Home Giuseppe Ascenzo 

2006   

 

Gennaio 2006 
Lasciamo che i bambini possano ancora sognare                          La Pagina: 12 gennaio 2006

Rimettiamo le cose al loro posto                                                   La Pagina: 28 gennaio 2006

Siamo tutti mafiosi                                                                         Dialogo: gennaio 2006

 

Febbraio  2006 
Ora si parla si satanismo                                                                  La Pagina: 12 febbraio 2006

Noi non chiediamo, pretendiamo!                                                   La Pagina – 28 febbraio 2006

Una gravissima e intollerabile ingiustizia                                        Dialogo: febbraio 2006

 

Marzo  2006 
Povera Modica                                                                                 Dialogo: marzo 2006

Difensore civico: il garante che non può garantire                          La Pagina: 28 marzo 2006


Aprile  2006              
Globalizzazione economica e giustizia sociale                                La Pagina: 12 aprile 2006
Le bandiere ammainate                                                                    Dialogo: aprile 2006
L’ultima nefandezza prima dell’addio                                             La Pagina: 28 aprile 2006

Maggio  2006
Il raduno del movimento carismatico a Modica                              La Pagina: 12 maggio 2006
Un assordante silenzio                                                                     Dialogo: maggio 2006
L’immoralità e la politica                                                                 La Pagina: 28 maggio 2006
 

Giugno  2006 
Carmelo Ottaviano, il filosofo che nacque due volte                        La Pagina: 12 giugno 2006
Un’occasione perduta                                                                        Dialogo: giugno 2006
I rimpasti, la visibilità e lo psicanalista                                             La Pagina. 28 giugno 2006

Settembre  2006
Un dolore che parla da solo                                                              La Pagina. 12 settembre 2006
L’ammalato-cliente e l’ospedale- azienda                                        La Pagina: 28 settembre 2006
 

Ottobre 2006

Noi non ci scandalizziamo                                                                 Dialogo: ottobre 2006
Le alte vette dell’irreale                                                                     La Pagina: 28 ottobre 2006

 

Novembre 2006
Il lupo perde il pelo ma non il vizio                                                    Dialogo: novembre 2006
Halloween, una notte che ci sarà sempre estranea                              La Pagina: 12 novembre 2006
Dall’uomo-marketing alla città-shopping                                            La Pagina: 28 novembre 2006

 

Dicembre 2006

Il deserto su cui camminiamo                                                             Dialogo: dicembre 2006
Il grande bluff                                                                                     La Pagina: 12 dicembre 2006
Grazie, Signor Sindaco                                                                       La Pagina: 28 dicembre 2006

 

 

 

                                                                         2006

 

 

Gennaio 2006

                            

 

                             LASCIAMO CHE I BAMBINI POSSANO ANCORA SOGNARE

 

Abbiamo scritto, in uno dei nostri ultimi articoli, che l’attuale amministrazione non ha cognizione della città che amministra: le sagre, le fiere, le giostrine nella più importante piazza del centro storico si addicono ai tanti paesotti di provincia, che non mancano di certo nella nostra Sicilia; ma Modica è un’altra cosa: la sua storia, la sua architettura, la sua gente non meritano di essere collocati nella dimensione del cattivo gusto e della grossolanità. Non contenta – in questi anni che hanno visto il trionfo della più becera mentalità consumistica e materialistica – d’aver tolto alla città l’eleganza e la signorilità che l’hanno sempre contraddistinta, la nostra Amministrazione ha deciso di defraudarla anche di quella spiritualità – non soltanto religiosa ma anche laica – che nei secoli ne ha delineato i tratti culturali e ne ha definito le coordinate etiche e civili entro le quali sono nati e cresciuti gli uomini migliori, per integrità morale o per altezza intellettuale, che la città ha donato alla nostra isola e all’intera nazione. In questo quadro di progressivo depauperamento dei valori dello spirito, si colloca la cosiddetta “Notte Bianca”, che si è tenuta nella nostra città tra il 5 e il 6 Gennaio, tradizionale festa dell’Epifania. Il deleterio provincialismo, che come una nube tossica avvolge e avvelena le nostre strade e coloro che le percorrono, si manifesta anche nella stupida esterofilia, in nome della quale siamo disposti ad importare autentiche cretinerie, per il solo fatto che trovano accoglienza nelle grandi metropoli della nostra “civilissima” Europa: allora ci si accoda per non sentirsi dei provinciali, e non ci si accorge che proprio in quel pedissequo accodarsi perdiamo il segno tangibile della nostra originalità e celebriamo il trionfo del più sciocco provincialismo. L’obiettivo dichiarato della Notte Bianca è stato quello di riproporre il connubio “vincente” di shopping e spettacolo, insomma le due direttrici lungo le quali si è mossa in questi anni la nostra amministrazione comunale. Che la gente si diverta, che le menti si smarriscano nel luccichìo scintillante degli addobbi natalizi, e che il mercato, soprattutto, possa glorificare i suoi stolti mecenati. Agli affari, che sono stati ancora una volta i veri protagonisti di quest’altra notte magica – il resto è stato soltanto fumo per annebbiare la vista degli ingenui – avremmo preferito una città in grado di riflettere sull’autentico significato dell’Epifania: la visita dei re magi a Gesù, nella grotta di Betlemme, è il simbolo dell’umanità che cerca Dio, degli uomini smarriti che cercano la via, dell’uomo sconvolto dai contrastanti messaggi che gli confondono la mente e che nonostante tutto cerca la vita e la verità; nello stesso tempo è Dio che appare (dal greco Epiphàneia), che si  manifesta: l’infinito che si fa finito, il divino che si fa mortale, per incontrare l’uomo nella sua parzialità e nella sua finitudine, perché questo riconosca in Lui il fine e l’origine della propria vita e di quella dell’intero universo. Il connubio shopping-spettacolo non è affatto vincente: esso testimonia la nostra sconfitta di persone non più in grado di discernere l’effimero dall’Assoluto. Anche considerando l’evento da una prospettiva laica e non religiosa, esso non ci ha convinti. Noi preferiamo che la befana rimanga nella sua dimensione intima e domestica: permettiamole di calarsi ancora dal camino, carica di doni o di carbone; non portiamola via dal suo mondo fantastico che ha fatto sognare generazioni di fanciulli; non sporchiamola coi quattrini e con gli affari; non facciamola smarrire tra la folla anonima e chiassosa! Pensiamo ai bambini, oggi così ricchi e così poveri allo stesso tempo: hanno tutto ma non hanno nulla. Quest’umanità distratta li ha privati dei valori più pregnanti e dei più nobili ideali; facciamo in modo, almeno, che possano continuare a coltivare i loro sogni: sarebbe un  imperdonabile delitto privarli anche di questi.

 

 

 

                                                  SIAMO TUTTI MAFIOSI

 

Il Giornale di Sicilia del 29 Dicembre ha pubblicato una notizia che ha suscitato in noi un senso di sgomento e un sentimento di profondo fastidio. La motivazione della sentenza di condanna per 33 imputati nel processo per l’omicidio di Libero Grassi – l’imprenditore che denunciò i suoi estortori e che pagò tale coraggio con la vita, il 29 Agosto del ’91 – è diventata l’occasione, per la Corte d’Assise di Palermo, per denigrare l’intero popolo siciliano. “ Libero Grassi – si legge nel provvedimento – ha pagato con la vita il prezzo di un biglietto di sola andata, da un inferno di viltà – non suo ma di buona parte di un popolo come quello siciliano che da troppo tempo subisce il ricatto mafioso – al paradiso che si vuole arrida agli eroi”. Un centinaio di pagine, scritte dal giudice a latere Angelo Pellino, che infangano un intero popolo, accusato troppo disinvoltamente di omertà e di vigliaccheria. Le infamanti accuse ripropongono una questione antica, che, nella fattispecie, è stata trattata con superficialità e utilizzando i soliti, stupidi luoghi comuni. Noi non intendiamo negare che troppe volte, per quanto riguarda l’attività criminale della mafia ma anche della delinquenza comune, una coltre di silenzio sembra calare sui cittadini che ne sono stati coinvolti o addirittura vittime, ma non sopportiamo che un’interpretazione viziata dall’ignoranza e dal pregiudizio, e che scambia l’omertà con la paura, finisca per assegnare al popolo siciliano il poco lusinghiero attributo di vigliacco, se non addirittura per definirlo connivente coi mafiosi, con la conseguenza di criminalizzare, a causa di alcune migliaia di mafiosi, un popolo intero. Il giudice Pellino avrebbe sicuramente bisogno di studiare o ripassare un po’ di storia meridionale, e siciliana in particolare, giacchè la sue affermazioni sulla vigliaccheria dei siciliani peccano di genericità e non tengono conto delle motivazioni storiche che hanno fatto della nostra terra, per tanti, troppi anni, un’autentica terra di nessuno. I nostri lettori si renderanno certamente conto che, in questa sede, non possiamo affrontare una problematica, ampia e complessa, come quella della Questione Meridionale, senza la conoscenza della quale ogni discorso sulla mafia non potrà mai essere esaustivo. Una breve parentesi, tuttavia, intendiamo aprirla: non va dimenticato, infatti, che la mafia non è un prodotto della mentalità siciliana, essa è stata il risultato di un intreccio di fatti, problemi e interessi che hanno caratterizzato la nostra storia già a partire dai primi anni post-unitari, quando una classe dirigente settentrionale, piemontese nella maggioranza dei casi, perseguì una politica economica che penalizzò il Meridione, perpetuandone la povertà e l’arretratezza: fu dunque quella classe politica che gettò nella nostra terra il seme adatto perché vi attecchisse la mala pianta della mafia e della criminalità. Qualche cenno lo riserviamo anche a quel “galantuomo” di Giolitti, a quel “ministro della malavita”, come lo definì Salvemini, che al nord raccoglieva consensi promuovendone lo sviluppo economico e industriale, e al sud pure raccattava consensi, ma relegandolo sempre più nell’inferno del malaffare, in cui opere pubbliche e appalti -  col tacito consenso del nostro statista, anch’egli piemontese -  si intrecciavano in un perverso e scellerato connubio. Per quanto riguarda, invece, la questione dell’omertà, essa è nata da un equivoco ed è stata alimentata da giornalisti affetti da un ignobile pregiudizio e da una scarsa perspicacia intellettuale. Il giudice Pellino, accusando di omertà e vigliaccheria i siciliani, ci ricorda tanto quei giornalisti venuti dal nord e che hanno la pretesa, nell’intervistare i siciliani, siano essi comuni cittadini o i commercianti taglieggiati, che costoro, davanti a telecamere e taccuini, facciano i nomi dei loro concittadini mafiosi, con la certezza che nel giro di pochi giorni, tra patteggiamenti, riti abbreviati e pentimenti, se li ritroveranno davanti più agguerriti ed arroganti di prima. Non sappiamo, davvero, a chi assegnare la palma del vigliacco: al commerciante che vuol salvare la sua attività e soprattutto la sua vita e quella della sua famiglia o al giornalista “coraggioso” che lo accusa di omertà, con  la certezza che dopo poche ore s’imbarcherà su un aereo, e se ne starà, sereno e tranquillo, nella sua città del nord, dove nessun criminale busserà alla sua porta per chiedergli conto e ragione di ciò che ha scritto o dichiarato. E’ facile fare gli eroi standosene nelle retrovie! Vengano a farli in trincea, i giornalisti di Milano o di Torino! Vengano loro a far nomi e cognomi e poi vadano a vivere a Palermo, con moglie e figli al seguito, in una delle case popolari dello Zen o di Brancaccio. Forse in tal modo finirebbe quest’autentica vergogna, questa campagna di criminalizzazione d’un intero popolo, che non vuole la mafia ma la subisce; solo in tal modo questi soloni incompetenti la smetterebbero di chiamare omertà quella che è semplice paura. Una paura alimentata dall’incapacità dello Stato di garantire la certezza del diritto. “Uno Stato – ha scritto Salvino Caputo, presidente dell’Associazione antiracket “Emanuele Basile” – che utilizza uomini e risorse per far trascorrere le vacanze in famiglia al boss di Partinico, Giusy Vitale, non sta certamente dalla parte dei cittadini e non difende il principio della certezza della pena”. Se lo Stato non è in grado di riappropriarsi di quella forza e di quella dignità che da molto tempo ha smarrito, se fa uscire dalle patrie galere anche i più feroci tra i mafiosi, per decorrenza termini o altri ridicoli cavilli giuridici, non osi poi pretendere collaborazione dai cittadini onesti. Tenere alla propria vita e a quella dei propri cari non è omertà e non è vigliaccheria: si tratta di un legittimo istinto di sopravvivenza, nel primo caso; nel secondo, di un altruistico sentimento, che si chiama amore.

 

 

 

 

 

 

 

                                            RIMETTIAMO LE COSE AL LORO POSTO

 

L’estenuante tormentone della candidatura di Torchi alle prossime elezioni regionali si è finalmente concluso: il nostro sindaco, che pare sia stato sacrificato agli equilibri di partito, ha dovuto rinunciare, ed ha così commentato il suo sacrificio: “ Non posso permettermi di privilegiare le mie legittime ambizioni rispetto al mandato conferitomi e alla fiducia che mi è stata accordata”. Dopo aver fatto notare che non poteva abbandonare la città proprio mentre questa sta vivendo- a suo parere- un eccezionale momento di crescita,  e dopo aver ricordato di aver sentito “una città preoccupata di restare senza guida e senza riferimenti istituzionali”, ha concluso, con una buona dose di inutile retorica: “ Per queste ragioni ho deciso di continuare nel mio impegno amministrativo e di servire i modicani con immutata dedizione, amore ed impegno”. Tuttavia, com’è noto, sul fatto che la sua mancata partecipazione alla prossima competizione elettorale sia legata al suo amore per i modicani, non sono mancati legittimi sospetti e molti dubbi, dei quali ovviamente, si è fatta portavoce l’opposizione. I democratici di sinistra e gli esponenti della Margherita lo accusano di aver “ strumentalizzato il proprio ruolo istituzionale al solo fine di avere un’ulteriore visibilità mediatica ed occultare una sonante sconfitta politica”. Secondo l’opposizione, in quello che Torchi ha presentato come una sorta di psicodramma, non c’entrano nulla gli interessi generali della collettività; la verità sarebbe un’altra, certamente meno nobile di quella espressa dal sindaco: in realtà, sostengono i due partiti d’opposizione, “ il sindaco è stato scaricato dall’on. Drago, che non ha sponsorizzato affatto la sua candidatura, sacrificandolo agli equilibri  interni tra i diversi notabili dell’UDC, così da garantirsi una sicura rielezione alla Camera”. I leaders dell’opposizione prospettano, inoltre, l’ipotesi che sulla sconfitta di Torchi abbiano pesato “i tradizionali poteri forti della città, come il gruppo Minardo, che non gradisce concorrenze pericolose all’ascesa politica del rampollo Nino”. Quelle adombrate dall’opposizione sono delle inquietanti illazioni, che, se fossero vere, sarebbero la testimonianza del fatto che il degrado politico di questa amministrazione è diventato ormai inarrestabile. Quelli dell’opposizione, naturalmente, sono sospetti non dimostrabili, per cui, sebbene verosimili e condivisibili, non li poniamo alla base delle nostre considerazioni, e lasciamo che siano i lettori a trarne le loro personali conclusioni. Ciò che invece ci pare inequivocabile è l’incoerenza logica e politica che riscontriamo nelle argomentazioni di Torchi, circa la sua decisione di restare alla guida della nostra città. Tale decisione, infatti, se non andiamo errati, è stata comunicata, tra conferenze annunciate e poi annullate, negli ultimi minuti dell’ultimo giorno utile, e questo non si concilia affatto col conclamato amore per la sua città. Che egli possa avere avuto la tentazione di “scegliere lidi più accoglienti e meno di trincea” è umano e comprensibile, ma se davvero l’amministrazione della città stava sul gradino più alto dei suoi desideri e delle sue priorità, non si spiega il fatto che egli sia giunto alla determinazione di restarne alla guida dopo mesi di dubbi ed incertezze. Se l’amore e la dedizione verso la propria città hanno radici profonde nella coscienza e nella volontà di un amministratore, la tentazione di tradire questi valori, per approdare a lidi più prestigiosi e remunerativi, potrà certamente nascere, ma scomparirà nel volgere di un giorno, o, addirittura, di poche ore. Ci pare, invece, che, nella fattispecie,  la tentazione sia stata talmente forte che soltanto a tempo quasi scaduto la cittadinanza ha potuto sapere se il  sindaco restava ad amministrare la sua città o avrebbe tentato di abbandonarla. A noi tutto ciò non sembra, lo diciamo senza perifrasi, una grande manifestazione di affetto e di stima per i modicani, checchè ne dica Torchi. Una seconda considerazione riguarda l’intervento dell’on.Drago, in particolar modo quando afferma, riferendosi al sindaco :” E’ chiaro che questa esperienza di governo sarà valorizzata a livelli più alti e nei tempi più opportuni ed in questo senso ho già incassato la piena disponibilità dei vertici regionali e nazionali”. Il partito, insomma, saprà ricompensare Torchi della rinuncia fatta. E qui veramente la dinamica delle argomentazioni mostra, dal punto di vista della coerenza logica, delle autentiche crepe: se il nostro sindaco ha rinunciato a Palermo solo per l’amore e la dedizione che nutre verso Modica, e se la sua scelta è stata assolutamente libera e non imposta, perché mai dovrà essere ricompensato? Tra l’altro, alla luce di tale argomentazione, la scelta di continuare ad amministrare la città apparirebbe come la manifestazione di un vero e proprio sacrificio e ciò diventerebbe inconciliabile col desiderio “ di servire i modicani con immutata dedizione, amore ed impegno”. Sul fatto riguardante la ricompensa – e qui il problema trascende Torchi, Drago e la stessa Modica – non possiamo che rammaricarci di una prassi che costituisce, purtroppo, una delle tante piaghe che affliggono il nostro Paese: i posti di governo, che dovrebbero essere appannaggio dei più preparati culturalmente, dei più meritevoli politicamente e dei più integri moralmente, sono diventati come merce in vendita al mercato, e in questo, mi si accusi pure di qualunquismo, i nostri politici sono tutti uguali, da Bossi a Bertinotti: e l’Italia va’ in frantumi, sotto lo sguardo inebetito e indifferente di un popolo che da un bel pezzo ha perso la propria dignità e che non sa più ritrovare la sua perduta identità.

