, come organo di senso, rappresenta il punto di contatto fra l’organismo e l’ambiente. Gli occhi arrossati costituiscono una delle ragioni che più frequentemente spinge chi ne è afflitto a cercare assistenza presso il medico o farmacista, a seguito di una persistente “sensazione di fastidio”. Questo fastidio può essere causato da molteplici fattori infiammatori che investono il cosiddetto “segmento anteriore” (intendendo con questa definizione alcune strutture dell’occhio che, per la loro posizione “anteriore” rispetto al resto del bulbo, risultano particolarmente esposte ad agenti irritanti di varia natura e di verso effetto). Sotto questa “definizione-ombrello” possono essere inquadrati la congiuntiva (mucosa che riveste, congiungendole, la parte interna delle palpebre e la membrana esterna dell’occhio, detta sclera o comunemente “bianco dell’occhio”), la cornea (parte trasparente della sclera che, nella sezione anteriore dell’occhio, è rappresentata da una struttura a forma di cupola), la camera anteriore dell’occhio, l’iride (area circolare di fibre muscolari che ha funzione di diaframma e situata davanti al cristallino) ed anche le palpebre (piega cutaneo-mucosa che protegge il bulbo oculare e serve ad impedirne la disidratazione). Dalla peculiarità strutturale di queste parti si può intuire la molteplicità di fattori patologici che ne possono intaccare il normale status di benessere. I sintomi principali delle infiammazioni del “segmento anteriore” possono essere estremamente sintetizzati in: fastidio, dolore, rossore, secrezione (di solito catarrale), lacrimazione intensa, gonfiore palpebrale (e, talvolta, anche congiuntivale), fotofobia (avversione alla luce). A questi, che sono in genere i più frequenti, se ne aggiungono altri (formazione di membrane; edema nella zona corneale; calo del visus, ovvero la diminuzione della capacità visiva dell’occhio) che, in base all’intensità dei sintomi rapportati anche alla gravità della stato infiammatorio a carico della zona colpita, debbono rimandare immediatamente allo specialista. Fra i segni che accompagnano la sensazione di fastidio, il rossore dell’occhio, derivato dal richiamo locale di sangue in risposta all’infiammazione (che crea una ”ruvidità” della congiuntiva stessa percepita, a livello cerebrale, come la presenza di un corpo estraneo), è senza dubbio quello più frequente. Dietro l’occhio arrossato si può nascondere tutta una serie stati patologici (malattie infettive, allergiche, degenerative della superficie oculare e degli annessi, piccoli traumatismi). I cambiamenti climatici, la maggiore esposizione a radiazioni ultraviolette, l’inquinamento atmosferico, sono fattori che rendono sempre più diffusi non solo i disturbi della superficie oculare, ma anche patologie degenerative tipiche dell’età senile come occhio secco e glaucoma (affezione del bulbo oculare, caratterizzata da incremento della pressione interna, che può portare al danneggiamento della struttura e della funzione dell’occhio).

Su tali problematiche si sono confrontati, in un’intensa mattinata di studio, il dott. Urso (Siracusa), dott. Belluardo (struttura ospedaliera di Vittoria-Rg), dott. Caruso (Avola-Sr), dott. Buongiorno e dott. Avola (Modica-Rg), dott. Patti (Lentini-Sr), dott. Fichera (azienda ospedaliera di Catania).

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

APRILE 2007

 

 

Compie sette anni l’importante struttura espositiva

Il “Museo del Fumetto Xanadu” e le nuvolette parlanti

 

“Si tratta di un esperimento pressoché unico in Italia, sull’onda di un interesse ed una ricerca del come eravamo e di certe radici che stanno alla base del nostro attuale modo di essere e di pensare. La struttura, allo stato, raccoglie circa centomila pezzi ed il numero è destinato a crescere…”. Così esordisce l’architetto Giuseppe Miccichè quando introduce l’excursus storico che ha dato il via alla nascita, nel 2000, del suo “Museo del Fumetto Xanadu” o come ama definirlo “Archivio Storico del Fumetto Italiano”. L’appellativo “Xanadu” – spiega l’architetto – “deriva dal nome di una provincia cinese che Coleridge (uno dei maggiori poeti del Romanticismo inglese) ricavò da un testo di viaggi del XVII secolo e che utilizzò per creare un’atmosfera esotica e avventurosa”.

Unica nel suo genere in campo regionale, paragonabile solo a pochissime altre sorte in campo nazionale, la struttura museale, immersa in un’oasi di verde alla periferia di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, occupando un’estensione di oltre 150 mq, ha la possibilità di esporre permanentemente decine di migliaia di esemplari per non disperdere la memoria di personaggi come Tex, Zagor, Blek, Capitan Miki, il Piccolo sceriffo e tanti altri. Il fumetto fa parte di quella “letteratura disegnata” intesa come veicolo culturale in cui vanno a confluire obiettivi didattici, quali il recupero di conoscenze storico-grafiche e, non ultimo, lo studio di tendenze, pensiero ed evoluzioni di una memoria stratificata nel tempo che può essere letta attraverso le avvincenti storie dei fumetti. Questi, compagni di viaggio dell’alfabetizzazione nel corso degli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, si trasformano, negli anni ’60, in un forte strumento di comunicazione per alcune generazioni di giovani, quando ancora l’idea del villaggio globale e della rete internet era puro futurismo. Attraverso le varie sale si può avere una visualizzazione del materiale cartaceo che, suddiviso in base alle diverse case editrici, parte dal periodo anteguerra con case editrici simbolo (Nerbini, Mondadori, Universo, Vecchi) ed altre, dalla vita commerciale abbastanza breve, che hanno dato vita a personaggi e testate quali (per citarne alcune) Topolino, L’Avventuroso, Intrepido, Il Vittorioso, Il Corriere dei Piccoli. Nel dopoguerra, sebbene le difficoltà del periodo, sorgono altre case editrici tra cui l’Editrice Audace (divenuta in seguito “Bonelli”), la Victory, la Ventura e relativi personaggi o testate quali: Tex, Miky, Blek, Tarzan, Monello, Albo dell’Intrepido e tanti altri. Per la gioventù dei primi anni del dopoguerra i giornalini sono una forma di “cultura alternativa” al di fuori di quella scolastica. L’iniziale caratteristica di accompagnare ciascuna vignetta con un’apposita didascalia posta in calce, è successivamente sostituita dalle “nuvolette”, simili a sbuffi di fumo, utilizzate per riportare il dialogo tra i personaggi. A seconda del tratto che ne definisce i contorni, la nuvoletta può esprimere un discorso parlato o pensato, o ira, o paura. Spesso sono utilizzati segni con chiare funzioni onomatopeiche (Gulp!, Sigh, Sob, Boom!).

Negli anni ’60 e ’70, insieme a quelle preesistenti sorgono nuove case editrici che fanno la loro comparsa nelle edicole (tra cui Dardo, Spada, Cenisio, Williams) unitamente a testate come Linus, Eureka, Diabolik, Alan Ford e Supereroi quali l’Uomo Ragno, Devil e Fantastici Quattro. Infine, c’è il periodo cosiddetto moderno (rappresentato dagli anni ’80 e ‘90) con l’imperversare di miriadi di case editrici che durano poco sul mercato e che costituiscono l’attualità. Su tutte, due fenomeni s’impongono all’attenzione anche dei mass-media: i “Fumetti Giapponesi” e la “Bonelli”, leader oggi in Italia. I primi occupano una robusta fetta di mercato a dimostrazione di una loro indubbia vitalità. La seconda, con il suo capofila Tex, ha raggiunto vertici non più raggiungibili in Italia da altri. Con una larga schiera di personaggi, copre praticamente tutti i vari settori d’interesse dei lettori (da Zagor, Mister No, Piccolo Ranger, a Martin Mistero, Dylan Dog, Nathan Never, Nick Carter, ecc…). “Il fumetto” – come sottolinea l’architetto Miccichè - “è una forma espressiva che, coniugando letteratura, lingua e disegno, dà più di altre forme di comunicazione. Esso nasce, muore, rinasce con sorprendente vitalità, seguendo mode e aspirazioni, alla ricerca del dialogo con il pubblico”. Un dialogo che l’architetto Miccichè cerca di continuare e promuovere nelle giovani generazioni.

 

 

 

Il Centro Studi “F. Rossitto” promuove presentazione libro di Giorgio Napolitano

 

 

“Era il primo semestre del 1942. Avevo sedici anni; ero prossimo a conseguire – avendo ‘saltato’ un paio di classi tra ginnasio superiore e liceo – la maturità classica. Frequentavo il prestigioso liceo ‘Tito Livio’ in quanto la mia famiglia era ‘sfollata’, si era cioè temporaneamente trasferita…”. Inizia così l’autobiografia politica con cui Giorgio Napolitano ripercorre, attraverso un’analisi limpida e priva di reticenze, l’intero arco della sua esperienza raccontando - con stile misurato, razionale e convincente – la “grande” storia della Repubblica italiana ma anche tanti episodi inediti. Un excursus storico che copre oltre sessant’anni rappresentando un quadro completo ed esauriente dei momenti di svolta del secondo Novecento, sia in Italia che nel mondo. L’ottica è quella di chi vede il partito dal di dentro avuto anche riguardo alla sua collocazione ai vertici del Pci. Questa, in estrema sintesi, la tematica affrontata da Giorgio Napolitano nel suo volume “Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica” (Editori Laterza, 2005, pp. 354), giunto ormai alla sesta edizione, recentemente insignito del Premio Nazionale di Cultura Benedetto Croce in quanto “testimonianza” di illuminanti squarci sui principali momenti che hanno contraddistinto il dibattito politico e culturale italiano nel corso delle tappe storiche della repubblica attraverso le travagliate vicende del Pci-Pds. La straordinaria vicenda intellettuale e politica di Napolitano si rivela come un osservatorio di indubbia rilevanza per la capacità di valutare quanto accaduto: dalle prime esperienze in campo politico ai momenti più sofferti della storia del Pci, come le problematiche connesse all’invasione sovietica della Cecoslovacchia; dalla contestazione del “Sessantotto” agli anni di piombo; dalla tempesta di Tangentopoli fino ai fatti più recenti. Si tratta, dunque, dell’autobiografia di un uomo che ha dato molto alle istituzioni: è stato deputato al Parlamento per 10 legislature (a partire dal 1953), Presidente della Camera dei Deputati (1992-1994), Ministro dell’Interno (1996-1998), Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo dal 1999 al 2004.

Sulla base di tali istanze il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, in sinergica cooperazione con la Regione Siciliana (Assessorato Regionale BB. CC. AA), ha promosso ed organizzato la presentazione del volume che si è tenuta, venerdì 27 aprile, presso la sala convegni dell’Avis. La relazione introduttiva dell’interessante e seguitissimo evento culturale è stato affidata all’on. Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”) il quale ha posto l’accento sulla figura dell’Autore correlandola a quelle esperienze che hanno foggiato l’anima di Napolitano, come uomo e come politico, da cui traspare, in maniera forte e indelebile, non solo il suo spirito caparbio ma anche l’impegno democratico del Partito comunista italiano, “le sue battaglie per la trasformazione della società italiana e il conseguimento di fondamentali conquiste sociali e civili”.

Sui variegati aspetti politici e vicende autobiografiche affrontati nel libro di Napolitano hanno esplicitato le loro riflessioni il dott. Giambattista Veninata (Direttore Responsabile della rivista di cultura e politica “Pagine dal Sud”, edita dal Centro Studi “F. Rossitto), on. Angelo Capodicasa (Ministero delle Infrastrutture), sen. Concetto Scivoletto (già Presidente della 9° Commissione permanente Agricoltura e produz. agroalimentare). Ospite d’eccezione della serata è stato il sen. Emanuele Macaluso, storico dirigente della sinistra italiana, il quale ha curato la relazione conclusiva della serata analizzando, in maniera puntuale, le tensioni della politica italiana nell’arco di quegli anni (oltre mezzo secolo) su cui si estende la vicenda intellettuale e politica di Napolitano, il suo impegno profuso tra le non poche difficoltà all’interno del Partito nonché “le sue prove di uomo delle istituzioni”.

 

 

 

 

Maria Attanasio al Centro Studi “F. Rossitto” presenta “L’Ironia” del poeta Migliorisi

 

Una serata da non dimenticare. Una serata tra poeti. Una serata tra Amici. Un sogno letterario che si consolida tra le ali della Poesia (quella “vera”, quella con la “P” maiuscola). E’ stata questa, in estrema sintesi, l’essenza della serata in occasione della presentazione, recentemente tenutasi presso la sala convegni del Centro Studi “F. Rossitto”, dell’ulteriore raccolta di poesie di Umberto Migliorisi, “L’Ironia” (Utopia Edizioni-Centro Studi F. Rossitto, Ragusa, 2006, pp. 55). La serata è stata impreziosita dalla presenza dell’attore e regista teatrale Giorgio Sparacino, che ha regalato al folto ed attento pubblico presente in sala momenti di particolare suggestione leggendo alcune poesie tratte dal volume di Migliorisi, nonché dalla scrittrice Maria Attanasio appositamente intervenuta per l’evento culturale. “Umberto è la colonna portante del Centro Studi” – così ha esordito il Presidente del Centro, on Giorgio Chessari, nel corso della sua relazione introduttiva – “in quanto da molti anni svolge, con cura ed impegno non comuni, l’attività di Redattore Capo della nostra rivista trimestrale Pagine dal Sud”. Nato a Sciacca nel 1928, Migliorisi è vissuto quasi sempre nel capoluogo ibleo. Sue poesie sono apparse su diversi giornali (l’Unità, nel 1957; Ragusa Sera; La Provincia Iblea; Il Giornale di Scicli) e su varie riviste culturali e letterarie quali Galleria (1957), Quartiere (1964-’65), Mondotre (1987), Periferie (2003). Alle sue spalle diverse pubblicazioni: sei raccolte di poesie dialettali (tra le quali U puostu, 1965; Nta m-paisi tranquillu, 1986; Farfalli e scintilli, 1999; Gn’iàttu nìuru, 2004) e quattro volumetti di poesie in lingua (tra cui Sotto le nuvole, 1991; Come poeti gli uccelli, 1997). Ha curato, inoltre, la raccolta degli Atti del Convegno Regionale di Studi su “Vann’Antò” (1987) nonché il poemetto autobiografico di G. Bonafede La mia storia con prefazione di S. Grasso. Ha vinto alcuni premi letterari per la poesia dialettale, tra cui il “Pietro Mignosi” (1990) e il “Marineo” (1995). Insomma un’anima letteraria completa. “Un poeta complesso che viene a porsi in modo particolare in questa contemporaneità”, questo l’incipit di Maria Attanasio, poetessa (Interni, 1979; Amnesia del movimento delle nuvole, 2003) e scrittrice (Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile, 1994; Piccole cronache di un secolo, 1997), a cui è stata affidata la presentazione del volume “L’Ironia”. Si tratta di poesie in cui si rileva un umorismo molto discreto che s’insinua in maniera costante fra le pieghe dei versi. La caratteristica del suo poetare è la “dilatazione dei significati che oltrepassa la pura formulazione linguistica” unitamente al suo “innervarsi alla realtà attraverso la parola”. Una parola che in Migliorisi ha una “funzione estetica” in quanto “dentro di essa c’è una tensione etica ed educativa” che gli consente di sollecitare “una riflessione sul mondo”. Ciò gli permette di recuperare situazioni nella loro essenzialità intessuta di una sapida e, talvolta, amara ironia. In Migliorisi “ogni esperienza del quotidiano può diventare poesia espressiva di un sentire singolo ma anche collettivo”. Molteplici le tematiche affrontate attraverso le sue rime intrise di una sottile leggerezza che nella sua scrittura diventa musicalità. Natura, memoria, memoria dell’infanzia si intrecciano in un “rimando ad una dimensione collettiva di valori e di modalità di vita”. Tali rimandi che “non sono mai generici né generali, ma concreti e con una precisa definizione e identificazione di appartenenza storico-geografica” rappresentano la “motivazione costitutiva” della poesia di Umberto Migliorisi. Nella suo poetare si intravede una “originale interferenza tra storia, esistenza e linguaggio” in una precisa spazialità, in un determinato contesto, che “non è chiusura” ma “punto di convergenza tra il già accaduto e l’accadere della storia e dell’esistenza”. Lo si nota, ad esempio, in “Diario”, dove passa in rassegna la propria esistenza: dalla fanciullezza, riesumata dal “fondo / della memoria” e della quale “resta / solo un vago ricordo – un’istantanea / di famiglia”, alla giovinezza, che “non è mai / esistita se non / nel gran salto a questa / età adulta…”, fino alla triste consapevolezza di possedere “la saggezza / di chi invecchia…”. Ma è con questa punta di amara ironia che l’Autore trova la forza di riempire la vita. E’ per questo che “la poesia è gioia, non è dolore, / non è domanda senza risposta …”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

MAGGIO 2007

 

 

Il Presidente della Repubblica si racconta

Il Centro Studi “F. Rossitto” presenta volume di Giorgio Napolitano

“Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica”

 

Dall’impegno culturale alla militanza politica negli anni della guerra fino all’ascesa al Quirinale. E’ stato il primo Presidente della Repubblica a servire ai tavoli alla festa dell’Unità. Uno dei pochi a potersi fregiare di una targa ricordo della sua sezione per i 50 anni di iscrizione al Partito. Un uomo convinto dei propri ideali e, nel contempo, capace di guardare con occhio vigile e critico, senza reticenze, alle scelte, a volte difficili e talora sofferte, del proprio partito. Un ragazzo che nutriva una particolare predilezioni per il teatro e che è stato regista di rilevanti e non pochi mutamenti politici. Un’autobiografia di un uomo le cui vicende, culturali e familiari, si intrecciano, per un arco temporale che va oltre i sessant’anni (dal 1942 al 2004), con la storia sociale e politica dell’Italia del secondo Novecento. La sua esperienza in campo intellettuale e politico, stante la sua collocazione ai vertici del Pci (con particolare riferimento alla “corrente riformista” per alcuni periodi anche in ruoli istituzionali e governativi), rappresenta “un osservatorio di indubbio interesse per la comprensione di quanto accaduto”. “Ne emerge al contempo un quadro severo delle contraddizioni di fondo del Pci, riconducibili alla sua matrice rivoluzionaria e al legame ideologico e politico con l’Unione Sovietica, che finirono per provocarne il declino”. Così si legge sulla seconda di copertina del volume che risulta intriso di storia e da cui emergono anche vicende inedite come, ad esempio, l’incontro con Pasolini (pp. 108-109) che si rivela “importante e rivelatore” da un punto di vista del dibattito politico che si va ad instaurare negli anni immediatamente successivi alla “contestazione giovanile” del ’68. Questo è uno dei tasselli del grande mosaico di vita percorso, vissuto e narrato dal protagonista, Giorgio Napolitano, nel suo libro “Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica” (Laterza, 2005, pp. 354), giunto ormai alla sesta edizione, cui è stato assegnato, nell’aprile del 2006, il Premio Nazionale di Cultura Benedetto Croce. Per la verità già in altri suoi saggi Napolitano ha già fornito importanti spunti di riflessione su alcuni momenti di svolta del ‘900 nel Paese e nel mondo(strappo da Mosca, crollo del sistema sovietico, nuovi “equilibri globali”), ma è solo con quest’opera che fornisce al lettore un articolato ed organico sguardo su oltre mezzo secolo di storia attraverso la sua esperienza pluri-decennale nelle istituzioni: dalle prime esperienze in campo politico ai momenti più sofferti della storia del Pci, come le problematiche connesse all’invasione sovietica della Cecoslovacchia; dalla contestazione del “Sessantotto” agli anni di piombo; dalla tempesta di Tangentopoli fino ai fatti più recenti. Il tutto filtrato da uno stile razionale, misurato e convincente di un uomo che ha dato molto alle istituzioni: è stato deputato al Parlamento per 10 legislature (a partire dal 1953), Presidente della Camera dei Deputati (1992-1994), Ministro dell’Interno (1996-1998), Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo dal 1999 al 2004.

