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2012

 

Gennaio 2012

- Altare-monumento per ricordare le vittime degli incidenti sul lavoro (Dialogo, gennaio 2012)

- Antibiotici, impariamo ad usarli (Insieme, 15/01/2012)

 

Febbraio 2012

- Evasione fiscale: è possibile combatterla (Dialogo, febbraio 2012)

 

Marzo 2012

- E’ allarme antibiotici (Dialogo, marzo 2012)

 

Aprile 2012

- Di Vita commemorato all’Accademia dei Lincei (Dialogo, aprile 2012)

- Il segno della gioia: le campane (Insieme, 08/04/2012)

 

Maggio 2012

- Viaggio poetico tra letteratura e vita (Dialogo, maggio 2012)

- Euro, attenti alle falsificazioni (Insieme, 20/05/2012)

- Un sostegno a chi ha perso la speranza (Insieme, 20/05/2012)

 

Giugno 2012

- Arriva la bella stagione: tempo di mare, tempo di sole (Dialogo, giugno 2012)

- Celiachia, una molecola sconfiggerà l’intolleranza al glutine (Dialogo, giugno 2012)

- Il sonno perduto dei ragazzi di oggi (Insieme, 24 giugno 2012)

 

Luglio 2012

- Mantenersi in forma senza uscire da casa (Insieme, 15 luglio 2012)

 

Settembre 2012

- Scoperte nuove sostanze a base di selenio (Insieme, 23/09/2012)

 

Ottobre 2012

- Eremitismo in territorio ibleo, tra storia e religione (Dialogo, ottobre 2012);

- Al volante in posizione corretta. Ecco alcuni accorgimenti utili (Insieme, 14/10/2012);

 

Novembre 2012

- Presentato al Caffè Letterario il libro di Carmelo Modica (Dialogo, novembre 2012);

- Internnet ai ragazzi sì, ma alle giuste dosi. (Insieme, 4/11/2012);

 

Dicembre 2012

- “Ppi-mmia fussi”, Presentata al Centro Studi “F. Rossitto” raccolta poetica di Umberto Migliorisi (Dialogo, dicembre 2012);

- I rimedi naturali contro la tosse: latte, miele, aglio e stare al caldo (Insieme, 2/12/2012);

 

 

 

GENNAIO 2012

 

 

Inaugurata opera d’arte realizzata dal maestro Franco Cilia

A Ragusa altare-monumento per ricordare le vittime degli incidenti sul lavoro

 

   Un volto. Una speranza. Un salto nel buio. Un affetto estirpato. Un ricordo bagnato da amare lacrime. Riecheggiano ancora, come taglienti lame, le parole del brano musicale, “Stasera torno prima”, una storia d’amore, ma anche una storia operaia, che la cantautrice Mariella Nava ha voluto donare, qualche anno fa, all’Associazione nazionale invalidi e rnutilati del lavoro (ANIML). Un gesto contro le cosiddette morti bianche.

   Un impegno quello dell’ANIML, volto a tutelare le vittime degli infortuni sul lavoro e dello loro famiglie che passa anche attraverso la sensibilizzazione. non solo di istituzioni e politica. ma anche della società tutta. E succede, talora, che in questo cammino si incontri qualcuno, spinto nella stessa direzione, contraddistinto dalla stessa sensibilità e dallo stesso spirito di solidarietà.

   E’ il caso del Maestro Franco Cilia che ha voluto “donare” alla Città di Ragusa un altare-monumento, posto in Viale del Fante, di fronte all’Amministrazione provinciale del capoluogo ibleo, appositamente pensato e realizzato per ricordare II dramma di chi ogni giorno affronta, e purtroppo non sempre supera, gravi rischi sul posto di lavoro.

   Alla cerimonia inaugurale, tenutasi in presenza del vertici politico-istituzionali, è intervenuto un nutrito gruppo di responsabili dell’ANIML (Vincenzo Carbone, Presidente Provinciale Angelo Ignoti, Vice Presidente Nazionale: Antonio Majorana, Presidente Regionale), Giovanni Asaro (Direttore Regionale INA1L). Franco Antoci (Presidente Provincia Regionale di Ragusa), Nello Dipasquale (Sindaco di Ragusa). “Ragusa non dimentica i suoi figli”, ha cosi esordito S. E. Monsignore Paolo Urso, Vescovo di Ragusa, nel momento di preghiera che ha accompagnato la cerimonia di benedizione.

   I responsabili dell’ANIML, nel corso del loro intervento, hanno ribadito con forza l’importanza di quanto realizzato dal Maestro Franco Cilia. ponendo l’accento non solo sul valore che assume l’altare-monumento per tutta Ia comunità iblea ma anche per la stessa Associazione. Ciò rappresenta “la prova che la sofferenza delle vittime del lavoro e delle loro famiglie è finalmente sentita come un problema serio, attuale, dalla sconvolgente drammaticità, e non solo dagli operatori del settore, ma da tutti coloro che hanno viva una coscienza sociale”.

   Si tratta di un’opera d’arte che ancora una volta contraddistingue Franco Cilia, maestro delle arti figurative, fine scultore la cui arte sprigiona un “fascino misto ad inquietudine”. Così si esprime Mario Luzi, nel lontano 1977, sottolineando come Cilia riempie il paesaggio in ogni sua componente “attraverso le immagini della sua pittura e nello stesso tempo attraverso le pietre che le montagne attorno alla sua città iblea gli fanno trovare”. Sono proprio le pietre, parte preponderante e da contorno, dell’altare-monumento a rappresentare il testimone stabile, l’elemento primitivo oltre cui l’obbiettività non può spingersi. Le pietre sono figlie della terra. E sono proprio le pietre a ricordare i figli della terra iblea vittime di incidenti sul lavoro. Pietre che Cilia dipinge di rosso: di un rosso che sia gradito, quasi assaporato, dalle pietre stese. Un rosso che richiami la linfa vitale di chi ha perso Ia vita sulla nuda terra.

   Ma come rendere visibile l’anima di chi non ce più? Cilia ha cercato di rendere visibile quell’impalpabile tenue presenza di chi non c’è più attraverso una croce, che riporta al Calvario e che sovrasta l’Altare-Monumento. Una croce che plana, che accarezza, che sfiora le pietre stese, proiettando Ia sua ombra come velo di amabile respiro. Sagome antropomorfe si trovano attorno all’Altare, figure esili di fredde anime innocenti che si proiettano verso il cielo alla ricerca di quel soffio. di quella forza indecifrabile che cammina sulle ali del vento (ruach) e fa dei venti i suoi messaggeri” (Sal 104,4).

   La cerimonia inaugurale, patrocinata dall’Amministrazione Comunale di Ragusa, è stata impreziosita dalla rappresentazione scenica “II Richiamo dell’Anima”, performance della danzatrice Emanuela Curcio e degli allievi del Centro Culturale MASD di Ragusa. Le musiche sono state curate dal Maestro Peppe Arezzo, la coreografia da Emanuela Curcio, mentre il testo, voce narrante e regia sono state affidate al Maestro Franco Cilia.

   Accanto all’Altare-Monumento una grande stele, composta da diversi pannelli, su cui sono riportati, a imperitura memoria, i nominativi di tutti i figli del territorio ibleo che hanno perso la vita negli ultimi decenni a seguito di incidenti sul posto di lavoro, dove le misure di sicurezza, talora, sono poco applicate.

 

 

Antibiotici: impariamo ad usarli

 

Aumenta la ”resistenza” dei microrganismi agli antibiotici, tanto da limitarne o, in taluni casi, azzerare l’efficacia. Si instaura così il fenomeno dell’antibiotico-resistenza causato dall’uso sproporzionato e, a volte, inappropriato di antibiotici. Ciò comporta la presenza, sempre più numerosa, di pazienti affetti da infezioni provocate da batteri resistenti a più farmaci contro le quali gli antibiotici efficaci sono molto limitati o non ci sono affatto.

E’ quanto recentemente diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità. I dati pubblicati, che si riferiscono al 2010, mostrano come la resistenza agli antibiotici, da parte dei microrganismi, stia aumentando. Dal monitoraggio dell’uso dei farmaci antibiotici nelle regioni italiane emerge un consumo abbastanza elevato. Tra le prime cause di prescrizione di un farmaco vi sono le infezioni delle prime vie aeree respiratorie, generalmente sostenute da virus in cui l’antibiotico non ha nessuna efficacia.

E’, pertanto, necessario instaurare un processo di riflessione e consapevolezza tra gli operatori sanitari sull’uso prudente di antibiotici.

Ma quali sono i punti critici nell’uso degli antibiotici nella pratica clinica e, in particolare, nelle corsie ospedaliere? Abbiamo girato la domanda al dottor Salvo Figura, già medico anestesista rianimatore presso un nosocomio ibleo.

«Innanzi tutto, mi corre l'obbligo precisare che le corsie ospedaliere non sono luoghi in cui si fa abuso di antibiotici o si somministrano in maniera inadeguata. E' però necessario porre la massima attenzione sul fatto che nelle corsie ospedaliere, proprio perché vi è la presenza di pazienti portatori delle più differenti specie di infezioni batteriche, si selezionano, purtroppo, ceppi di batteri resistenti. I batteri, dunque, essendo degli organismi con una loro organizzazione di difesa, tendono a trasmettersi tra di loro alcune informazioni di resistenza. Ecco perché le infezioni ospedaliere sono le più complicate da sconfiggere. E’, piuttosto, nel rapporto tra paziente e medico di famiglia che si riscontra una inadeguatezza nella gestione di tali farmaci. Quante volte osserviamo persone uscire dalle farmacie con un gran quantitativo di farmaci, tra cui gli antibiotici? Un altro luogo comune, difficile da sfatare, è quello che, secondo l'utente, l’antibiotico debba essere sempre e comunque prescritto dal proprio medico di famiglia! Su questo è necessario impostare una corretta educazione sanitaria».

I bambini sono il gruppo di popolazione più esposto agli antibiotici per l’elevata frequenza di comuni infezioni delle alte vie respiratorie nei primi anni di vita, conseguenza anche dell’aumentato ricorso a strutture di accoglimento diurno (nidi, scuole materne), ove queste infezioni si trasmettono facilmente. Cosa si può consigliare alle mamme?

«Insieme ai bambini, includerei anche gli anziani, a domicilio o nelle comunità di riposo. Anche in questo caso è importante ribadire il concetto di educazione sanitaria. E’ oramai una prassi errata e, purtroppo, consolidata quella di associare all’antifebbrile anche l’antibiotico cosiddetto “di copertura”. Nelle infezioni virali, responsabili di molte malattie delle prime vie aeree, l’antibiotico è del tutto inefficace, essendo i virus delle strutture differenti dai batteri. Una raccomandazione: in presenza di febbre che non tende a modificarsi nei primi due giorni e che invece tende a provocare chiari segni di interessamento polmonare, chiamare il medico che valuterà la terapia più appropriata».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

FEBBRAIO 2012

 

 

Evasione fiscale: è possibile combatterla

 

Tempo di crisi, ma anche di manovre economiche. La problematica relativa all’evasione fiscale torna ad essere molto dibattuta. In queste ultime settimane l’attenzione mediatica si è rivolta ai controlli effettuati dagli operatori dell’Agenzia delle Entrate e dei reparti specializzati delle Fiamme Gialle in alcune città. Attorno all’evasione fiscale gravitano cifre enormi. Ma che cosa si intende per evasione fiscale? Questo termine indica tutti quei metodi volti a ridurre o eliminare il prelievo fiscale da parte dello Stato sul contribuente attraverso la violazione di specifiche norme fiscali da parte del cittadino, nella sua qualità di contribuente.