 

 

Febbraio 2006

                                                      

 

 

                                                   ORA SI PARLA DI SATANISMO

 Dire “ avevamo ragione” è poco elegante e non ci piace, ed è per questo che, sebbene più d’una volta avremmo avuto l’occasione di dirlo, ci siamo sempre astenuti dal farlo: questa è la prima volta che lo diciamo e ci auguriamo che possa essere l’ultima. Su questo giornale, esattamente due anni fa, fu pubblicato un nostro articolo nel quale esprimevamo la nostra preoccupazione per il fatto che gruppi di adolescenti della nostra città si riunivano in piena notte per celebrare riti satanici: in quella occasione manifestammo la nostra perplessità circa la posizione allora assunta dal vicario foràneo della nostra città, il quale, per non creare allarmismi, rischiava, a nostro parere, di sdrammazizzare il caso, col rischio di determinarne una pericolosa sottovalutazione. Adesso, dopo le dichiarazioni di un sacerdote, riguardanti la presenza, a Modica, di almeno tre sette sataniche, anche il Vescovo non ha potuto fare a meno di intervenire. Constatiamo, purtroppo, che anche lui – dopo aver ammesso che in tante diocesi ci sono presenze di questo tipo – ritiene opportuno non creare allarmismi. Non condividemmo allora, e non condividiamo oggi, questo inspiegabile timore d’ogni sorta di allarmismo. Non è nostra intenzione addentrarci nella problematica del satanismo, sia perché non è nostro costume disquisire su fenomeni sui quali non abbiamo una specifica competenza, sia perché lo riteniamo un prodotto dell’ignoranza e della più gretta superstizione. Il fenomeno ci interessa solo dal punto di vista antropologico e sociologico, per i suoi risvolti gravemente nocivi per la crescita civile di una comunità cittadina e per l’equilibrato sviluppo psichico dei nostri ragazzi, giacchè sono soprattutto loro i protagonisti e le vittime di questa perversione spirituale. Detto questo, vorremmo soffermarci su ciò che più d’ogni altra cosa ci interessa e ci preoccupa: ci riferiamo all’atteggiamento della gerarchia ecclesiastica, che, nonostante le preoccupate denunce di coraggiosi sacerdoti, continua a gettare acqua sul fuoco, persevera nel ridimensionare un fenomeno del quale forse non si colgono le nefaste conseguenze sulla vita del singolo e della collettività, probabilmente perché la vicenda viene circoscritta all’ambito religioso. Non mettiamo in discussione, ovviamente, le buone intenzioni del Vescovo e del Vicario Foràneo di Modica, ma riteniamo semplicemente che questa ossessione di non creare allarmismi, e dunque di non turbare la tranquillità e la quiete della collettività, è poco confacente al messaggio evangelico e al ruolo che la Chiesa è chiamata a svolgere nella società. Viviamo in un’epoca che vuol nascondere il male, le brutture, la malattia e la morte, dove tutto è falsamente edulcorato, dove l’imperfezione non è ammessa. Siamo vittime della più grande alienazione che la storia ricordi; mai il semplice apparire ha dominato come oggi il mondo: siamo diventati un’accozzaglia di utili idioti al servizio degli oscuri manovratori delle nostre vite. Tutti belli, sani, ricchi e rifatti; inconsapevoli d’essere sacrificati sull’altare di un falso e interessato ottimismo, dietro cui si cela il diabolico obiettivo di rendere l’uomo schiavo del sesso, dello shopping e del lusso: una massa amorfa e priva di coscienza, non più fine ma strumento, e che annega nelle acque putride e malsane di una blasfema trinità: l’affare, il denaro e il mercato; contro questo male, Cristo, nel tempio, non ebbe timore di creare allarmismi e non esitò persino ad essere violento. Abbiamo il dovere di strappare la maschera a questa odiosa falsità che ci circonda; abbiamo l’obbligo morale di riappropriarci della consapevolezza perduta, ma per far questo occorre il coraggio di guardare in faccia il male: fingere di non vederlo non aiuta la società e non aiuta noi stessi. Se a Modica sono presenti delle sette sataniche, facciamo in modo – e in primo luogo la Chiesa – che il fenomeno emerga dalle tenebre in cui si trova: non per morbosa curiosità o per rallegrarci, ipocritamente, di non esserne coinvolti, ma per interrogarci e scoprire in che modo e in che misura ne siamo anche noi responsabili.

 

 



                          UNA GRAVISSIMA E INTOLLERABILE INGIUSTIZIA

 Dal 4 al 12 Marzo saremo costretti, ancora una volta, a subire l’insopportabile tramestìo e la indisponente futilità di Eurochocolate: una sagra paesana che l’ostinazione dei nostri amministratori e il risalto concessole dalla stampa locale hanno elevato al rango di evento di portata nazionale. I motivi che ci inducono a non dare alcun credito a tale manifestazione li abbiamo già espressi su questo e su altri giornali, e pertanto evitiamo di tediare i nostri lettori esponendoli per l’ennesima volta. Altro è ciò che in questo caso ci preme sottolineare: si tratta della perniciosa incapacità di quest’ amministrazione di liberarsi dall’ansia dell’apparire ad ogni costo e dall’ossessione della quotidiana propaganda, che in questi anni l’hanno confinata nella dimensione della politica virtuale e pertanto nell’ impossibilità di cogliere i veri e gravi problemi della città e di comprendere le esigenze e le necessità dei cittadini.  Inoltratisi in questa sorta di labirinto, fatto di foto, interviste e altre simili sciocchezze, i nostri amministratori vi si sono persi, ed oggi non sanno più recuperare quel sano realismo politico senza il quale è impossibile amministrare una città avendo presenti obiettivi chiari da perseguire; nel caso contrario si naviga a vista, e prima o poi qualche iceberg farà colare a picco la nave e quelle poche cose buone che trasportava. Le lotte di potere, le trasmigrazioni da una parte politica all’altra, le avvilenti richieste di maggiore visibilità, gli inutili e biasimevoli rimpasti nella giunta, le energie sprecate per pianificare carriere politiche più prestigiose e remunerative hanno finito, col tempo, per creare una sorta d’invalicabile barriera tra la città e il Palazzo. I nostri politici, prigionieri di intrighi, alleanze, fughe e tradimenti, non sanno più discernere le priorità dalle frivolezze, le azioni decisive dagli interventi superflui e inefficaci. A noi non resta che constatare gli infausti risultati di quest’ azione politica immersa nelle nebbie dell’evanescenza. Gli operatori ecologici, per l’ennesima volta, sono stati costretti a intraprendere azioni di lotta, per far valere il loro sacrosanto diritto a potere mantenere le loro famiglie, visto che la mancata erogazione degli stipendi è diventata ormai una spiacevole consuetudine; l’impresa, naturalmente, non può più anticipare mensilmente le somme dovute ai lavoratori, considerato che il comune le deve circa ottocentomila euro: troviamo scandaloso che questa amministrazione sperperi ingenti somme di denaro per organizzare Eurochocolate e nello stesso tempo debba contrarre un mutuo bancario per saldare il debito con l’Agesp, in modo tale che i lavoratori alle dipendenze di quest’impresa possano avere quanto loro dovuto. E’ inammissibile sprecare denaro per organizzare una kermesse che ha solo lo scopo di far lievitare gli affari dei commercianti e il bottino elettorale di qualche politico, e constatare che intanto anche le cooperative che forniscono servizi al comune  devono lottare per ottenere le loro legittime spettanze economiche. Mentre i nostri amministratori utilizzano il denaro pubblico per effettuare, anche all’estero, viaggi promozionali per la sagra del cioccolato, centinaia di alunni aspettano il rispristino del servizio di refezione scolastica non più riattivato dopo le vacanze natalizie, gli alloggi popolari di Treppiedi nord, nonostante promesse e roboanti dichiarazioni, subiscono, a causa del maltempo, infiltrazioni d’acqua, e l’umidità dilaga in tutti gli appartamenti e i residenti del rione S. Andrea, nel quartiere Vignazza, sono costretti anch’essi, da troppo tempo, a convivere con infiltrazioni d’acqua causate dalle numerose falle nella rete idrica comunale. Anche in questo caso, nonostante i continui solleciti, l’amministrazione non fà nulla per la risoluzione di un problema serio ed urgente. E così, mentre gli alunni sono ancora senza un pasto caldo, gli abitanti della Vignazza e di Treppiedi in mezzo all’acqua e gli operatori ecologici costretti ad elemosinare il loro stipendio, per i commercianti  e gli albergatori, invece, si profila all’orizzonte un ragguardevole incremento degli affari: noi riteniamo tutto ciò una gravissima e intollerabile ingiustizia!  Riteniamo – lo abbiamo sempre scritto – che la pessima amministrazione di questa maggioranza non deriva da una deliberata volontà di gestire male il potere ricevuto, ma da una ormai evidente inettitudine politica, nonché – come abbiamo ricordato all’inizio – dall’essere distratta da sterili questioni partitocratiche. Non giovano alla buona amministrazione nemmeno le interferenze nella vita politica locale di deputati e senatori che farebbero meglio ad occuparsi di questioni più attinenti al ruolo politico che ricoprono, e non giovano neppure le ambizioni di personaggi di modesta levatura intellettuale,  che, proprio per tale motivo, non potendo avere consapevolezza della loro mediocrità, con le loro assidue richieste d’ottenere una poltrona, qualunque essa sia, non favoriscono certamente l’azione di governo dell’amministrazione Torchi. L’impostazione economicistico-imprenditoriale che questa maggioranza ha dato alla sua azione amministrativa continua a produrre fenomeni di riprovevole ingiustizia sociale e il crollo, vertiginoso e inarrestabile, di quei valori che danno senso al nostro essere “persona”: primi fra tutti quelli dell’altruismo e della solidarietà.

 

 

                                      NOI NON CHIEDIAMO, PRETENDIAMO !

 

E’ passato più d’un mese da quando la famosa lettera -  anonima, ma a quanto pare molto circostanziata, sulle presunte irregolarità nell’Ufficio tecnico comunale -  ha scosso le fondamenta del Palazzo, già rese traballanti dall’incuria e dalla demagogia di un’Amministrazione politicamente incapace, alla quale, se dipendesse da noi, non affideremmo nemmeno la gestione di un condominio. Ebbene, dopo più di un mese, la maggioranza che dovrebbe governare questa città non ha ancora consentito l’istituzione della Commissione d’inchiesta per accertare le eventuali disfunzioni negli uffici tecnici del Comune, per le quali, se non andiamo errati, si è mossa persino la Magistratura. Bene fà l’opposizione, il cui compito è proprio quello di controllare l’attività della maggioranza, a stigmatizzare l’atteggiamento del partito-azienda, che si permette di rifiutare qualsiasi intervento di verifica; un partito che sempre più ci appare - che padre Pio ci perdoni per il blasfemo accostamento – come una nuova Casa Sollievo della Sofferenza: sempre pronta ad accogliere fuorusciti e voltagabbana afflitti e delusi, che miracolosamente ne riescono combattivi, rampanti e ottimisti. C’è, comunque, in quest’oceano d’incoerenza e opportunismo, un elemento in fondo positivo, ed è la fedeltà: nel rifiutare di verificare se nell’Ufficio tecnico siano state compiute delle irregolarità, il partito mostra una fedeltà totale e assoluta al suo capo, quel novello Napoleone che si sacrifica per noi e intanto salva se stesso e i suoi quattrini depenalizzando il falso in bilancio e modificando la legge sulle rogatorie internazionali. Questo signore, che in occasione dell’ultimo delirio di onnipotenza si è paragonato a Gesù e a Napoleone, ha governato a colpi di maggioranza, infischiandosene del confronto democratico con chi gli si oppone; il suo partito, anche a Modica, ha assunto lo stesso tracotante atteggiamento: elabora un documento “che rifiuta qualsiasi intervento di verifica” nonostante la conferenza dei capigruppo abbia deciso all’unanimità di verificare le eventuali inadempienze dell’ufficio tecnico. Per quanto riguarda l’UDC, il suo atteggiamento è ancora più deplorevole, visto che coi fatti smentisce quanto asserisce a parole. Si dichiara infatti favorevole alla Commissione e intanto i suoi consiglieri abbandonano l’aula per impedirne l’istituzione. Gli eredi della defunta Democrazia Cristiana non smentiscono le loro origini: sappiamo bene, infatti, che la coerenza non è mai stata nel loro DNA, e Dio sa quante volte, in passato, abbiamo dovuto subire le nauseanti prediche antifasciste di democristiani ch’erano stati convinti e autentici fascisti, quali furono, ad esempio, Piccoli, Preti, Fanfani e Moro, la cui tragica fine – che merita ovviamente il massimo rispetto –non può tuttavia oscurare le sue ambiguità e le sue responsabilità nel degrado morale e politico del nostro Paese. Tornando alla nostra città, ci sembra giusto ricordare che il nostro Comune sta affogando in un mare di debiti e che la città è sempre più soffocata da un traffico ogni giorno più caotico: stia sicuro il nostro Sindaco che alle prossime elezioni comunali i modicani gli chiederanno conto e ragione del perché lui e la sua giunta non abbiano mosso un dito per consentire loro di poter muoversi nella loro città senza rischiare ogni giorno una crisi di nervi e un avvelenamento da smog. La mancata istituzione della commissione, pertanto, rappresenta l’ennesima inadempienza, che rende ancor più preoccupante l’azione politica di questa Amministrazione, che ha procurato alla città dei danni incalcolabili, visto che ha generato nei nostri giovani il disgusto per la politica, inquinata dagli opportunisti e dai voltaggabana, dal carrierismo e dal nepotismo. Noi non chiediamo, ma pretendiamo che questa maggioranza istituisca al più presto la Commissione d’Inchiesta; fino a prova contraria viviamo in una Democrazia: la trasparenza non è un gentile omaggio che gentilmente ci viene offerto dall’alto, ma un nostro preciso e concreto diritto. L’ufficio tecnico è un nodo nevralgico nell’amministrazione di una città: pretendiamo di sapere se ha lavorato nel rispetto delle regole.

 

 

 

Marzo 2006

 

                                                           POVERA MODICA !

 

Povera Modica: offesa ed umiliata dalle facce inespressive di coloro che si perdono nella spasmodica ricerca delle tante inutili idiozie al cioccolato: a queste false e blasfeme divinità s’inchinano zelanti gli adoratori della fatuità e i veneratori del nulla. Povera città, oltraggiata e vilipesa dallo stupido vociare della massa anonima e belante, che profana la storia, che vive e che respira nei suoi vicoli antichi e misteriosi, che non sappiamo più guardare ed ammirare, nella fretta e nella svogliatezza della nostra frenetica e convulsa esistenza. Povera Modica: violata nella sua incantevole bellezza e nella sua storia millenaria, da orde che ogni notte, inconsapevoli, bivaccano  su strade che narrano storie che non possono sbocciare nella mente e nel cuore di chi non sa più guardare il cielo gravido di stelle, di chi non sa afferrare la seducente magia della notte, per lasciarsi inebriare dall’incanto dei sogni e dalla vaghezza delle illusioni; non possono sbocciare nella mente e nel cuore di chi profana la notte illuminandola coi bagliori della violenza e del delirio: quante giovani vite, che annegano la spensieratezza e l’allegria nelle torbide acque di una falsa ed effimera felicità; colpevoli, ma vittime, al tempo stesso, di un mondo che non sa più guardare il cielo: sono coloro che non turbano purtroppo i nostri sogni, non creano inquietudine al nostro animo, astuto e fariseo, che seminando ipocrisia e indifferenza ha generato l’odio e distrutto la speranza nell’età più bella della vita. Povera Modica: mortificata nella sua antica tradizione di città altruista ed ospitale, e che, immemore dell’alto ammonimento kantiano, strumentalizza l’uomo per accrescere la sua smodata opulenza di oggi, divenendo infedele a se stessa, giacchè mai questa città ha sacrificato i suoi ideali sullo squallido altare degli affari. Povera città, defraudata della sua storia e della sua cultura, da una classe politica che non sa oltrepassare con lo sguardo il misero orizzonte dell’interesse personale, che non sa uscire dalla valle dei compromessi e delle omissioni, per raggiungere la vetta e poter gustare il profumo della coerenza e della libertà. Che non sa affrancarsi da una distorta visione del potere, non più strumento al servizio del bene comune, ma fine da perseguire con qualsiasi mezzo: un idolo di cartapesta, nel cui nome si consumano ingiustizie, voltafaccia e tradimenti. E mentre quest’inganno si rinsalda nella teoria e si consolida nella prassi, si consuma, nella colpevole indifferenza di tanti, il declino etico e politico della nostra città: sempre più prigioniera del futile e dell’effimero e ormai incapace di guardare lontano, di scrutare l’orizzonte alla ricerca di spazi più ampi e impegnativi, ove gettare il seme del suo passato illustre, l’unico dal quale potrà germogliare un futuro edificato sulla roccia e  non sull’inconsistente friabilità dell’apparenza. Povera Modica: città delle cento chiese, dalla forte e radicata religiosità, che nei secoli ne ha fatto un baluardo della fede più autentica e sincera, e che oggi avverte il peso di presenze inquietanti: anche il satanismo, col suo bagaglio d’ignoranza e fanatismo, non è che un illuminante segno dei tempi. Quando una comunità non è più in grado di perseguire i più alti valori dello spirito, quando il materialismo e il consumismo soffocano le istanze più nobili che sgorgano dall’animo, quando ciò che unisce una comunità cittadina non è più l’Ethos che nei secoli l’ha forgiata, ma è il denaro, con tutte le sue meschine implicazioni, non ci si può scandalizzare, poi, se quella comunità ha perso il senso dell’essere, se non è più in grado di discernere il bene dal male, il sacro dal profano, la forma dall’essenza. Povera Modica: si moltiplicano i mostri di cemento ed inghiottono gli ultimi giardini, le macchine ci tolgono il respiro; tentacoli d’acciaio, soffocano il nostro anelito al dialogo e all’incontro: sempre più lontani e irraggiungibili; i turisti arrivano a frotte e il denaro è come un fiume in piena che alimenta sogni, speranze e tante illusioni. Povera Modica: tutti ti credono più ricca e non s’accorgono che ti sei fatta povera: sei come una madre che ha perduto i figli, colpevoli d’ingratitudine e di volgarità, che non ti sanno preservare da questi nuovi barbari che invadono le tue vie, non per ammirarti, ma per gozzovigliare fra le tue antiche chiese e i tuoi splendidi palazzi e che riempiono la notte di frastuono, lacerando il tuo silenzio solenne: figli che barattono con il vile denaro la tua bellezza impareggiabile!