Sulla base di tali istanze il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, in sinergia con la Regione Siciliana (Assessorato Regionale BB. CC. AA), ha promosso ed organizzato la presentazione del volume che si è recentemente tenuta presso la sala convegni dell’Avis. La relazione introduttiva dell’interessante evento culturale, seguito da un folto ed attento pubblico, è stato affidata all’on. Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”) il quale ha posto l’attenzione sulla figura dell’Autore correlandola a quelle esperienze che hanno foggiato l’animo di Napolitano in cui “non si è mai spenta la fiducia nella politica” fatta sempre con “lucidità e rigore”, quest’ultime “due delle parole più frequenti del lessico di Napolitano”.

Sui variegati aspetti politici e vicende autobiografiche affrontati nel libro di Napolitano hanno esplicitato le loro riflessioni il dott. Giambattista Veninata (Direttore Responsabile della rivista di cultura e politica “Pagine dal Sud”, edita dal Centro Studi “F. Rossitto), on. Angelo Capodicasa (Ministero delle Infrastrutture) e sen. Concetto Scivoletto (già Presidente della 9° Commissione permanente Agricoltura e produz. agroalimentare). Ospite d’eccezione della serata è stato il sen. Emanuele Macaluso, storico dirigente della sinistra italiana, il quale ha curato la relazione conclusiva della serata analizzando, in maniera puntuale ed articolata, le tensioni della politica italiana nell’arco di quei dieci lustri su cui si estende l’esperienza di Napolitano, per il quale la politica, citando Thomas Mann, pur racchiudendo “in sé molta durezza, molte expediency… non potrà mai spogliarsi del tutto della sua componente ideale e spirituale, mai rinnegare completamente la parte etica e umanamente rispettabile della sua natura”. In Napolitano non si è mai “spenta la fiducia nella politica”, come non si è mai spento l’impegno all’interno del Partito.

 

 

 

 

 

“L’Ironia”

Maria Attanasio al Centro Studi “F. Rossitto”

presenta l’opera del poeta Umberto Migliorisi

 

Una serata da non dimenticare. Una serata tra poeti. Una serata tra Amici. Un sogno letterario che si consolida tra le ali della Poesia (quella “vera”, quella con la “P” maiuscola). E’ stata questa, in estrema sintesi, l’essenza della serata in occasione della presentazione, recentemente tenutasi presso la sala convegni del Centro Studi “F. Rossitto”, dell’ulteriore raccolta di poesie di Umberto Migliorisi, “L’Ironia” (Utopia Edizioni-Centro Studi F. Rossitto, Ragusa, 2006, pp. 55). La serata è stata impreziosita dalla presenza dell’attore e regista teatrale Giorgio Sparacino, che ha regalato al folto ed attento pubblico presente in sala momenti di particolare suggestione leggendo alcune poesie tratte dal volume di Migliorisi, nonché dalla scrittrice Maria Attanasio appositamente intervenuta per l’evento culturale. “Umberto è la colonna portante del Centro Studi” – così ha esordito il Presidente del Centro, on Giorgio Chessari, nel corso della sua relazione introduttiva – “in quanto da molti anni svolge, con cura ed impegno non comuni, l’attività di Redattore Capo della nostra rivista trimestrale Pagine dal Sud”. Nato a Sciacca nel 1928, Migliorisi è vissuto quasi sempre nel capoluogo ibleo. Sue poesie sono apparse su diversi giornali (l’Unità, nel 1957; Ragusa Sera; La Provincia Iblea; Il Giornale di Scicli) e su varie riviste culturali e letterarie quali Galleria (1957), Quartiere (1964-’65), Mondotre (1987), Periferie (2003). Alle sue spalle diverse pubblicazioni: sei raccolte di poesie dialettali (tra le quali U puostu, 1965; Nta m-paisi tranquillu, 1986; Farfalli e scintilli, 1999; Gn’iàttu nìuru, 2004) e quattro volumetti di poesie in lingua (tra cui Sotto le nuvole, 1991; Come poeti gli uccelli, 1997). Ha curato, inoltre, la raccolta degli Atti del Convegno Regionale di Studi su “Vann’Antò” (1987) nonché il poemetto autobiografico di G. Bonafede La mia storia con prefazione di S. Grasso. Ha vinto alcuni premi letterari per la poesia dialettale, tra cui il “Pietro Mignosi” (1990) e il “Marineo” (1995). Insomma un’anima letteraria completa. “Un poeta complesso che viene a porsi in modo particolare in questa contemporaneità”, questo l’incipit di Maria Attanasio, poetessa (Interni, 1979; Amnesia del movimento delle nuvole, 2003) e scrittrice (Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile, 1994; Piccole cronache di un secolo, 1997), a cui è stata affidata la presentazione del volume “L’Ironia”. Si tratta di poesie in cui si rileva un umorismo molto discreto che s’insinua in maniera costante fra le pieghe dei versi. La caratteristica del suo poetare è la “dilatazione dei significati che oltrepassa la pura formulazione linguistica” unitamente al suo “innervarsi alla realtà attraverso la parola”. Una parola che in Migliorisi ha una “funzione estetica” in quanto “dentro di essa c’è una tensione etica ed educativa” che gli consente di sollecitare “una riflessione sul mondo”. Ciò gli permette di recuperare situazioni nella loro essenzialità intessuta di una sapida e, talvolta, amara ironia. In Migliorisi “ogni esperienza del quotidiano può diventare poesia espressiva di un sentire singolo ma anche collettivo”. Molteplici le tematiche affrontate attraverso le sue rime intrise di una sottile leggerezza che nella sua scrittura diventa musicalità. Natura, memoria, memoria dell’infanzia si intrecciano in un “rimando ad una dimensione collettiva di valori e di modalità di vita”. Tali rimandi che “non sono mai generici né generali, ma concreti e con una precisa definizione e identificazione di appartenenza storico-geografica” rappresentano la “motivazione costitutiva” della poesia di Umberto Migliorisi. Nella suo poetare si intravede una “originale interferenza tra storia, esistenza e linguaggio” in una precisa spazialità, in un determinato contesto, che “non è chiusura” ma “punto di convergenza tra il già accaduto e l’accadere della storia e dell’esistenza”. Lo si nota, ad esempio, in “Diario”, dove passa in rassegna la propria esistenza: dalla fanciullezza, riesumata dal “fondo / della memoria” e della quale “resta / solo un vago ricordo – un’istantanea / di famiglia”, alla giovinezza, che “non è mai / esistita se non / nel gran salto a questa / età adulta…”, fino alla triste consapevolezza di possedere “la saggezza / di chi invecchia…”. Ma è con questa punta di amara ironia che l’Autore trova la forza di riempire la vita. E’ per questo che “la poesia è gioia, non è dolore, / non è domanda senza risposta …”.

 

 

 

Il Centro Studi “F. Rossitto” promuove presentazione libro di Giorgio Napolitano

 

“Era il primo semestre del 1942. Avevo sedici anni; ero prossimo a conseguire – avendo ‘saltato’ un paio di classi tra ginnasio superiore e liceo – la maturità classica. Frequentavo il prestigioso liceo ‘Tito Livio’ in quanto la mia famiglia era ‘sfollata’, si era cioè temporaneamente trasferita…”. Inizia così l’autobiografia politica con cui Giorgio Napolitano ripercorre, attraverso un’analisi limpida e priva di reticenze, l’intero arco della sua esperienza raccontando - con stile misurato, razionale e convincente – la “grande” storia della Repubblica italiana ma anche tanti episodi inediti. Un excursus storico che copre oltre sessant’anni rappresentando un quadro completo ed esauriente dei momenti di svolta del secondo Novecento, sia in Italia che nel mondo. L’ottica è quella di chi vede il partito dal di dentro avuto anche riguardo alla sua collocazione ai vertici del Pci. Questa, in estrema sintesi, la tematica affrontata da Giorgio Napolitano nel suo volume “Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica” (Editori Laterza, 2005, pp. 354), giunto ormai alla sesta edizione, recentemente insignito del Premio Nazionale di Cultura Benedetto Croce in quanto “testimonianza” di illuminanti squarci sui principali momenti che hanno contraddistinto il dibattito politico e culturale italiano nel corso delle tappe storiche della repubblica attraverso le travagliate vicende del Pci-Pds. La straordinaria vicenda intellettuale e politica di Napolitano si rivela come un osservatorio di indubbia rilevanza per la capacità di valutare quanto accaduto: dalle prime esperienze in campo politico ai momenti più sofferti della storia del Pci, come le problematiche connesse all’invasione sovietica della Cecoslovacchia; dalla contestazione del “Sessantotto” agli anni di piombo; dalla tempesta di Tangentopoli fino ai fatti più recenti. Si tratta, dunque, dell’autobiografia di un uomo che ha dato molto alle istituzioni: è stato deputato al Parlamento per 10 legislature (a partire dal 1953), Presidente della Camera dei Deputati (1992-1994), Ministro dell’Interno (1996-1998), Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo dal 1999 al 2004.

Sulla base di tali istanze il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, in sinergica cooperazione con la Regione Siciliana (Assessorato Regionale BB. CC. AA), ha promosso ed organizzato la presentazione del volume che si è tenuta, venerdì 27 aprile, presso la sala convegni dell’Avis. La relazione introduttiva dell’interessante e seguitissimo evento culturale è stato affidata all’on. Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”) il quale ha posto l’accento sulla figura dell’Autore correlandola a quelle esperienze che hanno foggiato l’anima di Napolitano, come uomo e come politico, da cui traspare, in maniera forte e indelebile, non solo il suo spirito caparbio ma anche l’impegno democratico del Partito comunista italiano, “le sue battaglie per la trasformazione della società italiana e il conseguimento di fondamentali conquiste sociali e civili”.

Sui variegati aspetti politici e vicende autobiografiche affrontati nel libro di Napolitano hanno esplicitato le loro riflessioni il dott. Giambattista Veninata (Direttore Responsabile della rivista di cultura e politica “Pagine dal Sud”, edita dal Centro Studi “F. Rossitto), on. Angelo Capodicasa (Ministero delle Infrastrutture), sen. Concetto Scivoletto (già Presidente della 9° Commissione permanente Agricoltura e produz. agroalimentare). Ospite d’eccezione della serata è stato il sen. Emanuele Macaluso, storico dirigente della sinistra italiana, il quale ha curato la relazione conclusiva della serata analizzando, in maniera puntuale, le tensioni della politica italiana nell’arco di quegli anni (oltre mezzo secolo) su cui si estende la vicenda intellettuale e politica di Napolitano, il suo impegno profuso tra le non poche difficoltà all’interno del Partito nonché “le sue prove di uomo delle istituzioni”.

 

 

 

 

Gramsci a settant’anni dalla scomparsa

Il Centro Studi “F. Rossitto” promuove una giornata di studi

 

E’ questa una macchina mostruosa che schiaccia e livella… Certo io resisterò”.

E’ la sera dell’8 novembre 1926 quando il deputato comunista Antonio Gramsci, segretario del suo partito, viene arrestato nella casa dove ha affittato una camera, a Roma, e associato al carcere di Regina Coeli dove è rinchiuso in stretto isolamento. Soffre d’insonnia e dorme pochissime ore a notte. Può scrivere solo due lettere alla settimana e leggere alcuni quotidiani, oltre ai libri ed alle riviste che gli pervengono dall’esterno. Nel maggio del ’28 inizia a Roma il “Processone”. Nei riguardi di Gramsci il Pubblico Ministero, nel corso della sua requisitoria, sostiene che per parecchi anni sarebbe stato necessario “impedire a questo cervello di funzionare”. Gramsci è condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione. Tra malesseri fisici, non essendo adeguatamente curato, e sofferenze morali – “tagliato fuori non solo dalla vita sociale, ma anche dalla vita famigliare”, così scrive dal carcere - è abbandonato al lento spegnimento. Muore nelle prime ore mattutine del 27 aprile 1937.

A settant’anni dalla scomparsa di uno dei protagonisti dell’antifascismo e della Resistenza italiana, certamente il più conosciuto e studiato anche all’estero, il Centro Studi “F. Rossitto”, in sinergica cooperazione con l’Istituo Gramsci di Palermo ed Assessorato Regionale Beni Culturali, ha voluto farsi promotore nonché organizzatore di una rilettura al suo pensiero e alla sua vita attraverso una giornata nazionale di studi recentemente tenutasi presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Catania, sede di Ragusa-Ibla. Tema principe del convegno, su cui peraltro si è basato il magistrale intervento di Aldo Tortorella, è stato “Antonio Gramsci nella vita del XX secolo: l’uomo, il politico, il pensatore”.

Nato ad Ales (Oristano) nel 1891, grazie ad una borsa di studio si può iscrivere, nel 1911, alla Facoltà di Lettere presso l’Università di Torino dove studia con molto impegno malgrado le sue precarie condizioni economiche che mettono a dura prova il suo già delicato stato di salute. Qualche anno dopo aderisce al Partito Socialista abbandonando gli studi per dedicarsi attivamente alla politica. Antonio Gramsci diviene ben presto uno dei protagonisti della storia italiana del ‘900 assommando in sé la figura dell’intellettuale e del dirigente politico. Come dirigente politico la sua presenza si rivela importante nella storia politica del movimento operaio e comunista del Paese, nonché attore diretto di una grande impresa che lo conduce dall’ideazione dell’ “Ordine Nuovo” (settimanale fondato nel 1919) alla nascita e alla definizione della caratteristica essenziale dell’essere comunista in Italia. Con l’ “Ordine Nuovo”, attraverso una sempre più intensa attività giornalistica e politica, affronta il “biennio rosso” appoggiando la costituzione dei consigli di fabbrica a Torino. Nel ’21 partecipa, a Livorno, alla nascita del “Partito Comunista d’Italia” svolgendo, poi, un ruolo guida nel ’26 al congresso di Lione che segnerà indelebilmente il “profilo culturale e l’attitudine politica di fondo del movimento comunista italiano”. Eletto deputato nel 1924, rientra in Italia (dopo aver trascorso due anni a Mosca come rappresentante del Partito Comunista presso la Terza internazionale) fondando “L’Unità”, “quotidiano degli operai e dei contadini”. Il Regime ne stronca la libera iniziativa, ma non riesce a spegnerne il pensiero che, pur in quella lunga e drammatica detenzione nelle sue prigioni, si esprime al punto da realizzare un’opera come i “Quaderni del carcere” che segnerà la cultura del Paese. “Il suo contributo intellettuale resta nella storia delle idee come una tappa saliente, nel pensiero rivoluzionario e nella storia dei marxismi quanto nella storia della filosofia e del pensiero umano”. Nei “Quaderni” vengono affrontate molteplici problematiche di una tale rilevanza storica da essere giunte sino ai tempi attuali ed ancora in gran parte irrisolte: la questione cattolica, la questione meridionale, il rapporto tra gli intellettuali e la formazione della coscienza e dell’identità del Paese. Si comprende così, alla luce della sua opera, la motivazione profonda del suo essere insieme intellettuale e dirigente politico.

Sulla figura di Gramsci si sono confrontati, dopo il saluto delle Autorità e dei vertici politico-istituzionali del capoluogo ibleo, illustri relatori (Attilio Monasta, Giuseppe Campione, Nunzio Zago, Michele Figurelli, Letizia Cutrona, Roberto Tagliavia, Rocco Agnone) i quali hanno riconsiderato la personalità di Gramsci sotto molteplici aspetti (comparto politico, sociale, culturale e letterario). Aldo Tortorella ha concluso la giornata di studi i cui lavori, seguiti da un attento pubblico, sono stati introdotti da Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”) il quale ha posto l’attenzione sull’impegno politico di Gramsci che costituisce la più esaltante passione della sua vita, non essendo mai disgiunto da un profondo interesse per la cultura, “dotato come egli fu di un’eccezionale capacità di ricerca e di elaborazione, nella convinzione che per poter trasformare la società fosse indispensabile una riforma intellettuale e morale”.