L’evasione avviene mediante operazioni di vendita effettuate senza emissione di fattura, ricevuta o scontrino fiscale (le cosiddette vendite “in nero”) oppure attraverso false dichiarazioni dei redditi con conseguente mancata o errata dichiarazione fiscale e successivo mancato versamento dell'imposta realmente dovuta. Tutto ciò contribuisce a far perdere allo Stato una parte considerevole delle entrate ad esso dovute e necessarie per coprire la spesa pubblica alimentando, in tal modo, il deficit pubblico nel bilancio dello Stato. Ma come si può arginare tale fenomeno? Semplificando, vi sono tre opinioni su come agire. C’è quella liberista, secondo cui è sufficiente ridurre le tasse per far emergere il sommerso. Quella giustizialista, secondo la quale si rendono necessari controlli ispettivi diffusi, e talora intrusivi, per consentire un recupero di quanto risulta “evaso” o in “nero”. E infine una terza che invoca, da un lato, una graduale ma decisa riduzione della pressione fiscale, e dall’altro un assorbimento di evasione e di sommerso sia tramite la crescita dell’economia sia attraverso un sistema premiante che renda conveniente per il cittadino-consumatore esigere le ricevute fiscali.

Finora sembra che lo scontro, in gran parte ideologico, sia stato tra gli assertori della prima e della seconda modalità.

Ma è possibile attuare la terza opzione? Abbiamo girato la domanda a Francesco Raniolo, docente di Scienza della politica, Politica comparata e Analisi delle politiche pubbliche, presso l’Università della Calabria.

«L’evasione costituisce una falla nel processo di costruzione dello Stato e della legalità. Un sistema preda dell’evasione fiscale non è solo debole sotto il profilo economico ma anche sotto quello dell’etica pubblica; è un sistema che non viene creduto dai cittadini, anzi, viene sistematicamente aggirato. L’evasione fiscale in Italia riproduce ancora il vecchio dualismo Nord-Sud. Da un’indagine ACLI pubblicata lo scorso settembre (Repubblica, 04/09/2011) è emerso che su ogni cento euro di imposta versata c’è una media di evasione pari al 38% in Italia, si attesta al 57% in Sicilia, mentre nel Centro e nel Nord troviamo valori inferiori ai 40 punti. In realtà, fenomeni di crisi della legalità fiscale non sono solo il frutto di una cultura particolaristica (retaggio di un passato pre-moderno), ma riflettono anche gli esiti di sistemi di scambio politico intercategoriali volti a produrre consenso. Nelle società avanzate una certa “resistenza fiscale” o lo sviluppo di “attività economiche sommerse” riflettono anche delle reazioni alla presenza eccessiva dello Stato nell’economia e nella società. In Germania negli anni ’80 si parlava di “democratizzazione della resistenza fiscale” per indicare le reazioni all’eccesso delle pressioni tributarie dello Stato. In paesi, come l’Italia, in realtà, il problema è stato in gran parte l’opposto: uno stato debole a fronte di gruppi e categorie sociali forti, in grado di rivendicare con successo spazi di “immunità” fiscale».

Relativamente alla enormità di informazioni che tali procedure implicano, avuto anche riguardo alla privacy, e al controllo di dati, affidati a sempre più fonti e quindi messi in non poche e sempre crescenti mani, che si sta trasformando da statico (so che possiedi un’auto o una barca) a dinamico (so come usi quel bene), si è proprio sicuri che per recuperare l’evasione di taluni (obiettivo più che giusto) sia necessario e opportuno rinunciare al privato di tutti?

«Il settore fiscale è così complicato da produrre un allontanamento quasi istintivo del cittadino e la conseguente esigenza di affidarsi all’intermediazione tecnico-professionale ed amministrativa. Il cittadino entra in relazione con l’Amministrazione attraverso il consulente, il tributarista, l’avvocato. Su questa base si sovrappone lo sviluppo di una moltiplicazione di regolazioni che investono con sempre maggiore estensione la vita del cittadino. La sua stessa privacy è costantemente insediata dalle domande di tutela e garanzia. Le debolezze delle politiche regolative producono più regolazione e quanto più questa è percepita come esterna tanto più e vista come frustrante».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MARZO 2012

 

 

E’ allarme antibiotici

Allo studio le resistenze dei microrganismi patogeni nei confronti dei vecchi prodotti

 

Aumenta la ”resistenza” dei microrganismi agli antibiotici, tanto da limitarne o, in taluni casi, azzerare l’efficacia. Si instaura così il fenomeno dell’antibiotico-resistenza causato dall’uso sproporzionato e, a volte, inappropriato di antibiotici. Ciò comporta la presenza, sempre più numerosa, di pazienti affetti da infezioni provocate da batteri resistenti a più farmaci contro le quali gli antibiotici efficaci sono molto limitati o non ci sono affatto.

E’ quanto recentemente diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità. I dati pubblicati, che si riferiscono al 2010, mostrano come la resistenza agli antibiotici, da parte dei microrganismi, stia aumentando. Il monitoraggio sull’uso dei farmaci antibiotici nelle regioni italiane ha fatto emergere un consumo caratterizzato da un livello particolarmente elevato. Tra le prime cause di prescrizione di un farmaco vi sono le infezioni delle prime vie aeree respiratorie, generalmente sostenute da virus in cui l’antibiotico non ha nessuna efficacia.

E’, pertanto, necessario instaurare un processo di riflessione e consapevolezza tra gli operatori sanitari sull’uso prudente di antibiotici.

Ma quali sono i punti critici nell’uso degli antibiotici nella pratica clinica e, in particolare, nelle corsie ospedaliere? Abbiamo girato la domanda al dottor Salvo Figura, già medico anestesista rianimatore presso un nosocomio ibleo. «Innanzi tutto è necessario precisare che le corsie ospedaliere non sono i luoghi in cui si fa abuso di antibiotici o si somministrano in maniera inadeguata. Nelle corsie ospedaliere si selezionano, purtroppo, ceppi di batteri resistenti, poiché sono delle comunità in cui convivono “gomito a gomito” pazienti portatori delle più differenti specie di infezioni batteriche. I batteri, dunque, essendo degli organismi con una loro organizzazione di difesa, si trasmettono tra di loro alcune informazioni di resistenza. Ecco perché le infezioni ospedaliere sono le più complicate da debellare. E’ nella medicina generale piuttosto che si riscontra una inadeguatezza o un abuso nella gestione di tali potenti e utilissimi farmaci. Quante volte osserviamo persone uscire dalle farmacie con un gran quantitativo di farmaci, tra cui gli antibiotici? Infatti, un altro luogo comune, difficile da sfatare, è quello che, secondo l'utente, l’antibiotico debba essere sempre e comunque prescritto dal proprio  medico di famiglia! E se non lo fa, viene tacciato di ignoranza o scarso aggiornamento. E’ necessaria, pertanto, impostare una corretta educazione sanitaria a tutti i livelli, che abbia come obiettivo primario la strategia dell’antibiotico-terapia proprio per evitare l’insorgere di resistenze poi difficilissime da debellare».

I bambini sono il gruppo di popolazione più esposto agli antibiotici per l’elevata frequenza di comuni infezioni delle alte vie respiratorie nei primi anni di vita, conseguenza anche dell’aumentato ricorso a strutture di accoglimento diurno (nidi, scuole materne), ove queste infezioni si trasmettono facilmente. Cosa si può consigliare alle mamme? «Insieme ai bambini, includerei anche gli anziani, a domicilio, o nelle comunità di riposo. Anche in questo caso è importante, e va ribadito, il concetto di educazione sanitaria. E’ oramai una prassi errata e, purtroppo, consolidata quella di associare all’antifebbrile anche l’antibiotico cosiddetto “di copertura”.  Prassi difficile da eradicare, dovuta anche alla “paura” del medico che possa svilupparsi un’infezione “opportunista” insieme a quella principale spesso di origine solo virale, e per la “moda” dell’automedicazione, è quella per cui mamme o tutori somministrano il primo antibiotico che si trovano in casa senza avere prima consultato il medico. Nelle infezioni virali, responsabili del novanta per cento delle malattie delle prime vie aeree, l’antibiotico è del tutto inefficace, essendo i virus delle strutture del tutto differenti dai batteri. La loro somministrazione in questi casi è del tutto priva di efficacia se non, addirittura, dannosa perché seleziona dei ceppi di batteri resistenti che poi, allora sì, diventano pericolosissimi per la salute del bambino o dell'anziano. La raccomandazione, dunque, è sempre una: in presenza di febbre che non tende a modificarsi nei primi due giorni e che invece tende a provocare chiari segni di interessamento polmonare, chiamare il medico che saprà se e quale antibiotico somministrare. Il medico non è mai uno sprovveduto e saprà bene come comportarsi in tali frangenti. I suoi studi e la sua esperienza lo rendono qualificato per questo compito».

 

Giuseppe Nativo

 

 

APRILE 2012

 

 

Di Vita commemorato all’Accademia dei Lincei

Manifestazioni a Roma per ricordare l’archeologo chiaramontano “papà” di Camarina

 

   Archeologo chiaramontano, venuto a mancare lo scorso ottobre dopo ottantacinque primavere, Antonino Di Vita è stato un illuminato ricercatore e studioso nonché soprintendente alle Antichità e Belle arti. Ha insegnato presso le Università di Palermo, Perugia e Macerata, di cui è prima stato preside della Facoltà di Lettere e poi Rettore dal 1974 al 1977. Ha diretto la Scuola Archeologica Italiana di Atene dal 1977 al 2000. La sua intensa ed instancabile attività di archeologo ha rappresentato il punto di partenza per ulteriori ricerche e missioni di scavi in Italia e all'estero. A lui si devono molte campagne di scavi nel sito archeologico di Camarina, a cominciare dal 1958. Non a caso è stato considerato il “padre” della Città Stato di Camarina.

   Ed è proprio per la “sua” Camarina che nel 2010 ha lanciato un appello, di cui si è fatto portavoce il Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa, scrivendo un’accorata lettera alle autorità iblee affinché prendessero consapevolezza dei problemi riguardanti il danneggiamento dell'area archeologica di Camarina, a causa dell'erosione subita dalla costa: “E’ con la più viva preoccupazione che sento da Giovanni Distefano delle condizioni di estremo pericolo cui si vengono a trovare le mura lungomare di Camarina... L’acqua lambisce i resti di quella torre di V secolo a. C. a picco sulla foce dell’Ippari (raro esempio di una torre di età classica in Sicilia) che nel 1958 potei individuare e scavare nell’ambito di quelle ricerche con le quali mi fu possibile sfatare la convinzione che di Camarina greca i Romani non avessero lasciato pietra su pietra”. Di Vita scrive con il cuore in mano citando Camarina come “una delle antiche città siceliote meglio conosciuta e assai visitata, grazie all’opera della professoressa Pelagatti prima e del dott. Distefano poi, che hanno dato nerbo e hanno esteso i miei limitatissimi saggi. Sarebbe davvero una grave iattura vedere crollare in mare le mura di Camarina conservatesi per 2500 anni...”.