 

 

 

           DIFENSORE CIVICO: IL GARANTE CHE NON PUO’ GARANTIRE

 

L’elezione di Enzo Di Raimondo a Difensore Civico è l’ennesima testimonianza della inadeguatezza di questa Amministrazione a saper governare con equilibrio e soprattutto nel rispetto dei ruoli, che in una società democratica non possono essere invertiti a piacimento, solo per interessi meramente politici, per soddisfare i quali si calpestano le attese e i diritti dei cittadini. Ciò che il sindaco, a proposito dell’ elezione del difensore civico, dichiarò nel Novembre 2003 si è purtroppo puntualmente avverato.”La società civile – aveva dichiarato – non può prevaricare sulla politica; la scelta non può essere vincolata da un organismo, occorre salvare le prerogative del civico consesso”. La politica ha prevalso ancora una volta sulle istanze e sulle necessità della società civile; la politica, anche a Modica, è come una piovra che stritola, coi suoi voraci tentacoli, tutto ciò che in qualche modo può ostacolare la sua sete di dominio, la brama di sottoporre a un ferreo controllo tutte le attività, di qualunque natura esse siano, espresse dalla società. Di questa il difensore civico dovrebbe essere espressione: la nomina di Enzo Di Raimondo – naturalmente non stiamo giudicando l’uomo, che nemmeno conosciamo – è paradossale dal punto di vista politico: non è necessario essere degli esperti in materia per cogliere la contraddizione logica di questo avvenimento; colui che è stato vicesindaco e che tuttora è organico alla coalizione di governo dovrebbe essere il garante dei cittadini nei confronti della medesima coalizione. La vicenda non si caratterizza soltanto per essere un’offesa alle più elementari norme del buon senso e un’ingiuria all’intelligenza della cittadinanza: ciò che la rende ancora più deleteria è che essa è paradigmatica di un modo assai preoccupante d’intendere la politica e di una quantomai discutibile concezione del potere. Con la nomina di Di Raimondo, l’amministrazione Torchi, ancora una volta, dimostra tutta la sua impreparazione culturale, politica e ideologica. La scelta fatta, autentica prevaricazione della politica sulla società civile, è perfettamente in linea con le coordinate politiche sulle quali questa maggioranza si muove. I valori – primo fra tutti quello della democrazia – gli ideali, l’attenzione ai bisogni veri dei cittadini, l’importanza del fare ( e dunque la consapevolezza della inutilità dell’apparire) non possono attecchire in coloro che governano la nostra città, per motivazioni che trascendono la qualità dei singoli: non è  la malafede che impedisce ai nostri amministratori di fare fino in fondo il loro dovere: la causa risiede nella mediocrità politica e nella vacuità ideologica dei loro partiti. Uno, quello che tante volte abbiamo definito il partito-azienda, con la sua venerazione per il profitto è l’espressione di un gretto materialismo e di una egoistica concezione della vita. Un partito – non tutti purtroppo sembrano esserne consapevoli – che propone un tipo di organizzazione sociale che perseguendo come unico scopo il dominio della natura e degli uomini risolve – come direbbe Horkheimer – il sapere nella tecnica e la verità nell’utilità, generando un’umanità che non si interrogherà mai sui fini ultimi della vita e della società, ma vivrà asservita soltanto alle esigenze produttive. Gli altri due si son prostituiti per il classico piatto di lenticchie: l’uno svendendo il suo patrimonio fondato sui valori cristiani e sulla solidarietà; l’altro mandando in soffitta la socializzazione e le sue critiche al capitalismo sfrenato, mentre il suo leader, pur di ottenere l’agognata poltrona, non ha esitato ad assumere il poco gratificante ruolo di maggiordomo nella villa di Arcore. Abbiamo salutato con entusiasmo la nascita di questa presunta Seconda Repubblica: è ora di prendere atto che non è migliore della prima. Quella era certamente inquinata dalle debolezze degli uomini ma sapeva esprimere delle grandi idealità; questa è pervasa dal lezzo dell’opportunismo e dal trionfo del nulla.

 

 

 

Aprile 2006


                                   GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA E GIUSTIZIA SOCIALE

 

La realizzazione di un commercio equo e solidale è sicuramente un’iniziativa lodevole, soprattutto in un contesto economico come quello nel quale viviamo e che è caratterizzato dalla sempre crescente affermazione dei processi di globalizzazione e da un capitalismo selvaggio, frutto di uno sfrenato e diffuso liberismo. Per quanto riguarda la globalizzazione, si tratta di un fenomeno talmente vasto che in questa sede può essere solo accennato. Basti pensare che non è una realtà  univoca ed omogenea: esiste infatti una globalizzazione culturale, giuridica ed economica: mi soffermo su quest’ultima che è la più attinente al tema del commercio. La globalizzazione economica è, a mio avviso, drammaticamente negativa per quanto riguarda la produzione e la commercializzazione dei beni per i consumi di massa: si pensi alle varie multinazionali che detengono le chiavi per decidere le scelte economiche di un intero pianeta o alle grandi industrie, che, nel sistema produttivo, utilizzano a piacimento le varie parti del mondo a seconda delle materie prime che vi si trovano e del costo della manodopera. Può addirittura accadere che una nave, ad esempio, carichi componenti di apparecchiature elettroniche, perché poi siano assemblate a bordo: il tal modo l’imprenditore aumenta, tramite un atto moralmente disdicevole, il proprio vantaggio economico; gli operai a bordo, infatti, trovandosi in acque extraterritoriali non godono dei diritti sindacali. Il mercato globale è un volgare sfruttamento degli esseri umani. Non lo caratterizza alcuna forma di Umanesimo; non lo qualifica alcun rispetto per l’attività lavorativa dell’uomo. Il lavoro – come direbbe Marx – non è più il soddisfacimento di un bisogno (quello di realizzarsi), ma è lo strumento per soddisfare un bisogno( quello di poter vivere ). Diceva Marcuse: “ Io auspico che i popoli possano rifiutare le regole del gioco che viene giocato con carte truccate contro di loro, che possano rifiutare la vecchia strategia della pazienza e della persuasione, la fiducia nella buona volontà dell’Establishment, le sue false e immorali comodità, la sua crudele opulenza”.  La dimensione globale dei mercati finanziari offre, è vero, grandi possibilità di espansione economica, ma comporta, allo stesso tempo, dei gravi rischi: la disponibilità di una manodopera globale, se da un lato consente di decentrare la produzione nei paesi dove il costo del lavoro è più basso – Europa orientale, Asia, America latina – dall’altro, determina anche la diffusione di nuove drammatiche forme di sfruttamento. Nei primi giorni di Marzo, Modica è stata al centro dell’attenzione nazionale e per certi aspetti internazionale. Nonostante i tanti e gravi problemi che l’affliggono, da qualche anno sembra che i nostri destini e il nostro futuro dipendano da quante volte e per quanto tempo la nostra città sta sui teleschermi. Non insisto su questo argomento, giacchè non ritengo opportuno, in questa sede, dar vita a polemiche di carattere politico.  La città è stata dunque sommersa da tonnellate di cioccolato; abbiamo avuto anche l’incontro dei paesi produttori di questa prelibatezza: ma siamo sicuri che nella produzione del cacao – in America Latina, per esempio – le attività lavorative avvengano nel rispetto della persona e dei suoi diritti civili e sindacali? Stiamo attenti, perché in un’ economia globalizzata, dove non è sempre facile scoprire la provenienza di un prodotto, capire chi lo ha lavorato, intuire dove sarà smerciato, è facile nascondere  scandalose situazioni di sfruttamento, soprattutto minorile. Per quanto riguarda il secondo punto, quello relativo al capitalismo selvaggio, voglio ricordare che la globalizzazione economica è figlia del libero mercato. Il Mercato: una sorta di divinità nel cui nome  si può compiere qualunque tipo di misfatto. Ciò non significa che il mercato – con le sue leggi della domanda e dell’offerta – sia oggettivamente un male. Il male, a mio parere, sta in un mercato senza regole e pertanto dominato e determinato dal più forte; dunque dalle grandi lobby finanziarie e dalle grandi holding industriali: va da sé che in un mercato senza regole le grandi multinazionali possono fagocitare le piccole imprese e la grande produzione può stritolare la piccola. Permettere un mercato senza regole vuol dire innalzare  un tempio allo sfruttamento, alla disoccupazione e all’ ingiustizia sociale. Tutto ciò è figlio delle politiche neoliberistiche che fanno si che il Nord del pianeta diventi sempre più ricco e sempre più volgarmente opulento, e il Sud sempre più indebitato e povero. Io ritengo che alla base di questa venerazione per il liberismo vi sia un inganno colossale: estromettere lo Stato dal mercato, non consentirgli di controllarlo,  in nome della libertà, significa concedere a pochi il controllo dell’economia di un Paese, e dunque non si garantisce affatto la libertà, ma la si annulla. Se i prezzi salgono alle stelle erodendo il potere d’acquisto del denaro, e non si interviene in nome del libero mercato, si mettono in crisi le famiglie: ed io non riesco ad immaginare, con tutta la buona volontà, che la famiglia valga meno della legge della domanda e dell’offerta. Il libero mercato produce l’oligarchia: i pochi che decidono la situazione economica dei molti. Per quanto riguarda i guasti prodotti da un mercato senza regole basta rileggere con attenzione certe vicende italiane degli ultimi anni, come i fallimenti della Cirio e della Parmalat, che hanno rovinato migliaia di piccoli risparmiatori, o gli immorali intrallazzi economici, effettuati da certa finanza “allegra” (chiamiamola così), che hanno caratterizzato certe scalate degli ultimi tempi. L’altra faccia non meno nociva del liberismo è la morbosa attenzione al privato, che sottintende, ovviamente, il disinteresse per il pubblico. In Italia, ad esempio, tutto questo ha determinato ingenti regali alle scuole private ( che in molti casi sono dei veri e propri diplomifici) a scapito della scuola statale che ha visto riduzioni di mezzi e investimenti. O gli interventi sulla sanità: basti pensare alla Sicilia, dove c’è un’ impressionante proliferazione di cliniche private – che sono dieci volte più numerose di quelle lombarde! - che tutti noi finanziamo, ma dove tutti, poi, non possiamo andare. Quanto abbiamo detto, naturalmente, non significa riproporre soluzioni di tipo collettivistico, già condannate dalla storia, ma vuol dire riscoprire e dar forza al Welfare-State, cioè a quello Stato Sociale che ancora oggi, a mio avviso, è l’unica strada da percorrere per non cadere nel totalitarismo comunista o nello sfrenato capitalismo, egoista e ingiusto. L’idea che il mercato possa spontaneamente produrre l’equilibrio fra domanda e offerta è un’utopia. Bisogna che lo Stato intervenga nel dirigere la produzione – lasciando ovviamente spazi di libertà – e soprattutto nella distribuzione della ricchezza, per evitare la formazione di gigantesche fortune da un lato, di povertà e di miseria dall’altro. Chi ha paura che lo Stato gli faccia i conti in tasca non ha timore  per una mera questione di principio – la violazione della sua libertà – ha solo paura di perdere i suoi privilegi, poco importa se costruiti sulle disgrazie altrui. Ben venga dunque uno Stato, che, pur garantendo la proprietà privata e il mercato, non venga mai meno  al suo dovere, che è quello di garantire non solo la libertà ma anche la giustizia sociale. Gli esempi, nella Storia, non mancano: basti pensare al New Deal (Nuovo Corso) realizzato negli Stati Uniti d’America dal presidente Roosevelt nel 1932, per far fronte alla grande crisi del ’29; nella consapevolezza, ovviamente, della diversità del contesto e delle mutate condizioni dei processi economici. Ritengo, per concludere, che sarebbe quanto meno opportuno chiudere con il mito del liberismo  ad ogni costo ( che non fà che perpetuare la differenza tra ricchi e poveri) e rivalutare Keynes  e la sua critica all’osservanza dogmatica dei principi del liberalismo economico. Senza la giustizia sociale, la libertà rischia di diventare soltanto uno slogan: a nessuno è concesso di utilizzare un ideale così grande per nascondere l’infamia dell’umano egoismo, che produce ingiustizia all’interno dei popoli e inaccettabili disuguaglianze tra le nazioni che abitano questo nostro pianeta.

 

 

     

                                              LE BANDIERE AMMAINATE

 

Con le recenti elezioni si è conclusa una campagna elettorale, in occasione della quale abbiamo toccato con mano l’ipocrisia e il decadimento ideale del nostro Paese. Entrambi, sia chiaro, ci erano già noti, avendoli constatati da un pezzo nei tanti ambiti che costituiscono la complessa struttura di uno Stato e dunque anche del nostro. Non sentivamo ovviamente alcun bisogno che tali tratti, fra i più deleteri della nostra storia nazionale, andassero ad inquinare persino una campagna elettorale: come non vedere il crollo dei grandi ideali in una politica che sa parlare, ormai, solo il linguaggio della merce, delle percentuali e del profitto; convinta che il nostro sguardo non sappia più vedere oltre la siepe delle aliquote e delle tasse, convinta di poter costruire col denaro persino la ricchezza spirituale del nostro futuro. Come non provare disgusto ed inquietudine per l’ipocrisia che ha invaso anche il più piccolo anfratto di quel mondo mediatico, già di per sé complesso e poco trasparente: come potremmo altrimenti definire, in occasione di quest’ultimo confronto elettorale, i continui appelli alla concordia e il costante, pressante invito ad abbassare i toni dello scontro? Chiarito che non mettiamo certamente in dubbio la legittimità della tolleranza e del rispetto reciproco, ci sembra però naturale che un’ importante e decisiva competizione elettorale non possa prescindere dallo scontro dialettico e da una situazione d’inevitabile conflittualità, per la diversità delle opinioni e dei programmi, e per la differente visione della vita. Gli estenuanti appelli alla concordia ci sono sembrati una riedizione, sotto altre vesti e con diverse forme, di quel farisaico atteggiamento democristiano – che tanto abbiamo odiato nei nostri anni giovanili e che ancora disprezziamo – che nel nome della mediazione attuò meschini compromessi e nefandezze d’ogni tipo. La confusione dei ruoli, la nebbia dell’indeterminato, l’artefatta armonia conducono, per dirla con Hegel, alla famosa notte in cui tutte le vacche sono nere: e nel buio, si sa, è facile nascondere le azioni più abiette e i più miserabili progetti. Noi rifiutiamo la logica del consociativismo che ha prodotto nel nostro Paese danni irreparabili. La logica degli schieramenti contrapposti che si battono per ideali irriducibili non è odio e nemmeno violenza; fondata sul dato irrinunciabile della reciproca tolleranza, essa produce delle identità forti e consapevoli, in grado di affrontare la vita con onestà e coerenza. La logica consociativa, al contrario, ha annegato la coscienza consapevole nel rovinoso mare della confusione: questa melma indistinguibile ha uniformato le coscienze, generando uomini politici che hanno fatto della furbizia e dell’incoerenza la bandiera della loro vita. Quanto detto è certamente preoccupante, ma il dato ancora più allarmante è rappresentato dall’apatia e dal disinteresse ampiamente diffusi nella stragrande maggioranza dei giovani. La nostra generazione – quella che compì gli studi liceali e universitari negli anni Settanta – commise certamente molti errori: ci riferiamo a coloro che per scelta o per mera casualità finirono tragicamente nella spirale del terrorismo, ma non v’è dubbio che il sogno di cambiare il mondo con la forza dei propri ideali, il desiderio di squarciare il velo del conformismo e della falsità, l’aspirazione a costruire un domani migliore,  ci hanno permesso di sopravvivere quando la fine delle ideologie ha consegnato il mondo a un padrone avido e sanguinario, che si nasconde e che manovra, come fossero burattini, gli Stati e le Nazioni. E’ il denaro il principe di questo mondo: lo è sempre stato, ma oggi è diventato un despota invincibile; chi sapeva contrastarlo è uscito di scena: le bandiere, all’ombra delle quali percorremmo chilometri di lotte e di speranze, sono state ammainate e il tiranno ha trionfato. Confessiamo che un brivido ci assale ogni qualvolta, nelle adunate di Forza Italia, scorgiamo schiere di giovani osannanti davanti al grande imbonitore, e, con grande rimpianto per ciò in cui abbiamo creduto e per cui abbiamo combattuto, ci chiediamo come possano dei giovani, nell’età dei sogni e dell’intransigenza, aspirare al quel mondo che viene loro proposto, che ha le sembianze di un universo gelido e inanimato: un mondo di aziende e di computer, fatto di aliquote e percentuali, governato dalle leggi del mercato e dalla logica di un egoismo bieco ed immorale. Ci chiediamo cosa sia questo tarlo malefico, che si è insinuato nelle menti e nei cuori di questi ragazzi, e che corrode in modo inesorabile l’anelito ad una società libera e giusta, facendo germogliare il seme dell’inganno: come se la libertà la si potesse imprigionare nell’angusta dimensione dell’utilitarismo e della concezione edonistica della vita. La libertà non è l’illusoria convinzione che l’io possa agire senza freni e inibizioni: la libertà la si conquista quando l’io agisce e pensa in totale autonomia, quando non ha padroni, quando è disposto ad accettare critiche, contrasti  e persino l’emarginazione pur di restar fedele ai suoi ideali e ai suoi convincimenti. Questa libertà, e la dignità che ne consegue, sono gli unici strumenti che possediamo per essere uomini seri, maturi e consapevoli, in questo Paese di banderuole e saltimbanchi d’ogni sorta.