 

 

 

 

 

Giornalismo d’inchiesta tra ricerca e coraggio

A Ragusa il viaggio nel giornalismo d’inchiesta attraverso i volti dei cronisti uccisi

 

 

Volti. Nomi. Date. Immagini che si susseguono e che scorrono come fotogrammi scanditi dalla falce del tempo. Figure che emergono dirompenti dall’oblio della memoria. Una memoria sommersa nell’oceano dei giorni scomparsi, a volte riposta in soffitta e, non di rado, bagnata di sangue innocente. Sagome dai colori sbiaditi ma che infondono ancora un’accesa speranza nel cuore di ciascuno. E’ questo il messaggio che trasuda dai 18 pannelli espositivi – che rappresentano altrettanti giornalisti uccisi per aver creduto sino alla fine alla loro professione - facenti parte della mostra tenutasi, dal 26 aprile all’8 maggio, presso i locali dell’Archivio di Stato di Ragusa ed avente per tema “Il giornalismo che non muore. Viaggio nel giornalismo d’inchiesta attraverso le storie dei cronisti uccisi”. Si tratta di “cronisti, di ogni parte del Paese che, lungo 50 anni, hanno offerto significative testimonianze di coraggio professionale, di impegno civile e di dedizione ai principi costituzionali di democrazia e libertà”, questo il messaggio che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha fatto pervenire per l’occasione al Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, dott. Franco Nicastro, intervenuto alla serata inaugurale. “L’esposizione ripercorre vite e testimonianze di diciotto protagonisti della storia degli ultimi cinquant’anni del giornalismo italiano, da Giovanni Amendola a Maria Grazia Cutuli. Gli altri giornalisti cui sono dedicati i pannelli” – puntualizza la dott.ssa Anna Maria Iozzia, direttrice della struttura archivistica iblea – “sono Beppe Alfano, Ilaria Alpi, Enzo Baldoni, Carlo Casalegno, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Piero Gobetti, Peppino Impastato, Guido Puletti, Mauro Rostagno, Antonio Russo, Giancarlo Siani, Walter Tobagi e, non ultimo, Giovanni Spampinato”. Nel discorso introduttivo, il dott. Nicastro, alla presenza delle autorità e dei vertici politico-istituzionali della Città, ha puntato l’attenzione sul profondo significato della mostra che, promossa dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia in sinergica cooperazione con l’Associazione “Ilaria Alpi”, si inserisce nell’ambito del premio “Mario Francese” per lo svolgimento del quale, quest’anno, si è scelto il capoluogo ibleo in memoria di Giovanni Spampinato, corrispondente del quotidiano “L’Ora” di Palermo, ucciso, all’età di 25 anni, il 27 ottobre 1972, nella sua Ragusa. Alla figura di questo giovane e coraggioso cronista ragusano - “assassinato perché cercava la verità”, questo è il titolo della prima pagina del giornale “L’Ora” all’indomani di quella triste sera di 35 anni addietro – è stato dedicato il dibattito che, dopo l’inaugurazione della mostra, si è tenuto presso la sala convegni dell’Avis. “Nella sua città era accaduto un torbido delitto…” – scriveva Vittorio Nisticò quel giorno – “…e Spampinato invece di registrarlo pigramente sulla scorta delle solite veline di polizia si era impegnato ad andare fino in fondo nella ricerca della verità”. Gli interventi programmati del Sindaco di Ragusa (Nello Dipasquale), del Segretario provinciale Associazione della Stampa di Ragusa (Gianni Molè), del Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia (Franco Nicastro), del Presidente Commissione Nazionale Antimafia (Francesco Forgione) e di Alberto Spampinato (giornalista Ansa) hanno impreziosito la serata.

Venerdì 27 aprile la manifestazione culturale si è conclusa – alla presenza del dott. Nicastro, dott. Vittorio Roidi (Segretario dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti), dott. Michele Prestipino (sostituto Procuratore della DDA di Palermo), dott. Renato Cortese (primo dirigente della Polizia di Stato) nonché di numerosi studenti delle scuole superiori di Ragusa – con l’assegnazione delle borse di studio 2007 per le migliori tesi di laurea in giornalismo. Tre i lavori premiati e cinque le segnalazioni. Dieci menzioni di merito, infine, sono state assegnate “ai giornalisti il cui lavoro è stato riconosciuto significativo all’interno della cronaca che riguarda Bernardo Provenzano e che è stato abilmente raccolto in pubblicazioni e libri che ne raccontano la storia”.

 

 

 

 

 

 

“Fonti per la storia di Vittoria”

Mostra documentaria presso l’Archivio di Stato di Ragusa

 

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha organizzato, anche quest’anno, la “Settimana della cultura” (giunta alla IX edizione) che si è svolta su tutto il territorio nazionale dal 12 al 20 maggio 2007. Lo slogan che è stato scelto, “C'è l'Arte per te”, ha inteso sottolineare “la ricchezza e la grande forza vitale della cultura italiana, segnale dell'identità nazionale e rilevante fattore di competitività e crescita per il Paese”. L'evento, che rappresenta la più importante “vetrina” annuale del Ministero, si basa, in particolar modo, sulle attività di promozione e valorizzazione dei luoghi d'arte attraverso molteplici iniziative culturali rivolte ai giovani, all’insegna di una grande festa culturale diffusa sul territorio ed aperta a tutti. Sulla base di tali istanze l’Archivio di Stato di Ragusa, in collaborazione con la Città di Vittoria, ha promosso ed organizzato una mostra documentaria, avente come tema le “Fonti per la storia di Vittoria”, per festeggiare il quarto centenario della fondazione di Vittoria. Nell’ambito delle variegate iniziative che stanno coinvolgendo la città ipparina (conferenze, concerti, spettacoli teatrali, pubblicazioni, ma anche una grande festa di massa e relativa cerimonia istituzionale), sin dall’aprile scorso, ben si inserisce l’esposizione documentaria delle fonti storiche di Vittoria che ha compiuto quattrocento anni di vita. Quattro secoli di storia che, rivisitati attraverso il prezioso carteggio conservato presso la struttura archivistica iblea e presentato in un interessante e ben articolato percorso espositivo presso i locali dell’Archivio di Stato di Ragusa, contribuiscono a dare un’immagine dinamica del territorio urbano sin dai suoi primi vagiti. “Le celebrazioni riguardanti la fondazione di Vittoria” – ha puntualizzato la dott.ssa Iozzia, direttrice dell’Archivio di Stato di Ragusa, nel corso della sua relazione introduttiva – “hanno dato lo spunto per focalizzare l’attenzione sulle testimonianze cartacee dell’Istituto. Esse sono costituite da un lato da documentazione proveniente da Uffici ed Enti che hanno operato a Vittoria quali Corporazioni religiose soppresse, Giudicato circondariale, Notarile, Pretura, Stato civile, Esattoria comunale, solo per citarne alcuni; e, dall’altro, da archivi prodotti da Strutture che hanno operato a vario titolo in tutta la provincia di Ragusa. Quest’ultimo comparto è rappresentato da archivi in cui esistono una o più serie specifiche per Vittoria (quali la Contea di Modica, Catasto provvisorio siciliano, Ufficio metrico e del saggio) e archivi in cui le indicazioni su Vittoria si trovano in maniera discontinua (Archivio De Leva, Archivio Grimaldi, Archivio Tedeschi, Corte di Assise di Modica, Gran Corte criminale di Siracusa, Prefettura, etc.)”. Numerose sono le opere che ragguagliano, in maniera seria e puntuale, in ordine alle vicende storiche che hanno caratterizzato la nascita della Città di Vittoria. Autorevoli ricercatori come Paolo Monello e Giuseppe Raniolo hanno fatto luce, con la pubblicazione a stampa dei loro studi, su diversi momenti che hanno accompagnato l’evolversi della città ipparina attingendo dati e notizie da diverse fonti archivistiche tra cui le “Lettere Patenti”, i “Volumi di lettera”, le “Cautele”, i “Conti degli amministratori e dei tesorieri” nonché diversi volumi del fondo notarile di Modica. Le varie fasi della fondazione di Vittoria, nel corso del XVII secolo ed il suo continuo sviluppo nei secoli successivi, sono scanditi dai vari documenti (lettere, volumi, mappe, manifesti, rassegna stampa del Novecento) esposti. Il documento più antico risale ai primi anni del ‘600. Si tratta della lettera, datata 25 novembre 1603, inviata da “Donna Vittoria Colonna Duquessa de Medina y Condessa de Modica”, residente a Valladolid, a Scipione Celestre (Conservatore del Patrimonio), nella quale si prende in considerazione la possibilità – suggeritale dallo stesso Celestre – di costruire “casillas” (“casette”) in Boscopiano per seminare la terra e ottenerne tratte (Sez. Arch. di Stato-Modica, Archivio della Contea di Modica, “Volume di Lettere Patenti, V, c. 155 r.). Inizia così la nascita della città di Vittoria sancita, ufficialmente, nel 1607 come si può rilevare dalla copia del privilegio (che si trova in un altro registro delle “Lettere Patenti”, reg. VI, cc. 266r – 268v) dello ius populandi predisposto – a seguito della richiesta (6 maggio 1606) della duchessa Vittoria Colonna – dal viceré Lorenzo Suarez, duca di Feria, presentato (24 maggio 1606) al Consiglio per le cause patrimoniali, firmato a Madrid il 31 dicembre da Filippo III e registrato a Palermo nel 1607. Il percorso espositivo attraverso i secoli continua con altri numerosi e preziosi documenti come, ad esempio, alcune straordinarie mappe catastali che tracciano la storia dell’impianto urbanistico della città (tra le più interessanti quelle del Catasto terreni e fabbricati, istituito con la legge 1 marzo 1886 n. 3682 che sostituì i catasti degli Stati pre-unitari con un catasto unico, e quelle databili tra gli anni ’30 e ’50 del secolo scorso).

Alla serata inaugurale, tenutasi il 16 maggio scorso, sono intervenuti il Prefetto ed il Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Ragusa. Viva soddisfazione è stata espressa dal Sindaco di Vittoria, ospite d’eccezione insieme allo storico Paolo Monello, formulando “un ringraziamento duplice sia per l’interessamento della dott.ssa Iozzia presso il Ministro per i BB. CC. al fine di concedere alla Città il patrocinio del Ministero, sia per l’opportunità concessa a Vittoria riguardo all’inserimento della mostra documentaria all’interno della Settimana della Cultura”.

A corredo della mostra – che rimarrà aperta fino al 16 giugno (lun./sabato ore 9-12; mart./ven. 9-12 e 15-17) – è stato approntato un utilissimo opuscolo che rappresenta un’ottima guida al percorso espositivo nonché utile compendio allo studio sulla città ipparina attraverso anche la specifica dei variegati fondi archivistici che rappresentano la memoria del passato.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

GIUGNO 2007

 

 

A Ragusa Giornata Nazionale di Studi promossa dal Centro Studi “F. Rossitto”

Antonio Gramsci nella vita del XX secolo

 

Ho incominciato a lavorare da quando avevo 11 anni, guadagnando ben 9 lire al mese […] per 10 ore al giorno compresa la mattina della domenica e me la passavo a smuovere registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo”. Queste le amare e tristi riflessioni che emergono dalla “Lettera a Tatiana Schucht” scritta il 3 ottobre 1932 da Antonio Gramsci che oggi è la figura, fra i 250 autori di tutto il mondo, più citata e studiata nella letteratura umanistica internazionale. Ciò è dovuto alle sue “Lettere dal carcere” e “Quaderni del carcere” che rappresentano un classico del pensiero del ‘900.

A settant’anni dalla scomparsa di Gramsci (1891-1937) il Centro Studi “F. Rossitto”, in cooperazione con l’Istituto Gramsci di Palermo ed Assessorato Regionale Beni Culturali, ha promosso ed organizzato una rilettura al suo pensiero ed alla sua vita attraverso un Giornata Nazionale di Studi tenutasi recentemente presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Catania - sede di Ragusa Ibla. Tema principe del convegno, su cui peraltro è ruotato il magistrale intervento di Aldo Tortorella, è stato “Antonio Gramsci nella vita del XX secolo: l’uomo, il politico, il pensatore”. Azione, lotta e pensiero sono le coordinate su cui inquadrare la figura di Gramsci che “fu un uomo politico e nella politica risiede l’unità della sua opera”. La sua infanzia si rivela abbastanza dura sia per le ristrettezze economiche in cui versano i suoi sia per il suo cagionevole stato di salute. Dimostrando una singolare disposizione agli studi, dopo aver conseguito con molti sacrifici la licenza liceale a Cagliari (1911), si trasferisce a Torino per iscriversi alla facoltà di Lettere di quella Università. Contemporaneamente agli studi - seguiti con grande intensità, sebbene siano persistenti le difficoltà pecuniarie correlate alle precarie condizioni fisiche - si avvicina in quegli anni al movimento operaio torinese attraverso anche la sua collaborazione ad un giornale socialista locale, “Grido del Popolo”, di cui ben presto è redattore. Ben presto l’attività politica di Gramsci diviene sempre più intensa nella sezione moltiplicando i suoi contatti con gli operai delle fabbriche. Dal 1915 fino all’arresto (1926) Gramsci svolge un’incessante attività giornalistica in cui emerge l’impegno a mantenere vivo il nesso fra teoria e cronaca politica. Il reciproco confronto fra cultura e politica, che nel pensiero gramsciano rappresenta la regola stessa dell’informazione giornalistica, è applicata al rapporto fra il giornale e il suo pubblico. Educare le masse per cercare di formare una “coscienza politica moderna” è l’obiettivo di quello che lui definisce giornalismo “integrale”, ovvero un “giornalismo educativo” che non solo sappia “soddisfare i bisogni del lettore” ma anche “creare e sviluppare questi bisogni”. Nel 1919 fonda il giornale “L’Ordine Nuovo” che diviene espressione del movimento operaio torinese. Nel corso di quegli anni, la sempre più accentuata critica gramsciana con la direzione del Partito socialista porta all’elaborazione di un nuovo programma politico che sfocia nella fondazione di un nuovo partito, il “Partito Comunista d’Italia”. Dopo le esperienze internazionali (due anni trascorsi a Mosca come rappresentante del Partito Comunista presso la Terza internazionale), rientra in Italia dove, il 12 febbraio 1924, fonda il giornale “l’Unità” che si propone, come lui stesso scrive, la “unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo”. Eletto deputato nel 1924, il Regime pone fine alla sua ininterrotta e fervida attività politica sottoponendolo ad un dura, lunga ed estenuante restrizione carceraria (1926-1937). E’ in quegli anni che emerge, ancora più forte, la grande personalità di Gramsci. Si rivela così un “combattente politico, un riformatore europeo e un grande italiano”. “Non si possono leggere i suoi carteggi e tanto meno si può intendere il pensiero consegnato ai ‘Quaderni’ distaccandoli dalla sua biografia e dalle lotte politiche che la segnarono. Ma esso trascende la sua vita e quanto più trascorre il tempo, e le sue opere si diffondono in contesti storico culturali lontani da quello in cui furono originariamente concepite, tanto più la sua ricerca si afferma come un ‘crocevia’ delle maggiori ‘quistioni’ del Novecento”.

Sulla figura di Gramsci si sono confrontati - dopo il saluto dei vertici politico istituzionali di Ragusa - illustri relatori (Attilio Monasta, Giuseppe Campione, Nunzio Zago, Michele Figurelli, Letizia Cutrona, Roberto Tagliavia, Rocco Agnone) i quali hanno riconsiderato il pensiero di Gramsci nella storia sociale del Paese. Aldo Tortorella ha concluso il convegno i cui lavori, seguiti da un attento pubblico, sono stati introdotti da Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”) il quale ha posto l’accento sull’impegno politico e letterario di Gramsci esplorandone i diversi aspetti del suo messaggio intellettuale.

 

 

 

 

“Lungo i sentieri di Angkor”

Al Centro Studi “F. Rossitto” una interessante mostra fotografica

di Francesco Lucania

 

Giganteschi visi che inquietano e nello stesso tempo calmano, agitano e rassicurano poiché nello sguardo d’amore di quei volti c’è il grande cuore della piccola Cambogia”. Inizia così il fascinoso itinerario fotografico, “Lungo i sentieri di Angkor”, proposto da Francesco Lucania, recentemente ospitato presso i locali del Centro Studi “F. Rossitto” e con un percorso espositivo che porta direttamente al cuore della tematica trattata. Immagini che conducono verso un’area lontana diverse migliaia di chilometri, in un meraviglioso posto del pianeta Terra in cui l’arte, l’architettura e l’opera umana si miscela, in una giusta proporzione, con la natura. L’aria che si respira è impregnata della cultura del luogo dando così origine ad un ambiente in cui passato e presente si compenetrano, si intrecciano in un continuo divenire e dove l’occhio sembra perdersi in un’affascinante e maestosa “foresta di pietra” che si estende in un’immensa area di oltre 250 kmq ricoperta da una millenaria vegetazione tropicale. La visione, dal sapore magico, di maestosi templi e figure minuziosamente scolpite, stretti tra gli artigli di enormi e secolari alberi, lascia senza fiato. Tutto questo è Angkor, in Cambogia, immortalata dalla moderna macchina fotografica di Francesco Lucania, operatore culturale, accanito “viaggiatore del mondo”, appassionato “divoratore” di libri e bibliotecario presso l’Istituto ”P. Gobetti” di Torino.

