2014

Gennaio 2014

- I cinquantenni di oggi sino più poveri dei padri (Dialogo, gennaio 2014)

- Dopo l’estate arriva la nuova banconota da 10 euro (Insieme on line, 18/01/2014)

 

 

Febbraio 2014

- A Ragusa i ragazzi vanno a scuola a… “pedibus” (Dialogo, febbraio 2014)

- I disabili e la mobilità urbana. Agevolazioni e contrassegno (Insieme, 23/02/2014)

 

Marzo 2014

- Bambini e televisione (Dialogo, marzo 2014)

- Quando la poesia è testimonianza (Insieme on line, 28.03.2014)

- Auto del futuro, elettriche o a idrogeno? (Insieme, 30/03/2014)

 

Aprile 2014

-Artrosi, prevenzione strategie terapeutiche (Dialogo, aprile 2014)

 

 

Maggio 2014

- Dopo l’estate arriva la nuova banconota da 10 Euro (Dialogo, maggio 2014)

- Prescritte troppe medicine. In Sicilia si rischia lo spreco (Insieme, 11/05/2014)

 

Giugno 2014

- Analisi storica di Giuseppe Miccichè. Economia e sviluppo in terra iblea (Dialogo, giugno 2014)

- Troppo rumore negli ospedali e si guarisce lentamente (Insieme 01/06/2014)

- Estate tempo di mare e di abbronzature (Insieme, 29/06/2014)

 

Settembre 2014

- Il suggerimento dei pediatri. Leggete le fiabe ai bambini (Insieme, 21/09/2014)

 

Ottobre 2014

- B.I.T.C.H. lungometraggio ideato da quattro studenti cineasti (Dialogo, ottobre 2014);

- Così l’estratto di mirtillo ci aiuta a star meglio (Insieme, 05/10/2014);

 

Novembre 2014

- Quando la psicologia e la medicina si incontrano (Dialogo, novembre 2014);

- Assistenza agli anziani con i robot tuttofare (Insieme, 23/11/2014);

 

Dicembre 2014

- “Spatulidda” di Giorgio Occhipinti(Dialogo, dicembre 2014);

- I luoghi, i tempi, le persone della vita di Maria di Nazareth (Insieme, 21/12/2014)

 

 

GENNAIO 2014

 

I cinquantenni di oggi sono più poveri dei padri

 

Una recente ricerca ha fatto emergere un dato molto allarmante e scoraggiante ma, verosimilmente, reale: gli attuali “giovani” cinquantenni e dintorni (ovvero chi è nato tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso), per la prima volta nella storia, sono più poveri dei nati negli anni precedenti al secondo conflitto mondiale e in quelli immediatamente successivi.

Nella normale dimensione umana e sociale è, in genere, sempre prevalsa l’idea che i figli debbano stare in condizioni migliori dei loro padri. Dalla citata ricerca sembra emergere uno stato di fatto che demolisce tale consolidata idea dimostrando come i nati tra il 1960 e il 1970 non riescono a mettere da parte alcunché. Crisi economica galoppante con produttività dai livelli sempre decrescenti, stipendi e contratti peggiori rispetto al passato rappresentano due dei molteplici aspetti che accompagnano anche le nuove generazioni verso panorami drammatici che intaccano anche la nascita di nuove famiglie.

Difficoltà ad acquistare casa con i propri mezzi finanziari seguita, nel tempo, dall’incertezza di avere una pensione discreta sono altrettanti aspetti della quotidiana realtà. L’unica speranza, che si prospetta all’orizzonte, è quella di accedere all’eredità dei propri genitori o dei nonni. Sperare in tale evenienza non potrà certo sollevare il conto corrente né tanto meno l’animo di ciascuno che, talora, sprofonda nella depressione più nera.

E allora che fare? E, soprattutto, come viene vissuto tale stato di cose dalle nuove generazioni? Abbiamo girato la domanda a Nuccio Condorelli, vicepresidente nazionale del Sindacato delle famiglie.

