Modica Carmelo, Intervista a Terzo Occhio. Analisi severa ed impietosa del potere economico modicano, dei suoi servi e dei politicanti voltagabbana. Formato 21x29, Rilegatura a quaderno, pp. 84,  Modica 2007

 

 

(Stralcio)

(c.m.) - Il trionfo del principio di competenza segna, quindi, anche la fine della politica oltre che delle ideologie?

 

(t.o.) – Il suicidio delle ideologie segna l'inizio dell'era dei ciarlatani e dei mestieranti della politica.

Dalla definizione stessa di democrazia si trae il principio che il politico non deve essere competente. Infatti, la competenza è conoscenza ed esperienza in una branca particolare della scienza, mentre la politica è la visione del mondo.

L’esercizio di una professione necessita di cognizioni specifiche e settoriali e queste possono semmai aiutare a svolgere una attività politica, ma non possono mai esaurire la molteplice vastità delle sue esigenze.

Una visione del mondo è l’insieme di aspirazioni, di sentimenti e di idee che riuniscono i membri di un gruppo in contrapposizione ad altri gruppi, e lo stesso vale per le classi sociali.

Più specificamente, l’attività di governo ha tale vastità di campo da richiedere competenze che nessuna professione può possedere integralmente. Solo dei presuntuosi possono dichiararsi competenti di politica, e dei ciarlatani possono dire che per attuarla serve competenza.

Ostentare il fatto d’essere colonnello, professore universitario, avvocato di grido, geometra, laureato, ragioniere o fruttivendolo per dimostrare il possesso di buone competenze per fare l’Assessore o il Sindaco è da imbecilli. La competenza può essere considerata alla stregua di un elegante biglietto di presentazione.

I contenuti di vari profili professionali, confrontandosi nell’ambito di un’assemblea consiliare ed integrandosi fra di loro, possono avere influenza positiva sulle decisioni, ma nulla di più.

Il politico ha bisogno d’altro spaziare, tant’è vero che le competenze tecniche vengono poste a sua disposizione attraverso la struttura burocratica e gli è concessa la possibilità di nominare esperti, di commissionare progetti, di esigere quanto possa servirgli per decidere a ragion veduta. Se s’imprigiona nella gabbia delle sue personali competenze, millanta d’essere il politico che non è. E se non ha dubbi, se non ha paura di sbagliare, è meglio che ritorni a far bene quel poco che sa fare, senza pretendere di rimanere a far male quello che la sua competenza gli nega di far bene.

 

(c.m.) - Sono d'accordo: la competenza, o preparazione, è l'opposto della cultura intesa come visione del mondo. Quest'ultima è il risultato di tanti elementi tra i quali anche la carriera scolastica, professionale, ma anche di tutte le altre esperienze che consentono di acquisire un modo di essere che manifesta equilibrio, sicurezza, capacità di cogliere l’essenziale, il giusto, il bello, l’armonia, il rispetto.

Ecco, io in questo senso non so se ha contribuito di più alla mia formazione la laurea o quel mese l’anno di manovale che mio padre mi costrinse a fare dalla seconda media al quarto superiore. Ho letto molto, ma chissà quanti altri libri avrei dovuto leggere, mi chiedo spesso, per assorbire il significato di quella immagine in cui un operaio stava davanti al signorotto tracotante per chiedere una giornata di lavoro con il “tascu” dietro la schiena, oppure quella della eccezionale figura di  Governante che ebbi il privilegio di conoscere dentro la casa di un nobile locale che riscuoteva un incredibile rispetto da parte dei "suoi padroni", in un rapporto che sembrava da primus inter pares in cui l'altera sua figura si con-fondeva con la più autentica nobiltà d'animo della casata.

 

(t.o.) – Oggi, venendomi a trovare,  ha indossato il tasco. Devo concludere che questo abbia un significato particolare?

 

(c.m.) - Si è vero. Forse ciascuno di noi si fa accompagnare e condizionare per tutta la vita dal ricordo di qualche evento particolare che lo colpì da bambino. Il mio  ricordo radicato è l’immagine di un operaio in piazza San Giovanni, nei primissimi anni ’50 con il “tascu” in mano, tenuto dietro le spalle, in atteggiamento di sofferta e necessaria supplica, davanti ad un signorotto con i baffi ed il petto tronfio, che poi, man mano che avrei letto un po’ della nostra storia, avrei identificato con il campiere.

Era la rappresentazione della vita di allora: l’uomo costretto all’umiliazione da un lato ed il peggior potere dall’altro.

