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Giuseppe Chiaula, Il regime comitale di Modica nel rapporto con la Corona.

Presentazione di Mi. Duchi. Postfazione di G. Colombo.

Formato 14x20, Rilegatura in brossura, pp. 140,  2006. [ISBN 978-88-89211-20-5]

I manuali di storia (nella specie, moderna) riferiscono che, per effetto del trattato di Ultrecht (Olanda, aprile 1713) conclusivo della guerra di successione spagnola, la Sicilia fu sottratta alla sovranità spagnola (durata diversi secoli) ed assegnata al duca Vittorio Amedeo II di Savoia (1666 – 1732) che conseguì contestualmente lo status di re (appunto di Sicilia).

I manuali (ed anche altre fonti di cognizione della storia più ampie dei manuali) si occupano fondamentalmente delle notizie generali, riguardanti popolazioni e territori nella loro interezza. Non riferiscono su particolari e varianti locali.

Non può sorprendere pertanto che del particolare per cui la Contea di Modica – per effetto del precisato  trattato – fosse venuta a trovarsi in una situazione “atipica e singolare”, non si sia data notizia.

Prescindendo da Tommaso Campailla (1668 – 1740), che visse personalmente e commentò quelle situazioni e vicende, il primo a riferirne in ambito locale, in termini percepibili dalla generalità, è stato Serafino Amabile Guastella (1819 – 1899).

In una delle sue opere precisa ( appunto il Guastella), incidentalmente  e sinteticamente, che la Contea in parola “rimase spagnola” (non passò cioè sotto la sovranità sabauda) ospitando, in conseguenza, una guarnigione  militare spagnola.

Più di recente Giancarlo Poidomani – a seguito di attente ricerche effettuate soprattutto presso l’Archivio di Stato di Torino – ha fornito (in uno studio pubblicato nel n. 3/1997 dell’Archivium Historicum Motycense) esaustivi ragguagli sul regime riservato alla Contea dal Trattato di Ultrecht ed, in conseguenza, sui termini della controversia politico diplomatica insorta (sin dagli inizi del regno di Vittorio Amedeo II) tra il governo centrale (Torino – Palermo ) e la Contea di Modica.

Da quanto riferito dal Poidomani si è chiarito, in particolare che il re Filippo V di Spagna era riuscito a far inserire nel trattato di Ultrecht, la clausola per cui – pur passando la Sicilia sotto la sovranità sabauda – rimanevano nella sua disponibilità (cioè di Filippo V) le signorie  e sostanze confiscate all’almirante di Castiglia (praticamente la Contea di Modica, il cui ultimo titolare Giovanni Tommaso Enriquez Cabrera, almirante di Castiglia ed ambasciatore, era stato estromesso dal beneficio, per aver tradito Filippo V, essendo passato dalla parte del suo antagonista, il pretendente austriaco al Trono di Spagna).

Rimanevano altresì nella “disponibilità” di Filippo V anche altre “signorie e sostanze” confiscate ad altri “felloni” (della Sicilia) voltisi a favore del pretendente austriaco.

L’avere la disponibilità di quanto confiscato al conte Giovanni Tommaso comportava anzitutto – a prescindere da ogni altro effetto – l’assunzione, per il re Filippo V, del ruolo di conte di Modica e quindi di feudatario “teoricamente soggetto” al nuovo re di Sicilia, Vittorio Amedeo II.

Quale Conte di Modica, Filippo V, divenne titolare delle particolari prerogative previste, per i Conti di Modica, dagli atti di re Martino (5 giugno 1392) e di re Alfonso V il Magnanimo (25 febbraio 1457).

La controversia politico-diplomatica con la corona sabauda si incentrò proprio sulla “consistenza” delle prerogative comitali.

I sabaudi sostenevano che dette prerogative – nei termini rivendicati dai rappresentanti di Filippo V – dovessero considerarsi effetto di interpretazioni ultra estensive delle disposizioni dei testi concessivi ed aggiungevano inoltre che alcune “pretese” avrebbero trovato fondamento solo in prassi prevaricatorie arbitrariamente imposte dai conti, nel corso dei secoli, senza specifico titolo.

Di contro la “parte comitale” (spagnola) ribadiva la tesi della immutabilità delle prerogative e della valenza della loro plurisecolare reiterazione.

Le posizioni delle due “parti” in conflitto (appunto spagnola e piemontese) sono riassunte (ed accompagnate da segnalate riflessioni) nel menzionato studio del Poidomani.