   Di Vita ha compiuto i suoi studi in Sicilia, terra in cui ha iniziato la lunga carriera. Per anni ha operato in Grecia e di recente era tornato a vivere in Italia. E’ stato uno dei pochi archeologici italiani che ha alternato l'insegnamento universitario con l'attività di funzionario nelle Soprintendenze siciliane. Ma non solo. Di Vita è stato membro di numerose accademie italiane, tra cui l’Accademia nazionale dei Lincei di Roma dove è stato commemorato il 9 marzo scorso dal Socio nazionale Linceo professore Nicola Bonacasa, uno dei massimi esperti di archeologia del Mediterraneo. Nel corso della giornata successiva, presso la sala conferenze del Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini” di Roma, si è tenuto il ricordo del professore Di Vita. Presenti numerosi amici e studiosi (tra gli interventi programmati: Vincenzo La Rosa, Nicola Bonacasa, Gianfranco Paci, Elena Lattanzi, Maria Letizia Lazzarini), i quali hanno voluto portare una testimonianza personale sulla figura del compianto Di Vita tracciando la sua articolata carriera non solo come docente ed archeologo di punta, ma anche come organizzatore di cultura e sottolineando, altresì, le sue doti di ricercatore, la sua profondità umana nonché la sua inesauribile affabulazione.

   “Nell’opera di Nino Di Vita – ha commentato il professore Bonacasa, ricordando il suo intervento in occasione del simposio tenutosi, in onore dell’archeologo, a Ragusa nel febbraio del 1998 – la Sicilia appare come metafora di un mondo vitale e mai perduto, solo qualche volta rifiutato, e costantemente desiderato. Ed è al limite della confessione il rimpianto mai sopito degli scavi e della provincia ragusana, lasciati da Di Vita alla volta di Perugia e di Roma e poi della Libia, un rimpianto cocente che ha continuato ad attanagliare l’Autore per lunghi anni, come ha scritto nell’accattivante nota personale dedicata, nel 1995, a “Camarina rivisitata”, una sua legittima introduzione alla Guida del Museo Archeologico. La sua condizione di testimone – e mi riferisco, in particolare, alle pagine struggenti, anch’esse del 1995, di “Ricordando Ragusa” – gli permette di elevare il tono del ricordo giovanile, percorso da virile malinconia, al rango di memoria collettiva”. Bonacasa, poi, rifacendosi al suo discorso commemorativo tenuto a Licodia Eubea a Palazzo Municipale, a pochi giorni dalla scomparsa di Antonino Di Vita, ha concluso: “Nessuno conosce a fondo, come io lo conosco, il cerchio della sua complessa, e responsabile ed a volte dolorosa vicenda terrestre. E perciò, tocca a me il compito di ricordare la grande maturità della sua intelligenza... Per due volte l’ho salutato come un Ulisside, a Ragusa ed a Creta, a Iraklion. Ora che il suo lungo viaggio è concluso lo saluto ancora una volta in quanto è ritornato nella sua Isola, che è la sua Itaca, che è il suo approdo finale, per riposare in pace tra le forti pietre della roccia di Licodia e lo stormire lento e triste degli ulivi della sua Chiaramonte”.

   “Di Vita è stato un profeta ed un precursore della battaglia volta a difendere il centro storico di Ragusa antica e moderna perché è stato il primo a chiedere, già nel 1967, sulle pagine di un quotidiano siciliano, la emanazione di una legge speciale”, commenta Giorgio Chessari (presidente del Centro Studi “Feliciano Rossitto”), presente a Roma nel corso delle due giornate commemorative su Di Vita, la cui amicizia risale sin dagli anni ‘70 del secolo scorso.

   Una delle ultime fatiche che stava per intraprendere è la preparazione per la stampa del libro sulla necropoli di contrada Rito, relativa alla presenza dei Greci a Ragusa in età arcaica. Di tale pubblicazione si farà carico il Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa nell’ambito delle iniziative volte a promuovere e far conoscere il patrimonio archeologico del territorio ibleo.

   Manifestazioni di affetto e riconoscenza sono state recentemente tributate dalla città di Chiaramonte Gulfi (Rg) al compianto Di Vita mediante una giornata di studi sul tema “Antonino Di Vita l’uomo e l’opera” in cui sono intervenuti numerosi gli amici e gli archeologi (i professori Vincenzo La Rosa, Giovanni Di Stefano, Nicola Bonacasa, Maria Antonietta Rizzo; on. Giorgio Chessari e il sindaco di Chiaramonte Gulfi, Avv. Giuseppe Nicastro) e nel corso della quale si è proceduto alla scopertura della lapide commemorativa ed intitolazione della via (già Roma).

 

 

 

 

Il segno della gioia: le campane

 

Per secoli la Pasqua è stata la festa più importante della cristianità in quanto ricorda i due episodi su cui si fonda la nostra salvezza: la Passione e la Resurrezione di Cristo. Oggi, però, sembra che sia la festa religiosa più secolarizzata. Il Natale, talora ridotto a un’esaltazione del consumismo, mantiene tracce del suo significato originario: non tanto la gioia per la nascita di Gesù, ma un generico senso di bontà e qualche atto di carità (quasi sempre modesto) ricordano la sua origine cristiana. E anche se i regali ai bambini non sono più un meritato premio, ma un indiscutibile diritto, qualcosa della tradizionale aspirazione a essere buoni e a occuparsi della famiglia è rimasto.

Il complesso e profondo significato religioso della Settimana Santa e di Pasqua sono invece più difficilmente traducibili in comportamenti generici, e così questa festa si è sempre più secolarizzata, diventando soprattutto occasione di vacanza, non di rado anticipo delle ferie estive per chi può, qualche giorno tranquillo per andare al cinema e mangiare bene con gli amici. La benedizione delle uova che un tempo rappresentava consacrazione e augurio per la nuova stagione, i nuovi animali e i nuovi raccolti, si è tramutata nel mercato delle uova di cioccolata, che riguarda quasi esclusivamente i bambini. E anche per loro il significato si è attenuato: ormai le uova con sorpresa sono diventate un prodotto quotidiano, non più legato a questa scadenza. Viene da pensare che molti giovani non sanno neppure più quale sia il significato di questa festa o ne conservano un’idea piuttosto confusa.

Del resto, anche quello che era il sogno pubblico della gioia pasquale, cioè il suono prolungato e festoso delle campane che annunciano la Resurrezione, non si sente più. In molte chiese, infatti, le campane sono sostituite da registrazioni, spesso programmate elettronicamente. Ciò risulta più pratico ed economico delle campane, e permette di non pagare campanari, e, perché no, anche di abolire i campanili, spesso utili solo come sostegno di antenne. O addirittura, nella giungla urbana di rumori le campane sono considerate elemento di disturbo e per tale motivo sono state zittite del tutto. Ma per la comunità cristiana la fine delle campane non è un avvenimento secondario. Al contrario, si può parlare di una vera e propria morte di un protagonista della vita cristiana, perché si riteneva che le campane fossero dotate quasi di personalità propria: dopo la costruzione, venivano “battezzate”, al loro interno era incisa una scritta beneaugurante ed erano considerate protettrici della comunità. Si credeva, infatti, che il suono delle campane potesse disperdere le tempeste e, più in generale, era il solo mezzo per dare l’allarme a tutta la comunità in caso di pericolo. E non solo. Le campane avevano un linguaggio: i rintocchi di festa, quelli quotidiani e quelli di lutto. Ogni rintocco aveva la propria voce, che i componenti della comunità riconoscevano fra le altre.

Il giorno di Pasqua si “slegavano” le campane per farle suonare gioiose e proclamare l’Exultet che è forse il più lirico e il più bello dei canti della liturgia cristiana.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MAGGIO 2012

 

 

“Concerto di poesia” alla biblioteca civica di Ragusa

con Giovanni Occhipinti e Grazia Dormiente

 

Viaggio poetico tra letteratura e vita

 

 

Un viaggio nel tempo, attraverso il verso e con il verso, sulle ali della poesia dolcemente accarezzata dalla musica in uno spazio senza geografia dove le vibrazioni impregnano l’aria con molecole di ricordi e dove le intime emozioni al fare poesia conferiscono forza di narrazione. Versi e musica sono stati i due elementi essenziali in continuo intreccio, quasi in mutua simbiosi, artefici della magica atmosfera che ha recentemente pervaso la sala conferenza della biblioteca comunale del capoluogo ibleo.

Si tratta del terzo appuntamento della prima edizione della rassegna d’arte e letteratura al femminile promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Ragusa ed avente per tema il “Concerto di Poesia”. Accanto a Sonia Migliore, assessore alle politiche culturali, ed alla giornalista Isabella Papiro, cui è stata affidata l’introduzione della splendida serata e la lettura di alcune poesie magistralmente tratteggiate dal vibrante commento musicale del maestro Giacomo Schembari, protagonisti della serata sono stati Giovanni Occhipinti e Grazia Dormiente.

Circa quarant’anni di poesia, contraddistinguono l’esperienza letteraria di Giovanni Occhipinti, nato a Santa Croce Camerina (Rg), fondatore di riviste letterarie nonché finissimo narratore e saggista. La sua lunga avventura di poesia gli ha dato la possibilità di essere parte attiva in quel “frastagliato e contraddittorio panorama letterario del secondo Novecento”, come più volte evidenziato da non pochi critici letterari. Pochi, infatti, come Occhipinti hanno attraversato quella stagione della letteratura in cui si sono alternati gruppi, movimenti, riviste e tendenze di ogni ordine e provenienza. Lo ha fatto cogliendo fermenti nuovi e inquadrando criticamente quelli effimeri o superficiali con la passione della sua scrittura “ardente e dolente allo stesso tempo” e dove “squarci di vita vissuta, fantasie, giochi letterari” diventano ricchi di spunti e riflessioni. La sua è una narrativa in perenne movimento in cui il passaggio dal tono divertito a quello affabulante e a quello drammatico dimostra duttilità tematica e formale. E ancora, nella poesia di Giovanni Occhipinti emerge una “forte tensione etica ed esistenziale”, “un incontro tra carne e spirito in cui le due linee di sentimento e di pensiero si intrecciano e si rincorrono fino a gettare affascinanti bagliori l’una sull’altra”.

Grazie Dormiente, modicana di origine ma residente a Pozzallo, etnologa di chiara fama, è stimatissima proprio per il rigore e la puntualità dei suoi lavori sia creativi, sia saggistici. Una vita dedicata alle ricerche e alla poesia tale da legittimare un estemporaneo confronto della incessante e preziosa operatività della Dormiente con quella propria delle laboriose api, di cui fornisce con magica empatia poetica l’alfabeto di fedeltà, alla loro missione di “Nomadi nutrici / non negano / nettarifero nutrimento / né nascondono / nascenti ninfe…”.

