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2010

 

Gennaio 2010

- Il lungo cammino del movimento socialista nella Sicilia sud orientale (Dialogo, gennaio 2010)

- Fotografare un’epoca attraverso il pianeta moda (Insieme, 17/01/2010)

- Umberto Migliorisi e “L’America di mio padre” (Insieme, 17/01/2010)

- Svolta decisiva nella lotta alla povertà (Insieme, 31/01/2010)

 

Febbraio 2010

- La civiltà rupestre negli iblei (Dialogo, febbraio 2010)

- Alla riscoperta dell’arte dei maestri copisti (Insieme, 14/02/2010)

- Il Piano Oncologico del Ministero della Salute (Insieme, 28/02/2010)

 

Marzo 2010

- “Archivio di Stato di Ragusa e Sezione di Modica” - Pubblicato un opuscolo divulgativo nell’ambito della collana “Archivi Italiani” (Dialogo, marzo 2010)

- Influenza, l’allarme è ormai rientrato (Insieme, 14/03/2010)

 

Aprile 2010

- “Passeggiando nei ricordi” (Dialogo, aprile 2010)

- Riannodando con il cuore il filo della memoria (Insieme, 18/04/2010)

- Una miniera di dolore (Insieme, 30/04/2010)

 

Maggio 2010

- La moda attraverso le cartoline (Dialogo, maggio 2010)

- Etichetta Ue ai prodotti biologici (Insieme, 16/05/2010)

- Cave iblee tra storia e leggende (Insieme, 30/05/2010)

 

Giugno 2010

- L’Islam e la Sicilia (Dialogo, giugno 2010)

- Ecco come riorganizzare l’altruismo (Insieme, 20/06/2010)

 

 

Ottobre 2010

- Diabolik, Tex, Topolino e i Florio si sono incontrati al Castello di Donnafugata (Dialogo, ottobre 2010);

- L’arte e i colori di Cilia al castello di Donnafugata (Insieme, 10/10/2010);

- I dieci anni del Museo del Fumetto (Insieme, 10/10/2010);

- Colori e paesaggi svelano l'animo di Salvatore Chessari (Insieme, 31/10/2010)

 

Novembre 2010

- “Domenica di carta”. L'Archivio di Stato di Ragusa si racconta attraverso l'esposizione di documenti (Dialogo, novembre 2010);

- Farmaci, in arrivo qualità e sicurezza (Insieme, 14/11/2010);

- Pronto soccorso e 118 da migliorare (Insieme, 28/11/2010)

 

 Dicembre 2010

- Regole e usanze funebri nei secoli scorsi (Dialogo, dicembre 2010);

- Il made in Cina è davvero sicuro? (Insieme, 19/12/2010);

 

 

 

 

GENNAIO 2010

 

 

Presentato libro di Giuseppe Miccichè

Il lungo cammino del movimento socialista nella Sicilia sud orientale

 

 

   “Questo libro di Giuseppe Miccichè, che il Centro Studi Feliciano Rossitto ha l’onore di pubblicare, rappresenta un fatto politico e culturale di notevole rilevanza perché esso ricostruisce le complesse vicende del movimento socialista della Sicilia sud orientale, dalle origini ai nostri giorni in stretta connessione con quelle dell’isola e del Paese”. E’ questo l’incipit con cui Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi) ha iniziato la relazione introduttiva alla presentazione del recente saggio storico del professore Giuseppe Miccichè, “Un lungo cammino. Il movimento socialista nella Sicilia sud-orientale” (Ragusa 2009, pp. 500), tenutasi presso la sala Avis di Ragusa.

   Una serata dedicata alla disamina analitica del “passato” ibleo, che ha consentito al numerosissimo pubblico presente in sala di essere accompagnato, quasi per mano, nel viaggio “tra le pieghe della storia delle città e dei paesi dell’area sud-orientale” dell’isola.

   Miccichè, già docente di Italiano e Storia nelle Scuole secondarie, co-fondatore nel 1981 del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa (ricoprendo la carica di Presidente fino al 2002), ha al suo attivo non pochi saggi che hanno sviscerato, in maniera esaustiva, variegate tematiche riguardanti la storia politica e sociale siciliana tra ‘800 e ‘900 (tra cui “Dopoguerra e fascismo in Sicilia 1919-1927”, Roma 1976; “I Fasci dei lavoratori nella Sicilia sud-orientale”, Catania 1981; “La Sicilia tra fascismo e democrazia”, Ragusa 1987; “Il Movimento Cattolico nella Sicilia sud-orientale”, Ragusa 1994; “Uomini illustri della provincia iblea - secoli XIX-XX”, Ragusa 2001; “Santa Croce Camerina nei secoli”, Ragusa 2003; “Stampa e lotta politica dal 1901 al 1922”, Ragusa 2008).

   “Si tratta di un volume che, tenendo conto di una vastissima documentazione a supporto - ha spiegato Giambattista Veninata (Vice Presidente del Centro Studi), analizzando il lavoro di Miccichè – rileva i momenti di un cammino plurisecolare nel corso del quale consistenti strati sociali, attraverso lotte e sacrifici, sono riusciti a portarsi verso condizioni di vita più umane e più giuste contribuendo ad una trasformazione in senso democratico della società”. L’area territoriale presa in esame dall’autore è quella della vecchia provincia di Siracusa, dimezzata a seguito della creazione della provincia di Ragusa (1927). L’opera, costellata da una ricca bibliografia, rigorosa e puntuale nella sua analisi storica, offre un quadro inedito della vicende che hanno contraddistinto il movimento socialista, in territorio ibleo, strettamente connesso con quelle delle “forze politiche liberali, repubblicane, di democrazia radicale, laica, e delle forze cattoliche”. “Una vicenda politica che – come ha sottolineato Chessari nella prefazione al libro – si scontra con la repressione, prima dell’autoritarismo crispino e poi, a partire dal primo dopoguerra, con lo squadrismo delle organizzazioni paramilitari della borghesia agraria connesse con quello promosso dalle associazioni degli ex combattenti e del nascente fascismo”. Una ricostruzione, dunque, dell’azione “politica e sociale sviluppata dalle diverse correnti del movimento socialista” che vuole essere anche una disamina oggettiva degli errori che si sono registrati e che l’autore passa in rassegna analizzando, con l’occhio vigile dello storico, il “contributo che ciascuna tendenza e i singoli protagonisti hanno dato alla lotta per la emancipazione dei lavoratori senza omettere di indicare l’apporto dei più illustri come dei più umili”. Su tale versante si è articolata la relazione del professore Giuseppe Barone (Ordinario di Storia Contemporanea e Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania), a cui è stata affidata la presentazione del libro.

   A conclusione della serata si sono registrati non pochi interventi che hanno dato vita ad un interessante e vivace dibattito da parte di numerose persone del pubblico che hanno esternato manifestazioni di apprezzamento per il volume di Miccichè, il quale, non senza viva emozione, ha ringraziato gli intervenuti preannunciando la stesura di un ulteriore saggio storico.

 

 

 

Nell’agenda 2010 degli Archivi di Stato inseriti 13 documenti

che provengono dalla nostra provincia

Fotografare un’epoca attraverso il pianeta moda

 

Anche quest’anno la Direzione Generale per gli Archivi ha voluto dedicare un particolare tema per la pubblicazione dell’agenda degli Archivi di Stato 2010. Il comparto scelto è quello della moda non solo per sollecitare l’attenzione degli operatori del settore, delle autorità e dell’opinione pubblica ma anche per diffondere, valorizzare e rendere fruibili documenti, stampe, riviste che altrimenti rischierebbero di cadere nell’oblio. Gli spunti offerti dalle fonti archivistiche sono variegati e, nel contempo, interessanti in quanto attraverso la storia della moda è possibile fotografare un’epoca cogliendone il quadro storico e culturale dell’area geografica a cui è fatto riferimento. Attorno al pianeta moda gravitano molti ambiti che riguardano, ad esempio, gli atelier, le scuole di formazione, gli stilisti, i sarti, le invenzioni, i marchi di fabbrica, le industrie del settore, la nascita e la diffusione di pubblicazioni specialistiche. In buona sostanza attorno alla moda ruota un universo creativo per il quale «garantirne la memoria è un’esigenza di civiltà». E’ sulla base di tali riflessioni che le varie strutture archivistiche sono state sollecitate a contribuire alla pubblicazione dell’agenda inviando materiale documentario alla competente struttura centrale romana.

L’Archivio di Stato di Ragusa, con la Sezione di Modica, occupa un posto di rilievo in quanto ha fatto pubblicare sull’Agenda 2010 ben tredici documenti tratti da diversi fondi archivistici. «Si tratta di fonti anche iconografiche – spiega la direttrice Anna Maria Iozzia – tratte da un’ampia gamma di materiale cartaceo, a volte poco esplorato, proveniente da diverse categorie di soggetti, quali fondazioni private, agenzie e riviste specializzate». Tra le illustrazioni trova posto anche il disegno di un «innovativo strumento di taglio basato sui principi della trigonometria, brevettato a Parigi» negli anni ’50 dell’800. La moda, infatti, non è solo quella delle passerelle, delle luci e dei grandi stilisti, ma rappresenta la fatica di chi disegna «raccoglie, reperisce e produce le materie prime, delle maestranze che lavorano nelle aziende».

 

 

 

 

Umberto Migliorisi e “L’America di mio padre”

 

“Umberto Migliorisi è uno dei cuori storici del centro studi Feliciano Rossitto” rappresentando anche la memoria storica della città di Ragusa in quanto l’universo umano, sociale e letterario in cui si muove è inserito in un intervallo di tempo molto vasto. Inizia così l’articolata relazione curata da Elisa Mandarà (giornalista, docente in materie umanistiche e critico letterario), in occasione della presentazione del recente libro di Umberto Migliorisi, “L’America di mio padre” (Ragusa 2009, pp. 63), tenutasi presso la sala conferenze del centro studi “Feliciano Rossitto” che ha curato anche la pubblicazione in veste editoriale.

Una serata all’insegna della narrativa, come ha sottolineato, nella sua relazione introduttiva, Giorgio Chessari (presidente del centro studi), il quale ha posto in evidenza la necessità di raccogliere i numerosi scritti di Migliorisi nel corso del suo variegato impegno culturale, non ultimo quello di redattore capo per la rivista trimestrale “Pagine dal Sud” (edita dallo stesso Centro). Saccense di nascita, ma ragusano di adozione, Migliorisi intraprende un ricco percorso letterario pubblicando, a partire dalla fine degli anni ’50, vari articoli e numerose poesie sia in lingua italiana sia in dialetto ragusano.

Migliorisi si caratterizza per il “tono schietto dei suoi versi”, molto legati a quel sapore antico, genuino ed onesto della sua terra d’origine, da cui si può trarre un’ironia tagliente verso le ingiustizie sociali. Una caratteristica questa che, come ha evidenziato Nino Cirnigliaro (presidente del centro servizi culturali), durante il suo breve intervento, si riscontra nelle opere di Umberto e che richiama non solo la semplicità, ma anche la saggezza contadina.