La controversia peraltro non ebbe una definizione “propria”.

           Fu superata dagli eventi, in particolare dalla prevalenza militare austro-inglese sulla Spagna (che aveva tentato, al di là delle dispute, di riconquistare – 1717/1718 – la Sicilia).

I due contendenti presto si trovarono entrambi spiazzati. Il trattato dell’Aia (febbraio 1720) pose infatti la Sicilia sotto la sovranità austriaca senza condizioni di sorta.

Filippo V – ben lungi dal ridiventare re di Sicilia -  non potè più qualificarsi nemmeno conte di Modica (la contea, sia pure nell’immediato senza titolare, comunque sopravvisse) Vittorio Amedeo fu trasferito, sempre quale re, in Sardegna.

Giuseppe Chiaula nel suo saggio (in particolare nella appendice conclusiva) propone una soluzione “teorica” della controversia fra Contea e Corona (pro tempore sabauda).

La sua aspirazione a prospettare una teorica definizione, in punto di diritto, di  tale controversia è stato certamente l’impulso prevalente e determinante per la  attenzione e la meditazione sulla atipica vicenda.

Le conseguenti riflessioni non potevano non palesare tuttavia l’esigenza di affrontare le problematiche un po’ più a monte. La evidente necessità cioè di prendere in preliminare considerazione “ex se” l’ordinamento comitale  modicano – di cui tra l’altro si sosteneva la immutabilità nel tempo - , la sua iniziale costituzione, la sua natura, le successive sue singolari vicende, i suoi rapporti con le corone “precedenti”.

Per questo le notazioni (e le connesse riflessioni di diritto) prendono le mosse – a parte le necessarie puntualizzazioni di premessa – dalla investitura comitale dei Chiaramonte (con l’incorporazione del feudo ragusano).

Le conclusioni cui (G. C.) perviene sono riassumibili nei termini seguenti.

Premesso:

che, in sede giudiziale (pronuncia di una corte di giustizia riunitasi a Torre Ottavia, ora Torre del Greco), era stata accertata la parziale falsificazione dell’atto concessivo di re Martino (giugno 1392) a favore di Bernardo Cabrera (in ispecie nella parte concernente la differenziazione in meglio, del feudo modicano, in rapporto al regime generale dei feudi siciliani);

che il re Alfonso V – per esclusive valutazioni di ordine politico – aveva sanato la situazione, con una concessione di ratifica (1457) specificamente prevedendo, e quindi legittimando, anche le parti, della concessione precedente, riconosciute falsificate.

Il tutto a condizione che, il conte Giovanni Bernardo (successore del primo concessionario Bernardo) versasse all’erario una ingente somma di denaro.

 Il regime comitale modicano – malgrado la non chiara origine – poteva pertanto considerarsi legittimo, quantomeno a partire dal 1457 (appunto dalla ratifica da parte del re Alfonso V).

Le aprioristiche contestazioni mosse dai piemontesi (a partire dal 1713) sulla legittimità delle prerogative comitali modicane, non sono pertanto condivisibili  (o, se mai, lo sono solo marginalmente).

Per quanto concerne la tesi della pretesa immutabilità delle prerogative comitali modicane, peraltro specificamente invocate solo dal titolare spagnolo, (l’a. ) esclude – già in via di principio – che un organo dotato di potestà normativa possa porre determinate statuizioni, sancendone contestualmente  la irreversibilità (precludendo così ai suoi successori nella stessa potestà, di modificarle e abrogarle).

D’altro canto l’autore osserva che la tesi della irreversibilità non pare trovi concreta conferma nella “storia della Contea”.

La storia infatti dà contezza che ogni nuovo titolare della Contea, riceveva la formale “investitura o conferma “ nel privilegio feudale.

Investiture e conferme non potevano considerarsi integrazioni formali di effetti già fondamentalmente conseguiti, ma erano, di volta in volta, “attuali scelte sovrane”, con “effetti costitutivi” della titolarità nella Contea.

Conclusivamente l’a. osserva che – aldilà di problematiche di principio e di esegesi di testi concessivi – la irreversibilità di determinate prerogative potesse trovare, di fatto, fondamento ed occasioni di efficacia nel permanere della valenza politica (ed eventualmente militare) dei soggetti divenutine titolari.

Valenza politica, talvolta anche di rilevanza internazionale (si pensi a Filippo V re di Spagna e conte di Modica, ed ai re di Sicilia legati-nati del Papa).

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