La biblioteca civica si è rivelata, pertanto, luogo di incontro con la poesia in un affascinante confronto tra il poeta e scrittore, Occhipinti, e la poetessa studiosa di arti, storia e tradizioni popolari, Grazia Dormiente. Ne è venuta fuori un’atmosfera affabulante che ha incantato non poco il folto pubblico presente in sala. L’incontro ha puntato la propria attenzione sull’emozione che i versi sono in grado di regalare a chi è capace di individuarne il ritmo. Attraverso la lettura di poesie da parte della giornalista Isabella Papiro e la preziosa e magistrale guida critica di Occhipinti, si è passati dall’interpretazione di poesie classiche che hanno attraversato la storia del mondo, a partire da Saffo (poetessa greca di Lesbo vissuta tra il settimo ed il sesto secolo a. C.), sino alla poesia contemporanea di Alda Merini, annoverata tra le maggiori voci poetiche del Novecento, personaggio trasgressivo e commovente, la cui lirica, ricca di contenuti ossimorici, si spinge a cantare il mondo infinitamente umano dei “matti”, mentre la comunicazione televisiva degli ultimi anni ha avuto un ruolo nel rendere “familiare” la figura della Merini, quasi a compensare gli abissi di sofferenza e di solitudine che hanno attraversato la vita della poetessa.

“Un banchetto poetico – ha sottolineato Grazia Dormiente - un viaggio culturale che esula dai soliti itinerari e da cui emergono parole che non possono morire, segni di un linguaggio che ci narra il mistero del nostro essere del mondo e nel mondo”.

Una serata dunque all’insegna di quel sottile indirizzo umano tra letteratura e vita. “La poesia è il nostro respiro di vita”, ha concluso l’assessore Sonia Migliore aggiungendo che “questo respiro le nostre donne, ma anche gli uomini, illustri stanno cercando di trasmetterlo a chi segue con attenzione i vari incontri della rassegna che abbiamo organizzato con tanta cura e attenzione”.

 

 

 

 

 

Euro, attenti alle falsificazioni

 

Dieci anni fa l’euro, dopo un breve periodo di transizione, viene introdotto negli Stati membri dell’Unione Europea. Il primo marzo del 2002 in Italia la nuova moneta unica diviene il solo strumento possibile per pagamenti e transazioni. Uno strumento volto ad unire diversi popoli e fornire un linguaggio univoco tra i cittadini europei per facilitare gli scambi commerciali, favorire le transazioni economiche eliminando lebarriere tra gli Stati. Una moneta unica, dunque, che necessita una forte e decisa protezione da chi mira a falsificarla per alimentare la cultura dell’illegalità e trarvi illecito vantaggio.

Nel 2011, decennale dell’introduzione dell’euro, sono state ritirate dalla circolazione oltre ottantamila banconote e circa quarantacinquemila monete metalliche. Le segnalazioni di sospetti casi di falsità hanno subito una flessione, rispetto al 2010, di circa l’otto per cento. Il taglio più “copiato” è stato quello di 20 euro. Quelle invece che hanno avuto meno riproduzioni (illegali) sono state le banconote da 500 euro e da cinque euro. Tra le monete è stata quella da un euro la più falsificata.

Sono alcuni dei dati emersi dal “Rapporto sulla falsificazione dell'euro” diffuso a gennaio scorso dall'Ufficio Centrale Antifrode dei Mezzi di Pagamento del Dipartimento del Tesoro. Riguardo alle aree geografiche, l’elaborato mostra una maggior concentrazione di banconote e monete ritirate nelle regioni del Nord, mentre nel Sud e nelle Isole i verbali per sospetto di falsità si sono attestati a percentuali tutto sommato basse rispetto ad altre zone del Paese.

Ma come difendersi dalle falsificazioni? Le banconote in euro sono dotate di non poche caratteristiche di sicurezza che aiutano a verificarne, con un po’ di attenzione, l’autenticità. Innanzi tutto, speciali tecniche di stampa conferiscono ai biglietti una particolare consistenza caratterizzata anche dalla presenza di segni in rilievo facilmente percepibili con i polpastrelli anche dai non vedenti; guardando una banconota in controluce si può rilevare il disegno in trasparenza (filigrana), il filo di sicurezza e il numero. Tali peculiarità sono riscontrabili su entrambi i lati dei biglietti autentici. Se si muove la banconota si vedrà cambiare l’immagine dell’ologramma posto sul fronte del biglietto. Infine, sul retro invece è possibile osservare, a seconda dei tagli, la striscia brillante o il numero di colore cangiante.

 

 

 

 

Un sostegno a chi ha perso la speranza

 

E’ un desiderio. Ma è anche volontà. Volontà condita con una buona dose di impegno. Volontà di essere di sostegno a chi è in difficoltà, a chi necessita di essere ascoltato. Insomma un segno concreto verso chi ha perso il significato di speranza. E la speranza è un dono che deve essere costruito giorno dopo giorno.

Tutto ciò, in estrema sintesi, è quello che si prefigge il Centro diocesano di aiuto alla vita che opera nel capoluogo ibleo. Il Centro nasce dal progetto di Padre Salvatore Tumino (della Comunità “Eccomi, manda me”) che trova piena attuazione nel 2007 nell’ambito dell’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia. La struttura offre un servizio di aiuto a donne e famiglie del territorio ragusano che si trovano in condizioni di disagio personale, economico e sociale. In particolare si propone di custodire e affermare la uguale dignità di ogni essere umano sin dal momento del concepimento. A tale proposito il Centro si prefigge come obiettivo anche quello di portare a conoscenza delle donne che chiedono di interrompere la gravidanza i progetti di aiuto alle madri. E’ anche su quest’ultimo obiettivo che il Centro pone la massima attenzione attraverso un gruppo di volontari e operatori con competenze in ambito medico e psicologico e avvalendosi degli specialisti del consultorio familiare di ispirazione cristiana. Ma qual è l’aiuto psicologico e spirituale che viene dato alle donne che desiderano superare il trauma dell’aborto? Abbiamo girato la domanda a Carlo Moltisanti, uno dei responsabili del Centro. «L’aiuto psicologico ruota su due fattori molto importanti quali l’accoglienza e ascolto empatico. A ciò segue la proposta di incontri con delle figure professionali, presenti nel Consultorio di Ragusa di ispirazione cristiana, che aiutano le donne a risalire dal trauma subìto dall’aborto. L’aiuto spirituale è dato dal servizio accompagnato da una preghiera costante e silenziosa fatta da noi volontari e dalle Suore del Carmelo di Ragusa il cui obiettivo si prefigge un cammino di guarigione interiore del cuore che aiuta la donna a riconciliarsi con Dio e con la sua creatura».

Donne nel silenzio delle loro angosce. E’ necessario ascoltare e quindi infondere fiducia non solo mediante fatti concreti ma anche attraverso la parola. Talora il silenzio non è l’opposto ma l’altra faccia della parola. Se parola e silenzio si integrano la comunicazione si rigenera. Come cercate di far rivivere, tramite la parola, l’esperienza religiosa molto spesso sopraffatta dal frastuono contemporaneo delle inquietudini? «E’ difficile, nel frastuono dell’inquietudine contemporanea, cercare di far rivivere tramite la parola l’esperienza religiosa. Ci viene in aiuto la nostra spiritualità che esalta il primo annuncio del messaggio cristiano “kèrigma” ovvero proclamare e annunciare Gesù che ama, come ci ricordano gli evangelisti Matteo e Luca. Anche il servizio attento e premuroso che noi volontari svolgiamo porta queste donne a degli interrogativi affinché nel loro cuore possa nascere il desiderio di ricercare la fede per fare esperienza dell’amore di Gesù».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

GIUGNO 2012

 

 

Arriva la bella stagione: tempo di mare, tempo di sole

Attenzione ai rischi delle abbronzature senza protezione

 

“Sapore di sale, sapore di mare

che hai sulla pelle, che hai sulle labbra…” (Gino Paoli, 1963)

 

Quanti brani musicali riecheggiano ancora nella mente di chi ha già oltrepassato gli “anta”! E’ in arrivo il sapore della bella stagione. Un sapore che sa di salsedine, di ricordi genuini ed ancora vivi nel cuore di quei giovani diciottenni di fine anni Sessanta

La spiaggia, gli spumeggianti spruzzi del mare saraceno che lambisce da sempre le coste della Sicilia sud-orientale invogliano a provare l’intima carezza di un sole accattivante, caldo e, nel contempo, “galeotto” di incontri galanti. E’ tempo di bagni ma anche di abbronzature, alla ricerca dell’ostentazione di una pelle scura per dimostrare di essere stati al mare. Prendere il sole sugli scogli di Marina di Ragusa (rinomata frazione balneare in provincia di Ragusa), di Punta Secca (simpatica frazione marittima nei pressi di Santa Croce Camerina-Rg, conosciuta anche per la fiction del commissario Montalbano), di Donnalucata (ridente frazione marinara di Scicli-Rg, città barocca degli iblei), di Marina di Modica (località balneare della città di Modica, antica capitale della Contea e sito Unesco dal 2002) o di Marina di Ispica (con la sua sabbia dorata e setosa) non è come abbronzarsi sui lettini di Rimini. Nell’assolata Sicilia basta poco per abbronzarsi più del dovuto.

L’abbronzatura è quel fenomeno per il quale la pelle diventa scura in seguito all’esposizione ai raggi ultravioletti (raggi a breve lunghezza d’onda) provenienti dalla luce solare. La superficie del corpo esposta al sole cambia colore per una reazione fotochimica: le radiazioni solari stimolano un maggior rilascio di un particolare pigmento cutaneo che fa assumere alla pelle un colore bruno-nero. Una esposizione graduale al sole consente di raggiungere un’adeguata abbronzatura senza incorrere nelle scottature. Quest’ultime sono le noti dolenti delle vacanze estive. A tale proposito sono state poste alcune domande al dott. Salvo Figura, già medico anestesista rianimatore presso un nosocomio ibleo.

Dottor Figura in estate si parla spesso di eritemi e scottature. Cosa sono e quando appaiono sulla pelle? L’eritema è un semplice arrossamento dello strato superficiale dell’epidermide che appare chiazzata a “macchia di leopardo” insieme ad un intenso prurito, dovuto a notevoli quantità di istamina ed altri mediatori chimici liberati dalle cellule a ciò preposte. I soggetti che presentano familiarità per malattie allergiche ne sono più colpiti. Poi arrivano le scottature solari, da eccessiva esposizione al sole, specie nelle ore in cui l’ozono non riesce a filtrare i raggi ultravioletti (UV-A ed UV-B). Le scottature possono arrivare ad interessare gli strati più profondi del derma col rischio che si formino delle vere cicatrici permanenti.

Nel periodo estivo c’è molto lavoro per i medici ospedalieri? I nostri Pronto Soccorso, sono spesso intasati in luglio e agosto da bagnanti che hanno ecceduto coi bagni sole o con le creme super abbronzanti che accelerano la tintarella ma anche le scottature.

