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Concetta Modica, Isola Concezione – selfportrait, Formato 14x20, Rilegatura in brossura, pp. 53 conception’s island self-portrait. translate: google translate. Biblioteca di Babele edizioni isbn: 978-88-89211-38-0

Stampato in Italia nell’agosto 2012 in 50 copie

 

 

 

L’artista con il pretesto di rappresentarsi come un’isola scrive una sorta di mappatura di oggetti, luoghi, persone care in cui si identifica, diventando essa stessa un luogo.

 

Sono Connie, o almeno una parte di me è Connie. Ho scelto questo abbreviativo da un anno circa, storpiavano

sempre il mio nome in malo modo. Mi disegno come un’isola: l’Isola Concezione. Le coste sono i miei due profili

diversi, sono davvero diversi, come se avessi due nasi, poi ho anche due occhi, due cuori, due tette, due

pensieri, due stomaci, uno delicato che vuole solo elementi primari, privi di trasformazioni, latte crudo,

pomodori a morsi, frutta, e l’altro che ama lasagne al forno e torta sacher.

Vengo da una terra lontana rocciosa e impervia, le alture sono alla rovescia, al posto di salire vero l’alto

il percorso è verso la valle, dentro il canyon, la salita viene dopo. Non c’è la metropolitana, e in inverno

c’è freddo anche se è caldo.

Ho l’impressione di aver ricominciato tante volte, ma non perché non andasse bene quello che avevo, non

so perché, mi piace iniziare le cose. Come se leggessi le trasformazioni come inizii, invece forse sono

solo passaggi.

Ho avuto ben due mariti, uno di loro grazie a Dio desidero stia ancora con me, e altre persone che ho

amato.

Sono un’artista prima di tutto, non potrei essere il resto se non lo fossi. L’arte mi ha salvato dal disordine,

da una vita di indecisioni, una vita fatta di mille cose, dal subire gli altri, mi ha insegnato

a diventare un’autrice di pensieri e di un piccolo mondo che prima non esisteva, semplicemente perché non

esistevo io, un io unico e irripetibile come tutti noi.

Mi ha salvato l’arte e mio figlio, Mi ha messo di fronte alla concretezza della vita, alle viscere, mi ha

chiesto di essere presente sempre. E ho scoperto che è bello esserci. Prima di saper fare penso che bisogna

esserci, e poi riconoscere anche quando non ci sei, un’ambivalenza necessaria.

Da qualche anno mi trucco ogni giorno, all’inizio come esercizio quotidiano, poi come pratica spontanea. Delle

volte mi sento aggressiva e cerco pratiche di ingentilimento. Non credo nell’aggressività né negli schiaffi

quando ci vogliono, quando succede per me è comunque un errore. Per fortuna mi capita di rado.

Mi piace sentirmi stanca, sentire il fiatone, il cuore che accelera sentire il corpo che partecipa che ti

parla con quel fiato. Il corpo che ti comunica i desideri. Ho il terrore del tempo che passa, ho dei problemi

con la mia età, non ne parlo mai, mi spaventa il fatto di non poter sentire più i miei desideri, da quelli

sessuali a quelli di ravioli col sugo. Mi spaventano le rughe. Cosa succederà fra del tempo? Una candelina

simboleggia un anno ma si spegne in pochi minuti. E noi ci spegneremo? Io mi spegnerò?

Adesso la mia energia è infinita, mi sfianca e a volte non mi risponde.

So fare tante cose che appartengono al quotidiano, imbiancare, collegare una spina elettrica, fare buchi col

trapano e montare mobili, usare ago e filo in modo improprio, andare a cavallo davvero bene, molte cose le

ho imparate quando aiutavo mio padre bricoleur, gli facevo da assistente, da lui ho ereditato la tenacia e

una certa selvatichezza e l’amore per i libri, da mia madre ancora non lo so ma lo capirò sicuramente fra

qualche tempo e sarà più di quanto non pensi.

Odio i puzzle, li ho sempre odiati, li odio esteticamente e per il tempo ostentato che si cela dietro

all’immagine finale, amo le cose veloci, immediate ma anche quelle lente davvero lente che ti connettono con

l’intimità, tuttavia penso di essere veloce nonostante me stessa, il mio passo è veloce, come leggo, è veloce,

come parlo, è veloce, chissà perché.

Una delle cose che mi piace tantissimo è la lampadina che si accende dopo aver collegato i fili, è una cosa

banale, ma mi sorprende ogni volta, la riconduco alla magia dell’intelligenza, delle idee.

Difficilmente mi annoio anche se mi trovo in situazioni noiose. Amo l’ozio, la pausa, il break. Credo nella

contraddizione: sono una cosa e anche il suo opposto.

Ho un fratello e una sorella con cui non ho nulla in comune, siamo tre isole diverse. Ogni tanto faccio

dei viaggi d’eplorazione in queste isole e scopro angoli nuovi mai visti. Mari calmi e mari agitati, rocce

aguzze e dolci spiagge.

C’era un’isola che visitavo quasi ogni giorno; era quella di mia nonna, ma adesso è sommersa, anzi è sparita,

non la vedo più. Se potessi andare ancora sarebbe diverso, ma certe cose non possiamo sceglierle. Lei mi

amava in modo evidente, e anch’io, pur non avendo nulla in comune, a parte le caviglie secche e il passo

veloce. Lei andava veloce anche per andare a messa la domenica. Non ci somigliavamo in niente e quindi è

più bello amarsi quando è cosi.

Quando avevo 15 anni sono svenuta su una porta finestra, la mia testa è andata fuori dal vetro spaccandolo, e

avevo un po’ di tagli; mia madre mi ha caricato da sola in macchina, con la forza dell’amore, presumo visto

che pesavo, e mi ha portato in ospedale, un taglio era arrivato oltre la tempia e i dottori dicevano che per

un miracolo di pochi millimetri ero ancora viva. Forse quella è stata la prima volta che ho iniziato di

nuovo, con le mie nuove cicatrici sembrava che continuassi la mia vita normale; in effetti pensavo spesso che

poteva andare in un altro modo, per cui era un inzio.

Io e mia sorella da piccole giocavamo tanto insieme, stavamo sempre insieme, poi non so cosa è successo, parliamo

davvero poco; c’è quasi imbarazzo, e io penso che lei non sappia quanto le voglio bene, non le dico mai

nulla di affettuoso, la abbraccio di rado, non la chiamo quasi mai. Non esterno i miei sentimenti in generale,

non so perché, forse nella mia famiglia siamo tutti troppo sobri. Avevo un cane affettuossisimo, lui era davvero

espansivo, avrei dovuto imparare da lui, si chiamava Vittorio. Color miele, basso come un basotto, ma

grosso, con la faccia importante, uno sguardo incredibile come solo i cani hanno. Lui dal mio abbigliamento

capiva dove sarei andata e se poteva venire. Quando capiva che avrebbe potuto, iniziava a saltare e a guaire

e si metteva sul predellino della mia vespa in attesa di partire. Poi partivamo e lui affacciava la testa di

lato e le orecchie volavano, era davvero bello, poi alzava lo sguardo con le orecchie al vento e mi guardava,

come per dirmi qualcosa, per dirmi che condivideva quel piacere.

Ciò che non si dice è ciò che rimane di più dentro, fin nelle viscere.

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