Nella particolare, sofisticata e magica bellezza di Angkor vi è qualcosa di profondamente semplice, di archetipo e di naturale che arriva direttamente al cuore di ciascuno senza dover passare per la testa. In ogni suo angolo, in ogni sua scultura vi è una sua intrinseca grandezza della quale uno finisce per portarsi dietro la particolare maestosità” – puntualizza il critico Diego Guadagnino, a cui è stata affidata la presentazione della mostra seguita da un attento pubblico - “ed è questo che Francesco Lucania, con il suo clic, vuole rappresentare scavando anche nelle sensazioni che si provano visitando quei luoghi impregnati ancora di quella sacralità originaria che ha contraddistinto quella popolazione oltre nove secoli addietro”. Tra il IX e il XII secolo l'Indocina vede sorgere uno degli imperi più potenti e fecondi della sua storia: quello dei Khmer, la cui espressione più stupefacente è offerta dai templi e dall'intreccio di canali della piana di Angkor. Il ricco materiale fotografico di Francesco Lucania aiuta il visitatore ad immergersi in quella giungla che ha divorato i templi, muraglioni e torri imponendo radici, come gigantesche colonne, sulle sculture dell’uomo. Dall’VIII al XII secolo d. C., Angkor è sede dell'Impero Khmer, l’attuale popolo della Cambogia di oggi. I suoi confini, riferiti alle più recenti aree geografiche, partivano dal Sud Vietnam allo Yunan cinese e terminavano verso ovest alla Baia del Bengala. Quando, nel 1862, il naturalista francese Henri Mouhot, per un evento fortuito, capita fra le rovine di un’immensa e fantastica città abbandonata, ha non poche difficoltà a comprendere di cosa si trattasse in quanto pur chiedendo informazioni ai contadini stessi di quell’area, avevano essi stessi dimenticato le loro origini. I regnanti Khmer, la cui punta massima del loro splendore è raggiunta tra il X ed il XII secolo d. C., nati dalla culla dell’induismo sanno unire e raccogliere le sollecitazioni del “nuovo mondo” buddista e fonderle con una ineguagliata grazia. L’architettura khmer aderisce al concetto del tempio-montagna, dove la montagna è rappresentata da una torre con la cima arrotondata posta su una base a gradoni e alla cui sommità sorgeva il santuario centrale, con ingresso rivolto generalmente ad oriente. Una mostra fotografica, dunque, che ha accompagnato i visitatori alla scoperta di un mondo tanto importante per la cultura orientale e così tanto poco conosciuto da quella occidentale racchiuso da Francesco Lucania in quell’ “attimo poetico impresso sulla pellicola”.

 

 

 

 

Territorio ibleo e Malta

Un gemellaggio di tradizioni e feste religiose

 

Un affascinante tuffo tra cultura, tradizioni e fede alla riscoperta delle consuetudini più antiche, delle radici e dei simboli di ogni celebrazione popolare, fra carri trionfali, santi a cavallo, fuochi d’artificio, sfilate meste o a passo veloce. Un itinerario in cui devozione e folklore rappresentano i punti di riferimento per scoprire una dimensione che rappresenta la reale coscienza ed anima di due popoli che, sebbene divisi dallo stesso mare, conservano la stessa identità religiosa. Questo, in estrema sintesi, l’intimo significato della rassegna espositiva che ha caratterizzato la mostra fotografica avente per oggetto “Le feste di Ibla e di Mosta”, tenutasi dal 1° al 4 giugno presso l’ex chiesa di Sant’Antonino. L’evento culturale rientra nell’ambito del progetto SMART “Sicilia del Sud-Est-Malta: radici comuni e tradizioni popolari e religiose”, relativamente al programma di cooperazione transfrontaliera (Sicilia-Malta) che vede il Comune di Ragusa come “partner capofila”. Scopo principale del progetto, finanziato dall’Unione Europea, è quello di valorizzare le radici e le tradizioni storiche, comuni alle due sponde (l’area sud-est della Sicilia, in particolare il territorio ibleo, e Mosta, in territorio maltese), quale elemento chiave e strategico di sviluppo socio-economico volto a confrontare, mettendo in luce gli elementi comuni, le identità locali, la diffusione della conoscenza reciproca delle radici e delle tradizioni. In tal senso si è voluto rafforzare tale obiettivo inserendo la mostra nell’ambito delle manifestazioni tenutesi in occasione dei solenni festeggiamenti in onore di San Giorgio martire a Ragusa-Ibla. Il tema dell’itinerario fotografico è incentrato sulle feste religiose a Ibla e su quella di Santa Maria Assunta a Mosta, città maltese recentemente gemellata con Ragusa. Curatore della mostra – i cui particolari tecnici sono stati affidati all’Associazione “Siciliy is One” - è Vincenzo Giompaolo, accanito fotoamatore nonché studioso delle tradizioni popolari siciliane (autore di molteplici opere a stampa; la più recente “San Giuseppe in Sicilia. Altari, cene, tavolate”), che è anche l’autore delle foto ragusane, mentre Pierre Vella e Joseph Sammut sono invece gli autori delle fotografie relative alla chiesa di San Giorgio di Rabat a Gozo e di quelle ambientate presso il Mosta Dome. “Si tratta di fotografie che ritraggono un particolare momento delle feste religiose” – puntualizza Vincenzo Giompaolo – “in cui il sacro e profano rappresentano la sottile linea di confine di tutte le celebrazioni popolari, retaggio di antiche culture. Esse rappresentano un intenso e solido momento di aggregazione della comunità che si ritrova attorno a degli ideali e valori rivenienti da tradizioni ultrasecolari. E’ per questo che una festa religiosa assume quasi una stessa valenza sia a Ibla che a Mosta. Due territori i cui intimi valori affondano certamente nelle stesse radici religiose. Tante sono le sfaccettature delle feste religiose, a volte eccessive nei colori, nelle luci, negli addobbi e persino nelle ‘regole’ culinarie ma che convergono in un’unica anima sensibile ad una religiosità millenaria”. Un viaggio, dunque, attraverso i clic iblei e maltesi alla ricerca di quel microcosmo ricco di fervore che è insito nell’animo di ogni uomo.

 

 

 

 

Destini che si intrecciano “nel luogo delle tavole”

Presentato al Centro Studi “F. Rossitto” il libro di Giovanni Occhipinti

 

 

Un intreccio di eventi, tempi e destini in cui i personaggi si trovano catapultati in una caleidoscopica voragine che tenta di spingerli in quella “irreversibile dissolvenza della vita” sopraffatta dall’incertezza del domani, “un altro luogo e un altro tempo”. Una narrazione nella narrazione in cui i personaggi si trovano collocati nel loro “tempo”, ma proiettati nel presente. Un congegno narrativo che coinvolge il lettore fin dalle prime righe instaurando, tra narratore e fruitore, un legame interessante basato su una sorta di complicità che è uno degli aspetti più interessanti del libro.

Sono questi, in estrema sintesi, gli ingredienti su cui ruota la tematica affrontata da Giovanni Occhipinti - poeta, scrittore e critico letterario tra i più apprezzati – nella sua recente fatica letteraria “Nel luogo delle Tavole” (Iride Edizioni, gruppo Rubbettino, pp. 115), che chiude la trilogia iniziata nel 1996 con la pubblicazione di “Delirio di un vagabondo” (S.E.I.) e proseguita con “Giustificati nel suo sangue” (Marsilio, 2000). Il racconto si svolge su tre differenti, e tra loro complementari, piani narrativi, nei quali agiscono personaggi che si trovano tutti, allo stesso modo, di fronte alle problematiche dell’umana esistenza e alla ricerca della propria identità spirituale attraverso la tortuosa via della sofferenza. Nell’intrecciarsi di eventi e tempi, emerge la figura della greca Chrisia di Mitilene che, vissuta tra il VII e il VI secolo a. C., “era stata una fanciulla e una donna di grande complessità e profonde inquietudini, sin quasi ai limiti della caratterialità”. La vita di questa ragazza madre, cortigiana ed avventuriera, si incrocia, in una dimensione temporale parallela, con le vicende di Fernande, una pimpante francesina che, col suo “fascino vizioso”, seduce e si lascia sedurre da Antonio Maria de Rubeis, vedovo ed accanito frequentatore dei postriboli parigini, che nel corso delle sue ricerche archeologiche scopre la tomba di Chrisia riesumando, dall’oblio del tempo, reperti e documenti di un passato che diventa presente onirico. Un racconto nel racconto dove i personaggi prendono corpo dalla penna dello scrittore Gianandrea Martuzzi sopraffatto da affannosi interrogativi che emergono, con un fascino dirompente, dalla sua intensa lettera a Joanna, suo antico amore. Immagini, ricordi, sfumature che si intersecano e si riflettono come in uno specchio dentro cui è catapultato anche il lettore attratto dall’aggancio delle tre costruzioni narrative.

Il volume è stato recentemente presentato al Centro Studi “F. Rossitto”, alla presenza di un folto ed attento pubblico. “Si tratta di un’opera che si aggiunge al già variegato, prezioso e cospicuo universo letterario in cui si muove il prof. Giovanni Occhipinti”, ha puntualizzato il Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”, on. Giorgio Chessari, nel corso del suo intervento introduttivo. Seguitissima si è rivelata la puntuale ed interessante relazione principe del prof. Carmelo Mezzasalma (critico letterario, direttore responsabile della rivista “Feeria”, Panzano - FI) che ha tracciato le linee guida della struttura narrativa del volume di Occhipinti, facendo piena luce sulle caratteristiche letterarie dell’opera. Di grande spessore si sono rivelati gli interventi programmati della serata che sono stati curati da padre Alessandro Andreini (Pieve di San Leonino, Diocesi di Fiesole), dal prof. Andrea Guastella (critico letterario) e dal dott. Emanuele Schembari (giornalista). La serata si è conclusa con la lettura di alcuni toccanti brani del libro, proposti dal bravissimo attore e regista Giorgio Sparacino (Teatro Utopia), anticipati da un breve e sapiente commento dell’Autore.

 

 

 

 

 

 

“MusicArte”: mostra storico documentaria all’Archivio di Stato di Ragusa

La cultura musicale nelle carte d’archivio

 

Carte d’archivio accarezzate da note musicali che, riesumate dall’oblio del tempo, fanno viaggiare l’animo sulle ali della melodia. Due secoli di storia modicana ripercorrendo la cultura musicale di questo lembo di Sicilia che tanto lustro ha dato nei vari campi della cultura. Un excursus storico che, attraverso la musica, rappresenta una sorta di linguaggio universale con cui si possono veicolare messaggi e contenuti di altissimo significato e superare barriere culturali, politiche ed economiche fornendo stimolo e occasione di socialità. Sulla base di tali istanze, aderendo all’iniziativa annuale - dal titolo “Festa europea della Musica”, giunta ormai al dodicesimo anno di età - il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha promosso, con lo slogan “MusicArte”, il coinvolgimento della Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo e di tutti i propri Istituti centrali e territoriali per consentire la realizzazione di eventi culturali nei propri luoghi d’arte. Anche quest’anno l’Archivio di Stato di Ragusa - attraverso l’impegno profuso dalla direttrice, dot.ssa Anna Maria Iozzia, coadiuvata dai suoi instancabili collaboratori - ha predisposto, nei propri locali, una mostra documentaria avente per oggetto “La cultura musicale a Modica tra ‘800 e ‘900” attraverso la documentazione conservata nell’Archivio e nella Biblioteca della famiglia De Leva di Modica. Il percorso espositivo, appositamente predisposto per l’occasione, ha tenuto conto del prezioso e vetusto carteggio attraverso un viaggio nel tempo, a cavallo tra i secoli XIX e XX, scandagliando e ricercando dati e notizie rivenienti dai fondi privati o conservati dall’Amministrazione archivistica: spartiti e pubblicazioni musicali, disegni, stampe, riviste e locandine. Documenti che fanno luce non solo sulle “abitudini” musicali modicane di quel periodo ma anche sulle opere, a volte “dimenticate”, di nostri illustri conterranei. Si parte dai “metodi diversi per lo studio del pianoforte” (Arch. di Stato Rg, Sez. Modica, Biblioteca De Leva) con opuscoli e libri che si rivolgono agli “studiosi del pianoforte”. Esposto, tra gli altri, il trattato di Beniamino Cesi (1845-1907), pubblicato nei primi anni del ‘900, contenente “esercizi dettati in classe giorno per giorno ed allo scopo di correggere e vincere i difetti… naturali delle mani”. Seguono gli opuscoli riguardanti diverse opere del Verdi (“Aida”, “Il Trovatore”, “La Forza del Destino”); testi e musiche di Autori vari (dal 1916 al 1926), appartenenti sempre alla famiglia De Leva, quali “La Duchessa del Bal Tabarin” (“Duetto degli Sponsali” e “Valzer dei campanelli”, Napoli 1916, costo “centesimi 20”), “Passa una donna” (tratto da “La Canzone Napoletana”, rivista artistica, letteraria, musicale diretta da Ferdinando Russo, Napoli 1916, costo “Cent. 15”, versi di Eduardo Scala, musica di Oscar Cattedra). Di particolare rilievo alcuni libretti, tra cui “Tory” (dramma lirico in un atto stampato, nel 1914, dalla “Prem. Stab. Tip. G. Maltese”), pubblicati dal maestro modicano Pietro Floridia (1860-1932), noto in ambito locale e nazionale sia come concertista e direttore d’orchestra che come compositore.

La mostra, inaugurata il 21 giugno e chiusa a fine mese, ha dato la possibilità di apprezzare la “vivace” cultura musicale in terra iblea, avuto riguardo al cospicuo materiale conservato presso l’Archivio di Stato di Ragusa, fornendo spunti non solo per ulteriori ricerche ma anche per tentare di promuovere una “storia della musica iblea” attraverso i documenti d’archivio.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

LUGLIO 2007

 

 

La cultura musicale nelle carte d’archivio

“MusicArte”: mostra storico documentaria all’Archivio di Stato di Ragusa

 

 

Carte d’archivio accarezzate da note musicali che, riesumate dall’oblio del tempo, fanno viaggiare l’animo sulle ali della melodia. Due secoli di storia modicana ripercorrendo la cultura musicale di questo lembo di Sicilia che tanto lustro ha dato nei vari campi della cultura. Un excursus storico che, attraverso la musica, rappresenta una sorta di linguaggio universale con cui si possono veicolare messaggi e contenuti di altissimo significato e superare barriere culturali, politiche ed economiche fornendo stimolo e occasione di socialità. Sulla base di tali istanze, aderendo all’iniziativa annuale - dal titolo “Festa europea della Musica”, giunta ormai al dodicesimo anno di età - il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha promosso, con lo slogan “MusicArte”, il coinvolgimento della Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo e di tutti i propri Istituti centrali e territoriali per consentire la realizzazione di eventi culturali nei propri luoghi d’arte. Anche quest’anno l’Archivio di Stato di Ragusa - attraverso l’impegno profuso dalla direttrice, dot.ssa Anna Maria Iozzia, coadiuvata dai suoi instancabili collaboratori - ha predisposto, nei propri locali, una mostra documentaria avente per oggetto “La cultura musicale a Modica tra ‘800 e ‘900” attraverso la documentazione conservata nell’Archivio e nella Biblioteca della famiglia De Leva di Modica. Il percorso espositivo, appositamente predisposto per l’occasione, ha tenuto conto del prezioso e vetusto carteggio attraverso un viaggio nel tempo, a cavallo tra i secoli XIX e XX, scandagliando e ricercando dati e notizie rivenienti dai fondi privati o conservati dall’Amministrazione archivistica: spartiti e pubblicazioni musicali, disegni, stampe, riviste e locandine. Documenti che fanno luce non solo sulle “abitudini” musicali modicane di quel periodo ma anche sulle opere, a volte “dimenticate”, di nostri illustri conterranei. Si parte dai “metodi diversi per lo studio del pianoforte” (Arch. di Stato Rg, Sez. Modica, Biblioteca De Leva) con opuscoli e libri che si rivolgono agli “studiosi del pianoforte”. Esposto, tra gli altri, il trattato di Beniamino Cesi (1845-1907), pubblicato nei primi anni del ‘900, contenente “esercizi dettati in classe giorno per giorno ed allo scopo di correggere e vincere i difetti… naturali delle mani”. Seguono gli opuscoli riguardanti diverse opere del Verdi (“Aida”, “Il Trovatore”, “La Forza del Destino”); testi e musiche di Autori vari (dal 1916 al 1926), appartenenti sempre alla famiglia De Leva, quali “La Duchessa del Bal Tabarin” (“Duetto degli Sponsali” e “Valzer dei campanelli”, Napoli 1916, costo “centesimi 20”), “Passa una donna” (tratto da “La Canzone Napoletana”, rivista artistica, letteraria, musicale diretta da Ferdinando Russo, Napoli 1916, costo “Cent. 15”, versi di Eduardo Scala, musica di Oscar Cattedra). Di particolare rilievo alcuni libretti, tra cui “Tory” (dramma lirico in un atto stampato, nel 1914, dalla “Prem. Stab. Tip. G. Maltese”), pubblicati dal maestro modicano Pietro Floridia (1860-1932), noto in ambito locale e nazionale sia come concertista e direttore d’orchestra che come compositore.

La mostra, inaugurata il 21 giugno e chiusa a fine mese, ha dato la possibilità di apprezzare la “vivace” cultura musicale in terra iblea, avuto riguardo al cospicuo materiale conservato presso l’Archivio di Stato di Ragusa, fornendo spunti non solo per ulteriori ricerche ma anche per tentare di promuovere una “storia della musica iblea” attraverso i documenti d’archivio.