Qual è la differenza tra “colpo di sole” e “colpo di calore”? Il colpo di sole avviene per effetto diretto del calore solare sulla teca cranica, calore che da qui diffonde all’interno provocando un edema cerebrale più o meno intenso con conseguenze disastrose. Nei reparti internistici si vedono con frequenza. Non molto tempo fa un grave caso di colpo di sole impegnò, per circa una settimana, lo staff del nostro reparto nella cura di un giovane rimastone colpito al punto che si richiese l’assistenza respiratoria e cure farmacologiche per scongiurare l’insorgenza di patologie gravi. Statisticamente si può affermare che casi analoghi al citato se ne verificano 1 o 2 l’anno. Il colpo di calore, molto più insidioso, si verifica quando il tasso di umidità dell’ambiente esterno, supera la capacità dell’organismo di espellere il sudore (quest’ultimo preposto al raffreddamento del corpo). Si suda finché percentualmente il nostro grado di umidità (il sudore) è superiore a quello dell’ambiente. Se ciò non avviene il corpo non riesce più a sudare con susseguente squilibrio delle percentuali di sodio e potassio presenti nel nostro corpo. Anche di questa patologia abbiamo avuto nella nostra Rianimazione un caso che poi si risolse con esito favorevole.

Un consiglio? Due semplici “armi” che possono aiutare moltissimo: il buon senso e l’uso di protezioni e precauzioni.

 

 

 

Celiachia, una molecola sconfiggerà l’intolleranza al glutine

 

   Una molecola chiamata “decaptide” che si trova presente nella frazione proteica di alcuni cereali, potrebbe riuscire a combattere la tossicità della gliadina, sostanza organica presente nelle farine di grano, segale e orzo, responsabile della celiachia, un’intolleranza alimentare permanente che colpisce un soggetto su cento nella popolazione generale. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato da Istituti di ricerca italiani e recentemente ripreso e diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità. Tale molecola sarebbe in grado di prevenire la tossicità della sostanza che provoca la celiachia. Ciò sarebbe emerso dall’analisi di vari modelli in vitro di malattia, compresa la coltura di mucosa intestinale di pazienti affetti da celiachia che riproduce i meccanismi di tossicità del glutine in vivo. Si potrebbe quindi ipotizzarne, qualora studi in vivo sul paziente ne confermassero l'azione protettiva, l’uso in terapia per consentire ai soggetti celiaci un normale consumo di glutine (complesso proteico presente nei cereali quali, ad esempio, frumento, segale, orzo, avena e, quindi, nel pane, pasta e biscotti) e garantire un miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

   Ma da un punto di vista psicologico qual è l’impatto emotivo che la celiachia ha sull’individuo e sul contesto familiare? Abbiamo girato la domanda alla dottoressa Maria Moschetto, referente del servizio di consulenza psicologica dell’Associazione italiana celiachia regione Sicilia.

   «La diagnosi di celiachia in genere traccia una linea di confine , segna un passaggio verso un nuovo stile di vita, coinvolgendo tanto il paziente quanto il suo contesto di appartenenza. E’ tipico e ‘fisiologico’ osservare un iniziale senso di smarrimento, un vissuto di disorientamento legato alla perdita delle abitudini alimentari. Ma non solo. Emerge anche una progressiva quanto imprevista ‘scoperta’ di un nuovo mondo ‘senza glutine’. I pazienti riferiscono di provare  tristezza e rabbia, emozioni associate alla inevitabile e non negoziabile “privazione” del glutine dal regime alimentare e alla protesta verso l’ingiustizia di cui si sentono vittime. Il sistema familiare, inoltre, gioca un ruolo cruciale in questa fase così delicata. Ogni famiglia assegna un significato simbolico diverso alla diagnosi. In genere si osservano delle riorganizzazioni di ruolo e funzioni e degli spostamenti nelle dinamiche. Il rapporto che la famiglia stabilisce con l’ambiente esterno (scolastico, lavorativo, sociale) è anch’esso significativo. E’ esemplificativo descrivere ciò che avviene quando è un bambino ad essere diagnosticato ‘celiaco’. Alcuni genitori si sentono in colpa, responsabili della malattia a causa della familiarità genetica. Altri ‘negano’ e migrano verso altri centri ‘all’avanguardia’; in altri i timori e le ansie circa il futuro del loro bambino portano a connotare lo sviluppo in termini di ‘normalità-patologia’, svalorizzandone l’unicità intrinseca ad ogni essere umano. Il controllo dell’alimentazione del bambino viene spesso esasperata in una insidiosa condizione di ‘ipercontrollo’che accresce il legame di dipendenza e ne limita le potenzialità evolutive».

   Nelle condizioni cliniche in cui l'evento celiachia rappresenta “l’ultima goccia che fa traboccare il vaso” allora la malattia e la dieta assumono una valenza singolare, che contribuiscono a perturbare equilibri già precari. In queste situazioni, in cui la sofferenza psicologica pre-esiste alla celiachia, affrontare il cambiamento richiede l'attivazione di risorse non disponibili da parte della persona?

   «Quando il disagio psicologico preesiste alla diagnosi di celiachia allora la ‘crisi’ è solitamente più intensa e le risorse interne dell’individuo per fronteggiare tale evento risultano, il più delle volte, inadeguate ed insufficienti. Le risorse vanno ricercate all’esterno al fine di raggiungere uno stato di benessere psicologico. A tale proposito cito il servizio di consulenza psicologica che offre l’Associazione Italiana Celiachia – Sicilia, al pari di altre sezioni regionali d’Italia, al fine di orientare i pazienti che manifestano analoghe problematiche verso i più efficaci trattamenti  terapeutici».

   La celiachia in ambito siciliano, quali le problematiche e, soprattutto, quali le prospettive alla luce delle recenti scoperte?

   «Dal mio vertice di osservazione non posso affermare che esistono delle problematiche peculiari. Registro, tuttavia, una grande aspettativa relativa alla ricerca scientifica e alle novità che, purtroppo, vengono enfatizzate e , talvolta, distorte dai media, circa imminenti ‘pillole’ e ‘vaccini’. In attesa di ulteriori sviluppi in questo ambito interessante, ma complesso, ritengo che l’unico rimedio efficace resti l’adesione alla dieta naturalmente priva di glutine».

 

 

 

Il sonno perduto dei ragazzi di oggi

Le statistiche dicono che si dorme un’ora meno

 

L’attività frenetica ricca di impegni lavorativi, incombenze varie che sfociano anche nel sociale, nello sport, e quant’altro possa riempire l’agenda quotidiana di ciascuno, fa sì che il ritmo diventi sempre più serrato. Si è sempre più orbitanti verso esigenze derivanti dalla informazione e comunicazione (televisione e internet) da togliere persino tempo al tempo, o meglio tempo al sonno. La notte è fatta per dormire, si diceva una volta. Oggi giorno, purtroppo, è sempre meno il tempo dedicato al sonno. Secondo una recente ricerca sembra che la notte dei bambini si sia ristretta di parecchi minuti rispetto a decenni or sono. Circa un secolo fa luce artificiale e libri erano accusati di disturbare il riposo dei bambini. Oggi i ragazzi tendono a dormire poco o comunque a non ottemperare al sano consiglio di dedicare alla notte una buona dose di sonno. Si tratta di un fenomeno che procede inesorabile pur cambiando le epoche. La colonizzazione del tempo notturno che un secolo fa era imputata ai libri, poi fu attribuita alla radio ed ora vede come accusati internet, telefonini e tv. Se si guarda all’interno delle fasce d’età, si scopre che a ridurre le ore di sonno sono soprattutto gli adolescenti (oltre sessanta minuti in meno tra i sedici e diciotto anni). Ma quanto influisce nella sfera psichica di ciascuno dormire di meno? Abbiamo girato la domanda a Tonino Solarino, psicologo e psicoterapeuta. «Il sonno, e in particolare la fase Rem (rapid eyes moviment, ovvero quella fase in cui si evidenzia il movimento degli occhi) correlata al momento in cui la persona sta sognando, ha una importante funzione riparativa delle cellule nervose. Dormire e sognare sono momenti fondamentali per recuperare serenità e funzionalità. Dormire è un po’ come andare dal meccanico per mettere al punto il motore, ripararlo, lubrificarlo. Sono innumerevoli gli esperimenti che dimostrano tutto ciò».

Nei primi del Novecento i medici raccomandavano che un bimbo di due anni dormisse sedici ore, oggi i consigli oscillano tra le undici e tredici ore. E mentre circa settanta anni fa per un ragazzino di cinque anni dodici ore erano ritenute ottimali, oggi ci si accontenta di circa undici ore. Mettendo insieme tutti i consigli del secolo, alcuni ricercatori hanno dimostrato che oltre al sonno effettivo, anche quello raccomandato è diminuito di circa settanta minuti.

Quante ore è necessario dormire? «Dire con certezza quanto tempo ha bisogno una persona di dormire lo sa la persona se ascoltare il suo corpo. E’ chiaro che il bisogno di dormire diminuisce con l'età.

E’ altrettanto evidente che nel contesto attuale caratterizzato dal mito della produttività e dall’elogio dell’iperattività una deriva possibile è togliere tempo al riposo. Non c'è da essere allegri se il dato statistico rileva che ai bambini abbiamo sottratto un'ora del loro sonno: iperagitazioni, aumento dei fenomeni di iperattività, aumento dello stress anche in questo contesto trovano una loro ipotesi interpretativa».

 

Giuseppe Nativo

 

 

LUGLIO 2012

 

 

 

 

Mantenersi in forma senza uscire da casa

 

Da recenti statistiche sembra emergere l’abitudine di allenarsi a casa per mantenersi regolarmente in forma e senza necessità di recarsi in palestra e trascinare con sé pesanti borsoni. Gli iscritti ai centri sportivi sarebbero diminuiti. La palestra “casalinga” sembra essere la soluzione più comoda e immediata per essere costante nell’esercizio. E non richiede nemmeno tanto spazio, in quanto gli attrezzi oggi sono sempre meno ingombranti, belli da vedere e capaci di trasformarsi in oggetti di arredamento. E non solo: sono sempre più tecnologici e versatili.

E’ in voga anche una nuova tendenza che è quella di trasformare l’esercizio fisico fatto in casa in un’esperienza sensoriale completa, capace di coinvolgere anche l’aspetto emozionale dell’esercizio stesso attraverso l’utilizzo, in camera, di appositi pannelli con richiami a paesaggi suggestivi, come il cielo, il sole, il mare.

Ma è necessario recarsi in palestra? In buona sostanza, fare esercizi fisici a casa, senza essere opportunamente seguiti da un istruttore, può nuocere al corpo? Abbiamo girato la domanda alla professoressa Claudia Gafà, già docente di attività motoria presso scuole medie superiori, responsabile di una nota struttura ragusana dotata di variegate attrezzature per attività fisiche. «La gente sta iniziando a non frequentare le palestre per scarsa professionalità delle stesse. Inoltre, c’è troppo affollamento in quanto si fa leva sulle necessità dell’individuo di aggregarsi e ponendo scarsa attenzione ai veri bisogni motori delle persone. Ancora non siamo nell’austerity così disastrosa da tagliare nelle famiglie le spese per la salute; solo quando la spesa diventa vanificata, a causa dell’aspettativa disattesa, il bilancio familiare la esclude dal necessario. Forse, con nostra approvazione, stanno finendo i tempi della superficialità, del commerciale fine a sé stesso, approfittando della fragilità della gente che desidera esserci a prescindere dalla qualità. I grossi centri hanno fatto il loro danno all’attività fisica rendendola un prodotto a buon mercato che non somiglia più davvero a niente se non un modo per ritrovarsi. L’unica positività sta nel fatto che il richiamare gente nel luogo dove si dovrebbe prestare attività fisica può formare un terreno fertile per la vera diffusione della pratica motoria».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

SETTEMBRE 2012

 

 

 

Scoperte nuove sostanze a base di selenio

 

Il selenio è un minerale con un ruolo importante nell’organismo e che prende parte a numerosi processi fisiologici. La carenza di selenio, se non si verifica in forma estrema, non provoca di per sé condizioni patologiche; tuttavia, può rendere l’organismo più suscettibile a malattie causate da altri stress di tipo alimentare, biochimico o infettivo. D’altra parte un apporto troppo elevato di selenio determina effetti avversi più facilmente rispetto ad altri elementi in traccia quali ferro, rame o zinco. Per tale ragione il limite tra le assunzioni necessarie a garantire un regolare funzionamento dell'organismo e quelle che determinano tossicità è breve.