“L’America di mio padre” è una raccolta di racconti che oscilla tra “l’autobiografismo e la fantasia” in un arco temporale che va dal 1940 ai primi anni ’50. Si tratta di “nove segmenti narrativi”, di cui cinque si caratterizzano come “immagini di testimonianza reale”, “sequenze narranti” che tratteggiano, come specificato da Elisa Mandarà, gli anni difficili in cui l’autore trascorre la sua giovinezza.

 

 

 

 

L’Unione Europea assume l’impegno di garantire a tutti una vita dignitosa

Svolta decisiva nella lotta alla povertà

 

«Imprimere una svolta decisiva alla lotta contro la povertà». E’ questo l’obiettivo primario che si prefigge quest’anno la Commissione europea designando il 2010 quale «Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale» e cercando di riaffermare e rafforzare l’impegno politico assunto dall’Unione Europea. Ciò rappresenta un’occasione di riflessione per tutti i Paesi membri nella consapevolezza che occorre uno sforzo di lungo periodo che possa coinvolgere tutti gli operatori delle politiche del settore congiuntamente agli attori dell’economia e della società civile.

Il tema dell’anno europeo cade in un momento particolarmente critico per gli aspetti congiunturali internazionali che hanno causato processi di trasformazione sociale anche nella realtà italiana. Alla luce di tali eventi si rende necessaria una lettura aggiornata delle scottanti tematiche riguardanti la povertà ed esclusione non solo con i tradizionali strumenti statistici ma anche con nuovi mezzi informativi che diano, in tempo reale, ragguagli qualitativi sulle trasformazioni in corso.

Ma quali sono gli obiettivi ed i principi guida? Innanzi tutto, riconoscere il diritto fondamentale delle persone in condizioni di povertà e di esclusione sociale di vivere dignitosamente e di far parte a pieno titolo della società. A questo si deve aggiungere lo sforzo per promuovere una società più coesa, «sensibilizzando i cittadini sui vantaggi offerti a tutti da una società senza povertà, che consente l’equità distributiva e nella quale nessuno è emarginato».

L’Anno europeo, dunque, intende promuovere una società che sostenga e sviluppi la qualità della vita, compreso il benessere dei bambini e la parità di opportunità per tutti. Altro obiettivo da perseguire è quello di garantire la coerenza politica dell’azione intrapresa dall’Unione europea su scala mondiale.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

FEBBRAIO 2010

 

 

Al Centro Servizi Culturali di Ragusa interessante conferenza di Giovanni Bellina

La civiltà rupestre negli iblei

 

La Sicilia sud-orientale fornisce, insieme con altre aree italiane (il materano e la Puglia) e del Mediterraneo (la Serbia e la Cappadocia), numerosissimi esempi di un fenomeno noto come “civiltà rupestre”, ovvero l’uso di abitare nelle grotte non solo nelle fasi più antiche della storia dell’uomo, ma anche in periodi storici molto recenti. Ne consegue che il fenomeno della “civiltà rupestre” non può essere collocato in uno spazio fisico o cronologico definito, in quanto l’occupazione delle grotte (naturali o artificiali) ha rappresentato, con frequenza variabile, un fenomeno di lunga durata nel tempo caratterizzando il territorio ibleo. Questi i punti cardine dell’interessante conferenza proposta da Giovanni Bellina (già docente presso l’Istituto Scolastico “P. Vetri” di Ragusa, accanito studioso di orologi solari e Presidente della sezione ragusana di “SiciliAntica”) e recentemente tenutasi presso la sala convegni del Centro Servizi Culturali di Ragusa, suscitando molta curiosità tra il numeroso pubblico intervenuto e le associazioni promotrici dell’iniziativa culturale (Associazione Italiana Maestri Cattolici, Associazione Culturale Docenti “G.B. Hodierna”, Centro italiano femminile, Associazione Pedagogica Italiana).

“Abitazioni rupestri negli iblei” è stato l’argomento trattato ed avente come obiettivo quello di introdurre le variegate tematiche che ruotano attorno a tali insediamenti e che, solo in tempi recenti, risultano molto apprezzati e ricercati anche da un punto di vista turistico.

Alla base della “cultura rupestre” si trovano motivazioni economiche (scavare il tufo era meno costoso e richiedeva conoscenze tecniche meno sofisticate che erigere edifici) e di sicurezza (gli insediamenti rupestri, essendo lontani dai grandi centri abitati, meta preferita delle incursioni nemiche nel corso del medioevo, offrivano più protezione). Le prime tracce di un popolamento di tipo rurale si ritrovano, fin dalla tarda antichità, nell’altopiano ragusano dove emerge la tendenza della popolazione a vivere in strutture realizzate con la tecnica megalitica a secco, retaggio di antiche modalità costruttive classiche, che si ritrova anche nell’entroterra libico e nell’isola di Malta. I singoli nuclei abitativi sono caratterizzati da più vani con ingresso autonomo, cucina e camino in prossimità del vano più esterno, cisterne per raccolta di acqua piovana e vani interni adibiti a dispensa o ad alcova.

In Sicilia, così come appare dalle fonti arabe, i primi veri e propri insediamenti rupestri, detti anche “trogloditi”, sono databili al IX secolo. In questo periodo la realtà troglodita siciliana appare ben strutturata e, facendo un confronto con quanto accade in terra di Cappadocia, in Puglia e in Libia, sembra alquanto difficile riconoscere sul territorio isolano una civiltà rupestre antecedente alla conquista araba. Apparirebbe chiara una contemporaneità tra le prime chiese rupestri pugliesi, medio-orientali e quelle siciliane che sorgono tutte all’inizio del IX secolo, quando il Mediterraneo comincia ad entrare nell’orbita islamica. Tale ipotesi sembra trovare fondamento analizzando le tracce relative alle prime frequentazioni delle grotte. E’ probabile che gli insediamenti rupestri rappresentino l’aspetto più comune della Sicilia islamica e ciò è provato dal frequente ricorso, in epoca normanna, a toponimi arabi per definire l’insediamento stesso. Alcuni studi in proposito porterebbero alla ipotesi che le prime chiese rupestri fossero connesse alla cristianizzazione della Sicilia, grazie all’invasione normanna, e quindi a rileggere, in chiave occidentale, il fenomeno del trogloditismo che, in Sicilia, sembra essere frutto dell’esportazione di una modalità insediativa tipica del meridione peninsulare (materano e Puglia), attraverso l’immigrazione nell’Isola di popolazioni provenienti da queste zone al seguito dei cavalieri normanni.

L’ultimo scorcio del XVII secolo, ovvero all’indomani del tremendo evento tellurico che sconquassa vasti territori della Sicilia sud-orientale, segna la fine del fervore costruttivo nei quartieri trogloditici, sebbene sussistano ancora ampi margini per transazioni di compravendite come testimoniano gli atti notarili rogati in quell’epoca.

 

 

 

 

Una mostra curata da Giovanni Zago ha consentito di apprezzare

alcuni capolavori senza tempo

Alla riscoperta dell’arte dei maestri copisti

 

La visita alla mostra avente per tema “I capolavori dei Maestri copisti”, aperta a Ragusa da dicembre a gennaio, in viale Tenente Lena, ha offerto la possibilità di vedere numerose copie di opere pittoriche di grandi Maestri del passato che in originale sono custodite in musei situati in luoghi molto distanti tra di loro. E non solo. La particolarità sta nel fatto che le opere esposte sono copie professionali di opere di artisti che appartengono a un lungo periodo della storia dell’arte (dal Seicento al Novecento). La mostra, quindi, ha dato non solo la possibilità di notare l’evoluzione degli stili e delle tecniche attraverso il tempo, ma di apprezzare anche capolavori della pittura eseguiti interamente a mano alla maniera dei grandi Maestri. Un’arte certosina, quella dei Maestri copisti, che consente di realizzare copie d’autore di ottima qualità. Straordinario è il risultato che scaturisce dalla fusione tra la materia sulla quale operano i Maestri copisti e la genialità con cui essi esprimono la loro manualità. La tradizione di imparare a dipingere copiando le grandi opere, affidata in passato ai giovani di bottega, si è perpetuata nel tempo divenendo una vera e propria arte, diversa e molto lontana da quella dei falsari, tanto che le copie dichiarate ed eseguite da veri e propri specialisti trovano riconoscimento e dignità artistica autonomi.

E’ questa la scelta estetica che in questi tempi sta conoscendo una popolarità impensabile fino a qualche anno fa. Ciò è quanto ribadisce Giovanni Zago, brillante organizzatore della mostra ed accanito

sostenitore della nuova tendenza artistica. Ricco è il percorso espositivo rappresentato da opere di copisti di Caravaggio, Canaletto, Cézanne, Van Gogh, De Chirico, Fiume, Botero e vari altri autori. «Qui è di scena – spiega Zago - l’arte dei Maestri copisti che ci prende per mano alla riscoperta dei laboratori divenuti anche occasione per rivisitare e riscoprire le nostre tradizioni, la nostra cultura, i nostri valori».

 

 

 

 

 

Il Piano Oncologico del Ministero della Salute

 

E’ stato recentemente presentato, al Ministero della Salute, il Piano Oncologico Nazionale per il triennio 2010-2012 .

L’oncologia, ovvero quel settore della medicina che si occupa dello studio e della cura dei tumori, rappresenta una delle priorità del Ministero. Ciò appare evidente se si considera non solo l’incidenza (sono segnalati oltre 250 mila nuovi caso all’anno) ma anche la prevalenza di tumori in Italia (le proiezioni indicano, per il 2010, una previsione di oltre 2 milioni di casi). I dati risalenti al 2006 hanno fatto registrare, nella popolazione residente, oltre 168 mila decessi per cancro che costituiscono il 30 per cento di tutti i decessi, ovvero la seconda causa di morte. Studi in proposito indicano la seguente distribuzione nazionale: al nord 48 per cento, centro 26 per cento, al sud e isole 16 per cento. Appare, quindi, evidente la necessità di una adeguata programmazione dello sviluppo tecnologico che tenga anche conto delle risorse disponibili. In tal senso il Ministero ha elaborato un piano triennale per cercare di affrontare in maniera appropriata i problemi connessi all’oncologia, dalla prevenzione alle cosiddette cure palliative (ovvero quelle terapie, non necessariamente farmacologiche, che hanno come obiettivo la riduzione della severità dei sintomi della persona malata in fase terminale, tenendo anche conto degli aspetti psicologici, sociali e spirituali di chi soffre). Gli obiettivi più rilevanti consistono da un lato nella possibilità di offrire standard diagnostici e terapeutici sempre più elevati a tutti i cittadini, dall’altro nel contenimento della spesa sanitaria cercando di razionalizzare le risorse. Tale processo non può evidentemente prescindere da un rinnovo tecnologico che andrà discusso e concordato con le Regioni.

