Pompei Fortunato - Salvatore & Salvatore Spadola, Il castello dei Conti di Modica. Tradizione e Futuro, ipotesi progettuale di tre architetti. Presentazione di Giorgio Cavallo. Formato 14x20, Rilegatura a quaderno, pp. 60, Modica 2004, ISBN 978-88-89211-05-2
(Dalla presentazione di Giorgio cavallo)
Era nato, l'Autore di queste note, all'ombra del Castello ed aveva giocato giochi di corse, "a furriola" - per le vanelle di basole e le antiche scalinate che, sul versante del Pozzo dei Pruni, allora scoperto ed ancora scavalcato da ponti - quello del Salenitro, quello della Catena e quello dei Molinelli - arrancavano verso lo sperone roccioso ricco di anfratti - "a urutta ro patri ranni" - che muovevano alla curiosità e alla paura.
Ne subiva il fascino e costruiva favole: il piccolo clan -Franco, Piero e Neli - ascoltava, stupito, sulla "ciappedda ra sciclitana", un pianerottolo di scale fra scale da cui non venne mai sfrattato dalla cortesia dell'unica inquilina.
Nel 1980 - smessi da tempo i calzoncini alla zuava - la necessità di crescita professionale lo portò in Francia, a Strasburgo, per un corso di Studi Speciali cui partecipava assieme ad una ottantina di ricercatori provenienti da ogni angolo d'Europa.
Superati, alla fine dell'anno di studio, gli esami delle singole materie, si venne a porre l'angoscioso problema della tesi di fine percorso.
Si poteva, partendo da un centro dell'estremo lembo di Sicilia, presentare un argomento d'alto profilo che trovasse confronto con lavori provenienti da Amburgo, da Parigi o da Roma?
Nacque l'idea - a cui il professore Gross manifestò il suo entusiasmo - di una tesi mista, letteraria nella prima parte, scientifica nella seconda, che avesse corpo robusto per contenuti stilizzati, anche se di una certa importanza.
Fu gioco forza, allora, provvedersi di tutta una serie di pubblicazioni esistenti sulla Città di Modica e sulla Contea, fino a quel momento destinati a pochi studiosi di nicchia.
La tesi, costruita sugli studi del Solarino, del Modica Scala, del Sortino Trono, del Revelli, del Minardo, del Raniolo, del Sipione e di tantissimi altri, partiva dalle origini sicane e sicule per concludersi ai giorni della Provincia ed ai risultati che la ricerca scientifica aveva prodotto nell'ultimo decennio sul territorio ibleo in riferimento alla incidenza statistica delle malattie neoplastiche del seno muliebre.
Riscosse un lusinghiero successo e si meritò la lode.
Aveva, però, acceso una passione che portò ad una frequenza assillante all'Archivio Comitale a consultare manoscritti, la cui decriptazione veniva a volte resa facile dal giovanile entusiasmo, tal’altra dall'aiuto di esperti che su tali paginoni ingialliti avevano speso gran parte della propria esistenza.
Proprio in quegli anni, 1983 credo o 84, una giuliana di enormi proporzioni tenuta tra le mani con fare istupidito, non sapendo che fare e come cercare, si aprì a caso, mostrando un inserto tutto speciale: un documento, corredato di piantina, con il quale veniva affidata a Mastro Ignazio Scifo l'esecuzione di alcuni lavori al Castello.
Ed il cerchio si chiuse.
La ricerca disordinata delle fonti e degli obiettivi ebbe fine ed un fine. Chiaro e misterioso. Vicino e sfuggente. Deserto di vita e vivo di memoria. Il Castello.
Cinque anni dopo una parete abbattuta consentì l'accesso a sotterranei sepolti da secoli.
Ed iniziò un'altra storia, scritta a più mani. Giovani e capaci. Ansiose di futuro. Che qui benedico e ringrazio.