Il selenio è parzialmente conosciuto in quanto in natura si trova in forme diverse, non tutte note, caratterizzate da proprietà anche molto diversificate. In tale ambito si inserisce la scoperta recentemente effettuata dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità e riguardante composti mai descritti finora che potrebbero portare a nuovi e rilevanti sviluppi per la salute umana.

Ma in che cosa consiste tale ricerca? Abbiamo girato la domanda a Francesco Cubadda, uno dei ricercatori del Dipartimento Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, che, unitamente ad altri colleghi francesi e indiani, ha descritto su una rivista specializzata le nuove sostanze battezzate “selenozuccheri”. «Abbiamo studiato frumento, mais e riso cresciuti in terreni naturalmente ricchi di selenio, concentrandoci sui composti contenuti nella granella, che si usa nell’alimentazione umana. Abbiamo così scoperto per la prima volta due monosaccaridi e due disaccaridi (zuccheri semplici, n.d.r.) contenenti selenio, e un nuovo “selenocomposto”, identificato per la prima volta nel riso». Tale ricerca ha una sua valenza in quanto apre ad ulteriori indagini sugli effetti nell’organismo umano e, in particolare sul metabolismo di questi composti, cioè sul complesso di trasformazioni chimiche che determinano il loro destino e le loro interazioni con l’organismo.

La ricerca nei cereali non è casuale in quanto rappresentano una delle fonti più importanti di selenio per l’alimentazione umana. Lo stesso gruppo di lavoro, infatti, ha già svolto numerosi studi sul selenio nei cereali e ha caratterizzato il frumento nazionale realizzando la prima mappatura del selenio presente nei suoli agricoli italiani in forma biodisponibile per le piante.

Tuttavia, oltre al livello di selenio è molto importante la sua speciazione, cioè le forme chimiche in cui l’elemento ricorre negli alimenti. «Le molecole nelle quali viene coniugato il selenio - spiega Cubadda - sono molto diverse per quanto riguarda gli effetti sull'organismo. Le forme inorganiche sono più difficili da assimilare e possono essere all'origine di squilibri pericolosi, mentre quelle organiche sono più adeguate a garantire il giusto apporto per l’organismo. I “selenozuccheri” sono composti organici e per questo la scoperta della loro esistenza nei vegetali potrebbe rivelarsi molto interessante».

Il selenio è coinvolto nella regolazione delle funzioni della tiroide e svolge un’azione antinfiammatoria e antiossidante. Per questo è molto importante mantenere un giusto livello nell’organismo. In caso di carenza è possibile assumere il selenio mancante attraverso integratori e cibi addizionati? «L’integratore più comune è il lievito di birra dove il selenio organico si ottiene facendo crescere il lievito in mezzi di coltura ricchi di selenio inorganico. In tal modo si giunge a un prodotto ricco in selenometionina, un composto subito biodisponibile per l'organismo. Purtroppo alcuni produttori di supplementi addizionano semplicemente selenio inorganico a lievito secco e vendono così integratori non soltanto privi della forma organica, ma contenenti quella inorganica, che può causare più facilmente accumuli pericolosi se non si rispettano le dosi raccomandate in etichetta. È quindi fondamentale avere garanzie sul tipo di selenio presente in una certa preparazione».

In sostituzione degli integratori si possono assumere le patate che sono alimenti ricchi di selenio? «Non ci sono studi convincenti in grado di dimostrare che questi alimenti garantiscano un apporto significativo, e poi si tratta di selenio idrosolubile che se le patate vengono bollite viene in gran parte perso durante la cottura».

Alte concentrazioni di selenio si trovano nell’aglio e cipolla dopo arricchimento del terreno con fertilizzanti al selenio. A tale proposito, non pochi studi e ricerche mostrano che in vitro i composti organici del selenio presenti in questi vegetali contengono sostanze che posseggono una forte azione antitumorale.

 

Giuseppe Nativo

 

 

OTTOBRE 2012

 

 

Eremitismo in territorio ibleo, tra storia e religione

Importante convegno presso la Basilica di San Foca in Priolo Gagallo (Sr)

 

   Nella splendida cornice del giardino archeologico della Basilica di San Foca, in Priolo Gargallo (Sr), si è tenuto il secondo convegno storico-religioso, patrocinato dalla biblioteca arcivescovile di Siracusa “Alagoniana”. Il direttore, monsignoreGiuseppe Greco, coordinatore dell’interessante incontro culturale, ha presentato il sito della Basilica di San Foca che rappresenta la memoria storica del primo cristianesimo siracusano.

   La basilica paleocristiana di San Foca si rivela come uno dei più importanti siti di interesse artistico-culturale di Priolo Gargallo, cittadina posta alle falde dei monti Climiti, a metà strada tra Augusta e Siracusa. Notevoli sono le testimonianze archeologiche risalenti agli albori del Cristianesimo. In tale contesto ben si inserisce la chiesa di San Foca il cui impianto originario sembra risalire al quarto secolo dopo Cristo. E’ dedicata ad un santo orientale, Foca, “l’ortolano martire” che svolgeva la sua attività lavorativa a Sinope, cittadina portuale ubicata sul Mar Nero nella punta più settentrionale dell’Anatolia. Vissuto tra il primo e secondo secolo era molto stimato per la sua ospitalità e generosità. Denunciato come cristiano, fu condannato a morte.

   Quando venne scoperta grazie all’archeologo Paolo Orsi, intorno agli anni Novanta dell’Ottocento, la struttura chiesastica si presentava molto fatiscente. Originariamente si presentava con tre navate che, divise da muri molto spessi, erano coperte da volte a botte, anch’esse di notevole spessore, mentre quella centrale era chiusa ad oriente da un abside. Si tratta, dunque, di un edificio di culto caratterizzato da una sostenuta robustezza resa armoniosa dalla notevole semplicità delle sue linee.

   In tale area emersero le ombre di fedeli oranti, di eremiti salmodianti, di vescovi che qui dimorarono in fraternità e in preghiera con i sacerdoti che evangelizzarono questa nostra terra. Nelle giornate di vento sembra ancora riecheggiare l’alito delle loro orazioni. Un luogo suggestivo in cui sembra di incontrarli nella stupenda navata della basilica e nei corridoi dell’antico convento mentre gli eremiti o i monaci entrano nelle loro cellette. Sembra di vederli nei loro ruvidi sai, nei loro volti scarni per le dure penitenze, nel loro atteggiamento devoto che fa trasparire la presenza di Dio. Qui approdarono uomini alla ricerca del silenzio e dell’ascolto dell’Altro, della voce di Dio, che sempre parla in molti modi. Il silenzio interiore ed esterno per loro divenne mezzo per ascoltare Dio che parla all’uomo, che lo cerca, lo sollecita per elevarlo.

   E’ proprio in questo sito, nella basilica di San Foca, è ruotato il tema principe del convegno avente per oggetto l’ “Eremitismo” nel territorio aretuseo.

   Viva soddisfazione ha espresso il rettore della basilica, don Salvatore Vinci, salutando le non poche personalità presenti che in passato hanno dato il loro contributo per la salvaguardia e valorizzazione del sito, illustri studiosi, i dirigenti dell’Università di Messina e Catania, studiosi di Ragusa, per essere intervenuti ad un appuntamento di così grande rilievo culturale, e non solo per il tema affrontato ma anche per la giusta importanza culturale data alla Basilica di San Foca nonché per la preziosa impronta organizzativa fornita all’evento dall’architetto Monia Intrivici.

   Ad aprire ufficialmente il convegno è stato monsignore Giuseppe Greco, il quale, ponendo l’accento sui punti chiave della scelta fatta dai primi uomini di fede in ordine alla decisione di ritirarsi in solitudine e preghiera dando così vita a quel fenomeno oggi conosciuto come “eremitismo”, ha introdotto il primo relatore, l’architetto Monia Intrivici, nella descrizione di uno di questi luoghi, presenti nel territorio di Priolo Gargallo, conosciuto come la “grotta anonima del monte Climiti”. Un luogo di culto fin dalle origini mai casuale e fortemente intriso di grandi significati.

   Il secondo tema, “L’eremitismo irregolare nella Diocesi di Siracusa” è stato affidato a monsignore Pasquale Magnano, direttore dell’archivio storico arcivescovile di Siracusa. Per secoli, gli eremi e i monasteri, sorti numerosissimi in Oriente prima, e poi alla periferia della civiltà occidentale, furono concepiti come oasi di pace e di unione con Dio; essi stavano a significare un simbolo vivente della ricerca di preghiera e di contemplazione silenziosa del mistero ineffabile di Dio. Inizialmente l’eremitismo si è sviluppato spontaneamente, in forma irregolare, ovvero senza il consenso della gerarchia. In seguito si ebbe il prevalere di forme di vita associata nell’esperienza cenobitica, che ebbe dall’eremitismo un grande impulso.

   L’intervento di chiusura è stato curato dal benedettino professore don Vittorio GiovanniRizzone, la cui discettazione ha riguardato i frammenti dell’ “Eremitismo e trogloditismo nella diocesi di Siracusa”. Un excursus non solo tra le grotte le cave del territorio ibleo, ma anche intorno ai primi eremiti che approdarono sulle coste sud-orientali dell’Isola e che vivevano, per scelta ed in una certa misura, in isolamento dalla società, spesso in un luogo remoto fatto di solitudine, contemplazione e ascetismo. Da non trascurare la presenza di antiche pitture che ornavano questi luoghi sacri dando voce a queste… isole nel silenzio.

 

 

 

Al volante in posizione corretta. Ecco alcuni accorgimenti utili

 

Mal di schiena, dolori muscolari e articolari. Mal di testa e rigidità del collo. Questi sono alcuni dei problemi che notiamo quando con il corpo assumiamo delle posizioni dannose. Ce ne accorgiamo durante l’attività lavorativa, a casa o in ufficio e facciamo di tutto non solo per informarci su tali malori ma anche per cercare di evitarli. Salute e sicurezza, ovviamente, vanno al primo posto. L’attività lavorativa svolta anche fuori città ci obbliga, in alternativa ai mezzi pubblici, ad utilizzare l’auto in maniera sempre più frequente. Aumentano, dunque, le ore impiegate nella guida. Se a queste aggiungiamo il traffico cittadino, la spesa al market, la palestra nonché tutte le altre quotidiane attività ci accorgiamo di trascorrere molte ore in auto. Spesso sottovalutiamo non solo il tempo della propria vita trascorso nell’abitacolo dell’autovettura in cui viaggiamo ma anche la postura, cioè la posizione che il nostro corpo assume nella guida.