Nelle azioni programmatiche 2010-2012 rientrano la creazione di reti telematiche dei Registri Tumori, analisi della incidenza di patologie oncologiche nella popolazione in modo da articolare più piani di interventi, azione di prevenzione e lotta contro fattori patologici negli ambienti di vita e di lavoro, il miglioramento delle tecnologie diagnostiche in relazione alla applicazione di radioterapia e chemioterapia.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MARZO 2010

 

 

“Archivio di Stato di Ragusa e Sezione di Modica”

Pubblicato un opuscolo divulgativo nell’ambito della collana “Archivi Italiani”

 

   “…Quando all’improvviso s’intese, che il Generale Giuseppe Garibaldi, generoso propugnatore dell’italiana emancipazione, era venuto ad aiutare col suo potente braccio ad infelici, che combattevano a forze ineguali… risoluti di morire prima di cedere e ricadere sotto l’aborrita tirannide… a tal nome… caro a tutti i cuori caldi di amor patrio, Modica invasa da giubilo, ma pacata, rispettando ogni persona ed ogni proprietà… innalzò la prima nel Regno, dopo la Capitale, la tricolore Bandiera…” (Messaggio del Comitato di Modica al generale Garibaldi, datato 30 maggio 1860; Arch. di Stato Ragusa, Sezione di Modica, “Archivio De Leva”, b. 5/5).

 

   Questo documento è uno dei tanti che, per la loro rilevanza, sono stati recentemente pubblicati sull’opuscolo divulgativo realizzato a cura dell’Archivio di Stato di Ragusa (redatto grazie all’impegno profuso dalla direttrice, dott.ssa Iozzia, e dai suoi collaboratori), nell’ambito della collana “Archivi Italiani” edita dalla Direzione Generale per gli Archivi e dalla “BetaGamma” editrice di Viterbo. Tale collana, avviata nel 2001 su iniziativa della struttura centrale archivistica, ha il compito di promuovere, tramite agili volumetti, la conoscenza del patrimonio documentario nazionale custodito presso le strutture archivistiche periferiche, fornendo, nel contempo, notizie sulle sedi degli istituti ospitati, non di rado, in edifici di interesse artistico.

   L’opuscolo, “Archivio di Stato di Ragusa e Sezione di Modica” (pp. 72), il ventiduesimo in ordine di stampa, rappresenta una preziosa guida non solo per conoscere le vicende storiche che hanno contribuito alla istituzione delle due importanti strutture archivistiche iblee ma anche per illustrare il variegato panorama del prezioso e vetusto carteggio, frequente meta di consultazione per numerosissimi studiosi. Uno dei fondi più consistenti, costituito da circa tredicimila unità archivistiche riguardanti tutti i comuni della provincia di Ragusa, conservato presso i locali della Sezione di Modica, è quello notarile che, abbracciando un arco temporale molto ampio (dal XV al XIX secolo), rappresenta una inesauribile fonte da cui emergono aspetti del vissuto quotidiano facendo luce sulla storia sociale, economica, urbanistica, artistica, politica e religiosa del territorio. Dai volumi notarili emergono anche testimonianze di un’arte minore: quella delle stampe devote. “Si tratta della cosiddetta iconografia devozionale – spiega la direttrice Anna Maria Iozzia – che, al di là del dato visivo immediato, rappresenta il vezzo dei notai di un tempo di decorare la copertina dei volumi di minute e dei registri con l’inserimento, quasi sempre all’inizio e alla fine degli anni di rogazione, di immagini religiose sia anonime sia di autori affermati”.

   L’opuscolo, pertanto, rappresenta un’ottima guida introduttiva per conoscere – in maniera sintetica ma scrupolosamente puntuale - l’immenso patrimonio documentario presente presso l’Archivio di Stato di Ragusa e di Modica, quali ad esempio i fondi giudiziari e quelli della “Gran corte” di Modica (1543 – 1845) attraverso cui era amministrata la più alta giustizia civile e criminale. Non meno importanti i fondi rivenienti dagli archivi di non poche illustri famiglie dell’antica Contea (il più grande stato feudale della Sicilia) acquisiti, nel tempo, dalla struttura archivistica iblea, tra cui l’archivio Bruno di Belmonte (1736 – 1976), Pluchinotta (1623 – 1914), Sortino-Trono e Arezzo di Trifiletti (1565 – 1928), Statella (1315 – 1943), Tedeschi (1800 – 1956, con documenti in copia dal secolo XVII), De Leva (1542 – 1935), Grimaldi (1521 – 1882). Quest’ultimo, insieme alla biblioteca della famiglia, è stato depositato in due riprese (1958 e 1960) presso la struttura archivistica modicana. Tra le carte di carattere familiare si colgono non solo le vicende umane di Agostino Grimaldi, cavaliere gerosolimitano, caduto nella battaglia di Candia (1660) all’età di 21 anni, ma anche dati sulle note spese che forniscono notizie circa la preparazione del cioccolato modicano (secondo un’antica ricetta atzeca introdotta in Europa nel XVI secolo) che prevede, tra l’altro, l’uso di uno strumento in pietra ricurva, il “metate” (in dialetto “balati”), per lavorare la pasta di cioccolato.

   La parte finale dell’opuscolo è dedicata alle molteplici attività promozionali volte ad una “politica di apertura verso l’esterno” da parte dell’Archivio di Stato ibleo che, attraverso non pochi eventi culturali, ha contribuito a far conoscere meglio, ad un pubblico sempre più numeroso, le finalità dell’Istituto stesso nonché le potenzialità di ricerca insite nella documentazione in esso conservata.

 

 

 

 

La fase più critica si è registrata nello scorso mese di novembre

Influenza, l’allarme è ormai superato

 

A partire da metà aprile dello scorso anno, in diversi Paesi sono stati riportati casi di infezione nell’uomo da nuovo virus influenzale di tipo A/H1N1 (noto come “influenza suina”). Sulla base delle procedure stabilite dal Regolamento sanitario internazionale, il 25 aprile 2009 l’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato questo evento una “emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale”, innalzando la soglia di allerta. Nei mesi successivi l’impatto mediatico circa la diffusione di notizie sulla aumentata e prolungata trasmissione del virus nella popolazione, in numerose parti del mondo, ha provocato non pochi allarmismi. Da qualche settimana, però, non pochi infettivologi concordano nel notare il declino dell’attività epidemica della nuova influenza. In considerazione di ciò ed avuto riguardo alla conseguente diminuzione delle richieste di informazione dei cittadini su tale patologia il Ministero della Salute ha diramato la notizia della sospensione del servizio di informazione al pubblico “1500”, fermo restando i compiti informativi già a carico dei medici di famiglia, dei pediatri e della competente Azienda Sanitaria Locale. L’attività di monitoraggio del Ministero resta comunque operativa attraverso il sistema dedicato di sorveglianza dell’influenza che si avvale dell’apporto dei cosiddetti “medici sentinella”, i quali, distribuiti su tutto il territorio nazionale, raccolgono e forniscono dati sulla diffusione del virus mediante una rete di laboratori facenti capo al Laboratorio Nazionale di Riferimento presso l’Istituto Superiore di Sanità. I dati da questi elaborati e riguardanti il periodo che va dal 15 al 21 febbraio indicano una curva epidemica influenzale pressoché stabile (circa due casi per mille assistiti), dopo aver raggiunto il picco intorno alla seconda decade di novembre scorso con un valore di incidenza pari a poco meno di tredici casi per mille assistiti.

Le previsioni circa la presenza di due epidemie influenzali sovrapposte, la nuova (quella “suina”) e quella stagionale che rappresenta ormai una costante annuale, sembrerebbero attenuate dai dati statistici che aprirebbero scenari invernali senza la presenza di virus influenzale. Resta comunque ipotizzabile che, a parere di medici ricercatori, la nuova influenza non scomparirà del tutto ricorrendo la probabilità di un suo ritorno nel corso della prossima stagione autunnale.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

APRILE 2010

 

 

“Passeggiando nei ricordi”

Il palazzolese Vincenzo Giompaolo si affaccia alla narrativa

 

“Se di sera si guarda la vecchia Ragusa, da una giusta distanza, sembra che il cielo stellato sia a portata di mano. Le tante piccole luci, tra le vetuste tortuose stradine, appaiono come scintille di fuoco simili a stelle cadenti”. Inizia così il percorso narrativo dell’ultimo libro dato alle stampe da Vincenzo Giompaolo, “Passeggiando nei ricordi” (Edizioni Grafiche Santocono, Rosolini 2009, pp. 128). Il filo conduttore è rappresentato dai ricordi che sono attimi scritti nel cuore di ciascuno e vissuti intensamente con il respiro dell’anima. Scaglie del vissuto, nel grande mosaico della vita, che Giompaolo ha voluto donare ai suoi lettori catapultandoli in un passato dal sapore genuino ed ormai sopraffatto dai freddi rumori dell’odierna giungla urbana.

Palazzolese di nascita, ma ragusano di adozione, Vincenzo Giompaolo fin da giovane ha condotto ricerche sul versante etnografico, approfondendo i suoi studi sulle tradizioni popolari attraverso la raccolta di un cospicuo materiale magnetofonico. Da oltre sei lustri è impegnato a percorrere l’Isola, dall’Appennino siculo ai Monti iblei, con la sua inseparabile macchina fotografica per immortalare con un click i riti festivi analizzandoli nella loro essenza socio-antropologica e pubblicando non pochi volumi (“Feste del Popolo Siciliano”, 2 voll., 1995 – 1998; “Una Festa sui Prati”, 1996; “Natale in Sicilia”, in CD-Rom, 2004; “San Giuseppe in Sicilia”, 2006; “Ragusa Festosa”, 2008).

“Passeggiando nei ricordi”, che segna il momento in cui Giompaolo si affaccia alla narrativa, regala al lettore un godibile testo attraverso un viaggio verso i ricordi giovanili, pensieri, riflessioni avvolti nel fascino delle due città che lo hanno accompagnato nel suo cammino: Palazzolo Acreide e Ragusa. “Il titolo del libro richiama la funzione della memoria ed è attraverso il ricordare che Giompaolo invita il lettore a partecipare ad un’esperienza coinvolgente”, quella cioè di un diario in cui vengono raccontate e rivissute le tradizioni di una collettività mediante “il filo di una storia legata alla quotidianità”. E’ questo, in estrema sintesi, quanto ha commentato il professore Federico Guastella (scrittore e poeta, già docente di Scienze umane e Storia nelle scuole del capoluogo ibleo) nel corso della sua articolata ed interessante relazione in occasione della presentazione del libro, recentemente tenutasi presso la sala Avis del capoluogo ibleo. L’iniziativa, promossa dal Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa, in sinergica cooperazione con il Centro Servizi Culturali e Club Unesco, ha visto un’intensa partecipazione del pubblico che ha rivissuto momenti autentici della spontaneità di un tempo quando “la vita ci appariva come una fata”. Con quest’ultimo libro l’autore ha voluto proporre un “racconto struggente di anni vissuti di piccole cose cariche di umanità”, come ha evidenziato la sig.ra Rina Giglio Diquattro (presidente del Club Unesco) nel corso del suo intervento introduttivo accompagnato da quello di Giorgio Chessari (presidente del Centro Studi) e di Nino Cirnigliaro (presidente del Centro Servizi Culturali).