 

 

 

                                        L’ULTIMA NEFANDEZZA PRIMA DELL’ADDIO

 

Con un decreto dello scorso 30 Marzo, il ministro Moratti – a tal proposito ci piacerebbe sapere se hanno validità giuridica tutti gli atti che la signora ha firmato in questi anni, considerato che ha utilizzato non il suo cognome, ma quello del marito – esce di scena compiendo l’ennesima nefandezza; 30 milioni di euro: a tanto ammonta il gentile regalo che il governo Berlusconi elargisce alle scuole paritarie del nostro Paese: un contributo che si aggira intorno a 300 euro a famiglia. I motivi per i quali giudichiamo tutto ciò un’autentica infamia sono molteplici, ma in questa sede ci soffermiamo su quei due che ci sembrano i più eloquenti e nello stesso tempo quelli sicuramente meno accettabili. Ci sembra evidente che una famiglia appartenente al ceto operaio e impiegatizio, soprattutto se monoreddito, non può permettersi che il proprio figlio – figuriamoci se più di uno – frequenti una scuola privata; essa non possiede, infatti, i mezzi finanziari per far fronte alle esorbitanti spese che ciò comporta: retta mensile, iscrizione e acquisto dei libri di testo. Quanto detto, naturalmente, vale per tutte le famiglie italiane che rientrano nella suddetta tipologia; nel nord del Paese, poi, dove il costo della vita è ancora più elevato, l’impossibilità diventa utopia. Questo tipo di famiglia, che l’euro, prima, e la dissennata politica berlusconiana,dopo, hanno posto di fatto ai margini della società e ridotto in condizioni economiche a dir poco allarmanti, pressata da problemi di vera e propria sopravvivenza, non soltanto non manda i figli nelle scuole private, che tanto piacciono a Berlusconi e alla signora Moratti, ma considera tutto ciò, giustamente, l’ultimo dei suoi problemi: un operaio o un impiegato, infatti, che manda avanti la sua famiglia col suo solo stipendio, non potrebbe certo trovare conforto, a fronte delle notevoli spese sostenute, nel misero contributo statale. La conclusione è talmente ovvia che non varrebbe neanche la pena di ricordarla; lo facciamo ugualmente a beneficio di chi si fosse distratto nella lettura e a vantaggio della chiarezza: le scuole private restano appannaggio delle famiglie benestanti della società italiana ed è giusto, allora, che tutti sappiano che sono queste le uniche beneficiarie del contributo statale. D’altronde, è stato proprio il grande manovratore di Arcore, in piena campagna elettorale, a ricordarci che non è giusto che il figlio dell’operaio abbia le stesse prerogative e le medesime opportunità del figlio del professionista: l’ormai precario inquilino di Palazzo Chigi, insomma, si fa paladino - nel XXI secolo ! – di una società classista che credevamo confinata in altri contesti e in altre epoche storiche. La volgarità e l’egoismo di simili affermazioni si commentano da soli ! Il decreto della Moratti – che è la logica conseguenza del liberismo berlusconiano – è di una scelleratezza senza fine: togliere a chi non ha per dare a chi ha è un atto che occupa il gradino più basso nella scala dell’azione politica e della correttezza morale. Non possiamo poi sottacere l’altra scandalosa situazione che il decreto della Moratti fa emergere in tutta la sua gravità: si tratta della scuola statale, che questo governo ha relegato tra le cose inutili e improduttive; come se la scuola fosse un’azienda e gli studenti una merce. In questo clima d’incontenibile esaltazione per tutto ciò che rientra nella categoria dell’economico,  i nostri ragazzi sono stati considerati alla stregua di un prodotto, che occorre ben confezionare, perché rientri nei canoni di quel mercato del lavoro voluto e imposto dai signori della Confindustria. La nostra scuola è stata abbandonata sotto il profilo economico; ci sono problemi strutturali e infrastrutturali enormi: edifici in molti casi fatiscenti, difficoltà nell’acquisto del materiale didattico, e, nell’inverno appena trascorso, anche nella nostra provincia, si sono registrati gravi disagi nel garantire il riscaldamento delle aule. Dinanzi a tutto questo, che rappresenta soltanto una goccia nell’oceano delle difficoltà nelle quali di dibatte la scuola pubblica, trenta milioni di euro regalati ai diplomifici rappresentano un’offesa alla giustizia, un affronto a tutto il personale che opera nella scuola e un oltraggio a tutte le lotte che i docenti hanno fatto in questi anni per ottenere la dignità che è stata loro tolta in questi sessant’anni di storia repubblicana. Se il termine diplomificio dovesse dar fastidio a qualcuno ce ne dispiace, tuttavia non possiamo che ribadirlo e non certo per sentito dire: quando gli esami di Stato costituivano ancora un momento serio ed importante nella carriera scolastica degli alunni e nell’esperienza professionale di noi docenti – prima che la signora Moratti li modificasse per fare l’ennesimo regalo alle scuole private – noi, come commissari esterni, provenienti dalla scuola statale, in più di un’occasione abbiamo avuto modo di constatare la differenza tra la scuola pubblica e quella privata: e ciò non ha fatto che rafforzare in noi l’idea di quanto sia giusto salvare la prima e distruggere la seconda.

 

 

Maggio 2006


           IL RADUNO DEL RINNOVAMENTO CARISMATICO A MODICA

 

Abbiamo letto con attenzione ed interesse l’articolo di Concetta Bonini, nello scorso numero de La Pagina, sull’incontro, svoltosi il 23 Aprile allo stadio “Vincenzo Barone”, organizzato dal gruppo del Rinnovamento Carismatico Cattolico e abbiamo condiviso gran parte delle sue osservazioni. Ci occupiamo anche noi di quanto avvenuto in quanto vorremmo sottolineare altri aspetti che ci sembrano rilevanti. Il primo è legato alla decisione degli organizzatori di far pagare un biglietto d’entrata di dieci euro, che, come ha giustamente osservato Concetta Bonini, non trova alcuna giustificazione, giacchè le spese organizzative erano già state coperte dagli sponsor privati e dai contributi del Comune e della Provincia. Un’esagerata attenzione al denaro, quindi, che poco si concilia coi dettami del Vangelo e con una giornata all’insegna della spiritualità. Non è nostra intenzione sostenere una visione manichea del rapporto fede-denaro; quest’ultimo, infatti, può anche essere uno strumento del bene e comunque non rappresenta il male in senso oggettivo ed assoluto, anche se tutti sappiamo che la sete di denaro, nella storia del mondo, ha prodotto sanguinosissime guerre e ancora oggi è all’origine di conflitti che si vorrebbe far passare come operazioni di pace e addirittura – oltrepassando il senso del ridicolo – come interventi volti all’esportazione della democrazia. Questo flusso di denaro, che ha aleggiato sulla manifestazione del 23 Aprile, è una contraddizione che svilisce tale incontro, già  svalutato da quei fenomeni di collettiva esaltazione che lo hanno caratterizzato. Agli organizzatori di questa”Giornata di Spiritualità” occorre ricordare che se è vero, come abbiamo detto, che il denaro non è in sé il male, è pur vero che insinuandosi nel tempio ne inficia la purezza e la sacralità, giacchè non v’è dubbio che è dal denaro che scaturiscono le azioni più disoneste e gli atteggiamenti più turpi che l’umanità, purtroppo, è sempre in grado di compiere. E’ d’obbligo ricordare quale fu l’atteggiamento di Cristo nei confronti di coloro che avevano trasformato il tempio in un mercato. La nostra seconda considerazione riguarda un fenomeno purtroppo ancora dilagante: ci riferiamo alla sudditanza di noi europei – con qualche lodevole eccezione, come i tedeschi e i francesi -  nei confronti degli Stati Uniti d’America; un conformismo che ci induce ad importare anche ciò da cui sarebbe auspicabile, invece, tenersi a debita distanza. Non contenti d’avere assorbito, nell’ultimo cinquantennio, il peggio della cultura nord-americana, in termini di atteggiamenti e mentalità, abbiamo importato persino il loro protestantesimo, che rispettiamo, naturalmente, ma che non ci appartiene. Non si dimentichi, infatti, che il Rinnovamento Cattolico, sorto nel 1967, fu fondato da un gruppo di docenti e studenti dell’Università di Pittsburg in Pennsylvania, sulla scia di quello nato, sempre negli Stati Uniti, nel 1960, negli ambienti delle chiese luterane, anglicane e calviniste; esso nacque proprio con l’intento di dare alla fede una dimensione entusiastica, che si traduce poi in quelle manifestazioni di suggestione collettiva che abbiamo visto anche nel raduno svoltosi nella nostra città. Tale movimento, che sarà chiamato “Rinnovamento Carismatico”, mentre in Italia sarà definito “Rinnovamento nello Spirito”, si diffonderà poi, in breve tempo, in tutti i continenti. Benchè ormai approvato dalla Chiesa Cattolica, esso tradisce, in molti aspetti, i tratti tipici delle sette protestanti del Nord-America, in modo particolare quelli legati a certe forme di isterismo e di ossessione soteriologica. In una città come la nostra, di profonde e radicate convinzioni cattoliche, avremmo fatto volentieri a meno di questa inquietante ventata di “protestantesimo”. Benché cattolicizzato, infatti, il movimento non si è ancora del tutto liberato, come abbiamo visto, delle sue radici anglosassoni: naturalmente, non diciamo tutto ciò per farci paladini di anacronistiche e sterili contrapposizioni religiose, ma perché ci auguriamo che la nostra città – che da qualche anno è sempre più smarrita nel vortice di forme economiche e culturali che non le appartengono – almeno nella sua cattolicità possa trovare quell’ancora che la tenga saldamente legata alle sue radici. Un’ultima, e secondo noi più importante, considerazione vogliamo riservarla alla preghiera, per sottolineare che quella vista alla manifestazione del Rinnovamento non ci convince affatto:  i canti, le preghiere esorcistiche, quelle di guarigione e le ossessive invocazioni ci sembrano piuttosto, come giustamente ha osservato la Bonini, degli strumenti finalizzati a condurre la massa in una situazione di allucinazione estatica. La preghiera, quella vera, è l’incontro dell’uomo col suo creatore; è l’istante in cui il finito si congiunge all’infinito, in una dimensione mistica che può attuarsi solo nell’interiorità della coscienza (“In interiore homine habitat Veritas”, ammoniva Agostino) e non certamente nel rumore e nell’esaltazione chiassosa della massa. Il luogo in cui si prega, infatti, non è, come erroneamente si ritiene, un fatto secondario: esso deve indurre alla riflessione e alla meditazione. La scarsa attenzione di oggi alla preghiera deriva anche dalla deplorevole superficialità e dal cattivo gusto con cui vengono edificate le chiese e dalla faciloneria di certi parroci che consentono, nelle celebrazioni, lo strimpellìo delle chitarre e l’esecuzione di canzoncine che profanano la sacralità del luogo. Il silenzio e la penombra di una basilica possono davvero innalzare la creatura perché incontri il suo Creatore, perché dialoghi con Lui; e questo incontro non può che avvenire nei recessi più profondi dell’anima, in quella dimensione dello spirito in cui l’uomo vive la sua solitudine come condizione essenziale perché Qualcuno gli si faccia incontro: è davvero difficile pensare che ciò possa accadere in uno stadio, tra il rumore assordante degli altoparlanti e lo schiamazzare della folla.

 

 

 

 

 

                                                      UN ASSORDANTE SILENZIO

Dobbiamo confessare che parlare del problema del traffico nella nostra città non è il massimo delle nostre aspirazioni e non certo per una forma di snobismo intellettuale, ma la nostra coscienza di cittadini consapevoli dei propri diritti e di quelli della collettività non può più tacere su un problema che, al di là della sua specificità, ha delle implicazioni di carattere politico, etico e sociale che non sempre, probabilmente, sono colte nella loro reale pregnanza. Già altre volte abbiamo tentato – e non soltanto noi ovviamente –  di segnalare la gravità di questo problema che da anni stringe la città in una morsa ormai intollerabile, mettendo a dura prova la pazienza e la salute dei modicani, e facendoci fare anche delle pessime figure, com’è accaduto nei primi giorni di Maggio con gli otto studenti olandesi ospiti dei loro colleghi del “Campailla”, i quali, pur avendo apprezzato le nostre bellezze artistiche e paesaggistiche, non hanno risparmiato critiche all’Amministrazione comunale per la sporcizia che hanno visto, ma soprattutto per il traffico ritenuto insostenibile e insopportabile: ma dall’Amministrazione Torchi non è mai giunta una dichiarazione veramente chiarificatrice, che indicasse in modo inequivocabile i tempi e le modalità di risoluzione del problema; e allora ci sembra giusto chiederci quali possano essere le motivazioni di questo silenzio assordante su una questione, come quella della viabilità cittadina, che riguarda e che interessa tutti. Ancora una volta questa amministrazione si ritrova in un vicolo cieco; intendiamo dire che da qualunque prospettiva tale silenzio venga analizzato, il risultato, per chi ci governa, è quello di una condanna senza appello. Noi non possediamo, naturalmente, le prove di quel che diremo, e pertanto non possiamo che procedere attraverso logiche supposizioni: d’altronde, quando chi governa non risponde alle domande dei cittadini, costoro hanno il diritto e il dovere di cercare delle risposte. Confessiamo che ci è capitato spesso di pensare – e più volte lo abbiamo scritto – che il problema del traffico caotico non venga risolto per la esagerata attenzione che questa amministrazione ha sempre dimostrato nei confronti degli operatori commerciali di questa città, nei confronti dei quali, sia chiaro, non nutriamo alcuna ostilità; semplicemente vorremmo che le loro giuste esigenze di lavoro fossero sempre coniugate  con le legittime necessità dei loro concittadini. Sappiamo tutti, infatti, che i commercianti della via Sacro Cuore, ad esempio, si sono sempre opposti alla istituzione del senso unico in quella via, temendo che la diminuzione del traffico potesse comportare un calo dei profitti, e tutti ricordiamo la loro opposizione, che risultò poi vincente, alle decisioni della precedente amministrazione di istituire i sensi unici in via Sacro Cuore e in via Resistenza Partigiana. Qualunque persona di buon senso non può non capire che quella rimane, ancora oggi, l’unica strada da percorrere per decongestionare il traffico nelle due vie principali della zona nuova della città. Non parliamo poi del Polo commerciale, dove il traffico, ormai, ha raggiunto livelli che sono al limite della sopportabilità, anche per le manovre poco ortodosse, ma pienamente giustificabili, degli automobilisti che lo percorrono: è tutto un via vai di vetture in retromarcia o che invadono l’opposta corsia pur di guadagnare l’agognata stradina secondaria che li possa trarre fuori dall’inferno. Noi temiamo che le inadempienze dell’Amministrazione siano legate alla volontà di non danneggiare gli operatori commerciali; ciò è naturalmente legittimo – considerato il grande contributo che essi danno allo sviluppo economico della città – non lo è più quando l’attenzione per una sola categoria produce la disattenzione per le esigenze di tutte le altre. Se le inadempienze derivano da questo, sarebbe alquanto evidente l’inadeguatezza del sindaco e della sua giunta ad amministrare nel nome di tutti: in questo caso, davvero, il principio democratico della rappresentanza sarebbe svuotato di ogni significato e Palazzo San Domenico non sarebbe più, come qualcuno ha scritto, la casa di tutti i modicani, ma si configurerebbe come la residenza di una sola parte di loro. La nostra seconda illazione, se fosse vera, giungerebbe a conclusioni non meno gravi delle prime: l’assordante silenzio, infatti, potrebbe scaturire dal fatto che il sindaco e l’assessore Aprile non abbiano la più pallida idea di come risolvere il problema: questa ipotesi è suffragata dal famoso piano del traffico, sempre annunciato, mai esposto alla cittadinanza e soprattutto mai applicato. Di questo fantomatico piano, che appare, scompare, riappare e poi ancora s’inabissa nella nebbia dell’oblio, riteniamo che un po’ tutti, ormai, siamo sufficientemente stanchi, e nessuno, crediamo, possa mettere in dubbio la legittimità del nostro sdegno e della nostra insofferenza. Se questa seconda ipotesi fosse vera, noi pensiamo che il sindaco e il suo assessore dovrebbero compiere l’unico gesto che in questi casi, chi fà politica, dovrebbe avere il coraggio di fare: naturalmente ciò non accadrà, e i modicani continueranno a patire nelle loro autovetture, tra code interminabili e posteggi inesistenti, fino al prossimo Eurochocolate, quando, inebriati dalle prelibatezze del cioccolato, esaltati per l’afflusso dei turisti e inebetiti dal chiasso, dimenticheranno, ancora una volta, il traffico e tutti gli altri gravi problemi della città e soprattutto che l’amministrazione che li governa non ha fatto nulla per risolverli. Ci auguriamo che il fantomatico piano del traffico non salti fuori poco prima delle prossime elezioni amministrative, perché ciò sarebbe di una gravità inaudita; nello stesso tempo, vorremmo, un po’ egoisticamente, che ciò accadesse, nella speranza che almeno questo potesse svegliare la coscienza politica dei modicani, ormai narcotizzata dalle sagre e dalle fiere, e la rendesse capace di liberare il Palazzo dagli inquilini che attualmente vi abitano. Sull’assordante silenzio del sindaco e del signor Aprile, assessore alla viabilità, vogliamo ancora formulare un’altra ipotesi: il silenzio potrebbe nascere, infatti, dalla comprensibile difficoltà a spiegare un fatto di per sé oltremodo imbarazzante: e cioè che la qualità della vita di questa città è l’ultimo dei loro pensieri. D’altronde – e ciò non riguarda soltanto Torchi o Aprile, ma la maggior parte di coloro che oggi fanno politica – è inevitabile che gli amministratori locali pongano in secondo piano i reali bisogni del cittadino. Essi sono intrappolati in un sistema che non sa più riconoscere la politica come servizio, e se anche qualcuno volesse provare a realizzarla verrebbe immediatamente fagocitato da quello stesso sistema in cui è vissuto, un sistema che può sopravvivere a condizione d’annientare ogni tentativo di cambiamento ed ogni forma di dissidenza. Più d’una volta, nelle principali arterie del quartiere Sorda, abbiamo visto delle ambulanze costrette ad effettuare interminabili secondi di sosta, imbottigliate nel traffico, e abbiamo tremato all’idea di cosa queste forzate soste avrebbero potuto determinare. Attivarsi per rendere migliore la vita dei cittadini è un compito inderogabile per chi amministra; intervenire, con la consapevolezza che la propria azione può contribuire ad evitare situazioni drammatiche, è un dovere morale al quale  non ci si deve  e non ci si può sottrarre.