La posizione seduta in auto, costringe la colonna vertebrale ad assumere una posizione diversa da quella fisiologicamente corretta, per tale motivo la conformazione del sedile, il tipo di strada percorsa e l’efficienza delle sospensioni, rappresentano una rilevante importanza al fine di favorire o meno l’insorgenza di dolori identificati genericamente come mal di schiena. Ma ci siamo mai chiesti come ci posizioniamo durante la guida in auto? Ovvero, siamo veramente comodi quando guidiamo? Innanzi tutto, secondo ricerche in materia, è necessario regolare la distanza del volante e dei pedali in maniera ottimale. Il sedile deve essere posizionato in modo che i fianchi si trovino leggermente al di sopra delle ginocchia. Le braccia devono essere rilassate e posizionate in modo da tenere il volante con il palmo della mano confortevolmente appoggiato sulla parte superiore del volante (come le lancette di un orologio che segna circa le ore nove e quindici). La colonna vertebrale del guidatore deve essere in posizione neutra nel pieno rispetto delle curve fisiologiche, mentre le spalle devono essere ben appoggiate allo schienale del sedile. Inoltre, durante i lunghi viaggi è consigliabile fare una breve sosta dopo un’ora e mezza circa di guida. Il poggiatesta si deve trovare all’altezza delle orecchie, mentre la distanza tra la testa e lo stesso poggiatesta deve essere di circa due dita. Ma quale posizione dobbiamo assumere quando entriamo o usciamo dall’auto? Anche in questo caso è necessario ricordare che il busto e gli arti inferiori devono muoversi sullo stesso piano al fine di evitare movimenti di torsione rapidi; le stesse accortezze sono utili nel caso di posizionamento o rimozione di oggetti dal sedile posteriore o dal bagagliaio.

Da una ulteriore ricerca sembra emergere che le guidatrici tendono a soffrire di traumi ripetitivi di guida più velocemente rispetto agli uomini.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

NOVEMBRE 2012

 

 

 

Presentato al Caffè Letterario il libro di Carmelo Modica

“Cuoppuli e cappedda” tra politica e potere nella Modica del 1860

 

Un sabato letterario, quello di fine ottobre, un po’ diverso, forse, ma molto coinvolgente quello proposto dal Caffè Letterario Quasimodo, sotto l’egida del prof. Domenico Pisana, il cui percorso di animazione culturale è quello strettamente connesso a tematiche legate al rapporto tra letteratura e vita, tra storia e memoria. Ed è proprio a quest’ultimo binomio che è stato dedicato l’argomento principe dell’ennesimo appuntamento culturale tenutosi, come di consueto, a Palazzo della Cultura. Protagonista della serata, brillantemente sottolineata dalle musiche del Duo Paganitango (M° Lino Gatto alla chitarra e M° Daniele Ricca al violino) e dalla voce dell’attore Saro Spadola, è stato il libro di Carmelo Modica, “Cuoppuli e cappedda nella Modica del 1860” (La Biblioteca di Babele, 2012, pp. 136).

L’autore, modicano doc, con stile asciutto e lineare, che tira dritto senza fermarsi, parlando dentro agli occhi del lettore, propone non poche riflessioni sul delicato campo politico-sociologico attraverso l’analisi e la ricostruzione di una vicenda occorsa 152 anni or sono. Il 24 settembre 1860, nelle prime ore pomeridiane, nove persone, appartenenti alla parte più umile del popolo modicano, in contrada Gallinara, nelle adiacenze del vecchio cimitero, furono fucilati, in esecuzione di sentenza capitale pronunciata (quarantadue ore prima) dalla locale Commissione Speciale Penale, organo giudiziario straordinario, istituito, nel giugno precedente, dal governo dittatoriale garibaldino, per giudicare dei “reati comuni dei semplici cittadini”. Gli stessi in concorso fra loro nella notte fra il 2 ed il 3 settembre 1860, avevano commesso un furto, con scasso e violenza, e sparato una fucilata, senza ferimento ai danni di una famiglia di quattro persone, in contrada Zappulla. Il bottino fu magro, ma la pena fu massima.

Tra i tanti perché emerge il fatto che i nove condannati non avevano le mani sporche di sangue. E allora perché tutto ciò? Se lo chiede a gran voce l’autore attraverso una certosina analisi riguardante l’eccidio di Modica e gli avvenimenti del 1860 volta alla ricerca non dei responsabili che sono già noti, ma di colpevolezza di un “potere malandrino” e di un movente che da oltre 150 anni continua a sfuggire tra omissioni e documenti scomparsi, tra reticenze e quant’altro. Fatti che la voce popolare tramanda da non pochi decenni con il detto “aucisu comu ê novi” (ucciso come i nove) e che sono strettamente connessi con quanto accaduto a Modica durante la dittatura di Garibaldi in Sicilia e la “dittatura De Leva” a Modica (maggio-settembre 1860). Carmelo Modica nel suo libro parla di “potere malandrino” rappresentato da una “comitiva di famiglie” politicamente dominante che gestiva il governo della città di Modica e che non disdegnava di porre ai massimi vertici istituzionali anche membri della stessa famiglia.

Uno spaccato della città di Modica risorgimentale, una finestra che si apre per dare una particolare forza che solo la conoscenza e l’accurata analisi conferiscono a un lavoro di tutto rispetto e che si rivela necessario a chi, della storia risorgimentale, vuole averne una visione completa e aderente alla cruda realtà locale. Un testo che l’autore definisce “libello”, ma che ha tutti i requisiti del saggio storico, proponendo una tematica che gli appassionati della materia, gli “storici blasonati” (come li definisce Carmelo Modica), non dovrebbero sconoscere e la cui peculiarità sta nella ricchezza d’informazione e pensiero inglobati con una immediatezza e un’acutezza non indifferenti. E’ un libro “dal tono forte” che “rispecchia la personalità dell’autore”, ha specificato il prof. Pisana nel suo intervento introduttivo.

Tra i relatori il modicano Giuseppe Chiaula, magistrato della Corte dei conti a riposo, autore, tra l’altro, de “Il mistero dei nove” (1998), il quale ha il grandissimo merito di aver tratto da un colpevole oblio la vicenda dei nove.

Dott. Chiaula lei è stato il primo ad occuparsi della vicenda dei nove. Come si inserisce il libro di Carmelo Modica in relazione alle sue ricerche, specie quando l’autore parla di intrecci tra potere e politica, ma anche di voltagabbana risorgimentali? «Il dott. Carmelo Modica, rientrato in patria modicana, dopo il pensionamento, per sua scelta, anticipato dalla Polizia di Stato ebbe ben presto occasione di imbattersi – volendo seguire la politica locale – in non pochi soggetti che avevano dato e continuavano a dare, sconcertanti prove di incoerenza, transitando con disinvoltura, da un movimento politico ad un altro, a fronte anche di una tenue prospettiva, di conseguire con maggiore probabilità, la elezione a qualche carica pubblica. I “voltagabbana” sono stati il suo bersaglio costante. Il Modica non ebbe occasione di accostarsi alla rievocazione della vicenda dei “nove” avviata nel giugno 1998, con la pubblicazione de “Il mistero dei nove”, formalmente poi presentato nel maggio 1999. Ebbe notizia della vicenda, all’incirca nel 2003, un quinquennio dopo. La sua fu una immedesimazione, integrale e viscerale. Un ripudio impetuoso di quell’epilogo giudiziario, voluto dai maggiorenti modicani in ostentato dispregio delle norme frenanti, poste dallo stesso governo dittatoriale nel luglio 1860. Della “storia dei nove” il Modica si è costituito “depositario e custode” geloso, mirando soprattutto a porre le premesse e le condizioni per realizzare un ricordo lapidario, idoneo a dare costante e motivata memoria dell’iniquo epilogo giudiziario già menzionato. La saggia adesione del Sindaco di Modica dott. Antonello Buscema ha fatto sì che si scoprisse una lapide il 12 ottobre 2009 sul lato destro del “vignale” ancora qualificato “dei nove”. La specializzazione acquisita dal Modica nella ricerca ed individuazione dei voltagabbana “contemporanei” gli è stata utile per individuare – sviscerando “la storia dei nove” – i “voltagabbana moderni”».

Nel 2011 nel corso delle rievocazioni per il 150° anniversario dello Stato Unitario Italiano è stata trattata la vicenda dei nove? «La tematica sarebbe affiorata nell’agosto 2011, nel “teatro di pietra” del Trippatore (nei pressi di Sampieri, frazione marittima, nello sciclitano), nel corso di una “cantata” giustificante l’esito sanzionatorio perché basato sulla “drastica” legge di Garibaldi, considerata utile per raffreddare le “teste calde” suscettibili di sbrigliamento in un clima di rivolta. Il titolo del saggio “Il Mistero dei nove”, che diedi alle stampe nel giugno 1998, rispecchiava la realtà ovvero l’accertamento documentale che nove modicani (compiutamente identificati) erano stati fucilati, il 24 settembre 1860. Non si sapeva tuttavia quali reati fossero stati addebitati a quei disgraziati. Ulteriori ricerche sulla vicenda diedero modo di realizzare una ricostruzione pressoché completa della vicenda. C’è da dire che alla presentazione formale del mio libro (maggio 1999) i tre relatori ebbero a disposizione tutti gli ulteriori ragguagli acquisiti (destinati, d’altro canto, a essere riportati in una successiva pubblicazione integrativa). Un anno dopo la pubblicazione (nel 2000), uno dei tre relatori (che aveva glissato, in sede di presentazione, sull’esito del giudizio pronunciato a carico dei nove), pubblicò un saggio sulla tutela del carrubo (che nel 2000 si dava come destinato a scomparire). Un carrubo dell’angolo sud orientale della Sicilia riassumeva (appunto nel saggio) le esperienze ed i ricordi della sua specie, collegati ai molti e rilevanti accadimenti dei vari periodi storici. Limitando qui le notazioni al 19° secolo, appariva informato della vicenda dei nove (1860) e del suo epilogo sanzionatorio, che veniva d’altro canto giustificato sulla base dei motivi già precisati (e contestati). Non è mai superfluo ribadire che anche le leggi “frenanti” erano di Garibaldi».

 

 

 

 

Dipendenza da internet, che fare?

 

Capita sempre più spesso che i bambini ed i giovani, collegandosi con il proprio computer o attraverso i video giochi, cerchino una seconda vita del tutto virtuale per sfuggire a quella reale. Si rischia così di creare una vera e propria dipendenza da internet e conseguenti danni seri alla loro salute.

Le insidie si rivelano tante. Innanzi tutto problemi fisici quali l’obesità, perché si sta molte ore fermi; trombosi, perché stando seduti possono emergere problemi alla circolazione del sangue nelle gambe; infarto per quelli in età adulta.

L’abuso di Internet sarebbe determinato da un senso di vuoto, da un vissuto di solitudine e dalla difficoltà di affrontare la realtà. In alcuni casi estremi, la partecipazione alla realtà on line (cioè virtuale) è finalizzata alla negazione di quella concreta, quotidiana, percepita come minacciosa. Questa dinamica, in un certo senso, è simile a quella che si verifica nel caso della dipendenza da sostanze.