“Se una cosa mi è venuta subito in mente dopo aver saputo i risultati della ricerca in oggetto, è quella di riandare indietro nel tempo, a dopo la seconda guerra mondiale. Non ero nato, ma mia madre ricordava chiaramente come quella guerra li aveva tutti fortificati. Nella Fede, nella Speranza e nella Carità. La povertà, la mancanza di benessere, spesso anche del pane giornaliero non ha abbattuto i siciliani come non ha abbattuto gli italiani. Soprattutto non ha abbattuto la Speranza nel futuro. Proprio quella che manca adesso. Se siamo perdenti, tutti, giovani e vecchi, è la sconfitta sulla Speranza. Sembra che non si possa più sperare in un luminoso futuro. Invece è su questo che bisogna lavorare, e non astrattamente, ma puntando tutto sulla cultura del dono a cui è legata la cultura dello spreco che ha invaso tutta la nostra vita. Ecco ripartire dal dono che sono, che siamo, che riceviamo ogni minuto nella vita per ricominciare a guardare tutto dentro l’essenzialità, senza continuare a sprecare. Sono tonnellate al giorno le derrate alimentari che buttiamo nella spazzatura. Infine nella solidarietà verso chi ha più bisogno si gioca tutto il futuro delle nuove generazioni. La vera ricchezza non è quella economica, il cambiamento di rotta può accadere solo se ritorniamo all’essenziale in tutto, fino a cambiare il modo con cui guardo gli amici, il lavoro, che spesso manca, gli alimenti da mangiare che, come molti sperimentano, non sono scontati. Chi vive così aiuta tutti a guardare in modo diverso anche la forte crisi che stiamo vivendo, fino a riconoscere che anche la crisi può essere strumento della provvidenza per cambiare il modo di vivere”.

 

 

 

 

Dopo l’estate arriva la nuova banconota da 10 euro

 

E’ nata. Già se ne parla tantissimo, ma il battesimo sarà tenuto dopo la prossima estate.

Si tratta della nuova banconota da 10 euro che presenta innovazioni nella veste grafica e passi avanti tecnologici volti ad offrire una maggiore protezione dalla contraffazione.

I nuovi biglietti, che come quelli della rinnovata versione del taglio da cinque euro avranno l’effigie della dea greca Europa da cui il vecchio continente prende il nome, saranno introdotti in maniera graduale al fine di consentire a tutti di adeguarsi e inizieranno a circolare a partire dal prossimo mese di settembre.

Per cercare di confondere il meno possibile l’ampia platea di utenza, la nuova banconota somiglia ai vecchi biglietti da 10 euro introdotti ormai dodici anni fa. Dalla veste iconografica si nota subito il richiamo all’architettura romanica, ma la tonalità del colore è rivolta verso sfumature del marrone, nell’insieme più calde. Ma la principale novità è un ologramma (trattamento delle immagini con sistema antifalsificazione) con il ritratto della dea Europa e una nuova filigrana. Altra caratteristica è il numero verde smeraldo che, quando viene mosso, cambia colore passando al blu scuro. Inoltre, grazie a un rivestimento protettivo, il nuovo dieci euro si presenta più resistente nel tempo. Ciò riduce le sostituzioni e di conseguenza i costi e il connesso

impatto ambientale.

Si è già messa in moto la macchina tecnico operativa impegnata a sostegno dell’adeguamento dei dispositivi di controllo dell’autenticità e delle apparecchiature per la selezione e accettazione delle banconote. Tra i tanti obiettivi da perseguire è quello di aggiornare in tempo utile i software che leggono e riconoscono i soldi evitando così i disagi che molti utenti hanno accusato lo scorso maggio con l’introduzione dei nuovi tagli da 5 euro. In quella occasione, infatti, non pochi distributori automatici presso i tabaccai, le pompe di benzina e le biglietterie hanno respinto la banconota da 5.

Una delle principali motivazioni alla base dell’introduzione della nuova serie è la volontà di permettere a chiunque utilizzi le banconote di continuare a farlo in totale sicurezza.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

FEBBRAIO 2014

 

 

 

A Ragusa i ragazzi vanno a scuola… a “pedibus”

 