 

 

 

 

 

L’Eroe dei Due Mondi in mostra all’Archivio di Stato di Ragusa

 

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, ha promosso una serie di eventi culturali (convegni, visite guidate, proiezioni, laboratori) coinvolgendo anche le strutture archivistiche attraverso molteplici iniziative comprendenti l’esposizione di materiale documentario attestante l’incessante attività politica ed operativa che ha caratterizzato il periodo pre-unitario.

“Da Marsala a Napoli attraverso bollettini di guerra, giornali e lettere”, è il titolo dato alla mostra storico-documentaria proposta ed organizzata dall’Archivio di Stato di Ragusa il 4 luglio scorso, con un’apertura straordinaria dalle ore 19,00 alle ore 22,00. “Si tratta di un percorso espositivo” – ha puntualizzato la dott.ssa Anna Maria Iozzia (direttrice dell’Archivio di Stato di Ragusa), nel corso della serata inaugurale - “che ripercorre le tappe più significative delle attività operative di Garibaldi, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita, durante la spedizione dei Mille”. Momenti storici importanti di cui le carte d’archivio cercano di far luce rievocandone le problematiche del periodo. A tale proposito l’Archivio di Stato di Ragusa espone, per l’occasione, carteggi rivenienti dall’Archivio della famiglia De Leva, rappresentati da bollettini di guerra, lettere e giornali d’epoca il cui nucleo centrale è costituito dalle carte dell’abate Giuseppe De Leva, personaggio ibleo di rilievo tra esponenti del Risorgimento siciliano. Tale documentazione - che sarà fruibile sino a metà luglio - rappresenta solo un modesta parte della sezione documentaria di più ampio raggio che sarà organizzata il prossimo autunno nell’ambito di una ben più articolata manifestazione culturale sull’Eroe dei Due Mondi, già in corso di programmazione da parte dell’Archivio di Stato di Ragusa (http://www.archivi.beniculturali.it/ASRG).

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

SETTEMBRE 2007

 

 

La “Sfinge” a Ragusa

Scultura donata alla Città dal maestro Franco Cilia

 

Da qualche settimana Piazza Vann’Antò, meglio conosciuta dai ragusani come Villa Pax, accoglie, al centro della rotatoria, una scultura donata alla Città dal Maestro Franco Cilia. L’opera artistica, intitolata “Sfinge”, dopo essere stata esposta per oltre un trentennio in musei e gallerie di prestigio (fra cui il MASP di San Paulo in Brasile, la galleria Pananti di Firenze, Chambre de Commerce Italienne Parigi) ha trovato giusta collocazione proprio nel territorio in cui è “nata”. Foggiata dalla mente artistica di Cilia, la scultura sprigiona un “fascino misto ad inquietudine”. Così si esprime Mario Luzi nel lontano 1977, in occasione dell’esposizione parigina dell’opera di Cilia dalla quale traspare quell’arte siciliana caratterizzata da quella “esplosione” di luce che riempie il paesaggio in ogni sua componente. Cilia “lo fa attraverso le immagini della sua pittura e nello stesso tempo attraverso le pietre che le montagne attorno alla sua città iblea gli fanno trovare” già modellate “da qualche potenza sotterranea…”. E’ il “frutto” di una terra martoriata da secolari lotte “saracene”, accarezzata da dorate spiagge e lambita da mare africano le cui spume brillano ancora sotto i cocenti raggi solari lasciando che la salsedine “condisca” gli scogli corrotti dalla ingiuria del tempo. E’ il misterioso “respiro” di questo lembo sud-orientale di Sicilia ad infondere quel movimento tellurico di vetusta memoria che “sprigiona aspetti inquietanti” e che viene percepito dall’orecchio “artistico” di Cilia. Sta in questo l’aspetto più interessante dell’artista che riesce a “parlare” con le sue “creature” fornendo loro le giuste “folgorazioni cromatiche” e “nel saper togliere dalla pietra il superfluo con sapienti e mirati colpi di scalpello e subbia”. Sulla base di tali istanze la “Sfinge” iblea, collocata nella rotatoria di Villa Pax, è la singolare attestazione di come l’arte può diventare anche “arredo urbano”.

Con il Maestro Franco Cilia la Redazione di “Insieme” ha scambiato due chiacchiere.

 

-Quando e, soprattutto, com’è nata la sua “Sfinge”?

E’ nata alla fine degli anni Sessanta. La mia ricerca in  quel momento era centrata sul mistero antropomorfo delle pietre della nostra terra. Ero tentato di rinnovare il miracolo di Deucalione con il mio intuito animatore… Michelangelo si innamorava dei pezzi di marmo che andava a scegliere nelle cave di Carrara. Diceva : “io levo il superfluo, la statua è dentro”. Così io setacciavo la campagna, le montagne iblee, alla ricerca delle sue ossa, toglievo il superfluo a pietre che avevano tutto dentro. La pietra è il testimone stabile, l’elemento primitivo oltre a cui l’obbiettività non può spingersi e credo che esse siano adatte ad arredare lo spazio urbano creato dalle provvidenziali rotatorie della nostra città. Se richiesta, potrei continuare con la donazione…

 

-In una recente intervista ha affermato che “quando si arriva ad una certa età” la cosa più bella per un artista è quella di “regalare qualcosa alla sua città”. L’animo di Cilia risente dell’età?

Certo che risento l’età. E’ normale, quando gli anni contano il tocco e senti l’orizzonte della vita farsi sempre più vicino. Arriva puntuale l’ora dei bilanci e non sempre i conti tornano. Ma questo accade a tutti, soltanto che negli artisti il tutto viene filtrato da una sensibilità diversa. Io ho avuto in dono da Dio la creatività, trovo giusto restituire parte di quello che ho avuto in dote alla mia città.

 

-La recente mostra dedicata al pensiero del filosofo modicano Carmelo Ottaviano, intitolata “Tra finito e infinito” (Castello di Donnafugata, 4 agosto – 15 settembre) ha riscosso vasto successo. Qual è il punto di incontro tra arte e filosofia?

Il punto di incontro fra arte e filosofia è legato dal bisogno incessante dell’uomo di indagare il lato metafisico dell’esistenza. Mentre il filosofo ha l’urgenza della ricerca della verità, che altro non è - per dirla con Alessandro Ghisalberti - se non la perfetta adeguazione delle forme alle idee, all’intelletto che le attiva e a quello che le conosce, per il pittore la ricerca della luce, degli spazi e dei luoghi non spazialmente circoscrivibili sono determinanti, come determinante nel mio caso è stato l’incontro con il pensiero filosofico di Carmelo Ottaviano, che mi è stato presentato da Francesco Rando a cui si deve la riscoperta di questo grande personaggio ibleo. E poiché nessuna nave ci può condurre dove ci conduce la pagina di un libro, immaginate dove  mi ha condotto la “scatola magica” che contiene il pensiero filosofico di Carmelo Ottaviano sul tema dell’Infinito. Mi ha portato lontano, oltre i confini del visibile.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

OTTOBRE 2007

 

 

L’immutabilità delle antiche prerogative nella controversia

tra la Contea e la Corona sabauda

 

Presentato il libro di Giuseppe Chiaula

 

“Questa ricerca, che non è solo del magistrato ma storico-giuridica, è un’originale rivisitazione storico-critica che apre nuove vie alle ricerche di micro-storia. In altri termini, l’approccio tematico multi-disciplinare di diritto e di politica è una nuova via. La Contea di Modica agli albori del ‘700 si colloca al confine tra storia e micro-storia, tra contesto e prospettiva di ampio respiro, processo magmatico di evoluzione delle nuove questioni sia di cultura che politico-diplomatiche presenti in Europa”. E’ questo l’incipit della relazione curata dal prof. Luciano Nicastro (Docente di Sociologia delle Migrazioni all’Università LUMSA di Roma-Caltanissetta) alla presentazione del libro di Giuseppe Chiaula, “Il Regime Comitale di Modica nel rapporto con la Corona” (La Biblioteca di Babele Edizioni, pp. 138), recentemente tenutasi a Modica, promossa ed organizzata dall’Associazione culturale “La Biblioteca di Babele” in sinergia con Club ‘83, Lions, Rotary e Comune di Modica. A fare da splendida cornice al dialogo culturale, seguito da un folto ed attento pubblico, avente per tema la “Contea di Modica nel 1700”, è stato il Palazzo della Cultura, fino a qualche anno fa sede del Tribunale di Modica e già sede del Monastero di S. Benedetto (XVII secolo). Alla presentazione del saggio, presieduta dal dott. Michele Duchi (Presidente del Tribunale di Ragusa), sono intervenuti altri due illustri studiosi: il prof. Giacomo Pace Gravina (Ordinario di Storia del Diritto Medievale e Moderno nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina) ed il dott. Giancarlo Poidomani (Ricercatore dell’Università di Catania).

L’Autore, modicano ma residente da diverso tempo nell’Urbe dove ha esercitato varie funzioni giuridiche (giudice; Magistratura della Corte dei Conti; ha il Titolo Onorifico ufficiale di “Presidente della Corte dei Conti”), non è nuovo a questo tipo di saggistica (cfr. “Il mistero dei nove” e “Addizioni a Il mistero dei nove”, Setim, Modica 1998-2001). La sua capacità di argomentare su dispute per le quali si impone una conoscenza anche degli aspetti squisitamente giuridici pone il lettore in un continuo confrontarsi con le proprie conoscenze facendo luce su determinati aspetti, talora specialistici, quale la controversia politico-diplomatica insorta fra la Contea e la Corona sabauda incentrata proprio sulla “consistenza” delle prerogative comitali.

I primi decenni del XVIII secolo segnano per la Contea di Modica un momento significativo e gravido di conseguenze per l’assetto politico-istituzionale che andrà a conseguire. I momenti salienti dei movimentati passaggi dinastici di primo ‘700, che portano sul trono siciliano il francese Filippo V (1683-1746) e poi il piemontese Vittorio Amedeo II di Savoia (1666-1732), incidono profondamente sulla realtà politica del territorio comitale. In conseguenza delle mutate esigenze burocratico-amministrative l’apparato istituzionale della Contea di Modica inizia ad avere degli attriti con il governo centrale (Torino – Palermo) determinando l’insorgere della menzionata contesa che si instaura sin dagli inizi del regno di Vittorio Amedeo II. I sabaudi ritengono che le antiche prerogative comitali traggano fondamento solo in prassi prevaricatorie arbitrariamente imposte dai Conti, nel corso dei secoli, senza specifico titolo. Di contro la “parte comitale” (spagnola) ribadisce la tesi della immutabilità delle prerogative e della valenza della loro plurisecolare reiterazione. Su tali vicende, che l’Autore rievoca con riflessioni di diritto, si è soffermato il dott. Giancarlo Poidomani, che attraverso rigorose e puntuali ricerche – espletate in massima parte presso l’Archivio di Stato di Torino – ha ricostruito i termini della precisata controversia. Interessante e molto ben articolato si è rivelato l’intervento del prof. Giacomo Pace Gravina che ha proposto una rivisitazione della storia della Contea, correlata anche a problematiche riguardanti la Storia del Diritto, vista come territorio aperto e non chiuso, in continuo fermento sociale e culturale, caratterizzato da una plurisecolare e travagliata storia che ha contraddistinto questo lembo sud-orientale di Sicilia.

Risulta evidente come il saggio di Chiaula fornisca una radiografia non solo storica delle vicende che caratterizzarono quel periodo, ma anche “politico-istituzionale” per la sua compiuta ed acuta analisi che riesce a dare al lettore relativamente alle dispute di quel tempo.

 

 

 

Il pesce fresco merita attenzione

 

La costa iblea, con i suoi 80 km di spiaggia dorata, rappresenta una delle bellezze naturali della Sicilia sud-orientale. Lambita dalle azzurre acque del Mare Nostrum, le cui onde, nelle giornate di vento, trasportano ancora le grida dei marinai di antichi velieri, costituisce non solo un’attrattiva turistica ma anche culinaria per i prelibati piatti a base di pesce. La pesca, intesa come attività di cattura volta all’approvvigionamento del cibo, ha accompagnato i locali insediamenti umani sin dall’antichità rappresentando una delle fonti principali del loro sostentamento. E’ proprio sul pesce, fresco o di acquacoltura, che oggigiorno il comparto alimentare rivolge la massima attenzione che mira ad informare ed educare il consumatore circa le varietà ittiche presenti sul mercato e relative norme che ne regolano la vendita. E’ questo il principale obiettivo che si prefigge una recente pubblicazione, avente per tema “La qualità del pesce fresco merita attenzione” (file in formato .pdf), realizzata dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf) e diffusa attraverso il web-site “www.governo.it”.

L’opuscolo, oltre ad essere provvisto di una serie di utili schede informative sulle principali varietà di pesce in vendita, contiene preziose informazioni circa l’importanza di una sana alimentazione nonché su come si possa riconoscere, conservare e cucinare il pesce fresco. La tutela dei diritti dei consumatori, unitamente alla sicurezza alimentare, rappresenta una sempre crescente esigenza volta a dirimere le cocenti questioni della società in cui si vive.

Il pesce, pur essendo nutriente al pari della carne bovina, di pollo o di altri animali, risulta essere più digeribile di questi. Tale caratteristica è dovuta alla scarsa presenza di tessuto connettivo. I suoi grassi, simili a quelli vegetali, sono ricchi di composti polinsaturi, tra cui gli “Omega 3”, utilissimi per il buon funzionamento del sistema cardio-circolatorio. Inoltre, il pesce è ricco di minerali come il selenio, fosforo, fluoro e iodio (quest’ultimo, in particolare, è scarsamente presente in altri alimenti), che rientrano nella composizione dei vari tessuti dell’organismo umano e regolano le funzioni muscolari, nervose e circolatorie. Infine, l’assunzione del pesce apporta una equilibrata quantità di vitamine: le vitamine A ed E presenti nei pesci grassi (anguilla, sgombro e tonno) e alcune del complesso B. I molluschi (polpi, vongole e cozze) e i crostacei (scampi, gamberi), pur presentando una composizione simile a quella del pesce e con una presenza inferiore di proteine, contengono un buon contenuto di magnesio, zinco e iodio (nel caso di ostriche, vongole e cozze, anche di ferro). Il pesce, dunque, rappresenta un’alimentazione sana purché sia fresco. Prima dell’acquisto è necessario osservarlo attentamente, in quanto il pesce, quando arriva sui banchi di vendita, manda dei segnali le cui caratteristiche risultano facilmente interpretabili. Innanzi tutto l’odore che deve essere delicato e ricordare il profumo del mare (e non acre e sgradevole); il corpo deve essere rigido e arcuato (e non flaccido e molle); l’occhio (in fuori) deve presentare una cornea trasparente e con pupilla nera (e non infossato nell’orbita, cornea lattiginosa e pupilla grigia); la consistenza delle carni deve presentare una certa elasticità, e di colore bianco o roseo (e non molli, friabili e con bordo giallastro). L’attenzione va rivolta anche alle squame che devono essere molto aderenti nonché alle branchie che devono risultare rosee o rosso sangue e prive di muco (e non mucolattiginose e giallastre). Tra tutte le varietà di pesce fresco in vendita, il “pesce azzurro” (chiamato così per la colorazione blu scuro dorsale e argentea ventrale), con un costo economico alla portata di tutte le tasche, presenta qualità nutritive alla stessa stregua di altre specie ritenute più pregiate. Generalmente è di piccole dimensioni ed abbonda nel mare ibleo. I più diffusi sono la sardina, l’acciuga o alice e lo sgombro.

Un’intera sezione dell’opuscolo è poi dedicata all’acquacoltura, un settore in piena espansione e che, con le moderne tecniche, è in grado di “rappresentare una importante risposta alle necessità di mercato e di salvaguardia delle risorse marine”.

Completa l’informativa la parte esplicativa dove il consumatore potrà chiarire i suoi dubbi circa l’etichettatura del pescato (nome commerciale della specie, metodo di produzione, zona di cattura), la pulitura del pesce che risulta essere operazione facile ma delicata e che va differenziata a seconda delle dimensioni del pesce. Non mancano preziosi suggerimenti su come conservarlo e cucinarlo.

 

 

 

Importante riconoscimento a due poeti ragusani:

Umberto Migliorisi e Salvatore Vicari

 

Importante riconoscimento è stato recentemente conseguito dal poeta Umberto Migliorisi, primo classificato, con la sua opera Gn’iàttu nìuru (Edizioni Centro Studi “F. Rossitto”, Ragusa), silloge di poesie in dialetto ragusano. Si tratta della dodicesima edizione – 2006/2007 – del Premio di “Poesia in dialetto edita” intitolato a “Ciccio Carrà Tringali” (poeta popolare lentinese vissuto nella seconda metà dell’800), che con cadenza biennale intende valorizzare il dialetto, quale strumento di conoscenza e di comprensione della cultura del territorio, favorire la produzione letteraria e la sua diffusione nonché dare riconoscimento a personalità che mettono in risalto la Sicilia e la “Sicilianità”. La cerimonia di premiazione, tenutasi a Lentini (Sr) ed organizzata dal Kiwanis Club con il patrocinio della Prov. Reg.le di Siracusa, alla presenza di un folto ed attento pubblico, è stata articolata in due sezioni: la prima rivolta alla poesia edita in dialetto siciliano, la seconda all’attività di persone o enti che in diversi ambiti (letterario, culturale, scientifico e sociale) hanno contribuito a promuovere l’immagine della Sicilia. Migliorisi, da molti anni svolge, con cura ed impegno non comuni, l’attività di Redattore Capo della rivista trimestrale Pagine dal Sud edita dal Centro Studi “F. Rossitto”. Nato a Sciacca nel 1928, è vissuto quasi sempre nel capoluogo ibleo. Sue poesie sono apparse su diversi giornali (l’Unità, nel 1957; Ragusa Sera; La Provincia Iblea; Il Giornale di Scicli) e su varie riviste culturali e letterarie quali Galleria (1957), Quartiere (1964-’65), Mondotre (1987), Periferie (2003). Alle sue spalle molteplici pubblicazioni, tra cui sei raccolte di poesie dialettali e cinque volumetti di poesie in lingua (è già uscito in questi giorni il volume Ironia e altro, raccolta di poesie 1953/2006, Antonello da Messina Edizioni, pp. 54). Si tratta di liriche in cui si rileva un umorismo molto discreto che s’insinua in maniera costante fra le pieghe dei versi. La caratteristica del suo poetare è la “dilatazione dei significati che oltrepassa la pura formulazione linguistica” unitamente al suo “innervarsi alla realtà attraverso la parola”. Il Presidente del Comitato organizzatore del Premio, prof. Salvatore Caponetto, ha espresso viva soddisfazione per una manifestazione che, ormai stabile nel panorama culturale siciliano, non solo richiama l’attenzione del grande pubblico ma dà la possibilità “ai poeti, agli scrittori di esprimersi in dialetto… rivitalizzando e rinvigorendo quello che è il nostro patrimonio linguistico”. Alla cerimonia è intervenuto anche il Presidente dell’Amm.ne Prov.le di Ragusa, On. Franco Antoci.