 

 

 

                                                   L’IMMORALITA’ E LA POLITICA

 

Pur essendo abituato a dialogare coi miei figli, quando il tempo e la voglia di farlo me lo consentono – confesso pertanto una mia colpa, giacché il dialogo coi propri figli dovrebbe essere sempre anteposto a tutto – devo ammettere che una loro recente domanda mi ha messo davvero in difficoltà, non per questioni inerenti all’argomentazione da affrontare ma per l’impossibilità d’individuare una soluzione al problema che ineluttabilmente è scaturito dalla problematica discussa. Considerando che seguo la politica da tanti anni, che ho affrontato tante battaglie nel nome dei miei ideali – che una squallida consorteria di arrivisti e voltagabbana ha pensato di svendere pur di ottenere la sacra poltrona – e considerato, altresì, che mi ritrovo spesso, su questo e su qualche altro giornale, ad occuparmi anche delle vicende della politica locale, era naturale che prima o poi qualcuno, e son contento che siano stati i miei figli a farlo, mi chiedesse perché non ho mai preso la tessera di un partito e per quale ragione non ho mai pensato d’intraprendere la “carriera” politica. Sono stato ovviamente ben lieto di rispondere a questa domanda, in quanto mi ha offerto la possibilità di spiegare loro quanto sia importante smascherare una fra le più deleterie menzogne che la nostra epoca “evoluta” ha inculcato nelle menti delle nuove generazioni: mi riferisco a quel relativismo etico indicato da molti cattivi maestri come segno di una indiscutibile superiorità intellettuale, mentre altro non è che l’emblema del decadimento morale di una civiltà che non sa più distinguere il bene dal male, che confonde la libertà con l’anarchia, che giustifica gli assassini e dimentica le vittime, che annega il principio della responsabilità individuale nel mare di un’ibrida e confusa colpa collettiva. Non è la società ad essere meschina, è meschino quell’uomo che accetta per decenni di condurre la sua vita tra le mura ammuffite di qualche vecchia sede di partito, nell’attesa del fatidico giorno in cui il suo padrone – l’onorevole o il senatore di turno – deciderà di collocarlo dietro qualche scrivania: il poveretto potrà finalmente gratificare la sua gretta ambizione e il suo portafoglio, e il potente di turno avrà guadagnato un altro politico subalterno e telecomandato. Non è la società ad essere misera, misero è l’uomo che non ha ideali, che trasmigra da un partito all’altro e che si prostituisce al migliore offerente: si tratta di personaggi mediocri sotto il profilo intellettuale e squallidi dal punto di vista morale. Spesso frustrati e falliti, questi personaggi trovano nella politica l’illusione di credersi importanti: non è un caso, infatti, che li si vede spesso guardarsi intorno nella speranza che qualcuno li riconosca e porga loro il suo saluto deferente: una scena pietosa e al tempo stesso esilarante. Non è la società ad essere corrotta, lo è l’uomo che sceglie la politica come mezzo di arricchimento personale, come strumento per elevare la sua condizione sociale e per favorire parenti, amici e amici degli amici: è l’uomo che in nome di questa squallida visione della vita è disposto a percorrere tutti i gradini di una scala, umiliante e degradante, alla fine della quale troverà l’agognata poltrona: egli sarà autista, portaborse, opportunista e voltagabbana; disposto ai compromessi più ripugnanti e dovrà sopportare il peso di una riconoscenza che gli sarà ricordata e che lo perseguiterà per sempre.  Mi accorgo, a questo punto, di aver spiegato ai miei figli perché ho scelto di non avere tessere, perché ho deciso di stare alla larga dal lezzo delle segreterie politiche. Il problema, però, si esplicita adesso in tutta la sua complessità: è la consapevolezza di quanto sia difficile coniugare la politica con la moralità.  La prima – fatte salve ovviamente le dovute eccezioni – appare infatti come l’ancora di salvataggio delle banderuole, degli ignoranti e dei falliti. Nella società italiana di oggi gli esseri pensanti e moralmente integri se ne stanno di solito in disparte, gustando la serenità che nasce dall’aver preservato e conservato la propria dignità, ma nello stesso tempo sentendo il peso del proprio disimpegno, la colpa di lasciare la politica ai servi e agli incapaci. Che fare allora? Certo, è possibile contribuire alla crescita civile della società trasmettendo ai propri figli – e alla luce del lavoro che svolgo anche ai propri alunni – i valori della coerenza, dell’onestà e della dignità; promuovendo nelle nuove generazioni la consapevolezza  che il potere non deve’essere mai elevato a scopo della propria esistenza e che il servilismo rende l’uomo ridicolo e spregevole. Non so se tutto ciò sia più utile di un diretto coinvolgimento nella vita politica. Il non trovare una risposta mi sgomenta, ma ritrovo la serenità nella consapevolezza di poter guardare negli occhi i miei figli senza arrossire: è questo il privilegio che il buon Dio concede  a chi non ha padroni. Mi conforta, tra l’altro, la socratica certezza che è assai più dignitoso il non sapere che la ridicola saccenteria dei presunti sapienti. Chissà, forse con l’avanzare dell’età, guadagnando la saggezza che oggi non posseggo, questa risposta farà capolino tra i miei pensieri: non so se i miei figli avranno ancora voglia di ascoltarmi; quanto a me, se avrò conservato il ben dell’intelletto, spero di accettare serenamente il giudizio di condanna o di assoluzione per la  scelta che ho deliberatamente fatto.

 

 

Giugno 2006

                        CARMELO OTTAVIANO, IL FILOSOFO CHE NACQUE DUE VOLTE

 Sia su questo giornale, con una lettera al Direttore del 28 Febbraio 2006, sia, più recentemente, su “Il Giornale di Sicilia”, il prof. Clemente Floridia ha cercato di porre all’attenzione della cittadinanza il protrarsi di un autentico sopruso, nella colpevole indifferenza dell’Amministrazione comunale e nella biasimevole noncuranza dei cittadini, anche di coloro che, per la cultura che li contraddistingue, non dovrebbero essere insensibili a simili vicende. Stiamo parlando della lapide che nel 2001 fu collocata in un palazzo di Corso San Giorgio, che divenne in tal modo la casa natale dell’illustre filosofo modicano Carmelo Ottaviano. Coloro che lo hanno conosciuto, per essere stati suoi amici o allievi, e coloro che hanno letto le sue opere sanno bene che il filosofo non nacque in Corso San Giorgio ma in via Guerrazzi. Ciò è un dato incontrovertibile, sia perché la nipote, Concetta Ottaviano – moglie del prof. Floridia – può esibire il certificato di nascita dell’illustre parente che attesta in modo inequivocabile che l’Ottaviano ebbe i natali in via Guerrazzi, sia perché lo stesso Ottaviano, nei suoi scritti, non lascia adito a dubbi di sorta. Basta rileggere ciò che egli scrive, a proposito del padre, nel primo volume della celebre “Metafisica dell’essere parziale”: “Ricordo ancora, con quella incancellabile vivida freschezza che è propria delle impressioni dell’infanzia e dei ricordi della gioventù, il risuonare ritmico e pesante del suo passo sul selciato della stradetta, nella quale abitavamo”, o l’altra dedica, ricordata dal Floridia, e intitolata “La malinconia della cose”, ove egli accenna, ancora una volta, alla stradetta in cui nacque, stradetta che naturalmente non può essere in alcun modo identificata col Corso San Giorgio. Triste destino quello dell’Ottaviano: indiscusso protagonista della filosofia italiana del Novecento, pagò in vita l’essersi schierato contro quella che egli definiva la dittatura culturale di Croce e Gentile; dopo la morte, invece, è stato fatto calare su di lui un silenzio che lo ha cancellato dal panorama filosofico del XX secolo; un silenzio voluto soprattutto dalla dominante cultura marxista, che, monopolizzando il mondo editoriale e quello accademico, ha eliminato ogni traccia di un intellettuale la cui sfortuna è stata quella di essere nato in un Paese che dimentica i veri maestri, di vita e di pensiero, quale fu Ottaviano, per celebrare i mestieranti sempre pronti a salire sul carro dei vincitori. E’per tali motivi che ci risulta intollerabile ch’egli debba subire, proprio nella sua città, l’ennesima ingiustizia. Siamo abituati ai silenzi assordanti di questa amministrazione; lo abbiamo recentemente scritto a proposito del traffico e lo ribadiamo adesso per il caso Ottaviano. Il fatto che gli appelli del prof. Floridia siano rimasti inascoltati è l’ennesima prova della inguaribile indolenza dell’amministrazione Torchi e della sua deprecabile riluttanza a dare risposte certe e inequivocabili alle domande dei cittadini. Ricordiamo, in conclusione, che nel palazzo dove è stata indebitamente posta la lapide risiede l’on. Minardo: ricordiamo al nostro sindaco, che dinanzi a prove inconfutabili, è un suo preciso dovere far togliere quella lapide da Corso San Giorgio e farla collocare in via Guerrazzi, com’è suo dovere spiegare ai modicani perché ciò non è stato ancora fatto; ciò sarebbe anche un modo per sgombrare il campo dalle illazioni dei malpensanti. Forse ha ragione il prof. Floridia, quando sostiene ironicamente che di Ottaviano ce ne sono stati due: uno nato in Corso San Giorgio, l’altro in via Guerrazzi. Ottaviano – i suoi allievi lo ricordiamo benissimo – amava definirsi “ Il filosofo della Quarta Età”: non poteva certo immaginare che nella sua città sarebbe invece passato alla storia come “Il filosofo che nacque due volte!”

 

 

 

                                                     UN’OCCASIONE PERDUTA

 

Abbiamo sempre seguito le elezioni regionali con attenzione e interesse, sia perché è un diritto-dovere di ogni cittadino seguire le vicende politiche, in particolar modo quelle che lo riguardano più da vicino, sia per dare il proprio contributo all’affermazione della linea politica nella quale si crede; nello stesso tempo, però, le abbiamo sempre seguite con una consistente dose di pessimismo, che nasceva dal timore, suffragato dai fatti, che comunque sarebbe andata a finire ben poco sarebbe cambiato in ordine alla trasparenza amministrativa e alla crescita economica e civile della nostra isola. Non si tratta di qualunquismo ma di sano realismo; d’altronde, le vicende politiche regionali stanno lì a dimostrare che chiunque, in tutti questi decenni, abbia governato la nostra terra non è riuscito a cambiarne il volto: le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche continuano, gli scandali che coinvolgono i politici sono all’ordine del giorno – si pensi ad esempio all’UDC siciliano, i cui esponenti indagati non si contano più – il completamento delle autostrade, al di là delle falsità dette dall’ex maggioranza, è ancora un’utopia ( basti ricordare la Siracusa-Catania e la Siracusa-Gela) e in alcuni paesi dell’entroterra – nonostante le bugie elettorali di Cuffaro – la gente è ancora costretta a sottoporsi a lunghe ed estenuanti code per avere un bene primario come l’acqua; per finire con la piaga dell’emigrazione che costringe tanti nostri giovani a cercar fortuna lontano dal loro mondo e dalla loro gente. Eppure, nonostante il disastro col quale siamo costretti a convivere praticamente da sempre, in questa occasione, per la prima volta, queste consultazioni elettorali hanno risvegliato in noi una passione civile mai scomparsa, in verità, ma che da un bel po’ di anni s’era assopita, incapace di emergere in una realtà politica come quella attuale, che ha salutato con esultanza la fine delle ideologie, non rendendosi conto che queste sono la linfa vitale della politica: questa, senza più progetti e valori e priva di slanci ideali, ha perso ciò che poteva nobilitarla: il pragmatismo che oggi la caratterizza, e che molti opportunisticamente esaltano, è solo uno strumento che consente meglio di realizzare loschi affari e sporchi intrallazzi, all’ombra dei quali maturano sfolgoranti carriere e lievitano i conti in banca. Stavolta, dicevamo, abbiamo vissuto questo clima elettorale con passione e soprattutto con la speranza che finalmente noi siciliani  potessimo svegliarci da quel torpore civile e intellettuale che da troppo tempo non ci consente di riappropriarci di ciò che ci è stato tolto, non soltanto dalla mafia, ma soprattutto da quei politici ad essa contigui e con essa collusi. Abbiamo sperato che la Sicilia del ricatto e del clientelismo venisse non sconfitta – per questo è necessaria una rivoluzione culturale che richiede tempi molto lunghi – ma finalmente attaccata con determinazione e che pertanto si cominciasse a porre le fondamenta per cominciare a ripulire la nostra isola dai compromessi morali e dalla sporcizia politica. Una vittoria plebiscitaria della Borsellino – al di là dei suoi meriti, che comunque ci sono e che non sono legati soltanto al cognome che porta – avrebbe potuto rappresentare uno storico momento di svolta. Siamo coscienti che nella coalizione che l’ha sostenuta c’è stato chi ha pensato di utilizzarne il nome per i propri fini personali e politici, anche se siamo certi che la Borsellino ne è stata consapevole. Ciò, comunque, non cambia i termini della questione: Rita Borsellino è un simbolo, e i simboli non sono soltanto dei segni o delle forme senza contenuti: sono piuttosto la sintesi di un patrimonio di valori, ed è per questo che sono in grado di muovere la storia. Non siamo nemmeno così ingenui da ritenere che con la Borsellino ci saremmo liberati della mafia: non si tratta di questo, infatti; ma certamente i siciliani le avremmo lanciato un messaggio chiaro ed inequivocabile. Si trattava d’intraprendere con la criminalità organizzata una lotta lunga ed estenuante, certo, ma efficace in prospettiva: cominciare a stritolare la piovra con una sorta di operazione a tenaglia: da un lato la politica, con un presidente risoluto e non ricattabile, dall’altro una società civile finalmente determinata nel volersi affrancare da quella macchia indelebile che pesa come un macigno sulla sua storia e che fà passare sotto silenzio i tanti e lodevoli aspetti di “questa nostra terra bellissima e disgraziata”, come la definì Paolo Borsellino nel celebre discorso in memoria dell’amico Falcone. La maggioranza dei siciliani ha scelto Cuffaro: non spetta a noi decidere della sua innocenza o colpevolezza. Il fatto che abbia chiesto voti a Siino, il “ministro dei lavori pubblici” della mafia e che abbia frequentato dei personaggi legati a Cosa Nostra non dimostra ch’egli l’abbia favorita – appurare questo è compito della magistratura – ma è indiscutibile che questi suoi comportamenti abbiano generato dubbi e sospetti sulla sua correttezza istituzionale e sulla sua integrità morale. Il riconfermato governatore potrà anche uscire pulito dalle vicende giudiziarie nelle quali è coinvolto, ma politicamente egli è doppiamente colpevole: in primo luogo, perché continua a rimanere abbarbicato alla sua poltrona nonostante l’infamante accusa per la quale è indagato, senza aver avuto il buongusto di dimostrare la sua proclamata innocenza da semplice cittadino e non dalla posizione di potere e di prestigio che attualmente occupa; in secondo luogo, perché in questi anni di permanenza alla guida della Regione, la politica dei compromessi, degli affari e delle clientele non si è arrestata, il posto di lavoro ha continuato ad essere non un diritto ma una gentile concessione dell’onorevole di turno, in ossequio alla vergognosa prassi della “raccomandazione”, e tanti, troppi siciliani sono stati e sono ancora costretti a convivere col “pizzo” e dunque con la tracotanza di una criminalità organizzata che sempre più si insinua nelle attività economiche della nostra terra. Cuffaro e i suoi ex assessori – tra i quali, se non andiamo errati, qualcuno è indagato per gli stessi motivi per i quali lo è lui – non hanno fatto nulla, in questi anni, non per debellare, ma quanto meno per porre un freno alle piaghe che ci affliggono e consentire ai siciliani, pertanto, di condurre una vita più civile e dignitosa. Dal dopoguerra in poi, la Sicilia ha pagato un prezzo altissimo per colpa di una classe politica che ne ha impedito lo sviluppo praticando con disinvoltura la politica della lottizzazione, dei compromessi e delle pericolose contiguità. Come può, questa nostra terra, crescere nella legalità e nella trasparenza se i partiti, nella scelta dei candidati - e le recenti elezioni regionali stanno lì a dimostrarlo - anziché guardare esclusivamente alla loro competenza, coerenza e integrità morale, si ispirano pervicacemente  a criteri di bassa politica, fatta di promesse, rivalità, vendette e favoritismi? L’aver riconfermato un presidente indagato per favoreggiamento alla mafia, preferendolo a un simbolo dell’antimafia, dà all’Italia e all’estero l’immagine di una Sicilia che non vuol cambiare pagina: non aver posto sul gradino più alto dell’isola l’integrità morale della Borsellino e le sue battaglie per la legalità e per il riscatto civile della Sicilia ha l’amaro sapore di un’occasione perduta.

 

 

 

                                I RIMPASTI, LA VISIBILITA’ E LO PSICANALISTA

 

Da qualche tempo, in vista delle future elezioni amministrative, sempre più spesso si parla del prossimo, ennesimo rimpasto nella giunta comunale di Modica e di consiglieri che chiedono o per i quali si richiede maggiore visibilità. Riteniamo doveroso fare alcune considerazioni sullo squallore politico di tali rimpasti: essendocene già occupati, anche su questo giornale, ci limiteremo ad una sintetica riflessione, con l’unico intento di porre, ancora una volta, all’attenzione dei modicani la pochezza politica e l’atteggiamento poco trasparente di questa Amministrazione, cui si aggiunge il mancato rispetto per l’intelligenza dei cittadini. Più d’una volta, infatti, il nostro sindaco ha affermato che tali rimpasti, anche l’ultimo che è in programma, nascono dall’esigenza di rilanciare l’azione amministrativa della coalizione di governo: nel Palazzo, evidentemente, si ritiene che i modicani credono ancora nelle favole. Tali rimpasti, in verità, e lo sappiamo tutti, sono il frutto di una bassa concezione della politica, della quale, purtroppo, la nostra amministrazione comunale è una decisa sostenitrice ed una fedelissima interprete: dire chiaramente ai cittadini che i rimpasti sono necessari per accontentare un po’ tutti, per non rompere gli equilibri di potere sui quali si regge il governo della città e che evitare tale rottura è indispensabile per salvare la poltrona sarebbe certamente un’ammissione del modo, poco elegante, di concepire la politica, ma l’ineleganza sarebbe non giustificata ma almeno mitigata da un’operazione di trasparenza che renderebbe il tutto meno penoso e sgradevole. Da notare, tra l’altro, che queste false operazioni di rimaneggiamenti nella giunta – false perché hanno sempre modificato la forma ma mai cambiato la sostanza – sono  deprecabili, non soltanto per i motivi politici che abbiamo detto, ma anche perché assolutamente poco trasparenti: Torchi, infatti, se non andiamo errati, non ha mai motivato i cambiamenti effettuati – dimenticando, come spesso gli accade, che la cittadinanza ha il sacrosanto diritto di “sapere” – così come non ha mai spiegato ai suoi concittadini perché taluni assessori – a meno di future, improbabili smentite – siano praticamente inamovibili, alimentando illazioni che rendono la situazione ancora meno trasparente di quanto già non sia. Sull’altra questione, quella relativa alle richieste di maggiore visibilità, vogliamo spendere qualche parola perché i nostri concittadini riflettano sull’alta(!) concezione della politica che si respira a Palazzo San Domenico. E’ bene che la cittadinanza diventi sempre più consapevole che in una ipotetica scala delle priorità essa occupa, per i partiti che governano, l’ultimo gradino: si parla infatti di rilanciare l’azione amministrativa e pertanto sarebbe legittimo attendersi progetti concreti e obiettivi di ampio respiro e invece si sprecano energie per “ sistemare” questo o quell’altro consigliere; non c’è niente da fare: lo scrivemmo tempo fa su questo giornale e lo ribadiamo adesso: è tempo che nello stemma della nostra città campeggi un’elegante e comoda poltrona! Ancora più squallida è la richiesta di maggiore visibilità quando questa proviene da chi siede in consiglio comunale e il cui unico intento dovrebbe essere quello di servire i cittadini: chiedere maggiore visibilità – che tradotto dal politichese vuol dire semplicemente “ voglio anch’io la mia poltrona” – è non soltanto deplorevole, per le motivazioni politiche che abbiamo descritto, ma è indicativo di una pochezza morale e intellettuale che fà rabbrividire. Desiderare una maggiore visibilità – utilizziamo anche noi questa espressione, sebbene sia orrenda – può anche costituire una legittima aspirazione: se viene concessa da altri, non per amicizie o per raccomandazione, ma per meriti acquisiti, non crediamo vi sia nulla di male. Colui che la richiede, invece, non soltanto si dimostra povero di stile e privo d’eleganza, ma anziché bazzicare l’aula consiliare farebbe meglio a frequentare le stanze di un affermato psicanalista.