Prima la fase della progettazione, poi quella della realizzazione. Si tratta dell’iniziativa “Pedibus Ragusa” attivata nel capoluogo ibleo sin dalla prima decade di dicembre e, in queste settimane, in fase di piena attuazione. L’idea, nata dalla lungimiranza dell’architetto Vincenzo Occhipinti (promotore della nascita del comitato “Pedibus Ragusa”) e del dottore Ernesto Turlà (membro del comitato), trae spunto da un progetto nato in Danimarca negli anni Novanta con l’obiettivo di promuovere l'esercizio fisico nei ragazzi in età scolastica. Diffuso prima nel nord Europa e negli Stati Uniti d’America, il suo sviluppo è in rapida evoluzione ormai anche in Italia. E’ un ottimo esempio di mobilità alternativa in quanto permette ai bambini di muoversi in sicurezza per strada, conoscere il proprio quartiere e, soprattutto, socializzare. Altro grande pregio del “Pedibus” è il contribuire al decongestionamento del traffico veicolare e, di conseguenza, alla riduzione dell'inquinamento ambientale. In sostanza si tratta di una “carovana” urbana con due o più tutor che accompagnano i bambini nel tragitto da casa a scuola (e ritorno).

Le scuole ragusane che hanno aderito alla lodevole iniziativa sono: il Circolo Didattico Palazzello, Paolo Vetri/Cesare Battisti e Mariele Ventre. Proprio in queste ultime settimane l’iniziativa, avviata a dicembre scorso, ha trovato piena attuazione nelle citate strutture scolastiche attraverso l’avvicendamento nella programmazione “Pedibus” che ha avuto pieno consenso dell’Amministrazione comunale. Anche il primo cittadino, accompagnato dall’assessore ai servizi sociali Flavio Brafa, ha preso parte ad una delle giornate di sperimentazione del progetto di mobilità alternativa. Dopo aver indossato un gilet catarifrangente verde, si è unito ai volontari che effettuano il servizio di accompagnamento a scuola a piedi dei piccoli alunni per portare un gruppetto di bambini fino all'ingresso della scuola di appartenenza.

L’istituto “Mariele Ventre” è stato il secondo a dare pieno sostegno al progetto. C’è già stato un primo incontro organizzato dalle scuole con il personale docente e sono stati già distribuiti e raccolti i questionari al fine di sensibilizzare anche i genitori.

Ma in cosa consiste l’iniziativa? Abbiamo girato la domanda a Giuseppe Palazzolo, dirigente scolastico della Direzione Didattica Mariele Ventre. “L’iniziativa nasce sull’esempio già realizzato in tante città del nord e, in Sicilia, a Messina e, recentemente, in territorio etneo. Con il “pedibus” gli alunni della primaria vengono a scuola a piedi, come se prendessero un autobus che, però, consiste solo in una corda, dove sono segnati i loro “posti”, alla quale i bambini debbono affiancarsi, controllati da tutor volontari adulti. Il percorso praticato prevede delle “fermate” e degli orari molto rigidi, attraversando le zone nelle quali abitano i piccoli passeggeri che si aggregano man mano, fino ad arrivare a scuola. I vigili urbani fanno un controllo preventivo della sicurezza delle zone attraversate, rimuovendo situazioni di rischio. I tutor/accompagnatori (per lo più genitori) si debbono alternare nel compito (in tal modo il loro impegno mensile è di sole due/tre volte). I vantaggi di questo progetto sono tanti: psico-fisico, ambientale, mobilità urbana, cultura (conoscenza del territorio), risparmio energetico e anti-stress”.

E da un punto di vista didattico? “I tanti percorsi studiati da casa verso scuola e viceversa faranno crescere i bambini,  dando loro consapevolezza, attraverso l’esperienza, dei problemi legati al traffico automobilistico, del tempo risparmiato evitando di stare in coda la propria autovettura, delle regole di sicurezza per l’attraversamento pedonale. In sostanza, lezioni giornaliere di Educazione stradale, svolte piacevolmente “on the road”. Inoltre, particolarmente importante è l’aspetto socializzante e cooperativo che richiede la realizzazione del progetto”.