Il tempo trascorre, ma invano: questa rappresentazione non sarebbe mutata. Quell’uomo, come il caporale di Totò, avrebbe cambiato sembianze, via le bretelle ed i pollici delle due mani infilati nel bordo di pantaloni; via la coppola storta, ma stabili, eternamente stabili, i suoi atteggiamenti mentali. Sarebbe scomparso anche "u tascu", il campiere sarebbe diventato onorevole della Regione Siciliana ma in quella piazza di San Giovanni si perpetuava il rito della sottomissione. Nella periferia della piazza si vedevano i comunisti che minacciavano fuoco e fiamme in difesa dell’uomo “co tascu rarrieri e spaddi”, ma col tempo finirono dall’altro lato. Divennero onorevoli e senatori; fecero carriera dentro il partito, il Comune ed il Parlamento. Ancora sono in giro, qualche volta anche in Piazza San Giovanni, ma preferiscono esibire le loro “bretelle” in salotti privati dove tanti uomini “co tascu rarrieri e spaddi” vanno e vengono.

Ecco io ho rimesso in testa “u tascu” di mio padre che ebbe, soffrendo, la forza, ma anche la fortuna, di non doverlo togliere se non solo per salutare le signore. Con esso voglio anche assaporare costantemente il piacere di avere avuto la fortuna di non doverlo mai tenere in mano dietro la schiena.

Desidero, anche rendere onore a quell’uomo umile degli anni ’50 che fu costretto a tenerlo dietro la schiena ed al quale sono rimasto molto affezionato. Ma è anche un omaggio a quel Signore facoltoso, molto facoltoso, che impedì ai suoi operai di togliersi u tascu al suo passaggio, porgendo loro la mano da stringere.

 

(t.o.) – La sua divagazione mi sembra dare sostanza al vero significato di cultura della politica e demolire alcuni luoghi comuni. Ma ritorniamo al rapporto cultura-competenza. Non vi è chi a Modica non sposi l’idea che un Saverio Terranova, per il fatto d’aver ricoperto più volte la carica di Sindaco, sia un politico fra i più competenti. Luogo comune uguale è quello per cui un ingegnere, o in alternativa un geometra, stia bene all’Assessorato ai lavori pubblici o che un Colonnello della Polizia stradale sia il miglior Assessore alla polizia urbana. Similmente dovrebbe allora ritenersi che il professore universitario sia la persona più adatta a reggere l’Assessorato alla cultura. Così pensando, anche un teatrante dovrebbe essere parimenti efficace occupando quel posto, per il principio che il Teatro è Cultura, e non ci si può stupire se all’Assessorato allo spettacolo ed al turismo venga delegato un commerciante, per la sua abilità nel trattare coi clienti e far cassa, avendo sul turismo e sullo spettacolo l’opinione che si tratti solo di business.

 

(c.m.) - I più restii ad accettare queste nostre tesi ci direbbero subito: “queste competenze non saranno decisive, ma certamente aiutano”.

Io, ma anche l’esperienza e l’attuale stato della struttura burocratica del nostro comune, dicono che oltre a non aiutare, la competenza dei politici addirittura aggrava la situazione.

Anche a non voler dare ragione a chi ritiene che l’ingegnere chiede l’assessorato ai lavori pubblici perché spera che gli aumentino i clienti, considerato che lui ha la possibilità di far camminare meglio il progetto; o a chi ritiene che il professore universitario possa scegliere il corso di laurea più comodo per lui stesso; o che il commerciante possa meglio pilotare o controllare le iniziative che possono portare soldi alla sua attività e così via; anche a non voler immaginare nulla di tutto questo, la conclamata  "competenza" degli assessori è quella che ha mortificato, annullato e deresponsabilizzato le competenze della struttura burocratica.

Abbiamo avuto assessori bravi geometri, cui non è sembrato vero dare ordini agli ingegneri della struttura burocratica. Si è verificata una corsa al ribasso, con assessori bravi tecnici, ma pessimi assessori perché non esistono assessorati che non richiedano ampie vedute, quelle ampie vedute che solo la cultura alla quale abbiamo fatto riferimento può dare. Il risultato finale non poteva che essere quello che abbiamo davanti: una struttura burocratica con vertici demotivati che riescono a gestire solo l’ordinario ed una dirigenza politica presuntuosa che con la sua ignoranza abbassa i livelli dei provvedimenti, gridando al miracolo quando riesce a realizzare anche la cosa più banale ed imbecille. Ne è prova il constatare che non esiste rapporto tra quanto alcuni esponenti politici sono riusciti a realizzare nella vita privata e professionale e quanto hanno realizzato in politica.

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