Altra cerimonia, svoltasi a Marineo (Pa) in occasione della XXXIII edizione del Premio Internazionale di Poesia “Città di Marineo”, promossa ed organizzata dalle Fondazioni Culturali “Gioacchino Arnone” e dal Circolo Culturale Cattolico Marineo, ha visto - come primo classificato per la “Sezione opere edite in lingua siciliana” - Salvatore Vicari, ragusano doc, classe 1929, docente di matematica e fisica, con la sua opera I passi e le… orme (Edi-Argo, Ragusa), poesie in dialetto ragusano. Quella di Vicari – autore di diverse pubblicazioni che hanno riscosso riconoscimenti in vari concorsi locali e nazionali (fra cui: premio speciale della giuria “Ninfa Camarina”, Vittoria, 2001; 2° premio “Giovanni Verga”, Roma, 2001) - è una “poesia della memoria” che si rivela “tutta particolare e circoscritta alla ruralità”, in un “mondo contadino d’altri tempi” dove la famiglia risulta essere un tema ricorrente di tutto il libro. Il carattere affabulante dei suoi versi, unitamente ad un “linguaggio semplice, ma curato e intenso”, contribuisce a fornire al lettore un “percorso ricco di autenticità” e genuino candore che riflette il mondo di una volta in netta contrapposizione con quello odierno.

Entrambi gli Autori hanno riscosso vivo interesse e riscontri positivi anche nel campo della critica e negli ambienti culturali iblei, i quali auspicano un sempre più esteso coinvolgimento delle istituzioni verso quel campo letterario, qual è la Poesia, che “nelle sue espressioni universali non conosce frontiere” coniugando “storia cultura, tempo e natura, nel solco dove scorre da millenni la vicenda dell’uomo sulla terra”. E’ sulla base di tali istanze che si sente il bisogno di rinvigorire il premio di poesia “Vann’Antò-Saitta” per riappropriarsi di una realtà, qual è quella siciliana, “così aperta allo spirito creativo della letteratura”, ma che, purtroppo, sembra essere stato dimenticato.

 

 

 

 

 

 

Una vita per il suo verso

Presentato a Ragusa volume di poesie di Corrado Calabrò

 

Visioni di plastica icasticità perché impastate dei quattro elementi primigeni: la terra, il fuoco, l'aria, e soprattutto l’acqua. L’acqua di quel mar Mediterraneo già cantato da Omero che fluisce come onnipresente, palpitante fondale attraverso tutta la produzione di Calabrò, dagli esordi… fino alle liriche più recenti”. Ciò è quanto emerge dirompente dalla lettura di una delle ultime pubblicazioni di Corrado Calabrò, “Una vita per il suo verso” (Mondadori Editore, pp. 238), raccolta di poesie, recentemente presentata a Ragusa presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Catania, con Sede a Ragusa Ibla. L’evento culturale, che ha visto la presenza di un attento pubblico, è stato promosso ed organizzato dal Centro Studi “F. Rossitto” in collaborazione con il Centro Servizi Culturali di Ragusa e con il patrocinio dell’Assessorato Regionale Beni Culturali e Pubblica Istruzione.

Corrado Calabrò, calabrese di nascita (classe 1935) ma romano di adozione, magistrato-poeta e Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha assecondato la sua passione per la poesia sin da giovane età. Il suo primo volume di poesie, scritto tra i diciotto ed i vent’anni, è stato pubblicato nel 1960 dall’editore Guanda di Parma col titolo “Prima attesa”. Dopo un silenzio di oltre tre lustri la vena poetica di Calabrò rifiorisce nel 1976 con una nuova raccolta di versi (“Agavi in fiore”, Ediz. Sen), cui seguono numerosi altri volumi. Nel 1999 Calabrò esordisce nella narrativa col romanzo “Ricorda di dimenticarla” (Ed. Newton & Compton), finalista al premio “Strega”. Per la sua opera letteraria l’Università Mechnikov di Odessa e quella Vest Din di Timisoara (rispettivamente nel 1997 e 2000) hanno conferito a Corrado Calabrò la laurea honoris causa.

“Una vita per il suo verso” racchiude tutti i componimenti dell’apprezzato figlio di Calabria dal 1960 al 2002. La sua poesia, come si legge in una nota di copertina del libro stesso, “sa essere spontanea e colta, istintiva e cesellata, sanguigna e metafisica”. Sono queste le sempre vive impressioni che il lettore sente cosparse nel proprio intimo. Le liriche di Calabrò, con quella loro spontanea fluidità musicale “capace di lasciare nell'orecchio una lunga risonanza, e nella mente immagini abbacinanti, che sbocciano inesauribilmente l’una dall’altra”, “si alimentano di mille suggestioni…” scrive Dante Maffia. Corrado Calabrò non è un poeta qualunque. La sua opera, fortemente ispirata al mare e all’amore è stata tradotta in diciotto lingue e vanta numerosi e prestigiosi riconoscimenti.

A presentare la qualità e lo spessore culturale della poesia di Calabrò, illustrandone i contenuti in maniera puntuale ed articolata, sono stati chiamati il prof. Nunzio Zago (docente di Letteratura Italiana presso l’Università di Catania) ed il prof. Giovanni Occhipinti (poeta, scrittore e critico letterario, tra i più apprezzati del secondo ‘900), che hanno relazionato dopo i saluti del prof. Nino Cirnigliaro (Presidente del Centro Servizi Culturali) e l’intervento introduttivo dell’On. Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”). Il prof. Zago ha posto l’accento sugli elementi caratteristici della poesia di Calabrò, fra cui il mare che oltre ad essere una “presenza concreta, fisica, oggettiva” per l’Autore è “un dato metaforico e simbolico. Allude, cioè, ad una situazione originaria dell’esistenza; una condizione al riparo dalla precarietà e dalla perdita di senso che sono invece gli assilli della nostra situazione odierna”.

“Il vissuto personale dell’Autore e le memorie della Magna Grecia, il mito e l'astrofisica, la ricerca dell’inesprimibile e l’amore per la donna, carnale presenza e impossibile tensione esistenziale”, sono gli ulteriori temi e motivi che danno originalità alla poesia di Calabrò. Il prof. Occhipinti ha scandagliato la poesia di Calabrò sviscerando e mettendo in risalto non solo il profilo altamente intellettuale dell’Autore ma anche i supporti ed i tratti linguistici che sono gli elementi portanti della struttura e forma di un verso. Ciò a testimonianza della creatività dell’artista che offre al lettore numerosi spunti per ricercare anche l’abilità tecnica del poeta. Queste componenti forniscono la “dimensione” e la “temperatura” della poesia di Calabrò la quale “si colloca sempre tra i tempi del cuore e i tempi del respiro”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

NOVEMBRE 2007

 

 

Nel 35° anniversario della scomparsa

Una giornata in ricordo di Giovanni Spampinato

 

Il giornalista ragusano che cercava e scriveva la verità

 

Una verità scomoda. Una verità ribelle, perché ribelle è considerato colui che scandaglia i fatti per riportarli alla luce. Fatti scandalosi e poco chiari che hanno bisogno della luce del giorno. A volte non è un compito facile. Per un giornalista, poi, è ancora più difficile in quanto rischia di trovarsi solo contro tutti. Può essere additato come “persecutore” che rischia di diventare “perseguitato”. E’ lì la chiave. La chiave per entrare e vedere o una chiave per uscire e far finta di non vedere. Una chiave offuscata dall’ombra prodotta da quel sottile confine tra “lecito” e “illecito”. E’ lì che i tasselli, messi accanto uno per uno, a volte subiscono “limature”, “crepe” che non consentono di metterne altri vicino. E’ lì che ci si ribella, ci si oppone alla cosiddetta “regola del quieto vivere” perchè non si può lasciare nel cassetto quel “tassello” gravido di “notizie sgradite ai potenti del luogo”. Senza quel “tassello” il mosaico è incompleto. “Per accedere a notizie attendibili, non superficiali, non strumentali sulla mafia, bisogna essere dei lupi solitari”, così scriveva Giovanni Spampinato, corrispondente del quotidiano “L’Ora” di Palermo, ucciso, all’età di 25 anni, il 27 ottobre 1972, nella sua Ragusa. Alla figura di questo giovane e coraggioso cronista ragusano - “assassinato perché cercava la verità”, questo è il titolo della prima pagina del giornale “L’Ora” all’indomani di quella triste sera di 35 anni addietro – è stata dedicata una manifestazione culturale che si è tenuta presso la sala convegni dell’Avis. L’iniziativa è stata promossa dal Centro Studi “F. Rossitto” in collaborazione con l’Ordine Regionale dei Giornalisti, l’Assostampa di Ragusa e l’Assessorato Regionale Beni Culturali e Pubblica Istruzione. Una mattinata contraddistinta da intense emozioni provate con il recital “Inchiesta drammaturgia sul Caso Spampinato”, di Roberto Rossi (classe 1980, giornalista e studioso di giornalismo, laureato in Scienze della comunicazione all’Università di Bologna) e Danilo Schininà (classe 1980, attore e regista, laureato in Discipline dell’arte della musica e dello spettacolo all’Università di Bologna), messo in scena da “Teatro Utopia” e presentato da Mauro Sarti (Docente di Teorie e Tecniche del linguaggio giornalistico all’Università di Bologna). Un vivo e puntuale intervento, aperto dal Presidente dell’Ordine Reg.le dei Giornalisti, Franco Nicastro, ha rappresentato l’elemento di traino per il dibattito che ha registrato gli interventi di Franco Antoci (Presidente della Provincia Reg.le di Ragusa), Gianni Battaglia (Ufficio di Presidenza del Senato), Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”) e Giovanni Molè (Segretario dell’Assostampa di Ragusa). La presenza e le riflessioni di Alberto Spampinato (giornalista Ansa presso la redazione politico-parlamentare), fratello minore di Giovanni, coautore di “Vite Ribelli” (edito da Sperling & Kupfer, 2007, pp. 326) con il toccante saggio “Il giorno che uccisero mio fratello”, hanno ulteriormente arricchito l’intera manifestazione seguita da un folto ed attento pubblico rappresentato in gran parte da giovani studenti. Una sinergia di personalità, dunque, per ricordare “Giovanni Spampinato nel 35° anniversario della morte”.

“Nella sua città era accaduto un torbido delitto…” – scriveva Vittorio Nisticò quel giorno – “…e Spampinato invece di registrarlo pigramente sulla scorta delle solite veline di polizia si era impegnato ad andare fino in fondo nella ricerca della verità”. E’ questo l’eco che ancora sosta nell’animo di chi opera attivamente nel campo dell’informazione giornalistica e non solo. Il ragusano Giovanni Spampinato, corrispondente dalla sua città del giornale “L’Ora”, di Palermo, e de “L’Unità”, “era un ragazzo che amava la vita” ed aveva scelto il settore giornalistico “non solo come mestiere, ma come terreno di impegno civile”. Terreno che risulta molto impervio e gravido di pericolo per la sua persona quando inizia le sue indagini per fare luce sull’omicidio di un facoltoso ingegnere-imprenditore, Angelo Tumino, avvenuto a Ragusa nel febbraio di quel lontano 1972. La prospettiva sociale e politica in cui si colloca l’intera vicenda non è per niente rosea. L’ambiente ragusano dell’epoca può essere considerato come il mare: calma apparente in superficie e sotto di essa correnti in movimento. Le piste seguite da Giovanni sono molteplici (trame eversive, contrabbando, traffici illeciti di diversa natura). E’ il fiuto di giornalista che lo guida. “Il giornalismo investigativo, di inchiesta… era lo stile del giornale l’Ora”, così puntualizza Alberto, aggiungendo che per tale metodologia adottata il fratello incontra tante diffidenze e incomprensioni “al punto che nemmeno i suoi amici e neppure noi familiari avevamo capito bene in quale pericoloso affare si era buttato”. “Potrebbe significare… che si sta costruendo non so quale provocazione sulla mia persona, dato che negli ultimi tempi sono venuto a conoscenza di fatti gravi, e forse si sospetta che sappia molto più di quanto non dica”, sono queste le parole scritte da Giovanni Spampinato qualche mese prima di essere barbaramente ucciso da Roberto Campria, figlio dell’allora Presidente del Tribunale di Ragusa, sospettato per l’uccisione di Angelo Tumino. “E’ importante che si rifletta sul giornalismo di inchiesta” – conclude il suo saggio Alberto Spampinato – “attraverso le storie di cronisti… che hanno offerto significative testimonianze di coraggio professionale, di impegno civile e di dedizione ai principi costituzionali di democrazia e libertà. Queste storie, drammatiche ma esemplari, costituiscono parte essenziale di una memoria condivisa da trasmettere alle nuove leve del giornalismo e alle giovani generazioni”.

 

 

 

 

 

Giovanni Occhipinti e la poesia siciliana del Novecento

 

Stimati intellettuali del Sud noti ed apprezzati in tutta Italia si incontrano con gli studenti irpini per confrontarsi sul perché del loro scrivere versi, sul perché della loro testimonianza, discutendo anche sul cocente “problema dell’esclusione della poesia del Mezzogiorno dalla storia nazionale”. E’ questo il percorso – ricco di suggestioni – che si prefigge il “Festival della Poesia del Sud… e per il Sud” promosso dal Comune di Nusco, l’Amministrazione Provinciale di Avellino, il Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud in collaborazione con la Casa Editrice Sellino ed il Liceo Classico – Scientifico “Rinaldo d’Aquino” di Nusco-Montella. Protagoniste le regioni meridionali (Abruzzo, Basilicata, Calabria Campania, Lazio, Molise, Sardegna, Sicilia) in un meeting culturale che si rivela “punto di partenza e traguardo, malattia e balsamo dell’inquietudine, ostia che vorrebbe saziare ogni fame” verso “quell’osmosi che comprende conoscenza, scambio, integrazione fra uomini e le loro culture”. Il 27 ottobre, nell’ambito de “La poesia siciliana del Novecento”, è stata la volta della Sicilia con un omaggio a Salvatore Quasimodo e con la presenza, tra gli illustri relatori, di Giovanni Occhipinti, figlio degli iblei, poeta e scrittore tra i più apprezzati del secondo ‘900. “La sua opera si configura come un disegno poematico globale, perennemente in progress… la natura raziocinante e appassionata del poeta tende… a risolvere il conflitto intellettuale e sensuale che la domina in un discorso sempre in bilico tra epos e durezza epigrammatica”, così scrive Andrea Guastella (critico letterario). Si tratta, dunque, di un ulteriore attestato per Occhipinti, figura di spicco nel panorama variegato della letteratura italiana contemporanea.

Viva soddisfazione è stata espressa da Paolo Saggese e Giuseppe Iuliano (Direzione artistica dell’intera iniziativa) che hanno auspicato una ulteriore estensione dell’itinerario poetico e del panorama culturale in cui orbita il “Festival della Poesia del Sud”. “Si tratta di una scelta letteraria e di vita che ci vede ancora protagonisti” – hanno sottolineato – “in un’iniziativa prismatica che vuole coinvolgere Istituzioni, scuole, rappresentanti del mondo accademico, critici ed autori”. Insomma un viaggio “dentro la poesia meridionale rispettoso di ogni diversità di temi e di stile e disponibile ad ogni ampiezza di voce”.

 

 

 

 

Oltre il teatro

 

Che cos’è il teatro? E’ pensiero, parola e gesto. La parola, come un velo, avvolge ogni pensiero, mentre il “non detto ha infiniti modi di essere gesto”. Il teatro è anche un’immagine, un’emozione in cui gli umori dell’anima - siano essi limpidi, torbidi, incauti, nudi - sono immersi in una dimensione che si colloca tra verità e menzogna, tra realtà e fantasia. Il teatro “deve rispondere a un naturale bisogno di creatività, espressa con il corpo…”, mentre le sue regole rappresentano la “Grammatica” che permette di liberare e sviluppare la “Fantasia”. E’ sulla base di tali istanze che nasce a Ragusa il “Laboratorio Teatrale”. A condurlo, presso i locali dell’Associazione Culturale “Danza per Dire”, è il giovane attore Alessandro Sparacino, figlio d’arte (il padre, Giorgio, attore e regista di “Teatro Utopia”, da oltre 40 anni occupa la ribalta iblea con la messa in scena di variegate opere), che mette a frutto l’esperienza teatrale maturata in quest’ultimi tre lustri. Il corso, con frequenza bisettimanale, prevede l’insegnamento di non poche materie: storia del teatro e dello spettacolo, recitazione, dizione, tecnica e impostazione della voce, improvvisazione, tecniche ed espressività dell’attore, interpretazione. Si tratta di un ampio progetto che la citata Associazione Culturale, unitamente al Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, persegue nell’ambito delle iniziative della nuova stagione 2007/2008. Il “Laboratorio Teatrale”, aperto a tutti, partirà da novembre per concludersi a maggio prossimo. Le materie inserite nel corso saranno introdotte da un numero di lezioni teorico-pratiche sulla respirazione, sulla voce e sulla teatralità, con elementi di base che riguardano la lettura e l’esprimersi in pubblico, nonché sulla scoperta e sulla espressione del corpo, ivi compresa la ricerca della spazialità e il rapporto armonico spazio-tempo (training). Le fasi successive di insegnamento prevedono lo svolgimento di momenti più tecnici (improvvisazione ed interpretazione). Il tutto contribuirà ad aiutare gli allievi nello studio, nella preparazione e messa in scena di un breve testo teatrale (un atto unico o un collage di testi) e/o di un’azione con movimenti coreografici che rappresenteranno il risultato finale di quanto hanno avuto modo di apprendere e sperimentare durante le lezioni. “Andare in scena” – puntualizza Alessandro Sparacino – “significa non solo offrire al pubblico il frutto del proprio lavoro ma anche verificare le capacità acquisite. E’ un modo per dare forma alla creazione teatrale. Lo spettacolo che gli allievi andranno a preparare alla fine del laboratorio rappresenta sicuramente un momento altamente gratificante per loro. La gratificazione nel processo didattico, ma anche educativo, conta moltissimo e serve anche a predisporre l’animo dell’artista che è in ciascuno di noi”.

