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Julius Evola, Orientamenti.

Presentazione di Carlo Catacchio.

Formato 12x12, Rilegatura a quaderno, pp. 82,  2005. [ISBN 978-88-89211-14-4]

 

 

Nota dell’editore

“Orientamenti” di Julius Evola non ha mai perduto la caratteristica funzione che lo originò negli intendimenti del suo autore. Pubblicato la prima volta nel 1950 a cura del gruppo della rivista «Imperium» vide una successiva edizione nel giugno 1971 a cura dell’autore stesso “(…) dato però che– scrisse nella prefazione Evola stesso -  l'opuscolo viene tuttora cercato, al punto che vi è chi di propria iniziativa, senza esserne comunque autorizzato, lo ha ristampato, e dato che esso può offrire una rapida sintesi provvisoria di alcuni punti essenziali e generali (…)”. Il libretto è stato più volte ristampato, possiamo dire “ciclicamente ristampato”, come a marcare quei tempi in cui si avvertiva la necessità di rimettere a posto le idee, o a definire meglio l’azione politica o culturale per adeguarla ai nuovi modi in cui si manifestava il costante procedere delle devastazioni del modernismo. Un ciclico adempimento  di chi avvertendo la necessità di rilanciare un’azione cerca un punto fermo cui rifarsi, un imprescindibile punto di partenza per ogni riflessione che voglia ritrovare un orientamento nel confuso franare e mescolarsi di ogni significato.

Questa nostra edizione ha il pregio di avere affidato la presentazione di Evola e dei suoi Orientamenti ad un “non evoliano” che ci fornisce un ritratto più disincantato di Evola al quale, ci sembra, riconosca la capacità di disegnare una "visione del mondo" complessiva per il confronto con la realtà che ci circonda dimostrando, indirettamente, come il pensiero di Julius Evola mantiene quella attualità che è riservata al pensiero che trova alimento nello “tràdere”, Valori eterni calandoli ed attualizzandoli nella storia, in forme e manifestazioni diverse ma facilmente identificabili in ogni epoca e in ogni luogo.

 

(dalla Presentazione di Carlo Catacchio)

Evola è sicuramente un esponente dell’ancien régime, nobile settecentesco, un Ruskin italiano che rifiuta la tecnologia e la tecnocrazia, viaggiatore agli estremi del mondo e dell’uomo, un Goethe conscio della sua visione e della sua missione superiore, enciclopedico e pre-giacobino, un serio voyeur, un Wilde moralista eterosessuale, un ponderato dandy.

Detesta le magnifiche sorti progressive del positivismo, e tutte le sue manifestazioni, il liberismo e il comunismo, e soprattutto la sua ragion d’essere, il suo supremo senso, l’imperium, dell’economia, quale pensiero unico e dominante dell’uomo moderno.

Per questo recuperare il sapere ermetico ed esoterico è indispensabile per lui per riscattare l’unità dell’uomo, persa con la scienza, la specializzazione del sapere, resa schiava dal meccanicismo della produzione e dal determinismo della psicanalisi. Demonizza la plebe, il proletariato, la borghesia, l’omologazione e l’appiattimento del consumismo.

Il suo accanimento contro il positivismo e il materialismo lo pongono fuori dal tempo contingente a costruire un presepe fatto di paesaggi premoderni, animato da ominidi irreali, che non trovano corrispondenza nemmeno nella realizzazione di quanto più vicino fosse alla teoria del suo Regno, il fascismo italiano.

Perché se è poco probabile che l’uomo viva di solo pane, è pur vero che un uomo non si nutre di sola Idea. Insomma se è vero che in medio vero, il vir non appartiene al fango e alle rovine del mondo reale, ma nemmeno vive nel più alto dei cieli e nel delirio di visioni ultra terrene. E così che, proprio perché unico nella sua intimità e nell’adesione al suo mistero, l’uomo libero e creativo non è di destra, né di sinistra, e non appartiene agli estremi proprio perché parziali.

Ma anche perché la natura, l’esistenza dell’uomo è tutta da definire e da scrivere, che nulla si può dire dei viaggi nell’indefinito di Evola, se non ascoltarli e ponderarli.

Per questo le visioni superiori di Evola hanno il fascino, ma anche la vaghezza, delle utopie e la sua figura assume l’indefinitezza di un profeta e di un redentore.

La società probabilmente che gli va più a genio è quella giapponese, organica, dove ogni ape-uomo risponde ad una funzione all’interno dell’arnia-Stato ed è sottomesso al vitello d’oro del dio-Stato, l’Idea-patria, quindi ad una Ragione sovrastorica e ultra temporale, la chiave di volta di tutta la cosmogonia evoliana, che in quanto indefinita e improbabile, è anche il suo tallone d’Achille.

Per questo Evola non ammette dubbi e obiezioni di coscienza, così vive e pulsanti in noi, e pretende all’Idea un’adesione fideistica e militare, che lasciamo al profeta e ai suoi discepoli.

La coscienza selettiva di questi eletti scorda la pietas romana,così viva e abbagliante nella cultura latina, da lui così amata e mitizzata.

Insomma il cielo evoliano è così ultraterreno ed irreale, eppure ermeticamente ben fondato, che non può che diventare la stella polare delle destre italiane, da guardare quando occorre, da desiderare alla bisogna, da ignorare alla luce del vivere.

Se è vero che scienza e progresso hanno creato molti mali nell’uomo moderno, noi guardiamo a quello che di buono hanno fatto, come la lettura e la ricerca documentaria che permette alla Ragione di sperimentare e verificare, sui dati sensibili ed emotivi, gli assunti e i postulati degli Antichi. Come Evola appunto.

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