Che fare, quindi, per aiutare i giovani e, soprattutto, qual è il comportamento che i genitori devono adottare per essere più vicini al proprio figlio? Abbiamo girato la domanda a Maria Moschetto, psicologa e psicoterapeuta.

«Nel 1995 lo psichiatra americano Goldberg ha denominato, per la prima volta, sulla base di dati puramente clinici, l’ “Internet addiction disorder” (IAD) in termini di una nuova sindrome da dipendenza con un quadro clinico analogo, per certi versi, a quello rintracciabile nella dipendenza da una sostanza. Nardone e Cagnoni , psicoterapeuti italiani, in una loro recente pubblicazione spiegano  che “la dipendenza implica tre meccanismi: la tolleranza (che comporta la necessità di aumentare gradualmente le dosi di una sostanza per ottenere lo stesso effetto), l'astinenza (con comparsa di sintomi specifici in seguito alla riduzione o alla sospensione di una particolare sostanza), il “carving” (o smania) che comporta un fortissimo e irresistibile desiderio di assumere una sostanza; desiderio che, se non soddisfatto, causa intensa sofferenza psichica e a volte fisica, con fissazione del pensiero, malessere, ansia, insonnia, depressione dell’umore”.

La ricerca in questo campo, sempre più corposa, indica che uno dei principali fattori di protezione, che riduce la probabilità di coinvolgimento in comportamenti di dipendenza in generale, è il contesto familiare. Nel caso specifico dell’uso delle nuove tecnologie, concretamente un genitore deve educare i figli a navigare nel web fissando delle regole specifiche. Ad esempio, stabilire un tempo di navigazione senza considerare il computer un “sostituto” della baby-sitter; ancora, usare insieme il computer come una preziosa occasione di reciproca conoscenza di interessi».

La realtà virtuale offre il vantaggio di fornire gratificazioni immediate per la sua disponibilità pressoché continua. Inoltre, l'universo virtuale rappresenta una fonte di attrazione per coloro che sono disposti allo sviluppo anche di altre forme di dipendenza comportamentali o da sostanze. Si è visto che i più predisposti a sviluppare una dipendenza da Internet, spesso, hanno difficoltà relazionali. Questo è facilmente intuibile, osservando quanto avviene, ad esempio, nei colloqui on line via computer (le cosiddette chat). In esse si intrecciano relazioni buona parte delle quali costruite nella mente di chi le vive. Sono molto forti le tendenze ad idealizzare l'interlocutore, a creare un personaggio ideale, in cui le parti “mancanti”, quelle che non si conoscono, sono colmate dall’immaginazione personale.

La sfida che viene posta da Internet e dalla realtà virtuale è rappresentata dalla valorizzazione e dall'utilizzo consapevole di ciò che di positivo esse possono offrire, senza cadere negli estremi della demonizzazione, del rifiuto a priori, o della sua esaltazione acritica. Tutto ciò può rappresentare un valido antidoto contro qualsiasi forma di uso distorto, compreso l’abuso?

«Condivido pienamente la sua posizione. Si osserva, tipicamente, che ad una maggiore insicurezza personale del soggetto corrisponde un maggiore bisogno di trovare all’esterno elementi che favoriscano il contenimento dell’angoscia interiore. Il prof. Luigi Cancrini, esperto di dipendenze patologiche, formula, a tale proposito, il concetto di “automedicazione”: il dipendente riceve dal proprio ambiente delle risposte vissute come insufficienti relativamente ai propri bisogni emotivi e trova la cura in un oggetto “esterno”, rappresentato da una sostanza o un “tramite”, che può essere rappresentato dalla rete internet. La rete è una grande risorsa, costituisce un’occasione di evoluzione per la specie umana se, tuttavia, si rimane ancorati alla realtà quotidiana nel suo ordinario svolgersi».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

DICEMBRE 2012

 

 

 

“Ppi-mmia fussi”

Presentata al Centro Studi “F. Rossitto” raccolta poetica di Umberto Migliorisi

 

Umberto Migliorisi è uno dei cuori storici del Centro Studi “Feliciano Rossitto” rappresentando anche la memoria storica della città di Ragusa in quanto l’universo sociale, umano e letterario in cui si muove raccoglie un intervallo di tempo molto vasto.

Ed è proprio per tale motivo che, ancora una volta, il Centro Studi ha dedicato una serata culturale per presentare la recente fatica letteraria di Migliorisi, “Ppi-mmia fussi” (se fosse per me), tenutasi presso la sala conferenze dello stesso Centro che interviene anche in veste editoriale unitamente alle Edizioni Cofine di Roma (2012, pp. 32).

Saccense di nascita, ma ragusano di adozione, Migliorisi intraprende un ricco percorso letterario pubblicando, verso la fine degli anni ’50, poesie in numerose pubblicazioni quali la pagina letteraria de “l'Unità” (1957), curata da Mario Socrate, sulla rivista “Galleria” diretta da Leonardo Sciascia, sull’inserto poetico (a cura di Dario Puccini) del settimanale “Il Contemporaneo” (1958); in “Quartiere” diretto da Giuseppe Zagarrio (1964). La silloge con cui esordisce è del 1970, Riassunto (poesie 1953-1970). Di questa e di altre sillogi pubblicate in seguito, una selezione si può trovare nel libro antologico Ironia e altro (Messina, Antonello da Messina Editore 2007). Migliorisi ha pubblicato anche diverse sillogi di poesia in dialetto ragusano, di cui si può trovare una selezione antologica nel libro Gn' iattu niuru (un gatto nero) (Centro Studi Feliciano Rossitto, Ragusa 2005). Sue poesie in dialetto, sparse, si trovano nelle riviste “Diverse lingue” e “Periferie”. Ha pubblicato anche alcuni racconti su giornali (“La Sicilia”, “La provincia Iblea”, “Il Giornale di Scicli”, etc.) e riviste (tra cui la palermitana “Colapesce”). Sue poesie inedite sono state pubblicate nel 2008 sulla rivista romana “Polimnia”, diretta da Dante Maffia (poeta e saggista), e nel 2009 sulla rivista newyorkese “Gradiva”, diretta da Luigi Fontanella (scrittore, poeta e critico letterario). Dal 1985 è stato operatore culturale del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa e redattore della rivista trimestrale di cultura e politica “Pagine dal Sud”.

Delicata leggerezza e armonioso sarcasmo caratterizzano il tono schietto dei suoi versi in vernacolo, molto legati a quel sapore antico, genuino ed onesto della sua terra d’origine, da cui si può trarre un’ironia, talora tagliente, da toni accesi e proprio per questo più veri e penetranti. A tracciare l’iter poetico, cogliendone gli aspetti letterari nella loro peculiarità, è stato l’avvocato Renato Pennisi (critico letterario; poeta etneo dai versi intensi e delicati, si è affermato al premio “Eugenio Montale” nel 1986; sicilianista e storico, è anche autore di libri di poesia in dialetto siciliano), cui è stata affidata l’articolata presentazione, dopo l’intervento introduttivo di Giorgio Chessari (presidente del Centro Studi “F. Rossitto”), che ha richiamato all’attento pubblico presente in sala l’impegno culturale ultraventennale profuso da Umberto Migliorisi imperniato anche nel fornire alla stampa periodica contributi di stampo critico tanto nel campo della letteratura quanto in quello della politica.

“Ppi-mmia fussi” è una raccolta breve, consistente in diciotto liriche, in cui Migliorisi volge il suo sguardo al tempo che fu cogliendone i ricordi gravidi di lirica intensità. “E’ uno di quegli esempi di come un poeta può raccontare il proprio tempo”, ha specificato l’avvocato Pennisi puntando l’accento sulla sua scrittura in vernacolo che trae linfa dall’essenza del dialetto ragusano.

La poesia “ppi-mmia fussi”, che dà il titolo all’opera di Migliorisi, è un’intensa lettera al figlio, da cui emerge dirompente la dignitosa constatazione dell’incapacità dell’uomo a penetrare gli ineffabili meccanismi del nascere, del vivere, del morire, che diventa occasione per un canto gravido di passione e amore per la vita, caratterizzata non solo da momenti di gioia, ma anche di dolore.

Momenti, dunque, di alta liricità che sono stati impreziositi dal professore Francesco Licitra (poeta ragusano) cui è stato affidato il compito di proporre alcune pagine tratte dal libro di Migliorisi ponendo l’accento sul significato emotivo di alcuni versi declamati a memoria.

 

 

 

 

I rimedi naturali contro la tosse: latte, miele, aglio e stare al caldo

 

Con i primi sbalzi di temperatura dovuti alle condizioni climatiche di tipo autunnale compaiono i primi disturbi delle vie respiratorie quali, ad esempio, la tosse.

Si tratta di un disturbo molto fastidioso attraverso cui la gola reagisce alla comparsa di un’irritazione sia nel cavo orale sia nelle vie respiratorie. Di solito si classifica in acuta e dipende da un raffreddamento o un’influenza e, per tale motivo, ha durata limitata.

L’azione del tossire risulta utile all’organismo in quanto serve per buttare fuori il muco, che contiene accumuli batterici. Come si può curare? La prima regola, in caso di tosse, è stare al caldo. Cercate quindi di tenere coperte le zone interessate, dalla gola alla parte alta dell’addome. Esistono tanti prodotti farmaceutici il cui scopo è quello di rallentare la presenza del catarro: si chiamano fluidificanti e mucolitici. Esistono però anche dei rimedi naturali, detti anche omeopatici. In buona sostanza i cosiddetti rimedi della nonna! In questi casi può risultare molto utile il miele. Il prodotto delle api non solo si dimostra più efficace dei ritrovati farmaceutici, ma offre anche dei benefici e sollievo dei disturbi causati dalla tosse, soprattutto durante le ore notturne.

Il miele, infatti, è estremamente ricco di numerose sostanze, tra cui la vitamina C che è importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario, e può avere un qualche ruolo nella lotta contro qualsiasi infezione generata dal raffreddore. Inoltre, è denso e dolce e stimola quindi la salivazione, favorendo così l’assottigliamento del muco nonché la lubrificazione delle vie respiratorie superiori.

Ma qual è la ricetta che suggerivano le nonne in caso di tosse o raffreddore? Niente di più semplice: una tazza di latte con miele e… aglio!

E’ un’antica ricetta per gli attacchi di tosse secca soprattutto durante la notte, poiché il latte ha un effetto calmante e permette di ritrovare il sonno. Tra le proprietà dell’aglio si ricordano quelle antisettiche, antibiotico, espettoranti, ipotensive (dilatazione dei vasi) e aiuta ad abbassare i livelli di colesterolo. Per tali motivi trova impiego contro l’ipertensione (pressione sanguigna superiore alla norma), problemi gastrointestinali, punture di insetti, bronchite e mal di gola.

Si prepara così: far bollire un po’ il latte, aggiungere l’aglio tritato o tagliato in lamine sottili. Si lascia cuocere a fuoco dolce per qualche minuto; poi, filtrare e bere caldo.

Sembra un intruglio malefico, ma aggiungendo un bel cucchiaio di miele lo si troverà sicuramente più piacevole.

 

Giuseppe Nativo

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