Risuonano ancora, nella mente e nel cuore di Giompaolo, lo “scalpitio di zoccoli, suono di sonagli e tintinnio di ruote” di quel “lungo variegato drappo umano” rappresentato dai contadini che, ancor prima dell’alba, si incamminavano “con le zappe sulle spalle o sui carretti” per andare a lavorare. “Ogni ricordo è una lacrima – scrive Giompaolo - ogni emozione rivissuta un nodo alla gola, ogni sentimento… una struggente nostalgia…”. Nostalgia non solo dei tempi andati ma anche dei propri cari, visti attraverso gli occhi dell’infanzia: dal nonno paterno, alto e robusto come “un pezzo di corteccia di albero antico”, a cui si rivolgeva con un rispettoso “sebbenerica, nannu!” (beneditemi nonno!) per sentirsi ritualmente rispondere “nautru tantu, figghiu miu!” (altrettanto figlio mio!), allo zio Valerio, caratterizzato dagli occhi quasi sempre sporgenti dalle orbite e dal viso paonazzo a causa di una forte tosse provocata dall’asma, a cui avevano prescritto di fumare delle sigarette a base di stramonio (antiasmatico) emananti un odore pungente simile “ad una miscela di sandalo e incenso”. Un universo di ricordi, dunque, buona parte dei quali vissuti all’ombra della “casa natia vicina alla chiesa che venera l’arcangelo santo con spada, corazza e bilancia”.

A coronamento della serata, l’attore Giorgio Sparacino ha letto alcuni brani del libro.

 

 

 

 

Il professore Salvatore Dipasquale ricostruisce la storia di Ragusa

Riannodando con il cuore il filo della memoria

 

«Si tratta di una testimonianza attenta e critica che viaggia sul filo della memoria, che è una grande ricchezza… facciamo memoria per costruire un mondo migliore». E’ con questa saliente riflessione che mons. Paolo Urso, Vescovo della Diocesi di Ragusa, ha iniziato il suo breve ma incisivo intervento a coronamento della serata culturale, tenutasi alla sala Avis di Ragusa, che ha visto come protagonista il professore Salvatore Dipasquale sul tema «Sul filo della memoria: dagli anni della seconda guerra mondiale a oggi». Si tratta della prima serata, promossa ed organizzata dal centro studi Feliciano Rossitto, inserita nell’ambito di un ciclo di conferenze e testimonianze sulla storia di Ragusa. Un percorso mediato dalla memoria, una testimonianza fatta col cuore in mano, in maniera critica ma pacata, quella dell’uomo Salvatore Dipasquale. Una storia vissuta intensamente, vista attraverso gli occhi giovanili di un ragusano, fatta, non di rado, da ristrettezze e sacrifici, ma con tanta forza di andare avanti. Un excursus a cavallo dei decenni, attraverso il periodo del Regime, della seconda guerra mondiale e, successivamente, di quello post-bellico. Ricordi, storia e poesia riaffiorano dirompenti dalla viva voce del professore Dipasquale. E’ tangibile il ricordo di una Ragusa priva di automobili; quella in cui la colazione con il latte e caffè costituisce un lusso per il ceto medio che considera una grazia l’avere un pezzo di pane fatto in casa, impastato con il sudore del lavoro, condito con il sale d’una frugale onestà e mangiato con tanto appetito.

«Il tema trattato dal professore Dipasquale – ha spiegato Giorgio Chessari (presidente del centro studi) che ha introdotto la serata congiuntamente a Giambattista Veninata (direttore del trimestrale Pagine dal Sud) – avrà modo di coinvolgere sia le persone di una certa età sia i giovani avuto riguardo al fatto che l’oratore non è soltanto una figura di rilievo nel mondo della scuola, ma anche perché in più occasioni è stato testimone attivo della vita politica iblea».

 

 

 

 

 

La tragedia del 1956 a Marcinelle e l’emigrazione in Belgio

Una miniera di dolore

“Il lavoro sia sempre rispettato e protetto”

 

Una, due, tre… centotrentasei. E’ questo il triste bilancio relativo alle vittime italiane drammaticamente protagoniste della tragedia che l’otto agosto 1956 colpisce la comunità di Marcinelle, in Belgio. Un incendio, divampato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile, causa la morte di duecentosessantadue minatori di diverse nazionalità. La tragedia di Marcinelle è una geografia della disperazione italiana. Tra le tante vittime (emigranti, padri di famiglia in cerca di pane e lavoro) non sono poche quelle provenienti dalla Sicilia. Anime innocenti che rimangono senza via di scampo, soffocate dall’ossido di carbonio e braccate dalle fiamme, in quella miniera dal cuore amaro. Le operazioni di salvataggio continuano fino al 23 agosto, quando viene diramato l’annuncio, in italiano: “Tutti cadaveri”. Corpi esanimi sono recuperati, dopo quindici giorni, da gallerie profonde oltre mille metri. E’ con queste sobrie ma intense argomentazioni che Giorgio Chessari (presidente del centro studi Feliciano Rossitto), all’incontro culturale tenutosi al Centro Servizi Culturali di Ragusa, promosso in sinergia con le associazioni Moica e Mosac, ha iniziato la sua relazione presentando e commentando il recente volume del ragusano Michele Carpenzano, «Diario di un emigrante ragusano in Belgio», prendendo spunto dalla tragedia di Marcinelle. Una vicenda umana dove angosce, fatiche e aspettative, vissute nelle gallerie della miniera di Charleroi (a pochi chilometri da quella tragicamente nota di Marcinelle), si intrecciano in un vissuto emotivo che accomuna il cuore di tutti gli emigranti. Carpenzano, tracciando il suo percorso di vita, fornisce, attraverso il suo libro, una radiografia delle condizioni di vita della popolazione italiana, nel primo dopoguerra, invogliata verso quel cammino di speranza rappresentato dalle miniere di carbone del Belgio. Ma il sogno di costruirsi una vita migliore, per molti, resta tale. Pane e lavoro. Il pane è sofferto e le condizioni di sicurezza in cui lavorano i minatori sono molto precarie e fatiscenti. «Un passato lontano ma sempre vivido che – spiega Chessari – porta con sé un monito a vegliare affinché il lavoro di tutti venga sempre ed in ogni luogo rispettato e protetto».

 

Giuseppe Nativo

 

 

MAGGIO 2010

 

 

“La Belle Epoque” al Museo del Costume di Scicli

La moda attraverso le cartoline

 

“…purtroppo i giorni passano e non ti vedo giungere, ma non ho perduto completamente la speranza sai! I più affettuosi saluti e baci ti invia la tua Mariuccia”. Inizia così, nel viaggio attraverso il tempo, in un percorso espositivo che lancia il visitatore in un periodo che va dagli ultimi decenni dell’800 fino ai primi decenni del nuovo secolo, la prima sezione dedicata alle cartoline esposte presso il Museo del Costume e della Cucina di Scicli (Rg) gestito, dall’associazione culturale “L’Isola” che, nata nel 1998, ha lo scopo di promuovere l’approfondimento e lo studio delle tradizioni popolari del territorio ibleo e, più in generale, della Sicilia.

La struttura museale, incastonata nello splendido mosaico barocco rappresentato da chiese, ex conventi e dimore nobiliari testimoni silenziosi di antica memoria, tra l’altero colle di San Matteo e le spumeggianti acque di un mediterraneo dal sapore saraceno, si trova ubicata sulle lucenti basole di via F. Mormina Penna salotto sciclitano a cielo aperto. Il Museo espone materiale raccolto nel corso degli anni attraverso attente ed estese ricerche etnografiche, di documentazione d’archivio, fotografica e registrazioni video e sonore, condotte nel territorio da oltre un ventennio e curate con estrema passione da Giovanni Portelli, presidente dell’associazione “L’Isola”, coadiuvato da non pochi collaboratori. “Fondamentale è stato l’apporto di conoscenti, appassionati e studiosi che hanno partecipato – spiega Portelli – e collaborato alla ricerca dando quelle preziose informazioni che oggi fanno parte del ricco patrimonio culturale di cui il Museo dispone e che contribuiscono a formare, a pieno titolo, l’identità del territorio”. Ed è proprio su tali istanze che la recente esposizione, tenutasi dal 27 marzo al 2 maggio, avente per tema “La Belle Epoque” (la moda attraverso le cartoline della collezione Allibrio-Russino), si è posta all’attenzione del grande pubblico.

La prima sezione museale, che ha dato il titolo alla recente mostra, è dedicata a cartoline, ben conservate, risalenti ai primi anni del ‘900, provenienti dalla collezione privata Allibrio-Russino, che rappresentano la corrispondenza intrattenuta in quegli anni tra due innamorati vissuti tra Scicli e Trieste. “Si tratta di un carteggio particolarmente interessante – specifica Portelli – non solo da un punto di vista grafico delle stampe, affidate in genere alla mano e all’estro di valenti artisti, ma anche da quello stilistico in quanto riflettono il gusto e la moda di un’epoca, la Belle Epoque, che ha caratterizzato la tendenza artistica ed espressiva raggiunta nel primo decennio del ‘900”. Le cartoline, strumenti di comunicazione ormai superate dalle moderne tecnologie, mantengono ancora intatto il loro fascino, sebbene alcune presentino immagini sfumate per l’ingiuria del tempo e spesso sovrascritte da una grafia incerta ma carica di aspettative, di speranze e di forti emozioni a cui il visitatore non può sottrarsi. “La cartolina – aggiunge Portelli - è uno dei fenomeni visivi e mediatici più importanti dell’800 e del ‘900. Essa ha veicolato le immagini ed i messaggi più svariati: i luoghi, i costumi, le tradizioni, i personaggi, gli avvenimenti, le ricorrenze. Ha trasportato auguri per ogni occasione, ha pubblicizzato la guerra e la pace, prodotti, località, spettacoli e, non ultimi, i sentimenti amorosi come testimoniano le oltre duecento cartoline della collezione Allibrio-Russino”. La cartolina è stata realizzata nel tempo con molteplici tecniche di stampa. Agli inizi del ‘900, specialmente in Francia, era di moda confezionare le cartoline a mano acquistando quanto occorreva in cartoleria: un cartoncino base e una serie infinita di appliques di carta da incollare in modo del tutto personale. Altri acquistavano il cartoncino base e lo dipingevano.

La seconda sezione del percorso espositivo, che risulta ben calibrato ed articolato nella sua valenza storica, è stata dedicata agli abiti, mantelle ed accessori risalenti ad un intervallo temporale che va dagli anni ’60 dell’800 ai primi decenni del ‘900, mentre la terza sezione, rappresentata da un nuovo allestimento, è dedicata alla cucina popolana dei primi anni del secolo scorso. E’ possibile così conoscere attrezzi e strumenti del mondo della cucina, le varie fasi di lavorazione del pane, il rapporto con il lavoro e la vita del contadino.

 

 

 

Dal primo luglio i consumatori saremo garantiti da un nuovo marchio

Etichetta Ue ai prodotti biologici

 

A partire dal primo luglio 2010 i prodotti biologici dell’Unione europea saranno identificati attraverso un nuovo logo.