 

Settembre 2006

 

                                              UN DOLORE CHE PARLA DA SOLO

 

La vicenda di Mariangela Basile – la ragazza modicana colpita da emorragia cerebrale lo scorso Luglio e che durante il periodo in cui è stata in coma ha partorito la bambina che portava in grembo quando fu colpita dall’improvviso malore -  ha suscitato in noi delle riflessioni contrastanti: da un lato, un sentimento di letizia per una vita che nasce e per un’altra che probabilmente sarà salvata, dall’altro, una grande amarezza per il modo a dir poco disinvolto col quale l’intera vicenda è stata gestita dai mezzi di comunicazione di massa, e per il fatto che, a quanto pare, essa potrebbe inoltre non sfuggire agli onnipresenti tentacoli della politica. Stiamo vivendo momenti di sconfinata tristezza e di profonda angoscia per la morte, che ormai ha assunto le tragiche cadenze della quotidianità, di tanti poveri sventurati che perdono la vita e i loro sogni tra i flutti del nostro mare, in quelle notti trascorse all’addiaccio, aggrappati a una speranza che troppe volte si rivela una drammatica utopia. E’ difficile persino immaginare quanta disperazione possa segnare il volto di un padre o di una madre nell’affidare al mare i corpi dei loro piccoli, uccisi dal freddo e dall’affanno; lo strazio del vederli sempre più minuscoli e lontani e poi sparire, inghiottiti dalle onde. E non è certo meno triste ed angosciosa la morte di tanti innocenti che pagano colpe mai commesse, mentre gli assassini, in giacca e cravatta, pianificano i loro orrori, trasformando il nostro pianeta in una gigantesca polveriera che dilania i corpi delle vittime e lo spirito dei sopravvissuti. I fanatici del vicino Oriente hanno l’ardire di chiamare noi infedeli, loro che ammazzano nel nome di Dio, elevandosi, in tal modo, al più alto grado di empietà: essi non sono poi così diversi dal quel signore che abita la Casa Bianca, che prega un altro Dio, e non arrossisce di vergogna nel seminare odio e distruzione, per debellare i quali quel Dio in cui lui crede si fece uomo e prese su di sé le scelleratezze dell’umanità. Anche per lui la vita umana vale assai meno d’un pozzo di petrolio e dei suoi folli progetti di diventare la sentinella del pianeta. Anch’egli contribuisce, come tutti noi, a seminare orrore e morte: deve essere chiaro, infatti, che ciascuno di noi porta su di sé il pesante fardello di un’ infame responsabilità; troppo comodo dimenticare che il benessere dell’Occidente evoluto ed opulento – e dunque il nostro benessere – è costruito sul sangue degli innocenti, di coloro che muoiono, per il nostro egoismo, annientati dalla fame e dalla malattia. Alla luce di questi drammi dalle dimensioni planetarie, è legittimo chiedersi come sia possibile che i mass media dedichino uno spazio così grande alla vicenda della nostra concittadina: quanto detto potrebbe far pensare ad un nostro atteggiamento di indifferenza nei confronti suoi e della sua famiglia; non è così, ovviamente! Anzi, le nostre considerazioni nascono dal senso di rispetto e di pudore verso la sofferenza di ogni essere umano e pertanto anche nei confronti di Mariangela, e siamo sinceramente lieti che la situazione si stia evolvendo in modo positivo. Il nostro vuole solo essere un tentativo di mettere in guardia lei e la sua famiglia. Probabilmente hanno già capito, ma noi abbiamo deciso di far sentire ugualmente la nostra voce, anche se, come sovente accade, non canta all’unisono con le altre. Viviamo in un’epoca che non si fa scrupolo di spettacolarizzare  tutto, persino la sofferenza e il dolore e non vorremo trovarci nei panni di Mariangela e della sua famiglia quando scopriranno  di essere state vittime di un meccanismo micidiale che si fa beffe della sofferenza altrui, e pertanto anche della loro. Noi non abbiamo difficoltà a credere alla buona fede dei dirigenti dell’Ospedale Garibaldi di Catania e del primario di Rianimazione Sergio Pintaudi (anche se non abbiamo condiviso le sue molte foto e le sue tante interviste), ma il positivo ritorno in termini di immagine ci sembra evidentissimo, anche per la risonanza che il fatto ha avuto a livello nazionale. Si può essere mossi dalle più nobili finalità – ed è sicuramente il caso di Pintaudi e di tutto il personale medico del Garibaldi coinvolto in questa vicenda – ma se esiste anche il minimo dubbio che si possano trarre dei vantaggi, sebbene involontariamente, dalla sofferenza altrui, occorre abbandonare, senza alcuna esitazione, ogni forma di sovraesposizione mediatica. Parimenti, non abbiamo difficoltà a credere alla buona fede del nostro Sindaco, il quale ha già dichiarato che, per il ritorno a casa di Mariangela, sarà organizzata una grande festa cittadina a Piazza Matteotti. A noi che non condividiamo l’attività politica di Torchi farebbe anche comodo che il Sindaco ne fosse il promotore, perché siamo sicuri che ciò darebbe un ulteriore impulso alla sua già calante popolarità;  ma, dinanzi a vicende che coinvolgono i sentimenti più profondi della persona, mandiamo volentieri a quel paese i nostri calcoli politici, e consigliamo vivamente al sindaco Torchi di astenersi da tale iniziativa. Noi crediamo alla sua buona fede, ma questa non lo salverà dall’accusa di strumentalizzare una vicenda che, per sua natura, deve rimanere nella sfera del privato, e non gli risparmierà le critiche dei soliti malpensanti che interpreteranno  il tutto come l’occasione per garantire ai politici l’ennesima passerella, che, in un caso come questo, sarebbe stigmatizzata, giustamente, con comprensibile veemenza. Alla famiglia di Mariangela vorremmo suggerire di non andare ad alcuna manifestazione e le auguriamo, di tutto cuore, di poter vivere nella calda e accogliente intimità familiare il loro momento di ritrovata serenità. Per quanto ci riguarda, ci sembra alquanto significativo concludere queste nostre riflessioni  con le considerazioni di una collega della sfortunata commessa modicana, perché ci sono sembrate le più assennate in  quest’oceano di retorica con la quale i mass-media hanno condito una vicenda che andava trattata con più rispetto e discrezione:  “E’ troppo grande il dolore che abbiamo provato, un dolore che parla da solo e sul quale non sono necessari commenti”.

 

 

                             

                        L’AMMALATO-CLIENTE E L’OSPEDALE-AZIENDA

 

Nello scorso mese di Agosto, un’altra “perla” si è aggiunta alla collezione degli eventi degradanti e delle scelte inique che stanno annientando la nostra città, nella colpevole indifferenza dei modicani, sui quali, purtroppo, sembra aver sortito i suoi malefici effetti la narcosi, cui, da qualche tempo, sono sottoposti in  modo subdolo e costante. Come se non bastasse la politica negligente del Sindaco e dei suoi assessori – in modo particolare di quello cui è stata imprudentemente affidata la gestione del traffico – adesso dobbiamo anche sopportare le gravi decisioni, forse prese con eccessiva disinvoltura, del dottor Manno, ossia di colui che ha in mano la sanità iblea. La sua disposizione di effettuare gli interventi di protesi solo agli “utenti” residenti in provincia è di quelle che lasciano interdetti coloro che non si sono ancora rassegnati a considerare le strutture sanitarie delle aziende e che ritengono avvilente misurare con le percentuali le attività mediche e i pazienti, che dovrebbero essere considerati, invece, con ben altre categorie. La decisione di Manno è lo specchio del decadimento del nostro Paese e della nostra città: precludere alcuni servizi ai cittadini residenti fuori provincia è un atto biasimevole, non soltanto perché contrasta con lo spirito di accoglienza e di solidarietà che ha sempre contraddistinto la nostra città, e, più in generale, un po’ tutta la nostra provincia, ma anche, e soprattutto, perché produce una discriminazione che, se può andar bene per il popolo della Lega Nord, mal si concilia con la tradizionale ospitalità di noi siciliani. Si tratta, pertanto, di una scelta infelice sotto il profilo etico e sociale; per tale motivo condividiamo pienamente le osservazioni del dottor Russo, primario del reparto ortopedico del nosocomio modicano, il quale ha messo bene in evidenza la situazione paradossale e sgradevole nella quale verrebbe a trovarsi qualora fosse costretto a chiedere il certificato di residenza prima di visitare un paziente. L’Italia si è finalmente liberata del politico-manager che l’ha ingannata per cinque anni con false promesse; che avrebbe dovuto modernizzare il Paese promuovendone la crescita finanziaria e infrastrutturale e che aveva assicurato il miglioramento delle condizioni economiche di noi italiani: ciò che è invece vertiginosamente cresciuto è il volume di affari delle sue aziende e ciò che è drammaticamente diminuita è la credibilità internazionale dell’Italia. Ci siamo liberati di colui che definiva la sua Patria un’azienda e che progettava di guidare con spirito aziendale persino la Scuola, ossia l’ultimo baluardo a difesa di quei valori umani e culturali sui quali è nata la nostra civiltà e che ci consentono ancora di possedere una nostra specifica identità. Ce ne siamo liberati a Roma ma non a Palermo: la decisione di Manno, infatti, è la logica conseguenza dello spirito liberista e dell’esasperato economismo che aleggia nelle stanze dell’inquisito Cuffaro e dei suoi assessori; di Roberto Lagalla, nella fattispecie; cui è stata affidata la sanità siciliana.

Dopo aver sperperato il pubblico denaro, il nostro governo regionale, anziché porre un freno al proliferare di alti dirigenti regionali con stipendi esorbitanti e cercare di sanare il bilancio bloccando il fiume di denaro che alimenta la piaga del clientelismo, non trova di meglio che colpire la sanità pubblica - tagliando i posti letto e mettendo a rischio servizi di vitale importanza come la risonanza magnetica – mentre per anni certe cliniche private hanno goduto di rimborsi stratosferici.  Speravamo che le disavventure giudiziarie nelle quali è coinvolto avessero indotto il nostro Governatore a tenere atteggiamenti più cauti in materia di sanità, ed invece persevera, come se nulla fosse, nelle sue discutibili scelte; è dello scorso mese di Giugno, infatti, un suo decreto che autorizza la creazione di 375 posti letto per la riabilitazione nelle cliniche private, soprattutto, guarda caso, nel palermitano e nell’agrigentino: per la sanità pubblica non c’è una lira e si tagliano i servizi, per quella privata  si spenderanno tra i 50 e gli 80 milioni di euro all’anno. Manno ed Elia – quest’ultimo direttore sanitario dell’Ospedale” Maggiore” di Modica – hanno dovuto adeguarsi agli ordini provenienti da Palermo, ma sentire un direttore sanitario che elenca dati statistici e che parla del “suo”Ospedale come di un’azienda che deve operare in maniera sana attraverso un oculato controllo del bilancio, ci preoccupa, e non poco. Qui non sono in discussione, ovviamente, le doti umane e professionali delle persone, sulle quali non ci permettiamo di esprimere giudizi, ma è il tipo di  mentalità oggi diffusa nell’ambiente medico e sanitario che ci preoccupa. E’ evidente che coloro i quali occupano posizioni dirigenziali debbano anche far quadrare i bilanci, ma ridurre la sanità ad una sorta d’impresa fatta di costi, prestazioni, spese e guadagni, è deplorevole dal punto di vista morale e umano. Il risparmio è doveroso, ma lo si faccia senza operare discriminazioni e senza danneggiare gli ammalati; si potrebbe cominciare, ad esempio, con l’abbassare gli stipendi di manager, direttori sanitari, primari e medici ospedalieri, il cui salario è doppio, e talvolta addirittura triplo, rispetto a quello di altri professionisti. Discriminare i pazienti sulla base di un certificato, quello di residenza, e il chiamare “ utenti” gli ammalati è la logica conseguenza della crisi ideale che attanaglia l’Occidente, che ha smarrito il senso della sacralità della vita ed ha reciso i legami con le sue radici, sia quelle laiche ( la civiltà greco-latina) sia quelle religiose (la spiritualità ebraico-cristiana); è il prodotto di una mentalità aziendalistica e ragionieristica che ha invaso persino le corsie degli ospedali, trasformando l’ammalato in un cliente: una pedina, senz’anima e senza dignità, su una scacchiera fatta di numeri e di fredda contabilità.

 

 

 

 

 

Ottobre 2006

                                                   NOI NON CI SCANDALIZZIAMO
                                            La vicenda del presunto lavoro nero a Modica

La vicenda relativa ai presunti fenomeni di lavoro nero nella nostra città, portata alla ribalta della cronaca locale dalla denuncia della CGIL, ci induce a fare delle considerazioni: la prima di natura politica, la seconda di carattere culturale. Per quel che riguarda la prima, non abbiamo affatto condiviso – e questa non è certo una novità – la posizione assunta dal sindaco Torchi, il quale, più d’una volta, ha espresso risentimento e rammarico per l’offesa che le dichiarazioni del Sindacato hanno arrecato all’intero tessuto commerciale della città. Un atteggiamento, quello del Sindaco, criticabile sotto il profilo delle intenzioni e delle conseguenze. L’interesse della città che si governa non lo si fa certamente difendendone aprioristicamente le diverse realtà – quelle economiche, nella fattispecie – che ne costituiscono la struttura e le peculiarità. Giudicare intollerabili e demagogiche le affermazioni della CGIL ed ergersi ad irriducibile garante della correttezza e della trasparenza degli esercizi commerciali modicani, prima che queste siano state dimostrate, appare il frutto di uno sterile campanilismo, che potrebbe tornare utile in campagna elettorale ma che è sicuramente inutile dal punto di vista politico, giacchè non è coi sentimentalismi o con l’esibizione di un vacuo attaccamento al campanile che si fanno, in modo concreto ed efficace, gli interessi della propria città. Esprimere, inoltre, il pieno appoggio alle realtà imprenditoriali della città, ancor prima che se ne sia accertata l’integrità morale e professionale, può anche produrre spiacevoli conseguenze: un Sindaco, che esprime la sua solidarietà a tutta la classe imprenditoriale di questa città, prima di sapere – lo ribadiamo ancora una volta – se una parte di essa stia violando la legge e la morale, non dovrebbe mai dimenticare che, in quanto primo cittadino, egli parla a nome di tutta la comunità che amministra, se ne fa interprete e portavoce; in rispetto di coloro che non la pensano come lui, sarebbe auspicabile, in situazioni come questa, che un Sindaco sapesse scindere i convincimenti personali dalle dichiarazioni pubbliche. Detto questo, gli diamo però atto di aver fatto, infine, una scelta degna di approvazione: ci riferiamo alla istituzione, da parte dell’Amministrazione comunale, di un tavolo tecnico - cui sono stati invitati i rappresentanti dei Sindacati, dell’Ascom, della Confesercenti e del Polo Commerciale – che avrà il compito di portare alla luce eventuali situazioni di lavoro irregolare. Per quanto riguarda le considerazioni di ordine culturale, confessiamo che il problema sollevato dalla CGIL non ci stupisce. Non praticando arti divinatorie noi non sappiamo se il lavoro nero a Modica ci sia o meno, ma se ci fosse non ne resteremmo scandalizzati: non perché lo sfruttamento dei lavoratori ci lasci indifferenti - al contrario, lo riteniamo moralmente abietto e socialmente ripugnante – ma perché sarebbe la logica conseguenza del degrado morale della nostra città ( che da qualche anno non ci stanchiamo di denunciare ) frutto di scelte politiche dettate dall’opportunismo, dalla propaganda e dal tornaconto personale; mai finalizzate al bene della comunità e soprattutto prive di quella liberalità senza la quale è impossibile sollevare lo sguardo dal piccolo giardino dei propri interessi e proiettarlo al di là della siepe, alla ricerca di nuovi orizzonti - quelli della dignità, della coerenza e della trasparenza - senza i quali la politica si fa mestiere e la città se va mestamente alla deriva .Ciò è quello che sta accadendo a Modica da quando questa maggioranza si è insediata a Palazzo San Domenico: con questo non intendiamo dire, ovviamente, che tutti i mali della nostra città sono ad essa riconducibili. Il declino della nostra città risale ad anni più lontani; basti pensare a quello edilizio, quando si abbattevano persino le chiese per costruire palazzi che andavano a deturpare uno dei centri storici più belli della Sicilia. L’amministrazione Torchi – a nostro parere – ha, come le altre, pochi meriti e molti demeriti; ciò che non riusciamo a perdonargli è l’aver creduto che il progresso della città potesse realizzarsi promuovendone esclusivamente lo sviluppo commerciale e turistico: le altre attività, come quelle culturali (sia quelle serie, sia quelle ridicole) hanno fatto da contorno al piatto principale, che è stato solo ed esclusivamente il denaro. Tra Eurochocolate e Feste dei Sapori, Modica non ha soltanto ingurgitato cacao, tumazzu e fave cottoie, ma si è anche  ubriacata di soldi, luci, macchine e nastrini, coi quali ha soffocato quei valori che rendono la vita degna di essere vissuta: il dialogo, l’altruismo, l’amicizia e la solidarietà.  Il denaro, intendiamoci, non è in sé il male, ma se ne facciamo il faro che deve orientare la nave della nostra esistenza, questa ne viene mercificata e noi diventiamo banali, aridi e meschini. Se a Modica si venera il denaro, come il dio unico e onnipotente, perché dovremmo meravigliarci, quindi, se qualcuno, pur di averne sempre di più, non si fa scrupolo di ottenerlo calpestando i diritti e la dignità degli altri!