 

 

 

I disabili e la mobilità urbana

Agevolazioni e contrassegno

 

Quando si parla di disabili il primo pensiero va subito alla delicata problematica relativa all’abbattimento delle barriere architettoniche. Con questo termine si intendono tutti gli ostacoli, soprattutto edilizi (scale, ascensori, marciapiedi) che non permettono la completa mobilità delle persone con difficoltà motorie. Non bisogna, però, dimenticare l’esigenza degli stessi nel campo del trasporto pubblico o, in particolare, con mezzo proprio. Per poter guidare un autoveicolo è necessario conseguire un patente speciale, cioè un documento di guida che attesti l’idoneità  della persona disabile a condurre un’autovettura modificata secondo le proprie esigenze. Gli adattamenti, che debbono sempre risultare dalla carta di circolazione, possono riguardare sia i comandi di guida, sia la carrozzeria o la sistemazione interna del veicolo (sedile scorrevole-girevole, sistema di ancoraggio della carrozzina, sportello scorrevole). Compete poi alla Motorizzazione civile controllare e verificare la corrispondenza delle modifiche. Tra le varie agevolazioni previste per facilitare la mobilità dei disabili c'è il contrassegno per auto che, in deroga ad alcune prescrizioni di legge, mette al riparo i soggetti portatori di handicap e/o invalidi da improprie contestazioni o verbalizzazioni di infrazioni. Il contrassegno invalidi è un tagliando di colore arancione con il simbolo grafico della disabilità che permette alle persone con problemi di deambulazione di usufruire di facilitazioni nella circolazione e nella sosta dei veicoli al loro servizio, anche in zone vietate alla generalità dei veicoli. Corre l’obbligo precisare che l’invalido civile anche al 100 per cento non può posteggiare in divieto di sosta solo perché

gli spazi ad hoc sono lontani. Lo ha sancito una recente sentenza della Cassazione. Inoltre, chi usa il contrassegno del padre invalido, al fine di accedere alle zone a traffico limitato (Ztl) e parcheggiare gratis, commette un illecito amministrativo. Lo ha stabilito un’altra sentenza, pronunciandosi su casi analoghi a quello in argomento.

Va infine ricordato che, per i disabili, sono previste agevolazioni fiscali per l’acquisto di autovetture. E’ prevista l’esenzione dal bollo auto (limitatamente a fasce di cilindrata ben precise) che spetta sia quando l’auto è intestata allo stesso disabile, sia quando risulta intestata a un familiare di cui egli è fiscalmente a carico.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MARZO 2014

 

Bambini e televisione

 

Un recente studio d’oltreoceano mostra i rischi per i minori che sono causati dall’abuso della TV. Il documento raccomanda, tra l’altro, di far sparire i mass-media elettronici (Tv e computer) dalle camerette dei bimbi e di non superare le due ore davanti a tali apparecchi. Riflettiamo un po’ e, guardando in casa, ci domandiamo: siamo dentro o fuori questi suggerimenti?

I bambini sono affascinati da quello che può essere definito come bombardamento mediatico. Del resto anche gli adulti sono già stregati da esso. E’ dimostrato anche dalla disposizione dell’arredamento: al centro della stanza più importante della casa il televisore che, come un moderno totem, è intoccabile e obbligatorio.

Eppure talvolta abbiamo la sensazione che il suo stesso “essere lì”, col suo continuo messaggio pubblicitario onnipresente, ci obbliga a pensare che la vita è tutto un commercio. E’ solo sensazione o altro? E se sono affascinati gli adulti, sicuramente è più facile stregare i bambini! Non bisogna dimenticare che i bambini si accostano alla Tv e la guardano con motivazioni diverse da quelle degli adulti. Il bambino guarda la Tv perché cerca di capire il mondo, ma la Tv non è sempre il mezzo più adatto; i bambini di età inferiore ai 3 anni, per esempio, non sono ancora in grado di discernere la realtà dalla finzione. I minori “bevono” Tv, la respirano sin da quando hanno ancora il pannolino, ma paradossalmente e tragicamente non è una loro scelta: è un’imposizione cui non sanno sottrarsi, ma preferirebbero di gran lunga la mamma per farsi leggere una storia o gli amici per scorrazzare. Purtroppo la Tv viene usata dai genitori come babysitter.

Ma quali sono le implicazioni di natura psicologica che il minore può subire e quali i giusti rimedi da adottare? Lo abbiamo chiesto a Maria Moschetto, psicologa e psicoterapeuta, che opera nella Sicilia sud-orientale.