Ciò è stato recentemente stabilito dalla Commissione europea che ne ha prescritto l’obbligatorietà per tutti gli alimenti biologici preconfezionati prodotti in uno Stato membro, mentre sarà facoltativo per i prodotti importati.

Il logo, usato per integrare l’etichettatura, avrà il compito di garantire ai consumatori, oltre ad una migliore individuazione dei prodotti da comperare, la certezza che le confezioni acquistate siano realizzate seguendo la normativa europea di settore, o, nel caso di prodotti importati, secondo regole equivalenti o allo stesso modo rigide. In tal modo gli alimenti che portano il nuovo logo europeo dovranno avere le seguenti caratteristiche: almeno il 95 per cento degli ingredienti devono essere prodotti con metodo biologico; il prodotto deve essere conforme alle regole del piano ufficiale di ispezione; l’alimento deve essere preparato in una confezione appositamente sigillata; il prodotto deve recare il nome del produttore, dell’addetto alla lavorazione o del venditore e il nome del codice dell’organismo di ispezione.

Il logo è stato scelto attraverso un concorso europeo aperto a studenti di arte e di design.

Le migliaia di proposte pervenute sono state esaminate da una giuria di esperti internazionali che ha selezionato le tre migliori.

La direzione generale Agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea premierà l’ideatore del logo, insieme al secondo e al terzo classificato, in una cerimonia che si terrà il prossimo luglio a Bruxelles .

Il logo vincente è stato quello denominato «Euro-leaf» e ideato dallo studente tedesco Dusan Milenkovic. L’immagine, che sarà presente in tutto il territorio dell’Unione europea, è caratterizzata dalla presenza delle stelle, simbolo dell’Unione, che tracciano il profilo di una foglia su sfondo verde. Natura ed Europa, quindi, i messaggi scelti.

 

 

 

 

Alla riscoperta di quella che può essere considerata la culla della nostra civiltà

Cave iblee tra storia e leggende

Il mondo rupestre popolato da mulini, grotte, masserie

 

La morfologia del suolo siciliano, sin da tempi remoti, ha condizionato non poco la distribuzione degli insediamenti rupestri nell’Isola. Questi sono frequenti in settori montani e nelle vallate, dove si è reso più agevole utilizzare grotte di vario tipo per dimorarvi e trovare rifugio in caso di eventuali incursioni nemiche. La zona sud-orientale dell’Isola, in particolare del territorio ibleo, per la sua natura prevalentemente calcarea e l’intensa azione dei fenomeni d’erosione fluviale che hanno portato alla formazione di numerosi e profondi valloni, è caratterizzata dalle cosiddette «cave», che si dipartono a ventaglio da Monte Lauro. Nel tormentato assetto orografico dell’area iblea, tra lo snodarsi di vallate ora incassate come i canyons americani ora sboccianti in dolci declivi, si può cogliere l’essenza di un paesaggio singolare. «Le cave iblee tra storie e leggende» è l’interessante tematica affrontata nel corso della conferenza tenuta da Giovanni Bellina (già docente presso l’Istituto scolastico Paolo Vetri di Ragusa, accanito studioso di orologi solari e presidente della sezione ragusana di SiciliAntica) presso la sala convegni del centro servizi Culturali di Ragusa, suscitando molta curiosità tra il numeroso pubblico intervenuto e le associazioni promotrici dell’iniziativa (Associazione Italiana Maestri Cattolici, Associazione Culturale Docenti G.B. Hodierna, Centro italiano femminile, Associazione Pedagogica Italiana).

Un mondo rupestre dalle mille sfaccettature che prende vita tra sentieri, che si intrecciano in tortuosi percorsi, tra grotte abitate, giacigli e cinta murarie per il riparo del bestiame utilizzato per la produzione di prodotti caseari o di forza lavoro. Molto interessanti i collegamenti antropologici e storici che emergono dalla presenza di non pochi mulini e antiche masserie, in tempi passati fonte di sostentamento per molte famiglie che abitavano e lavoravano queste zone. Un mondo agreste caratterizzato da un brulichio di antiche professioni in piena sintonia con quell’ambiente di lavoro così duro e spartano attorno cui gravitano, non di rado, «cunti» e leggende dal fascino ammaliante.

Aspetti, dunque, in gran parte poco conosciuti dalla cosiddetta società moderna che ha dimenticato itinerari naturalistici ed aspetti folcloristici di indubbia bellezza che meritano di essere studiati e conservati.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

GIUGNO 2010

 

 

L’Islam e la Sicilia

Il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa studia le fonti arabe ed ebraiche medievali

 

   “Promuovere lo studio sulle fonti arabe ed ebraiche nel medioevo significa capire, da un lato, la ricchezza del nostro presente e, dall’altro, capire il passato del nostro presente…”. Questo l’incipit della relazione introduttiva affidata al professore Francesco Raniolo (docente di politica comparata alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università della Calabria) nel corso dell’interessante conferenza, tenutasi al Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa, avente per tema “L’Islam e la Sicilia”. “L’incontro – ha spiegato Giorgio Chessari (Presidente del Centro Studi) – si svolge nell’ambito delle iniziative culturali, promosse ed organizzate dal Centro, volte ad attuare il progetto di ricerca, approvato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ha per oggetto la città di Ragusa, il Val di Noto e, in maniera più ampia, la Sicilia nelle fonti arabe ed ebraiche nel medioevo”. Si tratta di uno studio particolarmente impegnativo ed articolato che necessita di un gruppo di ricerca per l’approfondimento di determinati aspetti storici, sociali e giuridici della tradizione islamica tenendo conto non solo del periodo storico (medioevo) ma anche dei rapporti intercorsi tra i Paesi che si affacciano sul mediterraneo. “Il progetto – ha aggiunto Giorgio Chessari - è nato dall’esigenza di chiarire, in una rigorosa prospettiva storica, la qualità dei rapporti stabilitisi tra Ebraismo, Cristianesimo e Islam nella Sicilia medievale, nonché di studiare ed analizzare tracce di corrispondenza tra la nostra Isola ed i Paesi dell’Africa settentrionale”. Tutto ciò lo farebbe supporre la disamina dei numerosissimi frammenti di manoscritti rinvenuti nella ghenizah (termine ebraico che significa “ripostiglio”, in cui sono riposti i testi sacri logorati dall’uso per evitarne la profanazione), scoperta al Cairo alla fine del XIX secolo. Ed è proprio da questa fonte inesauribile di notizie che sembra emergere un carteggio, di enorme interesse per la storia medievale di Ragusa, risalente intorno alla metà del secolo XI, relativo a scambi epistolari che sarebbero stati intrattenuti in quel periodo con i Paesi dell’altra sponda del mediterraneo.

   La tradizione siciliana di studi arabo-siculi ha visto la luce, in tempi relativamente moderni, grazie alla pubblicazione, nel secolo XIX, delle ricerche svolte dallo studioso palermitano Michele Amari. Diverse e complementari sono le fonti raccolte dall’Amari, non di rado da opere manoscritte, per la redazione delle sue opere (tra cui la “Storia dei Musulmani di Sicilia”, 1872). Molteplici sono le fonti documentarie relative alla Sicilia araba cui si sono dedicati gli studiosi siciliani e dalle quali emergono diversi aspetti dell’influenza araba non tanto nel momento in cui si è costituita quanto nei suoi esiti finali. L’apporto arabo al lessico, alla toponomastica, all’onomastica è solo uno dei costituenti della lingua, accanto a quello greco, latino, o gallo-romanzo.

   In questi ultimi anni si sono moltiplicati i dibattiti e le indagini, talvolta condotte all’insegna della disinformazione, sulla crescente presenza islamica in Occidente. Spesso tra gli elementi della discussione sembra prevalere l’interesse per le apparenti implicazioni esotiche dell’argomento o la riprovazione per la sfida multietnica che esso pone. Quasi che l’Islam dovesse essere esaminato limitatamente al fenomeno dell’immigrazione. Sono, invece, molteplici gli aspetti e le angolazioni da cui osservare tale cocente problematica, anche in relazione alla presenza dell’Islam in Sicilia nei secoli scorsi.

   La trattazione di tale tematica è stata affidata al professore Alberto Ventura (docente di Storia dei Paesi Islamici alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università della Calabria), autore di numerose pubblicazioni (tra cui “Profezia e santità secondo Shaykh Ahmad Sirhindi”, IsIAO, 1990; “Al-Fatiha, l’Aprente: la prima sura del Corano”, Marietti, 1991; “Islam”, con Khaled Fouad Allam e Claudio Lo Jacono, Laterza, 2003) nonché studioso degli aspetti religiosi ed istituzionali dell’Islam, sia in epoca classica che nel periodo moderno e contemporaneo. L’illustre relatore, con misurata perizia e rigorosa analisi, ha affrontato il tema proposto con un’articolata disquisizione tracciando, da un punto di vista socio-politico-religioso e da quello storico, le linee fondamentali della tradizione islamica e della presenza dell’Islam in Sicilia.

 

 

 

 

Mauro Ceruti e Tiziano Treu ospiti dei giovani di Confindustria alla festa del libro

Ecco come riorganizzare l’altruismo

 

Dare voce a tante voci: è questo lo spirito che ha animato il capoluogo ibleo, dal 21 al 23 maggio scorso, dando vita ad una serie di iniziative culturali, dal titolo “A tutto volume. Libri in festa a Ragusa”, volte a far conoscere autori, editori, linguaggi e idee, spaziando dalla saggistica alla narrativa, dalla politica all’economia. La kermesse culturale è stata organizzata dalla Fondazione degli Archi in collaborazione con il Comune e la Provincia regionale di Ragusa, con il patrocinio della Regione Siciliana e della Camera di Commercio di Ragusa. Nell’ambito di tale manifestazione che, in concomitanza con la giornata nazionale della lettura, ha portato nel centro storico del capoluogo gli autori delle novità editoriali di maggior spessore culturale, i Giovani Imprenditori di Confindustria Ragusa, sensibili alla promozione della cultura come espressione della funzione sociale dell’impresa, si sono fatti promotori ed organizzatori di un incontro con i senatori Mauro Ceruti (ha insegnato Filosofia della Scienza all’Università di Milano e all’Università di Bergamo) e Tiziano Treu (ha insegnato Diritto del lavoro all’Università di Pavia e all’Università Cattolica di Milano; è stato Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale) per presentare il loro ultimo libro, “Organizzare l’altruismo. Globalizzazione e Welfare” (Editori Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 188).

Nella cornice di una splendida nicchia barocca tra palazzi nobiliari dell’antica Ragusa e pennellate di luce soffusa tra colonnati accarezzati da sfumature albicocche, Leonardo Licitra (presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Ragusa), alla presenza di Roberto Ippolito (giornalista economico e scrittore) e di un folto ed attento pubblico, che ha gremito il locale messo a disposizione da “Girodivite” Wine Bar di Ragusa, ha dato il via ai lavori non senza prima sottolineare come la lettura rappresenti «un valore culturale in quanto aumenta la ricchezza della cultura di un popolo».