 

 

 

  

 

                                                   LE  ALTE VETTE DELL’IRREALE
                                                          Modica e la crisi della Democrazia

La notizia, apparsa l’11 Ottobre su “ Il Giornale di Sicilia”, che la nuova lista civica vicina a Nino Minardo chiede un assessorato al comune di Modica – e lo chiede al più presto e fino alla fine della legislatura – come condizione perché essa possa coalizzarsi con Forza Italia alle prossime amministrative, è di quelle che lasciano a dir poco stupefatti. Lo stupore non è determinato dal fatto che il giovane rampollo della famiglia Minardo abbia un così distorto concetto della politica: siamo infatti abituati alle richieste di maggiore visibilità e agli stucchevoli eufemismi della politica, che permettono di chiamare riequilibrio delle forze o rilancio dell’azione amministrativa quella che altro non è che la pretesa di ottenere qualche poltrona. Il giovane Minardo è comunque in affollata compagnia; da quando l’Amministrazione Torchi governa la nostra città, le dimissioni e gli insediamenti degli assessori nella sua giunta sono stati così frequenti e numerosi che, a dir la verità, ne abbiamo perso il conto: una giunta che ha dato di sé un’immagine che, al di là delle consuete e inutili autocelebrazioni, ha danneggiato in modo irreparabile la città, compromettendo, chissà per quanti anni, la sua crescita, in termini di correttezza politica e di sviluppo del senso civico. Si converrà che lo spettacolo della girandola degli assessori, che ha caratterizzato la giunta Torchi, non è stato proprio di quelli edificanti, soprattutto perché accompagnato dalle immancabili dichiarazioni di stima e apprezzamento, da parte del Sindaco, agli assessori dimissionati, con il risultato esilarante, da un lato, e avvilente, dall’altro, di una città, incredula e attonita, che non capiva – e come avrebbe potuto! – perché il suo Sindaco licenziava gli assessori dopo averne cantato le lodi. Avendo assistito da anni a questo autentico teatrino della politica modicana, apparirà chiaro, adesso, perché la richiesta di Minardo non ci sorprende: essa rientra nella “normalità”, fa parte di un modo sbagliato, e dunque deleterio, di fare politica in questa nostra città: quanti nastri tagliati, quante rotonde inaugurate! E quanto tempo sacrificato sull’altare della propaganda e della insopportabile ricerca del consenso! Come si può facilmente intuire, il nostro disincanto dinanzi a questo modo d’intendere la politica è totale, e non credevamo, in tutta onestà, che potesse accadere qualcosa che fosse ancora in grado di stupirci: le dichiarazioni del giovane Minardo hanno fatto il miracolo. Dal reale, degradato e deludente, la politica modicana si innalza ora fino a raggiungere le alte vette dell’irreale: il giovane rampollo dei Minardo, infatti, pretende – non sappiamo se per sé o per uno dei suoi – una poltrona nella giunta. A noi, che vogliamo restare ancorati alla logica per non cadere nell’irrazionale e che intendiamo rimanere aggrappati alla realtà effettuale per non precipitare nell’utopia, viene spontaneo chiederci donde proviene al Minardo l’autorità per inoltrare una simile richiesta. Non ci risulta, infatti, che egli ricopra una qualche carica politica che gli consenta di avanzarla: tale autorità, d’altronde, non può derivare dai molti voti ottenuti nelle ultime elezioni regionali. In Democrazia, se si viene eletti si diventa rappresentanti del popolo e nel suo nome si governa o si fa opposizione; se non si viene eletti ciascuno rappresenta solo se stesso. Una lista civica che si propone alla cittadinanza chiedendo poltrone non soltanto suscita un senso di sconfinata tristezza, ma dimostra, altresì, una preoccupante ignoranza delle più elementari regole della Democrazia: la spartizione delle poltrone è sempre un fatto sgradevole, ma pretendere di attuarla ancor prima di aver vinto le elezioni ci sembra l’espressione di un’ arroganza politica che va biasimata e condannata con forza. Sul perché, infine, Alessandro Pagano, commissario di Forza Italia per la provincia di Ragusa, debba discutere degli assessori al comune di Modica con Nino Minardo, lasciamo ai nostri concittadini il compito di darsi una risposta. Per quel che ci riguarda, non possiamo non domandarci se la parola Democrazia, nella nostra città, abbia ancora senso!

Novembre 2006

                                       IL LUPO PERDE IL PELO MA NON IL VIZIO

 

Alla fine dello scorso mese di Ottobre il vicesindaco Carpentieri si è recato a Perugia, in rappresentanza dell’Amministrazione comunale, in occasione dell’Eurochocolate del capoluogo umbro, dove alcuni produttori del cioccolato modicano, stando alle cronache, hanno visto i loro stand letteralmente presi d’assalto. Il nostro assessore allo Sport, Turismo e Spettacolo ha dichiarato, in perfetta sintonia con lo stile enfatico dell’Amministrazione Torchi: “ Eravamo di fronte a più di un milione di persone e devo dire che il nostro cioccolato è andato a ruba; graditissimo a tutti, come sempre”. A noi ha sempre dato fastidio che i cittadini modicani abbiano dovuto pagare gli innumerevoli viaggi che i nostri amministratori hanno compiuto, anche all’estero, nel nome del cioccolato, ma in questo  momento, e più avanti ne spiegheremo i motivi, la trasferta del nostro vicesindaco è stata assolutamente inopportuna; se poi, oltre alla sua, i cittadini  modicani hanno  pagato, come riteniamo probabile, anche quella dei produttori presenti a Perugia, allora siamo veramente di fronte ad un’Amministrazione che ha perso il senso della misura e che mostra una deplorevole e allarmante insensibilità verso i gravissimi problemi che assillano la città. Ci riferiamo ai dipendenti delle cooperative che si occupano dei servizi sociali del Comune e che non hanno ancora percepito gli stipendi relativi a ben otto mesi del corrente anno. La situazione è ovviamente insostenibile, perché la mancata erogazione dei salari determina situazioni familiari di grande difficoltà e di grave precarietà; si tratta, infatti, di persone che vivono del loro stipendio e che meriterebbero ben altra considerazione da coloro che occupano le stanze che contano a Palazzo San Domenico, percependo ben altri emolumenti, e, fatto ancor più grave, troppo spesso immeritati, alla luce dei disastri di cui sono responsabili. In questi giorni, siamo venuti a conoscenza di storie personali e familiari che dovrebbero essere sconosciute ad un Paese civile. Tempo fa, su questo stesso giornale, scrivemmo di Modica oltraggiata, offesa ed umiliata: pensavamo, sbagliandoci, di aver toccato il fondo, ed invece la nostra città sembra andare verso un declino inarrestabile; è ormai senza difese, in balia dell’egoismo e dell’impassibilità. Ci si rallegra e ci si compiace perché Modica è stata proclamata patrimonio dell’Umanità e certamente lo merita per le sue bellezze architettoniche e paesaggistiche, ma ciò non può costituire l’elegante facciata con la quale coprire la sporcizia di un edificio pericolante e fatiscente. Anziché pavoneggiarci, dovremmo arrossire di vergogna per una città che diventa ogni giorno più insensibile e dove l’umanità viene sepolta sotto una coltre di gelida indifferenza. Se questa consapevolezza non maturerà in ciascuno di noi, sarà davvero arduo, per questa città, intraprendere il lungo e faticoso cammino della risalita. Questa Amministrazione ci ha tolto persino l’orgoglio di sentirci modicani. E come potremmo, dinanzi alle lacrime di un dipendente comunale che ha trovato il coraggio di parlare degli enormi sacrifici e delle tante rinunce che è costretto a fare lui e la sua famiglia e che trema al pensiero che gli usurai, già da qualche tempo, bivaccano nei pressi del Comune, alla ricerca del disperato che incappi nella loro rete infame ed immorale. Il bilancio comunale è al collasso – al punto che molti esercizi commerciali non accettano più i buoni pasto dai dipendenti comunali, considerato che il Comune deve ancora rimborsare quelli degli anni passati -  e tante famiglie modicane sull’orlo della disperazione, ma l’Amministrazione comunale, come sempre, non sembra preoccuparsene più di tanto e persevera nell’errore con gran disinvoltura, dimentica del fatto che errare è umano, perseverare diabolico. E difatti, sul “Giornale di Sicilia” del 5 Novembre, il nostro Sindaco osa definire all’avanguardia la sua Amministrazione, per cui non possiamo non chiederci se Torchi è il Sindaco di Modica come realmente è o di Modica come egli immagina che sia. Come spiegare altrimenti l’incensamento della sua Amministrazione, che in questi anni non ha fatto altro che dilapidare il pubblico denaro con inutili feste e con sagre paesane. Giustificare, come ha fatto il Sindaco, il dissesto finanziario del Comune con la mancata erogazione dei fondi regionali e nazionali è l’ennesimo atto di un’ostinata volontà di non ammettere i propri errori; il taglio ai finanziamenti è un problema che riguarda tutti gli Enti locali, e non ci pare che tutti abbiano un bilancio disastroso come il nostro. La presa di posizione di Torchi, dunque, è assai discutibile, ma diventa paradossale nel momento in cui, il nostro Sindaco, che in quanto primo cittadino è il maggiore responsabile di questo disastro, decide, addirittura, di vestire i panni della vittima. E’ giusto che ciascuno si assuma le proprie responsabilità. L’oculata gestione del bilancio è stata infatti sacrificata sull’altare della propaganda e della ricerca del consenso, e ciò ha significato anteporre le proprie ambizioni politiche ai reali bisogni della città e alle più urgenti necessità dei cittadini. Ma, come si suol dire, il lupo perde il pelo ma non il vizio! Ricordiamo, a conferma di quanto abbiamo detto, che decine di famiglie modicane da mesi non percepiscono una lira, con il concreto rischio di finire in mano agli strozzini, e i nostri amministratori continuano a viaggiare a spese della collettività e a gongolare perché il nostro cioccolato è andato a ruba e alcuni commercianti hanno fatto affari d’oro. Povera Modica, e meschini noi se alle prossime elezioni non avremo la determinazione di mandarli tutti a casa!

 

 

 

 

                   HALLOWEEN, UNA NOTTE CHE CI SARA’ SEMPRE ESTRANEA

 

Anche questa volta, come purtroppo accade ormai da alcuni anni, la ricorrenza dei defunti è stata profanata dalla cosiddetta “ notte di Halloween”. Bande di ragazzini, che la follia di una notte ha trasformato in autentici teppisti, hanno devastato i muri della città, sporcato le vetrine dei negozi,  ricoperto di uova marce le autovetture parcheggiate nella principale via del centro storico e danneggiato alcuni contenitori della nettezza urbana. Si tratta di atti vandalici che vanno ovviamente stigmatizzati; atti di violenza urbana che esprimono la maleducazione degli adolescenti d’oggi, cui tutto è concesso da genitori incapaci di educarli e che si ritengono moderni ed evoluti nel tirar su i loro ragazzi seguendo la logica del permissivismo e del soddisfacimento di ogni loro capriccio. Non s’accorgono, costoro, che un simile comportamento non è affatto l’espressione di una mentalità aperta e progressista, ma è, al contrario, la manifestazione di una deleteria grettezza mentale, che sacrifica il contenuto sull’altare dell’apparenza: si ritiene più importante, infatti, il non apparire retrogradi che il consegnare ai figli un messaggio educativo che non può esaurirsi nel fare concessioni, perché ha bisogno anche del momento autoritario, che si esprime nell’imporre divieti e proibizioni, che sono anch’essi indispensabili ai fini di garantire ai figli un corretto ed armonioso sviluppo psichico e mentale. Tali comportamenti vandalici sono sicuramente inqualificabili e da biasimare con forza, eppure non sono loro i maggiori responsabili della profanazione di un giorno come quello del 2 Novembre; tali comportamenti, tra l’altro, possono essere anche estirpati alla radice, attraverso un’equilibrata educazione, ed evitati con un’adeguata repressione. Ciò che maggiormente ci preoccupa è il vuoto culturale dal quale essi nascono e nel quale si sviluppano.La notte di Halloween, infatti, è un evento legato ad una tradizione di origine celtica che non ci appartiene; è l’espressione di quella cultura anglosassone che ci ha ormai colonizzati, e la colpa di  ciò è in buona parte nostra, perché frutto della nostra provinciale esterofilia. Dopo essere stati linguisticamente colonizzati, dopo aver assorbito gran parte della mentalità “americana”, ci inchiniamo persino dinanzi alle zucche e alle streghe, vittime di un’emulazione che è avvilente nella sua stupidità e mortificante nella sua squallida volgarità. Siamo certi che una tale idiozia non sarebbe mai attecchita in una città come Modica, dalle solide tradizioni umanistiche e dalle profonde radici cristiane, se essa, come il resto del nostro Paese, non fosse stata privata, in questi sessant’anni di storia repubblicana, del suo legame col passato, nel nome di un falso progresso che non si è nutrito di un’autentica volontà riformatrice ma di una logica devastante: quella di costruire il futuro sulle ceneri del passato. Come direbbe lo storico tedesco Ernst Nolte, abbiamo sacrificato la Cultura sull’altare della Civilizzazione. Abbiamo smarrito il senno, nell’illusoria convinzione di ritenere più civili  e progrediti di noi gli abitanti della Grande Mela, e non ci siamo mai accorti di quanto questa fosse marcia; abbiamo disprezzato la nostra cultura millenaria per scimmiottare un popolo che non ha un passato. Se il 2 Novembre, ormai da tempo, purtroppo, i nostri bambini non aspettano i doni dai loro nonni che non ci sono più e se i nostri ragazzi sconoscono il gesto, pietoso e sacro, di deporre un fiore sulla tomba di chi li ha preceduti,  assumiamocene con coraggio la colpa. Se avessimo pensato a conservare e preservare il nostro passato, anziché sprecare il tempo ad imitare la stupidità altrui, forse oggi non staremmo qui ad elencare i danni materiali e spirituali di una notte che, comunque, ci sarà sempre estranea.

 

 

 

 

                                DALL’UOMO MARKETING ALLA CITTA’ SHOPPING

 

Lo scorso 15 Novembre, i rappresentanti del Comune, della Provincia, della Confeserfidi e della Banca della Contea di Modica, tutti insieme, appassionatamente, hanno ufficialmente presentato l’iniziativa “Vacanze di Natale 2006”: si tratta della solita campagna promozionale che utilizza il Natale per far lievitare il volume di affari dei commercianti modicani. Antonio Aurnia, uno degli organizzatori, ha dichiarato:” Grazie alla lungimiranza e alla capacità dei commercianti (…) oggi la città si è aggiudicata il primato di Città dello shopping”. In occasione di Eurochocolate 2005, il patron della manifestazione, Eugenio Guarducci  definì il nostro sindaco “ un uomo marketing”: non sappiamo se Torchi ne sia rimasto gratificato o offeso; noi  rimanemmo perplessi e preoccupati, come oggi ci inquieta pensare che il tratto distintivo di noi modicani sia quello di girare per negozi e fare acquisti. Su questo argomento abbiamo già scritto molto e pertanto non è nostra intenzione tediare i lettori con le nostre considerazioni sul danno irreparabile che la santificazione del denaro e degli affari sta arrecando alla nostra città, sul piano etico e su quello civile. E’ evidente, quindi, che questo genere di iniziative non ci convince e chi legge ne conosce perfettamente i motivi. Se ne parliamo ancora è perché vogliamo affrontare l’argomento da un’ottica diversa dalla consueta. Che i commercianti pensino ad incrementare i loro affari è legittimo e non abbiamo nulla da obiettare; ciò che invece ci infastidisce è lo strapotere che hanno conseguito nella nostra città, grazie ad un’Amministrazione politica che si è sempre piegata ad ogni loro volere e ad ogni loro capriccio. E’ intollerabile, infatti, che si faccia scempio della dimensione democratica del vivere civile. Le decisioni di questa categoria, infatti, hanno delle ricadute sulla vita dell’intera cittadinanza e questa non ha alcuna possibilità di opporvisi. Si tratta di una categoria che travalica sistematicamente il limite delle sue competenze, che non dovrebbe andare oltre quello di decidere come addobbare le vetrine dei propri negozi, ed invece, con l’immancabile avallo della giunta Torchi, stabilisce indirettamente come debba svolgersi il traffico veicolare –  incidendo, pertanto, sulla qualità della vita in città – può trasformare una strada in un mercato, allietato, si fa per dire, da improvvisati e sconosciuti musicisti e può addirittura imporre ai cittadini l’obbrobrio di due enormi tazzine da caffè su una rotatoria nella principale arteria del Polo commerciale. Quest’anno, poi, crediamo si toccherà il fondo: tutti insieme, appassionatamente, hanno deciso di rappresentare Modica come un set cinematografico che riprende il famoso film (Vacanze di Natale) di Boldi e De Sica, noti, come tutti sanno, per il buon gusto e la signorilità, per la profondità delle loro riflessioni e per le loro battute improntate ad indiscussa eleganza! Che Modica, in questi ultimi anni, si sia involgarita in modo preoccupante lo abbiamo scritto innumerevoli volte, ma constatiamo amaramente che più passa il tempo e sempre più esigua ci appare la possibilità di porre un freno a questo avvilente degrado. Ma ciò che è maggiormente sconcertante in questa vicenda così poco edificante è che i promotori di questa iniziativa hanno l’ardire di mischiare il sacro col profano: intendiamo riferirci alla ormai consolidata abitudine di condire qualunque evento, anche il più offensivo della tradizione civile di questa città, con il solito accenno alla sua arte e all’immancabile barocco. Quale relazione possa esistere tra l’arte, una delle più alte espressioni dello spirito umano, e i quattrini, gli affari e i film di Boldi e De Sica, Dio solo lo sa! Ma il fatto che tale correlazione abbia ormai assunto una frequenza quasi quotidiana la dice lunga su quanto terreno abbiamo perso, in questi anni, in termini di sviluppo culturale, di crescita civile e di sensibilità sociale. Vorremmo, inoltre, sottolineare che questa iniziativa, come tante altre, non soltanto offende il buon gusto e la innata signorilità dei modicani, ma, cosa ancor più grave, ne mortifica i sentimenti religiosi, per fortuna ancora assai radicati nella nostra città. Noi non abbiamo nulla in contrario che nel periodo natalizio la città si riempia di luci e di colori; anzi, è uno spettacolo che ci è assai caro, sia perché in sé piacevole, sia perché risveglia in noi gli indimenticabili ricordi dell’infanzia, ma una città, a Natale, non può essere ridotta soltanto a luogo di shopping e, per usare ancora le parole di Aurnia, a “ un vero e proprio parco turistico, punto di attrazione e centro di grande appetibilità”. Sono espressioni che ci rattristano e che ci danno la misura di come la mentalità affaristica sta trionfando sulle macerie di quei valori alti che stiamo perdendo. Pur correndo il rischio di essere tacciati di fare della retorica e del moralismo, non ci sentiamo di tacere un sogno che coltiviamo da tempo: vorremmo che almeno una volta, nella nostra città, coloro che ne decidono le sorti si riunissero non coi commercianti, per pianificare gli affari e per fare di Modica la città dello shopping, ma coi rappresentanti della Chiesa locale e delle tante associazioni di volontariato, per promuovere, pur nel clima lieto e nell’ambiente luminoso del Natale, una serie di iniziative volte a recuperare l’autentico significato di questo evento straordinario, che non può emergere nella sua autentica essenza senza un richiamo alla fede e alla solidarietà. Sappiamo, purtroppo, che non sarà così. L’anonima folla, come sempre, spenderà i suoi quattrini e acquisterà di tutto: felice di non pensare e di illudersi di aver comprato qualche spicciolo di felicità. E mentre gli ammalati resteranno soli nella loro sofferenza, i vecchi nel loro abituale abbandono e i poveri sperimenteranno come sempre l’indifferenza umana, avremo anche il coraggio, dopo esserci “elegantemente” abbuffati di cibo e di regali, di recarci alla Messa di mezzanotte, per compiere l’ultimo atto di una insopportabile ipocrisia.