 

 

 

 

 

“Il liberalismo di Piero Gobetti” in un libro di Pietro Polito

Presentata al Centro Studi “F. Rossitto” importante ricerca storico-politica

 

Torino, 5 settembre 1924. Piero Gobetti, giovane intellettuale torinese, mentre sta uscendo di casa è barbaramente aggredito sulle scale da quattro facinorosi squadristi che lo colpiscono violentemente al torace e al volto, rompendogli gli occhiali e procurandogli gravissime lesioni invalidanti. Costretto ad espatriare in Francia, la morte lo coglie esule a Parigi nella notte tra il 15 e 16 febbraio 1926, alla giovane età di 24 anni. Ma chi è Piero Gobetti che per la sua attività svolta a sostegno dell’occupazione delle fabbriche torinesi, per i suoi frequenti incontri con gli operai, per il suo pensiero e per la sua “rivoluzione liberale”, provoca la reazione e l’interessamento di Mussolini a tal punto da spingere questi a telegrafare al prefetto di Torino (usando toni perentori: “Prego informarsi e vigilare per rendere… difficile vita questo insulso oppositore”)?

A tale domanda ha cercato di rispondere, attraverso acute ed articolate analisi storico-politiche, il prof. Pietro Polito (ricercatore del Centro Studi P. Gobetti nonché dottore di ricerca in Storia del pensiero politico all’Università degli Studi di Torino) con il libro “Il liberalismo di Piero Gobetti”, recentemente presentato presso il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa. Il volume, che raccoglie il frutto di tre lezioni tenute dall’Autore nel Corso di Storia contemporanea alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino (2006), è stato pubblicato dal Centro Studi Gobetti di Torino (struttura fondata, nel 1961, dalla moglie Ada Prospero Gobetti, dal figlio Paolo e da alcuni amici vicini a Piero), che oggi conta oltre 65.000 titoli specializzati in storia e politica del ‘900. Ad argomentare sul pensiero di Gobetti, in relazione alla tematica affrontata da Pietro Polito, è stato chiamato il dott. Giovanni Criscione (giornalista). Il Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”, on. Giorgio Chessari, ha introdotto i lavori che - seguiti da un folto ed attento pubblico che ha intavolato un interessante dibattito a conclusione della serata - sono stati coordinati dal dott. G. Battista Veninata (direttore responsabile della rivista trimestrale “Pagine dal Sud”).

Il volume si presenta di agile e scorrevole consultazione fornendo al lettore gli elementi essenziali del pensiero gobettiano – arricchito dalle non poche e preziose note bibliografiche – e rimandando ad ulteriori approfondimenti da sviluppare anche tramite una corposa bibliografia a corredo del saggio. “Quella di Gobetti” – così esordisce Polito nel capitolo dedicato alla biografia – “è un’esperienza tragica e straordinaria. Tragica per la fine prematura, straordinaria per il carattere unico e irripetibile” del suo pensiero (scrive non pochi libri e centinaia di articoli su politica, storia, filosofia, economia, arte, teatro e letteratura), ma anche della sua instancabile e fervida attività culturale (“dà vita ad una casa editrice che in due anni pubblica oltre cento libri di alcuni giovani tra i promettenti e di alcuni tra i più autorevoli esponenti dell’antifascismo”). “Mi piace interpretare l’intera sua opera” – puntualizza Polito – “come una lettera alle generazioni successive, perché dall’opera del “fragile e disarmato giovinetto torinese”, si ha come l’impressione di camminare nel futuro”.

Gobetti, studente universitario di intelligenza non comune, all’età di 17 anni (novembre 1918), pubblica la sua prima rivista, “Energie Nove”, ricca di riferimenti a Prezzolini, Gentile, Croce e con la quale diffonde le idee liberali di Einaudi. Nell’autunno del ’20 matura la sua concezione della cultura come coscienza storica e della politica coma forma di educazione. Qualche anno dopo Gobetti fonda il settimanale “La Rivoluzione Liberale”. Nel 1924 raccoglie, elaborandoli, numerosi articoli apparsi sulla rivista e, con lo stesso titolo, “Rivoluzione Liberale”, pubblica il “Saggio sulla lotta politica in Italia”, nella cui introduzione si rivolge ai giovani (“…Non si comprende nulla del nuovo pensiero dei giovani se non si avverte che la nostra formazione spirituale è stata in qualche modo interrotta e travagliata per opera del fascismo…”). E’ il mese di aprile ed il panorama storico è in fermento. A giugno viene ucciso Matteotti e nel gennaio del ‘25 Mussolini trasforma il suo governo in regime. Tra il ’23 ed il ’24 la rivista è ripetutamente sequestrata e Gobetti è più volte arrestato in quanto accusato di mirare “alla menomazione delle istituzioni monarchiche, della Chiesa, dei poteri dello Stato, danneggiando il prestigio nazionale”. Dall’analisi dei temi sviluppati da Gobetti (sia nel campo del giornalismo, sia in quello dell’editoria nonché della politica) emerge in maniera chiara quali siano le problematiche che ritiene più cocenti per il Paese: la questione meridionale e il fascismo. La quotidiana lotta contro il regime porta Gobetti a “riconsiderare la dottrina liberale dello stato garantista dei diritti dell’individuo”. “Ci ha amareggiato in questi giorni” – così scrive pochi giorni dopo la marcia su Roma (2/11/1922) – “il vedere con quanta indifferenza sono considerate le libertà più elementari… Il popolo nostro non le merita, non le sente, perché non le ha conquistate”. In Gobetti appare per la prima volta il concetto di fascismo come “autobiografia della nazione”. Il fascismo è, insomma, solo l’incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana. Dopo il fallimento dell’occupazione delle fabbriche si convince del più generale “fallimento ideale dell’Italia”. Di tale fallimento partecipa il liberalismo “morto perché non ha risolto il problema dell’unità”. E fin dalla prima pagina del suo saggio fa una dichiarazione significativa e valida più che mai oggi: “il contrasto vero dei tempi nuovi come delle vecchie tradizioni non è tra dittatura e libertà, ma tra libertà e unanimità”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

DICEMBRE 2007

 

 

Al Centro Studi “F. Rossitto”

Mostra grafica di Rocco Cafiso

 

L’Arte è espressione dell’anima e oltrepassa il tempo e lo spazio. Per dare una nuova forma e un nuovo significato a tutto ciò che è intorno ci serviamo dell’anima attraverso l’arte. Lo scopo dell’arte è quello di “proiettare nel mondo una visione interiore, di fermare nella creazione estetica le più profonde esperienze” interiori e di “renderle intelligibili a tutti”. E’ questo il messaggio che si prefigge l’opera divulgativa da anni intrapresa dal Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa attraverso l’esposizione di opere rivenienti dall’instancabile e preziosa attività artistica dei maestri iblei. E’ sulla base di tali istanze che il Centro Studi ha recentemente promosso – in sinergia con il Centro Servizi Culturali e l’Assessorato Regionale BB. CC. e P. I. – la mostra antologica delle opere grafiche del maestro Rocco Cafiso dedicata alla città di Ragusa. “Si tratta di opere” – ha specificato il Presidente del Centro Studi (on. Giorgio Chessari), nel corso della sua relazione introduttiva alla serata inaugurale – “che mettono in risalto l’amore che Rocco Cafiso ha per il capoluogo ibleo, per il centro storico, per la città antica percepita in una veste che è cara ai nostri cuori”. Angoli caratteristici della città, viuzze con vetuste basole, strade e panorami sono riproposti da Cafiso con una delicatezza tale da sentire ancora quella flagrante genuinità di un tempo che fu, ma ancora viva nell’intimo di ogni ragusano. “Rocco Cafiso è uno ‘scultore’ di immagini… ma non di una Ragusa che scompare” – ha precisato G. Chessari – “ma di una Ragusa che rinasce puntando al recupero e al restauro dell’identità storica”.

Gli anni della formazione di Cafiso sono quelli dell’immediato dopoguerra che vedono Ragusa sollecitata da non pochi fermenti culturali. Attento ed accanito lettore della rivista “Il contemporaneo” (periodico diretto dal critico d’arte Trombadori e specializzato nell’illustrare le più importanti mostre nazionali e internazionali), Cafiso frequenta, in quel periodo, un gruppo di intellettuali ragusani (Giorgio Sirugo, pittore; Ferma, Sgarioto e Cintolo provenienti dalla Scuola d’arte di Comiso) che si distinguono per spiccata vivacità culturale e che certamente contribuiscono ad instradarlo nel campo dell’arte. L’artista partecipa a varie mostre ed esposizioni che lo portano a frequentare gli ambienti culturali di Milano, Como, Roma e Taranto raccogliendo vasti consensi e riconoscimenti critici.

Il lavoro grafico di Cafiso, esposto preso i locali del Centro Studi “F. Rossitto”, copre un arco temporale che va dal 1956 fino ai giorni nostri. La tecnica adoperata è quella della linoleumgrafia, derivante dalla xilografia (antichissimo metodo di stampa che riproduce disegni attraverso una “matrice” di legno duro inciso a mano), che utilizza un materiale sintetico, moderno al posto del legno. La linoleumgrafia, che può rimanere nascosta ad una prima, rapida osservazione, consiste nell’incidere a mano la superficie di un blocco di linoleum. Successivamente l’artista stende sul supporto il colore e, a lavoro ultimato, poggia la tela sulla matrice che restituisce l’immagine: le parti non incise ricevono il colore e danno le superfici piene, le parti scavate danno i bianchi. “Quella di Rocco Cafiso è una tecnica che richiede un’applicazione non indifferente” - ha puntualizzato il prof. Rosario Antoci (docente Accademia di Belle Arti di Catania), nel corso dell’articolata e puntuale presentazione – “diretta ad unire, nella sintesi della composizione, una miriade di particolari mantenendo sempre vivo l’equilibrio dei contrasti tra bianco e nero, tra ombra e luce”. Ciò traspare in tutte le incisioni. “Con la sua tecnica” – aggiunge Antoci – “Cafiso ricrea un micro-cosmo concluso e completo fatto di viuzze, chiese, monumenti e atmosfere. Utilizza una tecnica antica per proporre un discorso contemporaneo. Negli anni ’50 e ’60 Cafiso guarda ciò che lo circonda e ce lo restituisce con quella meravigliosa magia che traspare dalle sue opere grafiche”. E’ questo il grande merito di Cafiso che con la sua produzione artistica ha creato una sorta di unicum, urbanistico ed architettonico, che permea e contraddistingue la città di Ragusa restituita nella sua forma genuina e popolare.

 

 

 

 

Al Centro Studi “F. Rossitto” debutto poetico di Diego Guadagnino

“Trasmutazione” ovvero quel viaggio interiore che cerca di penetrare

il mistero dell’esistenza

 

Quando la poesia autentica, “vera, senza tempo e al di sopra di ogni contingenza”, incontra l’arte, che trae linfa vitale da quella arcana vibrazione di suoni, parole, colori e forme, avvertendovi quasi l’eco di quel mistero della creazione, ecco che nasce l’opera unica nel suo genere che parla del suo autore introducendo alla conoscenza del suo intimo e rivelando l’originale contributo da lui offerto alla storia della cultura. Sulla base di tali istanze si muove l’altissimo estro letterario e poetico di Diego Guadagnino messo in evidenza dalla sua opera di esordio, “Trasmutazione” (Libroitaliano World, Ragusa 2007), recentemente presentata al Centro Studi “F. Rossitto”. “Si tratta di un volume che raccoglie il bilancio di oltre vent’anni di intensa riflessione sul proprio esistere”, questo l’incipit del discorso introduttivo affidato al Presidente del Centro Studi, on. Giorgio Chessari, che ha promosso ed organizzato l’evento culturale – “riflessione che Guadagnino ha sviluppato acquisendo una corda lirica tanto profonda da prendere subito l’animo del lettore”.

L’Autore, nato 56 anni fa a Canicattì dove espleta l’attività di avvocato, non ha mai abbandonato l’innata passione letteraria che, sin dalla fine degli anni ’60, lo vede protagonista in campo poetico. La pubblicazione di “Trasmutazione”, lo rivela alla critica e al grande pubblico come poeta raffinato e di straordinario spessore nei contenuti. Ad analizzare i temi poetici ed i toni ispiratori della silloge di Guadagnino sono stati chiamati il prof. Giovanni Occhipinti (scrittore, poeta e critico letterario) ed il dott. Emanuele Schembari (giornalista e poeta), i quali con le loro articolate discettazioni hanno coinvolto il numeroso ed attento pubblico che si è stretto attorno ai familiari e amici del poeta nonché alle diverse personalità della cultura iblea presenti in sala.

Il percorso poetico dell’Autore sgorga spontaneo attraverso le sue emozioni e pensieri che, sin dai primi versi, penetrano dirompenti nell’animo del lettore facendo rivivere suggestioni che rivelano gli aspetti più “reconditi e inquietanti dell’esistenza”. Il tutto, con linguaggio colto e chiaro, si inserisce in una “raffinata tramatura formale”. Tutta l’opera è impostata su uno “schema ritmico nel quale l’Autore trasferisce la propria carica spirituale e interiore” - come ha sottolineato il prof. Occhipinti nel corso del suo puntuale ed articolato intervento - caratterizzato da un “endecasillabo dantesco, trascinante per suggestione e per forza”. Ci si trova di fronte ad uno “spartito intrigante intorno alla pagina oscura del tempo sul quale vanno lette ed interpretate le battute e le pause ma soprattutto il silenzio che segnano le scansioni di una invisibile epopea dell’uomo già contenuta nella stessa musicalità dell’endecasillabo a rima alternata”. Il poeta si fa portavoce di un “progetto onesto” sulla “trasmutazione della parola in parola poetica” poiché nel “rifiuto della parola che stupisce è sottointeso il bisogno di una ricerca espressiva personalissima”: “Non voglio la parola che stupisce / e resta ferma a cosa vile e vana, / ma la parola, sì, che scaturisce / dal silenzio ch’è cenere di brama”. Insomma “una parola vissuta e sofferta e perciò desiderata che possa scaturire dalla ferita esistenziale dell’uomo”. E’ proprio da quel “viaggio interiore” e dalla “fusione tra esperienza di vita e riflessioni letterarie” che viene fuori – come ha fatto notare il dott. Schembari nella sua acuta analisi – “un ricco impasto” dove, nel “cammino personale e incisivo” del poeta, sono presenti anche “riferimenti ironici e sarcastici”. Si tratta di una “lirica d’immagine… dove il dettato è ricco di risonanze interiori”, “sorretto da rigore stilistico di limpidezza e di dignità”, risultando evidente come l’Autore cerchi di “penetrare il mistero dell’esistenza” nei suoi variegati aspetti.

La toccante serata si è conclusa con la proiezione del DVD multimediale, realizzato dal Centro Studi Helios di Ragusa, abbinato al volume di Guadagnino, attraverso cui si è avuto modo di apprezzare – in un silenzio confacente allo spirito del poeta – la declamazione di alcune sue poesie, da parte dei bravissimi attori Giorgio Sparacino e del figlio Alessandro, magistralmente accompagnate dalle emozionanti ed originali melodie pianistiche del maestro Sergio Carrubba, ulteriormente arricchite dalla sequenza di immagini riproducenti alcuni splendidi quadri del maestro Salvatore Fratantonio che tanta parte hanno avuto nell’ispirazione poetica dell’Autore.

 

 

 

 

Pennellate iblee

Un “viaggio” pittorico nel quartiere barocco di Ragusa Ibla

 

Il tema della Natività e della Sacra Famiglia è stato da sempre uno dei soggetti più frequentati nell’arte pittorica. Sebbene circoscritta al solo quartiere barocco di Ragusa-Ibla, si rivela impresa alquanto ardua e disperata quella di tentare di raccogliere in poche righe l’intera massa di testimonianze artistiche che sono sbocciate attorno a quei versetti del cap. 2 del Vangelo di Luca. La Bibbia, il testo sacro per eccellenza, è per l’arte un vastissimo e fecondo repertorio di soggetti, di simboli; ma, a sua volta, l’arte offre alla Bibbia un contributo di interpretazione, di penetrazione, di esaltazione.