La problematica relativa ai profondi cambiamenti che stanno subendo gli attuali assetti economici e sociali va studiata in maniera molto diversa rispetto a quella affrontata nel passato. Risulta evidente, come ha evidenziato Mauro Ceruti, che i cambiamenti strutturali verificatisi in questi ultimi decenni richiedono un approccio decisamente innovativo che colga i nuovi aspetti della politica economica. E’, pertanto, richiesto il cambio di mentalità di fronte alle novità della crisi. C’è necessità di innovare nel modo di guardare non tanto ai problemi, ma soprattutto alle possibili soluzioni. «Occorre – ha specificato Tiziano Treu - ricercare un nuovo paradigma più rispondente all’esigenza di sviluppare capacità personali e benessere collettivo, di alimentare i valori della cooperazione e dell’altruismo anche nei rapporti economici».

Un progetto, quello lanciato in questo libro, che fa da stimolo per ulteriori valutazioni e che sicuramente si inserisce, con una riflessione tanto aperta quanto convincente, nel solco che l’Enciclica «Caritas in veritate» ha riaperto: quello di una economia che abbia al centro la persona e che sappia utilizzare il mercato, i capitali, e, perché no, la politica, come strumenti capaci di rendere più razionali ed efficienti non solo gli scambi, ma anche e soprattutto la creatività.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

LUGLIO 2010

 

 

Celebrato il quinto anniversario della sua scomparsa

Cultura, umiltà, senso civico. Le lezione del preside Assenza

 

Testimonianze coinvolgenti, toccanti attestazioni di affetto. Memorie, riflessioni, segni, commenti che riaffiorano spontanei per ricordare un dirigente scolastico d’altri tempi, ma soprattutto un uomo di cultura che ha sempre guardato avanti con umiltà e senso civico.

E’ questa la figura del preside Salvatore Assenza, Turidu per gli amici, la cui valenza, in occasione del quinto anniversario della sua scomparsa, è stata ricordata in un incontro promosso ed organizzato dal centro studi Feliciano Rossitto che ha visto numerosissima la presenza di amici e di conoscenti che hanno condiviso il percorso delle sue attività.

Un ricordo ancora vivido nel cuore dei ragusani che viene perpetuato con la pubblicazione e presentazione del volume contenente gli scritti di Salvatore Assenza, curati da Antonio Colombo, dal titolo «Amo queste colline», di cui il centro studi è anche in veste editoriale.

«Il titolo dato al libro, riportante le parole iniziali di una sua poesia dedicata qualche mese prima della sua improvvisa scomparsa al fraterno amico Giuseppe Cugno Garrano, esprime – spiega Giorgio Chessari, presidente del centro studi, nel corso del suo intervento introduttivo – con grande efficacia la sensibilità umana di Salvatore Assenza, il suo amore profondo per la natura e per la terra che gli diede i natali”.

All’incontro commemorativo hanno aderito in tanti. Tra gli altri, il regista Gianni Battaglia che ha posto l’accento sulle attività teatrali poste in essere da Assenza nel quadriennio 1994-1998 nella qualità di assessore alla pubblica istruzione e ai beni culturali.

Il senatore Gianni Battaglia ne ha ricordato lo spiccato senso di solidarietà nei confronti dei più deboli e dei più bisognosi riportando una personale toccante esperienza, vissuta nel 1966, risolta in maniera positiva grazie all’intervento di Assenza (allora preside della scuola Giambattista Hodierna).

Le qualità professionali sono state evidenziate negli interventi dei docenti Salvatore Dipasquale, Giuseppe Cugno Garrano e Salvatore Iacono.

«Salvatore Assenza – ha aggiunto Giambattista Veninata, direttore del periodico Pagine dal Sud - era un uomo che si poneva, di fronte agli altri, in posizione di ascolto. Le sue “armi” erano i consolidati ideali di lealtà e onestà peraltro ampiamente dimostrati nel corso della sua attività di Amministratore del Comune di Ragusa»

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

OTTOBRE 2010

 

 

Diabolik, Tex, Topolino e i Florio si sono incontrati al Castello di Donnafugata.

Ottavo Convegno promosso dal Museo del Fumetto Xanadu di S. Croce Camerina

 

Nella splendida cornice del Castello di Donnafugata (Rg), luogo di un passato ancora vivido nel cuore degli iblei, si è tenuta un’articolata iniziativa culturale che ha visto come protagonisti tre dei personaggi che hanno affiancato generazioni di ragazzi e che, oggigiorno, trovano riscontro anche in ambiente didattico: Diabolik, Tex e Topolino, le tre icone del fumetto italiano. E’ questa la tematica promossa ed organizzata dal Museo delle Fumetto Xanadu di Santa Croce Camerina (Rg) nell’ambito del decennale della sua fondazione. Nato nei primi mesi del 2000, il Museo rappresenta l’unica struttura siciliana nell’ambito della raccolta e conservazione dei “giornalini” dai primi del ‘900 fino agli ultimi decenni.

Una settimana (dal 21 al 25 settembre) caratterizzata da incontri, scambi culturali, riflessioni sulle tematiche del fumetto, assiduamente seguiti da un folto pubblico rappresentato anche da molti giovani. Numerosi i momenti programmati in cui è stata suddivisa l’intera manifestazione, che ha avuto il patrocinio della Regione Sicilia, del Comune e dell’Amministrazione Provinciale di Ragusa, dei Comuni di Santa Croce Camerina e di Comiso nonché il contributo di numerosi sponsor, all’insegna anche della pittura (il 21 settembre è stata inaugurata una Personale del maestro Giovanni Puglisi, conosciuto in campo regionale e nazionale) e della poesia (la giornata del 23 settembre è stata dedicata alla “Dissertazione sulla poesia” con Antonella Galuppi e Maria Luisa Occhipinti Le Moli). La sezione riguardante il fumetto ha visto la presenza di illustri disegnatori in campo nazionale (Giorgio Cavazzano, per Topolino; Mario Gomboli e Giuseppe Di Bernardo per Diabolik; Roberto Diso per Tex e Mister No; Luigi Corteggi, Art Director della Casa Editrice Bonelli; Luciano Tamagnini come giornalista e critico).

L’iniziativa posta ancora una volta in essere dal Museo del Fumetto si pone al centro dell’attenzione in quanto rappresenta un’occasione per parlare di quella “letteratura disegnata” nell’ambito della quale sono cresciute generazioni di ragazzi. E non solo. “Oggi, dopo parecchio tempo, è stato riconosciuto che il fumetto – spiega Giuseppe Miccichè, direttore del Museo del Fumetto - è in grado di assolvere importanti funzioni nell’ambito della formazione perché capace di veicolare, in maniera semplice ed efficace, messaggi di elevato contenuto educativo. La lettura dei fumetti, si intende quelli di qualità, costituisce uno stimolo fondamentale non soltanto per la crescita intellettuale ma anche per lo sviluppo della personalità dei nostri ragazzi”. Il fumetto, dunque, è visto nel suo aspetto didattico. Le problematiche riguardanti il pianeta scuola si intrecciano con quelle del fumetto. Si tratta di due dimensioni che vanno a confluire in obiettivi culturali comuni, quali il recupero di conoscenze storico-sociali, grafiche e, non ultimi, lo studio di tendenze, pensiero ed evoluzioni di una memoria stratificata nel tempo che può essere letta attraverso le avvincenti storie dei “giornalini”. E’ questo l’obiettivo che la struttura museale, unica nel suo genere in Sicilia ed una delle pochissime in Italia, con i suoi 150 mq di esposizione permanente, si prefigge attraverso l’instancabile attività divulgativa svolta dai coniugi Miccichè – Canto.

Variegati i momenti dedicati alla presentazione di tre concorsi di disegni e la proclamazione dei vincitori delle singole sezioni (l’ottavo Concorso Museo del Fumetto Xanadu, la seconda edizione del Concorso intitolato a “Giannunzio Mandarà, prematuramente scomparso, ed infine il primo Concorso Pedibus estivo città di Comiso), caratterizzati dalla presenza di giovani disegnatori iblei (Biondo, Ferrara, Fornaro) letteralmente assaliti da appassionati e curiosi.

Una delle chicche presentate nel corso delle serate è stato il fumetto “Diabolik al Castello di Donnafugata”, un “albetto” (giornalino in forma tascabile), appositamente creato per l’occasione, contenente l’ultima avventura di Diabolik dal sapore prettamente ibleo.

La serata conclusiva è stata impreziosita dalla presenza della marchesa sig.ra Costanza Afan de Rivera, ultima discendente dei Florio, che ha presieduto alla presentazione del libro “I Florio” (Edizioni Santocono, Rosolini 2010, pp. 112) di Giuseppe Miccichè, sulla “saga” della Famiglia Florio attraverso una forma narrativa accompagnata da illustrazioni e fumetti in un perfetto mixage tra il documentario e disegno. La relazione, interessante e ben articolata, è stata affidata a Mimì Arezzo (già Assessore alla Cultura del Comune di Ragusa). “Il libro – aggiunge Miccichè - è stato studiato in una forma narrativa un po’ diversa dal consueto. Illustrazioni, disegni e fumetti rappresentano la struttura essenziale su cui si basa tutto il contesto storico preso in disamina che si rivolge soprattutto ai ragazzi e ai giovani, in una duplice chiave di lettura. Da una parte la conoscenza dei Florio con tutto quello che rappresentarono per la Sicilia, dall’altra un amore scientemente nutrito per la nostra isola”

La serata si è splendidamente conclusa con il concerto del violinista M° Gianni Renzi - ben coadiuvato dal tastierista Romano e supportato dalla presenza del tenore Corona e soprano Vitti - il quale ha eseguito brani di musica classica e popolare che hanno infiammato l’animo del pubblico.

 

 

 

 

 

 

L’arte e i colori di Cilia al castello di Donnafugata

 

«Se in un attimo di quiete tendi l’orecchio e la pittura li senti parlare, vieni a sapere dove è nascosto il Dio che è dentro di noi e perché, malgrado i grandi dolori, vale la pena vivere». É Franco Cilia che con la sua inesauribile verve pittorica ha accolto i visitatori che hanno apprezzato le sue tele (oltre cento) esposte nelle scuderie del castello di Donnafugata. La mostra antologica ha fatto registrare un vasto afflusso di pubblico riscontrando notevole consenso anche dalla critica.

Cilia, figlio degli iblei, personalità ricca, varia e poliedrica nei diversi campi delle arti, è ritornato nella suggestiva cornice del castello di Donnafugata per esporre gli intimi percorsi della sua anima pittorica recentemente offuscata dalla prematura scomparsa del figlio Gianluca. É proprio al figlio è dedicato l’intero percorso espositivo. «Colori per il mio Gianluca» è il titolo dato alla mostra antologica che ha l’arduo compito di condurre quasi per mano il visitatore nel solco di un linguaggio artistico gravido di un intenso scavo psicologico verso una bellezza senza tempo in cui sguardo cosmico ed eternità si intersecano in una grazia inesprimibile.

