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Modica Carmelo , Libri e ...librerie, con una nota di Franco Antonio Belgiorno - in 111 copie numerate e firmate dall'autore, illustrazione in copertina di Guglielmo Manenti, Formato 12x12, pp. 21, Modica 2003, ISBN 978-88-89211-26-7.

(stralcio)

Noi della Biblioteca di Babele siamo della ferma convinzione che il libro che fa mostra di sé in uno scaffale non ha vita tranquilla. E quando qualcuno lo prende in mano e ne sfoglia le pagine si pone in uno stato di ansia. Comincia a spiare chi vorrebbe acquistarlo, percepisce il calore delle mani che lo toccano, e quando sente dita spigolose e svogliate, spera di essere subito rimesso al suo posto.

Quando quelle mani lo portano verso la cassa, anche se si sente morire, spera di servire come regalo, e quindi di trovare un luogo degno del suo rango. E' per questo motivo che chiediamo ai nostri gentili frequentatori della  libreria di essere delicati nel prendere e sollevare il libro dal suo consueto luogo dove riposa. Si, perché da noi i libri riposano, si scambiano opinioni fra di loro e sopportano di essere disturbati solo da coloro che li trattano con garbo; la maggior parte si trova nella posizione classica, col dorso sporgente.

 Qualche volta, ma lo hanno accettato per la brevità dei turni, la loro amica che gestisce la libreria, alla quale sono molto legati, li mette in evidenza affinché se ne veda la copertina, o addirittura con le pagine aperte. A volte anche in posizioni scomode, magari abbelliti da un nastrino o in confezione regalo, sanno, però, che la loro amica non chiederà loro di più, tanto è vero che non li ha mai esposti al sole o all'umido della vetrina esterna.

Da noi i libri si trovano bene perché sentono di vivere un ambiente familiare, caldo, in un ordine "umano", in posizioni comode, e sempre a contatto con altri e con materiali caldi, come il legno o il cartone, qualche volta anche in una cesta, ma mai la plastica, il ferro, il profilato.

Nella "Biblioteca" i libri stanno bene, se fosse per loro non vorrebbero andarsene, ecco perché vi chiediamo di prenderli in mano con molta dolcezza.

Se trattati male si adombrano, si intristiscono, ancor di più quelli antichi che spesso, perché reduci di tante angherie, delle quali in alcuni casi ne portano evidenti i segni con lacerazioni, scollature o tracce di biro, non chiedono, pretendono rispetto; pensate magari a quel libro che ha educato tutti i figli di più generazioni, e che dopo aver sopportato i rigori di una polverosa soffitta, ora grazie alla "Biblioteca" ripropone il suo servizio.

Il libro non è un oggetto qualsiasi, è la sedimentazione di emozioni, è sudore di ricerca, è estrosità di composizione, è strumento educativo, è sintesi di saggezza dei nostri padri, è memoria e quindi, vita.

Ecco perché il libro non può mai essere un regalo, ma un dono.

 

Una nota

di  Franco Antonio Belgiorno

 Calcolando che fra quelli di Modica e gli altri che sono ancora in Germania, possiedo più di seimila libri, ne deduco che ho comprato quasi cento libri all’anno. Ciò per tutta la mia vita, fino ad oggi.

È straordinario quanto questi libri saranno costati, ma ancora più incredibile è il fatto che non ho mai pensato ai soldi spesi per essi. Come dire: non mi sono mai pentito di averli acquistati e, ciò che è ancora più bello, non ne ho mai portato uno indietro.

Una vecchia signora a Parigi, in rue du Cherche-Midi, padrona della più piccola libreria che abbia mai visto in vita mia, tirando fuori una copia dell’Ulysses nella traduzione di Valery Larbaud da una sorta di montagna di carta, mi disse con orgoglio: “Vous savez... i libri sono come i fratelli, bisogna che essi esistano solo per noi.”

Io l’ho sempre saputo, anche se con il passare degli anni, talvolta trascorro delle ore per scovare un mio autore preferito negli abissi degli scaffali. Ma il cercarli, l’intuire la loro presenza, e poi finalmente prenderli in mano, accarezzarli, portarseli a letto, ha una sacralità che non potrà mai capire chi per i libri non ha amore.

Amor librorum nos unit sta scritto in un’edizione rarissima di poesie di Rainer Maria Rilke che comprai molti anni fa a Praga. Quella frase in inchiostro verde, secondo una moda degli anni trenta del secolo scorso, orna il frontespizio del libro scritto da una mano che appartenne a qualcuno di cui non so e non saprò mai nulla. Ma dalla profondità del tempo, dall’impossibile ricostruzione delle biografie umane, in quella mano, quell’inchiostro e quella frase in latino vi è una parentela. I libri non sono forse un miracolo?

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