 

 

 

 

 

Dicembre 2006

 

                                       IL DESERTO SU CUI CAMMINIAMO

 

 Dobbiamo confessare che guardare Modica, oggi, ci amareggia e ci rattrista: non è soltanto la politica, infatti, ad infangare l’immagine e l’essenza di questa città straordinaria: maestosa nell’armonioso disegno dei suoi palazzi e delle sue chiese; solenne nel suo aristocratico retaggio di antica capitale. Il degrado dei costumi, la diffusa povertà culturale, il deserto, sul quale mestamente camminiamo e la cui aridità si è insinuata nei meandri più nascosti delle nostre coscienze, rendendole impassibili e anonime: tutto ciò – unitamente a una politica che ha perso il nobile scopo del servire l’altro per acquisire il volgare fine di essere servita e riverita – costituisce il pesante fardello che tormenta coloro che non hanno ancora rinunciato alla speranza del riscatto. Diceva il grande poeta tedesco Holderlin: “Un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando pensa”; ebbene, noi vogliamo perseverare nei nostri sogni e non arrenderci alle fredde regole del trionfante pragmatismo, che in modo subdolo e vile sta impadronendosi dell’essenza che ci fa uomini, trasformandoci in manichini senz’anima e senza vita. Modica è stata defraudata della politica nella sua più nobile accezione; l’arroganza del denaro ne condiziona metodi e obiettivi e ne piega gli esiti ai suoi squallidi ed egoistici interessi; equivoci personaggi ne hanno fatto lo strumento col quale s’illudono di trarsi fuori dalla loro mediocrità intellettuale e dalla loro meschinità morale. Essa è diventata come un triste e polveroso palcoscenico sul quale si muovono, come inerti burattini, mestieranti senza scrupoli in cerca di quattrini e di notorietà. E’ su questo palcoscenico che si decide di fare scempio della città e delle più elementari norme del buon governo e della democrazia: è nel nome di questa scellerata concezione della politica che vengono violate persino le aree sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici; che un ex vice-sindaco può conquistare la poltrona di Difensore Civico, col risultato, esilarante e drammatico al tempo stesso, di una politica che dovrà controllare se stessa; che si compie il  perenne fluire di assessori uscenti, subentranti, dimissionati e defenestrati, che sta coprendo di ridicolo l’intera cittadinanza.  Modica vive nella sciocca illusione d’essere più ricca e non s’accorge che la triviale opulenza ha in sé il germe della futura povertà: quella del “ Sentire”, quella che ti strappa il cuore e che toglie a una città l’orgoglio del passato, il sapore delle sue antiche e nobili tradizioni, che la conduce in una landa desolata, dove i suoi abitanti, divenuti anonima folla, rimpingueranno le tasche dei cambiavalute e dei mercanti, come nell’antico tempio di Gerusalemme, a riprova di un’umanità senza memoria, che nulla sa imparare dal passato e che non sa discernere il sacro dal profano. Nel nome di questa ostentata e scurrile opulenza, si fa scempio della solidarietà e del rispetto della dignità umana, costringendo le persone a estenuanti turni di lavoro persino nei giorni di festa; nel nome del dio-profitto, questa città è diventata un triste agglomerato di enormi supermercati, sontuose gioiellerie ed elegantissime banche: e noi degli utili idioti al servizio degli interessi altrui. Modica – ma in questo caso il problema riguarda l’intero Occidente - non ha più cultura, perché le nuove generazioni s’illudono di possederla cliccando un tasto sul computer, quest’idolo del nuovo millennio che offusca la mente e inaridisce il cuore. Quanto è triste il constatare che il ticchettìo dei tasti sta soffocando il piacevole e ineffabile rumore dello sfogliare lentamente le pagine di un libro. Lo studio accurato, metodico e profondo - grazie al quale possiamo oggi vantarci di quei nostri concittadini, dal Campailla all’Ottaviano, che hanno dato lustro alla nostra Modica, e senza il quale non può sorgere l’edificio della Cultura e del Sapere – lo vediamo mestamente soccombere e andare alla deriva, smarrito fra i diabolici simboli dell’informatica; umiliato da intellettuali indegni, perché sacrificano la loro libertà sull’altare del potere economico o ideologico; calpestato da ignoranti che si credono sapienti e da coloro la cui insipienza è direttamente proporzionale alla loro certezza che la cultura s’invera nell’allestire dibattiti e tavole rotonde.  Noi non dobbiamo permettere che il grande contributo che Modica ha dato all’Occidente, nelle Lettere, nella Filosofia, nella Medicina e nell’Arte, venga oggi disperso e dilapidato, da una classe dirigente che non vuole e non può perpetuare la grande tradizione culturale della nostra città, che sta correndo il rischio di essere ricordata, in un prossimo futuro, come la città del cioccolato e di una inventata e scadente giostra medievale. Ma il più grande inganno è quello di credere che quanto finora detto sia la causa del degrado in cui viviamo, mentre ne è l’effetto. Tutti i mali che affliggono Modica – e più in generale la cosiddetta “civiltà occidentale” – sono figli di un gigantesco imbroglio che da tanti, troppi anni viene perpetrato sulla nostra pelle, con una capillare e perversa pianificazione. Un’ambigua consorteria, al servizio di obsolete  ideologie e di smisurati interessi economici, è riuscita a forgiare a proprio piacimento le menti e i sentimenti di intere Nazioni, devastando il loro presente e compromettendone il futuro. Ha convinto gli uomini che l’Onore, la Lealtà, la Coerenza, la Dignità, l’Altruismo e la Spiritualità sono soltanto un inutile reperto del passato: ma rinnegando questo, non è possibile costruire il futuro. Ha organizzato il trionfo della tecnica, dell’economismo e del pragmatismo, rendendoci, così, delle pedine, da muovere a piacimento sullo scacchiere dei loro progetti e dei loro oscuri interessi. Noi possiamo analizzare la crisi che vive la nostra città, possiamo scriverne e parlarne, ma sarà difficile poterla superare finché non capiremo che quei valori, che ci hanno convinto a considerare desueti, sono quelli che invece hanno forgiato da oltre due millenni l’uomo occidentale. Se non avremo il coraggio di saperli riaffermare, nella famiglia e nella scuola, innanzitutto, non potremo mai avere nella nostra città una politica trasparente e onesta, un’economia della solidarietà e non dell’egoismo, una cultura basata sul Sapere e non sull’improvvisazione. Se vogliamo la rinascita di Modica, dobbiamo curare le cause e non gli effetti della crisi che l’attanaglia.

 

 

 

                                                      IL GRANDE BLUFF

 

Ancora una volta, la cronaca squarcia il velo delle falsità e mette a nudo il grande bluff portato in scena, ormai con cadenza quotidiana, da questa Amministrazione che non è in grado di amministrare nulla, nemmeno se stessa, come dimostrano le ultime vicende legate alle dichiarazioni dell’assessore Portelli e alle dimissioni dell’assessore Scucces. Sono anni che sopportiamo gli stucchevoli autocompiacimenti di questa Amministrazione, per i grandi cambiamenti, in meglio naturalmente, che essa avrebbe prodotto nella nostra città. Non sappiamo se, tra questi, sono inclusi anche la spaventosa voragine nel bilancio comunale e l’avvilente proliferare di coloro che, in consiglio comunale, cambiano casacca con la stessa disinvoltura con cui ci si cambia d’abito.  Cambiare opinione  non è certo un fatto disdicevole, ma una cosa è mutare idea dopo anni di riflessioni e valutazioni, un’altra convertirsi, all’improvviso, ad un’idea diametralmente opposta a quella nella quale si è creduto per un’intera vita. Quando i tempi del cambiamento sono troppo repentini e lo spazio che separa le due idee è pari a 360 gradi, è legittimo il sospetto che il processo di revisione e maturazione non c’entri per niente. Gli artefici di queste giravolte praticano, semplicemente, la poco nobile arte dell’opportunismo. Sono anni che l’Amministrazione al governo cerca di convincere i modicani che essi vivono nel “migliore dei mondi possibili”, quello che Voltaire definirebbe “ il buon paese dell’Eldorado”. Ma, come dicevamo all’inizio, ci pensa la cronaca, a volte drammatica, a smascherare il bluff.  Il primo Dicembre, un pensionato modicano, Giorgio Nigro, è morto a causa di un infarto: la vicenda, naturalmente, ha lasciato nello strazio i parenti;  a noi ha lasciato un grande senso di amarezza e di sdegno il fatto che l’ambulanza sia arrivata quando ormai per il nostro concittadino non c’era più nulla da fare. Non potremo mai sapere, naturalmente, se un suo più tempestivo arrivo gli avrebbe potuto salvare la vita, ma quanto accaduto riapre comunque una ferita mai rimarginata, che è quella relativa alle modalità di intervento del 118. Il nostro concittadino, infatti, è stato colto da malore in via Marco Aurelio, al quartiere Sacro Cuore, ma, giacché l’ambulanza dotata di rianimazione mobile è quella di Modica Alta, è stata questa ad essere stata allertata. Non c’è chi non noti l’aspetto paradossale della vicenda: il poveretto ha avuto il malore mentre era nello stesso quartiere in cui si trova l’Ospedale, ma ha dovuto attendere un mezzo di soccorso proveniente dall’altra parte della città. Con un sentimento di profonda indignazione non possiamo non far rilevare, per l’ennesima volta, la nostra totale disistima  per questa maggioranza, che, distratta dalle estenuanti lotte di potere per la spartizione delle poltrone, non può ovviamente impegnarsi per la risoluzione dei problemi veri e concreti coi quali quotidianamente la città deve fare i conti. Noi non sappiamo, ovviamente, e lo abbiamo già detto, se un tempestivo intervento del 118 avrebbe salvato la vita allo sfortunato pensionato, ma è un fatto gravissimo che la famiglia dovrà vivere con il tormento di un simile dubbio. A noi tocca convivere, invece, con una disastrosa gestione della Sanità. Nonostante il Sindaco – e di questo gli diamo volentieri atto – da tempo conduca una lodevole battaglia per cercare di sanare le gravi disfunzioni che affliggono la sanità iblea, questa continua ad essere gestita, purtroppo, con criteri ragionieristico-imprenditoriali  che risultano inevitabilmente inappropriati quando ci si deve  confrontare con problemi che attengono alla sfera più intima della persona, come quelli del dolore e della sofferenza. Nel ribadire la nostra approvazione dell’operato del Sindaco sulle questioni relative alla Sanità, non possiamo però non stigmatizzare il fatto che egli persevera nel trascurare un problema che mai smetteremo di sottoporre alla sua attenzione: ci riferiamo al traffico sempre più caotico nel quale siamo costretti a vivere per le inadempienze della sua Amministrazione. Se si dovesse accertare, infatti, che il ritardo dell’ambulanza è stato dovuto anche alla disastrosa situazione della viabilità cittadina, la protesta ufficiale che egli intende giustamente fare per quanto accaduto al nostro sfortunato concittadino dovrebbe essere inoltrata anche al suo assessore alla viabilità e ai signori capigruppo di questo inefficiente consiglio comunale, che, a quanto pare, si ostinano a non esprimere un parere sul fantomatico piano del traffico. Per quanto ci riguarda, non riusciamo ancora a comprendere per quale motivo, in una giunta comunale come la nostra, nella quale da sempre, per quanto riguarda le deleghe assessoriali, va in scena il valzer delle poltrone, quella del signor Aprile – certamente l’assessore più inadempiente dell’Amministrazione Torchi – non soltanto non è mai crollata ma nemmeno vacilla. E’ notorio che noi condividiamo assai poco della politica attuata da Torchi, sia nella forma sia nella sostanza, ma non abbiamo difficoltà a riconoscergli, nel contempo, delle discrete capacità amministrative, che purtroppo, a nostro parere, non sono state positivamente sfruttate, in buona parte perché ha dovuto amministrare con la giunta più instabile dell’intera provincia. Sappiamo, naturalmente, che questo viavai di assessori non è stato da lui imposto ma subìto, ma proprio per questo avrebbe già dovuto da tempo dimettersi:  non avendolo fatto, egli legittima il sospetto di aver anteposto la poltrona all’interesse collettivo. La nostra speranza è che la prossima Amministrazione, di qualunque colore sia, ci risparmi un altro grande bluff: i problemi  (che ovviamente non sono soltanto quelli di natura sanitaria) siano essi piccoli o grandi – come quello del quale ci siamo occupati in questo articolo – non vanno mai nascosti sotto una coltre di ostentato e inutile ottimismo, ma vanno affrontati e possibilmente risolti.

 

 

 

                                        GRAZIE SIGNOR SINDACO

 

 Grazie a lei signor Sindaco e alla sua Amministrazione, per aver regalato alla nostra città, in questi cinque anni, un piano regolatore che ne ha impedito la cementificazione selvaggia; per averla resa, pertanto, sempre più vivibile e a misura d’uomo: una città che, grazie alla sua Amministrazione, costituisce oggi, dal punto di vista urbanistico, il fiore all’occhiello dell’intera provincia. Grazie per averla dotata di spazi verdi e soprattutto per aver realizzato, così come promesso in campagna elettorale, un meraviglioso parco sulla collina di Monserrato, che, grazie all’ammirevole solerzia della sua girevole e variopinta giunta, è stata finalmente liberata dalla sporcizia e dal proliferare di dannose e antiestetiche antenne. Grazie per aver realizzato ampi marciapiedi, che oggi consentono a noi modicani di poter passeggiare nella zona nuova della città senza correre il rischio di essere travolti da frettolosi e indisciplinati automobilisti. Grazie a lei signor Sindaco e alla sua efficientissima amministrazione, per aver saputo affrontare, in questi anni, con efficacia e determinazione, la sempre più allarmante situazione del traffico; grazie per l’impegno profuso nel regolamentarlo ed impedire così ai suoi concittadini di essere quotidianamente assaliti da una devastante crisi di nervi. Giacché non ci risulta che lei sorvoli la città in elicottero, ma che, come tutti noi, l’attraversi servendosi di un mezzo a quattro ruote, avrà sicuramente constatato i benefici prodotti dalla sua azione di governo e sarà pertanto lieto ed orgoglioso di aver impedito che il traffico veicolare trasformasse la sua città in una bolgia. Grazie, per la lungimiranza e per l’attenzione dimostrata verso tutti noi, nell’aver assunto la decisione di migliorare ulteriormente la circolazione stradale scegliendo proprio il periodo natalizio per far bucare le principali arterie del quartiere più popoloso della città. Grazie a lei signor Sindaco e al suo Assessore alla viabilità, per aver fatto sì che i cittadini di questa città abbiano potuto mantenere – anche negli anni del vostro governo – l’educazione e la disciplina che li hanno sempre caratterizzati. Avendo impedito che il traffico trasformasse Modica in un inferno, a voi va riconosciuto un merito che resterà indelebile nella storia della città: grazie a voi, infatti, i modicani sono rimasti educati e disciplinati, come lo erano cinque anni fa; non disturbano la quiete pubblica suonando a più non posso i clacson delle loro autovetture, non si scambiano  occhiate minacciose e soprattutto rispettano la segnaletica e il codice stradale con encomiabile diligenza. Siamo sinceri: avendo lei sostenuto, nel suo programma elettorale, di voler cambiare questa città e avendo più volte affermato, durante il suo governo, di averla cambiata in meglio, avevamo il timore che ciò potesse determinare un mutamento anche nei suoi concittadini; per fortuna ciò non è avvenuto, e, come cinque anni fa – sicuramente anche lei lo avrà constatato – la loro educazione civica è rimasta immutata se non addirittura migliorata. Riteniamo giusto, inoltre, ringraziare lei e la sua Amministrazione per aver salvaguardato le aree del nostro territorio sottoposte a vincoli ambientali e paesaggistici, impedendo pertanto che si tentasse di distruggerle costruendo kartòdromi e di inquinarle con  impianti nocivi. E come non ricordare, poi, il regalo più bello e più funzionale che la sua Amministrazione ha voluto elargire alla città: ci riferiamo, ovviamente, alla magnifica fontana dello “Stretto”; orgoglio di noi tutti, autentico monumento all’eleganza, la cui sontuosa architettura ha oscurato i meravigliosi palazzi e le splendide chiese della città. Grazie per aver indirizzato la sua azione di governo al potenziamento dell’artigianato, dell’agricoltura e dell’allevamento, per aver speso tutte le sue energie per promuovere lo sviluppo della sua città tramite l’ammodernamento della sua tradizionale economia; grazie per non averla snaturata, questa città, per non aver consentito che venisse integralmente trasformata, e per aver impedito, dunque, che il sano spirito imprenditoriale che per secoli l’ha caratterizzata fosse soffocato dalla logica del profitto ad ogni costo; grazie, per aver lottato affinché Modica non diventasse un anonimo e immenso mercato, dove non c’è posto per la solidarietà e dove la logica degli affari distrugge i sentimenti e inquina persino le relazioni umane. Grazie, signor Sindaco, per l’oculata gestione del bilancio. Grazie, a lei e alla sua giunta,  per non aver sprecato il pubblico denaro in eventi inutili – feste, sagre e false giostre medievali -ma utilissimi per intercettare voti nelle competizioni elettorali, consentendo così ai dipendenti comunali di percepire il loro salario non soltanto in maniera costante ma soprattutto con lodevole puntualità. Grazie ancora, a lei e ai suoi assessori, per l’ammirevole attenzione dimostrata nei confronti degli studenti modicani. Grazie per i vostri incontri e per la vostra testimonianza, perché ha offerto a noi docenti l’occasione per offrire ai nostri ragazzi un esempio concreto della politica dell’efficienza e del buongoverno. Non possiamo non esprimere, in questa occasione, una lode particolare al Consiglio Comunale della nostra città, perché, in questi cinque anni, gli alunni modicani hanno potuto vedere concretizzati, nel civico consesso, alcuni tra i valori che cerchiamo loro di trasmettere in modo forte e risoluto: la coerenza, la lealtà e il disinteresse. Grazie, da parte di tutti i ragazzi della sua città, per aver realizzato, come promesso, un impianto sportivo in ogni quartiere di Modica, e grazie, soprattutto, dagli abitanti di Treppiedi nord, per non essere stati dimenticati e per aver visto risolti, grazie all’efficienza e alla sensibilità della sua Amministrazione, tutti i gravi problemi che rendevano quel quartiere una vera disgrazia per chi aveva avuto la sventura di viverci e un’autentica vergogna per coloro i quali avrebbero dovuto provvedere a risanarlo. Ma, per fortuna, adesso tutto è stato risolto e la sua giunta lo ha trasformato in un vero e proprio paradiso terrestre. Grazie, infine, per la sua ricandidatura; è vero che, grazie alla sua azione di governo, Modica ha raggiunto probabilmente, per quanto riguarda la qualità della vita, livelli altissimi, ma certo qualche problema, seppur insignificante, ancora sussiste: sapere che quasi certamente lei sarà, per altri cinque anni, alla guida della città, ci riempie di speranza, perché siamo certi che anche quel problema di poco conto sarà eliminato. Grazie, per l’ottimismo che la sua ricandidatura ha fatto germogliare in tutti i suoi concittadini, anche in quelli che erano affetti da un tenace e inveterato pessimismo.

 

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