Le vibranti cromie delle tele, che accarezzano l’occhio e il cuore del visitatore, scaturiscono da un «viaggio» dell’anima che Cilia compie insieme a Dante e Virgilio all’uscita della «sotterranea caverna», alla ricerca di quel vento intriso della «speranza di incontrare Dio e il suo perdono» ma soprattutto alla ricerca del figlio «giungendo a lui mentre attraversa la soglia della luce verso la Luce», nella consapevolezza che «la loro separazione è stata soltanto un arrivederci», come avvisa Salvatore Stella nella postfazione al catalogo.

 

 

 

 

I dieci anni del museo del fumetto

Santa Croce Camerina – Celebrati con un interessante convegno

 

Questi ultimi anni si sono rivelati, da un punto di vista fumettistico, intensi e vivaci. Numerose sono state le iniziative per ricordare importanti eventi che hanno segnato la storia del Fumetto. Ottanta anni li ha compiuti Topolino, eroe semplice e coraggioso, mentre ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno Tex Willer, ancora oggi uno dei più popolari eroi del fumetto italiano. Per non parlare di Diabolik, nato nel 1962, le cui rocambolesche avventure prendono vita attraverso il giornalino in formato tascabile.

É sulla scia di tali eventi che si è inserito l’ottavo convegno avente per tema «Diabolik, Tex, Topolino: le tre icone del fumetto italiano», promosso ed organizzato dal Museo del Fumetto Xanadu di Santa Croce Camerina. É proprio in questa città che opera, da ben dieci anni, una struttura museale, presente anche su rete internet (www.museodelfumetto.net ), unica nel suo genere in Sicilia ed una delle pochissime in Italia, con i suoi 150 metri quadrati di esposizione permanente. Sono i coniugi Miccichè – Canto che mantengono in vita tale impianto che registra, annualmente, la presenza di numerosi visitatori e scolaresche e conta, al suo interno, diverse migliaia di esemplari di “giornalini” che tracciano, in maniera ampia ed esaustiva, il percorso storico del fumetto dagli albori ai giorni nostri.

L’iniziativa è stata ospitata dal 20 al 25 settembre al castello di Donnafugata e ha visto la presenza dei migliori disegnatori in campo nazionale (Giorgio Cavazzano, per Topolino; Mario Gomboli e Giuseppe Di Bernardo per Diabolik; Roberto Diso per Tex e Mister No; Luigi Corteggi, per le Edizioni Bonelli; Luciano Tamagnini come giornalista e critico).

La serata conclusiva è stata impreziosita dalla presenza della signora Costanza A. de Rivera, ultima discendente dei Florio, che è intervenuta alla presentazione del libro «I Florio» (Edizioni Santocono, Rosolini 2010, pp. 112) di Giuseppe Miccichè (direttore del Museo del Fumetto), sulla “saga” della famiglia Florio attraverso una forma narrativa accompagnata da illustrazioni e fumetti in un perfetto mixage tra il documentario e disegno.

 

 

 

Colori e paesaggi svelano l'animo di Salvatore Chessari

 

«Sono ormai trascorsi quarant’anni da quando Salvatore Chessari ha iniziato a frequentare il mondo dall’arte; anni di lavoro intenso prima come gallerista de “Il Gabbiano”, uno spazio in cui sono passati i maggiori artisti della provincia e dell’Italia intera, in uno scambio proficuo di stimoli, tendenze e suggestioni; poi, in prima persona, mostrando al pubblico i dipinti che sino al Settanta egli aveva gelosamente custodito nel segreto del suo studio. Da allora, Chessari ha intrapreso un’attività artistica ed espositiva regolare elaborando la sua personale sintesi del nostro paesaggio». È questo l’incipit con cui Giambattista Veninata, vice presidente del centro studi Feliciano Rossitto, ha introdotto la serata inaugurale della mostra antologica di pittura del maestro Salvatore Chessari. L’esposizione, che rimarrà aperta al pubblico per l’intero mese di ottobre nella splendida location del castello di Donnafugata, promossa ed organizzata del centro studi in sinergia con la Provincia ed il Comune di Ragusa, rappresenta l’ulteriore affermazione dell’anima pittorica di Chessari. È proprio a questa che si è rivolta l’attenzione del professore Andrea Guastella il quale ha curato la presentazione del catalogo e la relazione critica esposta in maniera articolata ed esaustiva alla presenza di un folto ed attento pubblico intervenuto all’inaugurazione del 2 ottobre scorso.
«Spazio, visione: di un paesaggio enorme, privo di confini, dall’estensione inversamente proporzionale alla profondità», spiega Andrea Guastella, aggiungendo che «sono questi gli elementi primari della pittura di Salvatore Chessari; una pittura che, a dispetto di un realismo di facciata, muove da un netto rifiuto dell’oggettività del nostro sguardo». Il colore utilizzato da Chessari è «molto più profondo di quanto agli occhi appaia; né potrebbe essere altrimenti, essendo egli un maestro nella stesura a velature». Oltre i dipinti del paesaggio ibleo, «non realisticamente interpretato, ma filtrato attraverso una patina di sogno e di malinconia», emerge la forza visiva ed esaltante dei fondali marini con mirabili «scenografie liquide» in cui luci e ombre coesistono in perfetta armonia mentre gli «azzurri» esaltano quella «mediterraneità» del paesaggio descritta in maniera sublime attraverso la maestria nell’uso del mezzo pittorico.

 

Giuseppe Nativo

 

 

NOVEMBRE 2010

 

“Domenica di carta”

L’Archivio di Stato di Ragusa si racconta attraverso l’esposizione di documenti

 

   “I Fascisti universitari sono automaticamente assicurati contro gli infortuni sportivi con il rilascio della tessera dei G.U.F. (ndr “Gruppi Universitari Fascisti”). Tale assicurazione è valida solamente per le gare o manifestazioni riservate ai Fascisti universitari e organizzate dai G.U.F. e preventivamente denunciate alla Cassa Fascista di previdenza… A partire dall’anno XVIII la Segreteria dei G.U.F. istituirà un tesseramento generale sportivo di controllo dei Fascisti universitari…”. (Roma, 3 novembre 1939; foglio di disposizioni n. 1455 del Partito Nazionale Fascista contenente le “Direttive per l’attività sportiva dei fascisti universitari in rapporto al controllo tecnico del Comitato olimpico nazionale italiano”; Archivio di Stato di Ragusa, Prefettura, Gabinetto, b. 2297).

 

   E’ questa una delle gocce di memoria cartacea, testimone silenziosa della storia, esposta, tra i tantissimi altri documenti che vanno dal XV al XX secolo, all’Archivio di Stato di Ragusa in una giornata domenicale speciale. Si tratta dell’iniziativa intitolata “Domenica di carta” che nel capoluogo ibleo, come in altre città italiane, ha dato la possibilità di visitare gli archivi e le biblioteche statali. Una giornata particolare che ha fatto toccare con mano la ricchezza del patrimonio archivistico a cui è necessario e doveroso dare spazio e luce in quanto elemento di raccordo fra la memoria e la storia, tra questa e il presente. Una ricognizione d’identità, quella operata dall’Archivio di Stato di Ragusa e Sez. di Modica, attraverso varie testimonianze che disegnano un profilo unico del territorio ibleo che ruota attorno a problematiche demografiche, sociologiche, politiche, giuridiche, lavorative, sanitarie. E’ sulla base di tali istanze che la struttura archivistica iblea ha organizzato un’apertura straordinaria al pubblico per l’intera giornata della prima domenica di ottobre, aderendo all’iniziativa promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

   “In tale giornata – ha spiegato la dott.ssa Iozzia, direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa – abbiamo cercato di illustrare ai visitatori alcuni dei principali fondi archivistici conservati in Istituto. Attraverso la preziosa opera dei miei collaboratori sono stati esposti alcuni dei documenti segnalati per l’inserimento nel SAN (Sistema Archivistico Nazionale), una sorta di archivio digitale su cui far affluire i dati che possono così essere conservati per assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica”. Non poche le aree tematiche (arte e cultura, cartografia storica, catasti, donne , fonti ebraiche, inquisizione, pergamene, politica e sindacati, sanità, scienza, sigilli, spazio scuola, sport, cinema e teatro) tutte corredate da apposite didascalie. Da segnalare, tra gli altri, il carteggio riguardante la relazione, datata 9 settembre 1728, redatta a Palermo dall’orefice Vincenzo Leone, appositamente incaricato dal Tribunale della Regia Gran Corte, per stimare diversi gioielli, oggetti d’oro e argento, relativi all’eredità della famiglia Platamone di Belmurgo (fondo Statella, vol. 120/3, cc. 119r – 132v). Nella sezione “per non dimenticare”, relativa al terrorismo, è stato esposto un manifesto, recante la data del 6 agosto 1980, a firma dell’allora Sindaco (G. Minardi), in cui la città di Ragusa esprime solidarietà ai familiari delle vittime della strage di Bologna.

   Ai visitatori è stata dispensata una recente pubblicazione, della collana “Archivi italiani” dal titolo “Archivio di Stato di Ragusa e Sezione di Modica” in cui sono illustrati i carteggi custoditi nonché le vicende storiche che hanno contraddistinto la nascita delle strutture archivistiche di Modica e Ragusa. “Ancora una volta – ha aggiunto la dott.ssa Iozzia – è la carta che si fa documento, divenendo così elemento primario di quell’edificio immateriale, eppure estremamente prezioso, che è la memoria collettiva”.

 

 

 

Farmaci, in arrivo qualità e sicurezza

 

La gestione del rischio clinico nel settore della sanità rappresenta l’insieme delle azioni volte a migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie e, nello stesso tempo, garantire la sicurezza dei pazienti. Solo un'attenta e seria gestione del rischio può promuovere la crescita di una cultura della salute che sia vicina al paziente e, soprattutto, diminuire i costi delle prestazioni sviluppando organizzazioni e strutture sanitarie sicure ed efficienti.

A tale scopo recentemente, nell'ambito del seminario tenutosi presso l'auditorium del ministero della Salute ed avente per oggetto la «Qualità, gestione del rischio clinico e sicurezza delle cure nell’uso dei farmaci», è stato presentato il primo corso nazionale di formazione a distanza avente per tema la sicurezza dei pazienti in relazione alla qualità dell’assistenza farmaceutica. È stato approntato un manuale per la formazione dei farmacisti, elaborato dal ministero della Salute. Tale esperienza coinvolge i farmacisti con l’obiettivo di fornire le informazioni necessarie ad acquisire e sviluppare competenza in merito alle problematiche legate alla gestione del rischio clinico e renderle attuabili nella pratica professionale. Si tratta di «raccomandazioni» e «linee guida» per offrire agli operatori sanitari informazioni su condizioni particolarmente pericolose, che possono causare gravi e fatali conseguenze ai pazienti, indicando azioni da intraprendere per prevenire gli eventi avversi dovuti ad errori durante la somministrazione di farmaci. L'altro aspetto, non meno importante, è quello riguardante quei farmaci che possono essere facilmente scambiati con altri, tanto per la somiglianza grafica quanto per l'aspetto simile delle confezioni.