Il nostro viaggio ha inizio laddove termina Corso Italia, estremo lembo dove “finisce” la Ragusa “moderna”, e inizia la Via Mazzini che sinuosamente scende per Ibla, la Ragusa “vetusta”, denominata dalle vecchie generazioni “iusu”, giù, ovvero la parte bassa, contrapposta a “supra”. Pietra su pietra, casa su casa, scala su scala, l’arroccato quartiere è in gran parte un saliscendi continuo a volte spezzato da improvvise pause da cui si diparte una fitta teoria di viuzze. In questo bellissimo e particolarissimo ambiente, così vario e, nel contempo, maestoso, Ibla sembra essa stessa un quadro barocco, un pezzo al naturale di Presepe. A poche decine di metri, alla prima svolta, dopo la prima rampa di scale spicca sovrana la chiesa di Santa Maria delle Scale, la cui origine è molto antica. Ricostruita dopo il terremoto del 1693, all’interno si notano delle arcate molto suggestive. Il secondo arco culmina in alto con una Madonna col Bambino in braccio. Colpisce il visitatore l’atmosfera che si respira fra quelle mura che ci riportano indietro nel tempo. Scendendo ancora per le scale ci si carica ancor più di inattese sensazioni, ci si tuffa quasi in una dimensione in cui il tempo sembra essersi fermato. Superati il Palazzo della Cancelleria e la chiesa dell’Idria, la discesa è finita e si arriva in Piazza della Repubblica, ovvero nel quartiere denominato degli “Archi”. Da un lato si staglia il Palazzo Cosentini, mentre l’altro è occupato dalla scenografica facciata della chiesa Anime Sante del Purgatorio che sorge quasi come biglietto da visita per introdursi nel cuore di Ibla. Guadagnando l’entrata, dopo aver superato la ripida scalinata, al secondo altare a sinistra si nota una tela del XIX secolo rappresentante la “Sacra Famiglia” di Tommaso Pollace. Proseguendo per via Mercato si apre a sinistra una magnifica visione della Cava di San Leonardo giungendo infine a Largo Camerina, in una zona ricca di antichi palazzi nobiliari. Per via Cabrera si arriva in piazza Duomo, di forma irregolare e in leggera pendenza, dominata, nella parte alta, dalla splendida chiesa di S. Giorgio, opera fra le più insigni del barocco siciliano. Il Duomo, edificato sulla preesistente chiesa di San Nicola dopo il sisma del 1693, su progetto dell’architetto netino Rosario Gagliardi, ha l’asse prospettico divergente rispetto alla direttrice della piazza e ciò conferisce un aspetto scenografico reso ancor più mirabile dalla ampia e alta gradinata che precede la barocca facciata. Nelle navate laterali si aprono delle decorate cappelle con pregevoli tele. Nella navata destra si può ammirare quella del “Riposo in Egitto” dipinta dal messinese Dario Guerci. Uscendo dalla chiesa e seguendo la discesa della piazza, sulla sinistra, dopo il Circolo di Conversazione o circolo dei cappelli (realizzato nel XIX secolo per essere destinato a luoghi di incontri), si può vedere il Palazzo Donnafugata, noto anche come “Quadreria Donnafugata”, del barone Arezzo, che custodisce, nei vari salotti, tele di pregevole fattura e di soggetto sacro come la “Madonna col Bambino” attribuita, da taluni studiosi, ad Antonello da Messina. A pochi passi più giù si sbocca in Piazza Pola, ex Piazza Maggiore e prima del terremoto (1693) centro civile della città, che offre un notevole angolo barocco di cui è simbolo la chiesa di San Giuseppe. L’interno è ovale con cinque altari. Sull’altare maggiore si può apprezzare la tela raffigurante la “Sacra Famiglia” del ragusano Matteo Battaglia. Nel quadro del Battaglia la Vergine è raffigurata in atteggiamento spontaneo di mamma, sopraffatta dai problemi quotidiani; la mano sinistra cerca con sforzo di trattenere alcuni frutti che stanno per scivolarle dal grembo per l’urto provocato dal Bambin Gesù il quale, svincolandosi dal suo abbraccio, corre, con gesto impetuoso, verso San Giuseppe in atto di offrire delle ciliegie appena raccolte. Proseguendo per Via XXV Aprile, si notano, in successione, la chiesa della Maddalena e, poco più giù, a sinistra, la chiesa di San Tommaso Apostolo ex chiesa di Santa Maria Valverde. All’interno vi sono varie tele, di cui alcune di fattura pregevole, tra cui la “Natività” di Pietro Quintavalle (1856). Subito dopo si apre il cancello del Giardino Ibleo in cui si trovano la chiesa di San Domenico o del Rosario, di San Giacomo e quella dei Cappuccini, già Sant’Agata. Quest’ultima, le cui fondamenta risalgono al XVI secolo, adibita sin dal ‘600 a Convento dei Cappuccini, che si trova al limite della villa e in posizione panoramica, custodisce una tempera risalente ai primi decenni del XVI secolo raffigurante la “Natività”. Ritornando a Piazza Pola e proseguendo per Via Orfanotrofio la nostra passeggiata attraverso l’arte termina presso la chiesa di San Francesco all’Immacolata che sorge in un incantevole luogo dominante la valle di San Leonardo. Costruita nel periodo dei Chiaramonte, già sin dal Duecento vede la presenza dei frati francescani. Tra le tele ivi presenti non può non essere notata quella raffigurante il “Riposo della Sacra Famiglia” nella fuga verso l’Egitto, risalente al XVIII secolo ed attribuita al Manoli. E’ interessante far notare il valore teologico della iconografia adottata. La Vergine seduta, sostiene, con amorosa ed estrema delicatezza di mamma, il Bambino in atto di tenere con entrambi le mani una lunga croce, che viene pesantemente conficcata sulla testa del serpente, le cui volute si perdono sotto il manto della Vergine. Quasi una traduzione plastica del testo di Genesi (3, 15). In basso a sinistra, quasi staccato dal gruppo centrale è posto San Giuseppe, con la verga fiorita sul petto, mentre guarda intensamente la Vergine col suo bel Bambino.

 

 

 

 

 

“Fumetto e Didattica” si sposano a S. Croce Camerina

 

Il fumetto fa parte di quella “letteratura disegnata” intesa come strumento in cui vanno a confluire obiettivi culturali, quali il recupero di conoscenze storico-grafiche e, non ultimo, lo studio di tendenze, pensiero ed evoluzioni di una memoria stratificata nel tempo che può essere letta attraverso le avvincenti storie dei “giornalini”. Il fumetto, che ha fatto vivere “svaghi proibiti” a tantissimi ragazzi di ieri, oggi cinquantenni, possiede anche una sua valenza didattica in quanto riesce a veicolare messaggi di alto contenuto storico-sociale o essere considerato nel suo valore artistico. Nella sequenza iconografica delle vicende e dei personaggi si trova anche quell’effetto comunicativo prodotto dal fascino e profumo delle avventure sognate e “toccate” con mano. Il fumetto - nato e sviluppato a cavallo tra l‘800 ed il ‘900 utilizzando al meglio le possibilità offerte dal foglio, considerato come una sorta di “schermo di carta” - non ha rinunciato, nel corso del tempo, ad evolversi sfruttando lo sviluppo dei nuovi media (la televisione) fino ad arrivare ai nostri giorni in cui lo sviluppo tecnologico ha creato nuovi strumenti di comunicazione con caratteristiche innovative (computer, Internet) dando vita a spazi “virtuali” ed “interattivi” che tolgono “vita” al disegno fumettistico inteso nella forma classica. Le potenzialità narrative dell’editoria cartacea subiscono un costante assorbimento dal web. Il fumetto si inserisce, dunque, in un nuovo contesto che va a cambiare il rapporto intercorrente con il lettore, il quale da fruitore diventa attore o “manipolatore virtuale”. Tutto ciò non solo comporterebbe la riduzione dei “giornalini” in forma cartacea, ma innescherebbe una crisi editoriale di non poco conto che minerebbe in maniera non indifferente le secolari fondamenta su cui si basa il fumetto classico.

Queste, in estrema sintesi, le tematiche affrontate al 5° Convegno su “Fumetto e Didattica”. L'evento culturale, promosso ed organizzato dall’Associazione Culturale Xanadu che gestisce il Museo del Fumetto (Presidente l’arch. G. Miccichè, nella foto insieme ad alcuni relatori), si è recentemente svolto presso il Centro Sociale “Terza Primavera” di S. Croce Camerina (Rg). A relazionare – dopo i saluti di rito da parte dei vertici politico-istituzionali in rappresentanza del Comune di S. Croce Camerina - sono stati chiamati F. Spataro (docente di Scienze della Comunicazione all’Univ. di Catania), A. Nepote (Assessore alla Cultura del Comune di Comiso), L. Corteggi (art-director della Ed. Bonelli e da decenni apprezzato protagonista nel campo del fumetto) e L. Tamagnini (docente e storico del fumetto). L’iniziativa – patrocinata dal Comune di S. Croce Camerina, Provincia Reg.le di Ragusa e Regione Siciliana (Assessorato al Turismo) – si è svolta nell’ambito del Concorso e Mostra del disegno fumettistico a cui hanno partecipato numerosi giovani talenti della provincia iblea.

La Redazione di Insieme si è piacevolmente intrattenuta con Luigi Corteggi, a cui ha posto alcune domande.

 

-1) Dr. Corteggi da circa quarant’anni lavora nel campo della fumettistica. Cosa è cambiato oggi rispetto a ieri relativamente al modo di fare fumetto? Qual è il rapporto con le nuove tecnologie (computer e Internet)?

Il fumetto come è realizzato oggi, rispetto a quello dei disegnatori di circa 35-40 anni fa, è senza dubbio più “raffinato”. E’ riconosciuto anche a livello universitario nel senso che vi sono tanti studenti che scelgono il Fumetto come tematica della propria tesi, contrariamente a quanto accadeva molti anni fa quando il fumetto era relegato ai bambini e addirittura guardato a vista da certi media. Negli anni ’30, ad esempio, in America vi fu una compagna contro il fumetto portata avanti nella convinzione che i fumetti rendessero poco intelligenti i ragazzini. Oggi i disegnatori curano molto le copertine, le ambientazioni. Diciamo che tutta la confezione è molto curata. La colorazione un tempo era fatta a mano con le chine colorate mentre oggi si svolge con il sistema digitale. Il pubblico di oggi, specie quello dei giovanissimi, è meno affezionato al fumetto in quanto ha delle distrazioni che un tempo non eistevano. Oggi l’informazione è veloce e passa attraverso il web. Ma, contrariamente a quanto si possa pensare, si legge sempre meno.

-2) I fumetti pubblicati sul web – tra l’altro è l’esperienza che sta iniziando adesso l’americana Marvel con i suoi supereroi – rappresentano un “altro tipo” di Fumetto e linguaggio o sono gli stessi di quelli diffusi attraverso il classico supporto cartaceo?

Il prodotto cartaceo come è il fumetto o il libro è meno sentito di una volta. Oggi esiste Internet attraverso cui si può vedere qualsiasi cosa (notizie quotidiane, video, etc.) e però non si ha in mano la parte della carta. Oggi si compra un fumetto solo se si pensa di leggerlo e riporlo sulla libreria, mentre se si vede qualcosa a video si perde quel contatto fisico con la carta stampata, con i colori: si sa che un qualcosa è dentro quel video ma non lo si ha in mano! Si instaura così un contatto virtuale. A mio avviso se l’esperienza che sta attuando la Marvel avrà esito positivo altre case editrici seguiranno quel filone digitale e la carta stampata di nuova produzione diverrà un prodotto meno remunerativo. Per chi resisterà sarà obbligato a ridurre drasticamente le sue uscite nei punti vendita con aumento consequenziale dei prezzi per acquistare il fumetto che diverrà solo un prezioso e raro prodotto cartaceo per collezionisti.

 

-3) Qual’è il primo fumetto che ha letto?

Nel mondo del fumetto sono entrato per caso essendo nato come grafico pubblicitario. Quando ero giovane di soldi ne circolavano pochi ma con qualche piccolo sforzo si riusciva a comprare qualche fumetto. Il mio primo fumetto, che potevo permettermi, era quello di “Gim Toro”, personaggio che nel dopoguerra ha un notevole successo (il protagonista, un italo-americano muscoloso e con le sembianze dell’attore statunitense Tyrone Power, combatteva contro sette segrete di cinesi). Col fumetto ho avuto a che fare poco fino agli anni ’60 quando iniziai la mia attività entrando nel campo della fumettistica disimpegnando l’attività riguardante la parte visuale, grafica e tipografica del prodotto.

 

 

 

 

Storia e invenzione nell’ultimo romanzo di Maria Attanasio

“Il Falsario di Caltagirone”

 

Qual è quel sottile confine che separa la realtà dalla fantasia, la verità dalla menzogna, la storia dall’invenzione narrativa? E’ la “grande” storia che si legge sui libri ad essere credibile o l’insieme delle micro-storie, piccoli tasselli nel grande mosaico della vita, a rendere più umane le vicende stratificate nel tempo? E ancora: quale voce, pensiero e comportamento può avere avuto un personaggio che è vissuto a cavallo tra l’800 ed il ‘900? La ricerca della verità, talora adombrata dall’oblio del tempo o dagli scarni supporti documentali, è molto spesso sommessa e faticosa. Ricostruire una biografia, sviscerarla, seguirne il tracciato nel tempo e nello spazio significa rievocarne l’intima essenza, con il rigore dello storico ed il fervore narrativo del romanziere. A tali esigenze ha cercato di rispondere la scrittrice Maria Attanasio con il suo recente romanzo, “Il falsario di Caltagirone. Notizie e ragguagli sul curioso caso di Paolo Ciulla” (Sellerio Editore, Palermo, 2007, pp. 201). Nell’ambito delle iniziative culturali volte a far conoscere la produzione letteraria degli autori siciliani, il Centro Studi “F. Rossitto” ha recentemente promosso ed organizzato la presentazione del volume, per il quale Maria Attanasio ha vinto, a giugno scorso, il premio Vittorini. “Si tratta di una meritata attestazione” – ha puntualizzato il Presidente del Centro Studi (on. Giorgio Chessari) nel corso del discorso introduttivo alla serata – “che colloca la scrittrice calatina tra gli autori più apprezzati dell’ultimo Novecento”. “Questo libro non fa altro che confermare la qualità della sua scrittura e soprattutto l’impegno che questa scrittura richiede” - come ha sottolineato il prof. Giuseppe Traina, a cui è stata affidata l’articolata e puntuale presentazione – “unitamente allo scrupolo documentario che è sempre presente, anche quando le invenzioni narrative risultano affascinanti, e mai disgiunto dall’attenzione alla realtà storica di cui la scrittrice si fa interprete”.

Maria Attanasio, nasce a Caltagirone dove svolge l’attività di insegnante e dirigente scolastico. Inizia a pubblicare nel 1979 con “Interni” (pubblicato nell’antologia dei “Quaderni della Fenice”). La silloge “Nero barocco nero” (1985) segna il suo debutto nel campo della poesia. Seguono “Eros e mente” (1996) e “Amnesia del movimento delle nuvole” (2003). Redattrice della rivista “Tabella di marcia”, ha collaborato a diversi periodici (“Cobold”, “Nuovi Argomenti”, quotidiano “La Sicilia”). La prima prova nel settore della scrittura narrativa arriva nel 1994, quando pubblica per la Sellerio “Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile”. Nel 1997 pubblica “Piccole cronache di un secolo”, un libro di racconti, ambientati nel XVIII secolo, scritto insieme al conterraneo Domenico Amoroso. Nel 1999 è la volta del bellissimo “Di Concetta e le sue donne”, con cui dà vita al personaggio di una donna (Concetta) immersa in un frammento di storia civile e politica della Sicilia di un tempo. Con “Il falsario di Calagirone” l’Autrice cerca di gettare luce su uno dei tasselli di memoria popolare del calatino: il “curioso caso”, ancora vivo nell’immaginario collettivo delle vecchie generazioni, di Paolo Ciulla che nasce a Caltagirone nel 1867 e finisce i suoi travagliati giorni nel 1931 nell’Albergo dei Poveri Invalidi, “passando per la rivoluzione, l’arte, il manicomio e la galera”. Il personaggio di Ciulla si rivela coma una sorta di Robin Hood, un leggendario amico dei poveri che pone al servizio del popolino la sua arte di pittore, la sua perizia di fotografo, il suo impegno sociale a difesa degli oppressi. “Chiddu ri sordi farsi” è l’epiteto che si è guadagnato nel corso della sua tormentata vicenda umana in giro per l’Italia, poi a Parigi, Buenos Aires e, infine, l’amaro ritorno nella sua città natale. L’Attanasio racconta Ciulla e questi racconta se stesso. Racconta gli anni sofferti di fine ‘800 che lambiscono i primi decenni del nuovo secolo, il Novecento, caratterizzati da fermenti politici. E’ una Sicilia attraversata da nuove energie e idee. Ciulla è pittore finissimo in lotta con la forma (“la paralizzante bellezza della forma, in cui restava inevitabilmente prigioniero”), la sua omosessualità (vissuta con “esaltazione e vergogna” e usata come arma dai suoi detrattori per denigrarlo), il suo fervore politico, il circolo operaio, i compagni caduti nella lotta contro il regime. Deluso dalla sua esperienza e ansioso di un riscatto decide di mettere a frutto la sua perizia nel mescolare i colori divenendo uno dei maggiori falsari della storia distribuendo, tra la primavera del 1920 e l’autunno del 1922, “una pioggia di benefiche e anonime banconote da 500 lire… nelle case di molti bisognosi… nessuno ebbe mai il sospetto che fossero false”. “C’è un mistero umano dietro Paolo Ciulla”, ricco di talento ma povero falsificatore, condannato dal tribunale, acclamato dalle folle come l’˝uomo dalle mani d’oro˝ ed apprezzato dagli esperti per avere sfornato banconote “quasi indistinguibili” da quelle vere e “più perfette e meglio incise di quelle della zecca”.

 

Giuseppe Nativo