Il dott. Figura, medico anestesista rianimatore presso uno dei nosocomi iblei, interpellato sulla questione precisa: «il problema immediato è quello di non scambiare accidentalmente i farmaci. Sarebbe auspicabile e più corretto che le case farmaceutiche fossero sensibilizzate a produrre farmaci facilmente distinguibili attraverso colori e codici diversi tra loro».

Qual'è la sua esperienza in ospedale? «La mia è un'esperienza ospedaliera di oltre 34 anni. Posso dire che tutti abbiamo oramai l'accortezza, nel caso di farmaco non utilizzato immediatamente, ma che dovrà essere somministrato in momenti successivi (pochi minuti dopo), di aspirare il farmaco in siringa e di marcare questa con pennarello indelebile in modo tale da identificarne nome e dosaggio. Questo è uno dei sistemi più banali e semplici per evitare errori anche fatali. L’errore, molto spesso, non si verifica nell’immagazzinamento del farmaco, ma all’atto della somministrazione».

 

 

 

 

Il dottor Salvo Figura spiega il funzionamento di due fondamentali servizi sanitari

Pronto soccorso e 118 da migliorare

 

Chiunque abbia avuto motivo di fare ricorso ai pronto soccorso di città sa bene che sono luoghi che causano angoscia ed apprensione per chi accusa un malessere o ha bisogno di urgenti cure. Ciò mette a dura prova i nervi degli utenti. Il pronto soccorso è un settore fondamentale della sanità, il luogo dove è in gioco la vita di tante persone. Per disciplinare l'attesa sono stati istituiti dei codici che, in base alla denominazione del colore, indicano la gravità o meno dell'assistito: codice bianco, situazione di non urgenza; verde, urgenza differibile nel tempo ovvero il paziente non presenta pericolo di vita; codice giallo, situazione di urgenza con pazienti che presentano lesioni gravi; infine, il codice rosso che indica una emergenza ovvero un intervento immediato del medico di turno. Molto spesso si verificano dei disordini tra i pazienti, in sala di attesa, a causa dei tempi abbastanza lunghi prima di essere visitati. Ci si chiede: in casi del genere non sarebbe meglio prevedere un aumento del personale medico nel pronto soccorso? Abbiamo girato la domanda al dott. Salvo Figura, medico anestesista rianimatore presso un noto ospedale ibleo. « Il sistema del codice colore, internazionalizzato, è risultato un “espediente” di grande aiuto per il personale sanitario e per gli utenti che sanno quanto “grave” sia la loro patologia. Devo dire che, per un pronto soccorso come quello ragusano, il numero dei medici è quasi adeguato. Certo, forse un paio di unità in più potrebbero smaltire prima l’elevato numero di accessi. Non dobbiamo dimenticare che una visita accurata, richiede non meno di 15-20 minuti, cui vanno aggiunti altri 10-15 di pratiche burocratiche.

Il problema, a mio avviso, è un altro: il  sovraffollamento. In pratica, non di rado, notiamo la presenza di persone che accusano disturbi tali da non giustificare la loro presenza al pronto soccorso. Si ricorre subito all'ospedale senza pensare  all'automedicazione,o alla Guardia Medica, ovviamente nei casi “leggeri”».

Sappiamo che lei presta la sua attività professionale anche presso il «Servizio 118» che nel territorio della provincia di Ragusa conta nove ambulanze «medicalizzate» ovvero con la presenza a bordo di un medico.

Dall'analisi dei dati raccolti è stato osservato che in Sicilia, a differenza di altre regioni, si verifica una netta prevalenza degli interventi secondari sui primari. Una componente è sicuramente l'inadeguatezza (fino a poco tempo fa) del soccorso avanzato su gomma e quindi l'impossibilità di indirizzare fin da subito il paziente all'ospedale appropriato. Un'altra componente importante, da prendere in considerazione nell'organizzazione dei soccorsi, è la particolare conformazione geografica della Sicilia ricca di coste ma anche di zone interne montuose collegate da una rete viaria talora  incompleta e parzialmente vetusta.

Quali sono le difficoltà che incontrate sul piano pratico qui a Ragusa e quante chiamate sono gestite dalla Centrale Operativa? «La domanda è complessa perché richiama insieme diversi fattori che sono il punto di debolezza del servizio 118. La viabilità è, indubbiamente, una componente di rilievo. Da non trascurare è però la gravità espressamente dichiarata da chi effettua la chiamata, gravità che spesso si presenta non coincidente con un'urgenza reale».

 

Giuseppe Nativo

 

 

DICEMBRE 2010

 

 

 

Regole e usanze funebri nei secoli scorsi

 

Le antiche usanze funebri sono retaggio di antichissime consuetudini strettamente connesse alla cultura e alle tradizioni popolari. La morte, il non essere, il passaggio in un “altrove”, ha sempre avuto un grande significato nella cultura di un popolo. Quando essa sopraggiungeva era sottolineata da riti di passaggio, con regole rigide, quasi sacrali, molte delle quali cadute nell'oblio della memoria. E', pertanto, necessario studiarle per riscoprire un passato che in fondo non è così lontano come si pensa. Da qui l'excursus storico, toccando aspetti sociali, culturali e antropologici, proposto da Giovanni Bellina (già docente presso l’Istituto Scolastico “P. Vetri” di Ragusa, accanito studioso di orologi solari e Presidente della sezione ragusana di “SiciliAntica”) nel corso dell’interessante conferenza recentemente tenutasi presso la sala convegni del Centro Servizi Culturali di Ragusa, suscitando molta curiosità tra il numeroso pubblico intervenuto e le associazioni promotrici dell’iniziativa culturale (Associazione Italiana Maestri Cattolici, Associazione Culturale Docenti “G.B. Hodierna”, Associazione Pedagogica Italiana e lo stesso Centro Servizi).

“Regole e usanze funebri tra XVI e XIX secolo” è il tema principe su cui è ruotata l'iniziativa culturale, la cui introduzione è stata curata dal professore Giovanni Firrito preannunciando la visita guidata alla chiesa di Santa Maria della Grazia di Comiso (Rg), già convento Cappuccini, dove si trovano custoditi numerosi corpi mummificati (appartenenti a frati e laici), databili tra il XVIII e XIX secolo, alcuni anni fa studiati dal professore Fornaciari (esperto di paleopatologia, ovvero quella scienza che studia le malattie del passato attraverso l'esame dei resti antropologici).

Nel corso della sua relazione, Bellina ha fornito un'ampia ed articolata panoramica su alcune particolari pratiche funerarie diffuse nel corso del periodo preso in considerazione, con particolare attenzione al meridione d'Italia. Tali pratiche riservavano un'attenzione particolare al trattamento prolungato dei corpi, talora allungando il momento della sepoltura definitiva. Un'indagine che,  sebbene sia circoscritta ad un ambito geografico e temporale delimitato, permette di allargare gli orizzonti dei molteplici modi di intendere la morte che vanno bel oltre i confini del sud Italia e che percorrono come un fiume sotterraneo molte delle concezioni funebri del mondo preindustriale, caratterizzate ed accompagnate da un marcato simbolismo.

Ad avviare le riflessioni di Bellina è l'accenno al celebre saggio sulla rappresentazione collettiva della morte pubblicato, nel 1907, dal giovane antropologo francese, Robert Hertz (1881 – 1915), il quale pubblica uno studio su quello che è definito rituale della “doppia sepoltura”, praticato da alcune popolazioni del Borneo. In occasione della morte di un membro di quella comunità, dopo un primo rito funebre, trascorso un determinato periodo di tempo, ne viene espletato un secondo, più formale e solenne al fine di dare sistemazione definitiva alle spoglie del defunto, che in tal modo si pacifica. Ciò che emerge da quello studio è la diffusione e l’importanza, anche nel grembo stesso dell’Europa preindustriale, di riti e credenze simili a quanto riscontrato in Paesi extra europei. Nel cristianesimo medievale e d’età moderna, ad esempio, quei defunti che la mancata o imperfetta cerimonia funebre non trasforma in morti pacificati e benevoli vanno ad alimentare la tetra rappresentazione di schiere di trapassati “dannati” il cui cammino si è interrotto. Di qui il continuo sforzo della società dei viventi di rappacificarsi con i propri defunti. Il difficile passaggio dell'anima del defunto verso il regno degli antenati deve essere accompagnato da particolari rituali. Nel mondo cattolico il pensiero diviene più cauto. Sebbene il rapporto con i defunti continua a costituire parte dominante della vita religiosa, si cerca di eliminare la doppia sepoltura, il duplice trattamento del corpo nelle forme in cui ancora è presente: si protende ad estirpare la tenace rappresentazione della morte intesa come travagliato viaggio dell’anima. La meticolosa opera di disciplinamento, a cui il mondo preindustriale è sottoposto anche in relazione alle proprie rappresentazioni funebri, permette alle autorità religiose di imporre, con sostanziale omogeneità, i confini entro cui il rapporto con i morti può considerarsi lecito.

 

 

 

 

Il made in Cina è davvero sicuro?

 

Come ogni anno, in occasione del periodo natalizio,  chi non regala almeno un giocattolo ai piccoli della famiglia? Ebbene, pur senza creare allarmismi, è necessario prestare un pò' di attenzione ai non pochi pericoli che si possono nascondere dietro l'acquisto di un giocattolo o di un qualunque altro regalo.

In primo luogo, la sicurezza dei giocattoli. In Italia vi sono precise norme, riguardanti gli obblighi per i produttori, che prevedono sanzioni e ritiro dal mercato in caso di non ottemperanza e aiutano gli adulti a fare un acquisto senza pericoli.

E' da tenere presente che una buona percentuale di giocattoli venduti è fabbricato in Cina. Nel 2009 decine di milioni di giocattoli prodotti nel paese asiatico sono stati richiamati perché presentavano rischi sotto il profilo della sicurezza. Ma come si riconosce un giocattolo contraffatto? Oltre il prezzo, in genere inferiore rispetto a quello praticato nei negozi, è il confezionamento ad essere diverso. I giocattoli contraffatti non hanno confezione rigida di cartone in quanto inseriti in buste di cellophane; inoltre, il marchio, simile all’originale ma non identico, risulta modificato onde evitare di incorrere in accuse di usurpazione del marchio. Prima di acquistare è necessario accertare che sul giocattolo o sul suo imballaggio sia molto visibile la marcatura CE, il nome e/o la ragione sociale e/o il marchio, nonché l'indirizzo del fabbricante, anche in forma abbreviata, purché possa consentire una identificazione semplice e agevole, nonché eventuali avvertenze o precauzioni da usare. Inoltre devono presentare dei precisi requisiti circa la composizione. Il giocattolo, ad esempio, deve essere privo di parti appuntite e taglienti; deve resistere agli urti e non provocare ferite in caso di rottura; deve avere delle parti smontabili di una grandezza tale che, se ingerite, non provochino il soffocamento. Si è reso, pertanto, inevitabile rivedere la legislazione comunitaria in materia sostituendo la vecchia direttiva con un nuovo testo, aggiornato e conforme alle mutate condizioni. Entro il 20 gennaio 2011 gli Stati membri della Comunità Europea dovranno adottare la nuova direttiva che dovrà essere applicata entro il 20 luglio 2011.

 

Giuseppe Nativo

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