«La televisione in sé non va demonizzata ma è l’uso che se ne fa sia da parte di chi la produce (vari network, pubblicitari) sia da parte di chi la fruisce. Possiamo certamente riconoscere in essa una potenzialità in quanto strumento di cultura e di democrazia nonché fonte di divertimento e svago. Esistono reti televisive, nel vasto panorama odierno, nelle quali intere programmazioni educational hanno come obiettivo fondamentale il bambino e non l’impero dell’audience; veicolano, con un linguaggio semplice e diretto, valori, offrono modelli positivi di identificazione e attivano o suggeriscono strategie di problem solving, di empatia favorendo lo sviluppo di abilità sociali utili nelle relazioni. Altre potenziano la creatività e la flessibilità del pensiero impiegando giochi interattivi, indovinelli, quiz, con un feedback immediato e coinvolgente. Quando allora la Tv diventa una ‘cattiva madre’ come la definì Popper nel 1996? In primo luogo, quando il telecomando è nelle mani del bambino, ovvero quando, indipendentemente dall’età, un bambino può scegliere indiscriminatamente di vedere qualsiasi programma, senza filtro, senza avere occasione di confrontare la finzione con la realtà, senza avere il tempo di riflettere su ciò che è bene e ciò che è male. Solitamente corrisponde ad uno stile genitoriale permissivo e accade che il bambino può guardare la televisione tutto il tempo che vuole: la mattina arriva in classe con la testa piena zeppa di immagini che ha appena finito di vedere o ha fatto tardi la sera precedente per arrivare ai titoli di coda della sua fiction preferita, e spesso è irrequieto e distratto. Secondariamente, l’esposizione a immagini e informazioni poco appropriate alla fase di sviluppo, specie se violente, di sofferenza o morte, rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo emotivo del minore. Negli Stati Uniti sono stati condotte innumerevoli ricerche sulla violenza nei media da cui è emerso, sinteticamente, che essa produce un significativo incremento dell’aggressività per effetto di un processo di apprendimento per imitazione; una desensibilizzazione, “normalizza” l’aggressività nella vita reale e nei confronti delle vittime; e, infine,  favorisce la percezione di un mondo pericoloso dominato dal crimine. Altri studiosi sottolineano l’effetto di semitrance ipnotica in cui cadono i bambini (evenienza allarmante se si verifica prima dei 36 mesi di età) quando sono massicciamente esposti alla televisione, per più di venti-trenta ore settimanali. Ciò inibisce lo sviluppo delle funzioni dell’emisfero sinistro, il quale presiede alle competenze logico-verbali e simbolico-astratte, limitando, dunque, le abilità espressive verbali. Altra questione, molto dibattuta, rimane il ruolo dei media nel limitare lo sviluppo della fantasia e della creatività. I genitori, pertanto, dovrebbero riappropriarsi di un ruolo decisionale, talvolta vacante, e cominciare con il ridurre il numero di ore che i figli trascorrono di fronte alla Tv, offrendo delle attività alternative, e privilegiando, quando possibile, quelle all’aria aperta. Per i piccoli prima dei sette anni non si dovrebbe superare un’ora di Tv al giorno, da raddoppiare in età scolare . Sarebbe opportuno,  poi, distribuire tale limite nell’arco temporale della giornata in intervalli di mezz’ora massimo. La presenza di un adulto sarebbe auspicabile non solo per vigilare sui contenuti trasmessi ma anche per favorire lo sviluppo di un pensiero critico autonomo  scambiando impressioni ed opinioni, analizzando e neutralizzando eventuali messaggi diseducativi. Anche i programmi vanno accuratamente selezionati in precedenza, evitando che il bambino resti passivamente sintonizzato sullo stesso canale a nutrirsi di qualsiasi trasmissione in “serie”. Dalle suddette considerazioni ne discende, logicamente, la sana regola di non collocare la Tv nella camera dei bambini, di non superare una specifica ora serale, concordata da entrambi i genitori, di alternare anche alla programmazione delle reti la visione di un film accuratamente scelto in relazione all’età del bambino».

Certo a questo punto potremmo parlare dei problemi più “legati alla salute”, che la ricerca scientifica ha cercato di mettere in evidenza parlando del rapporto tra Tv e minori. Sembra che la Tv diminuisca la prontezza di riflessi nei bambini e alcuni studi mettono in associazione un diffuso deficit di attenzione scolastica anche con l’eccessiva esposizione ai media. Corre l’obbligo tenere presente che guardare tanto la Tv è molto probabilmente associato allo sviluppo di obesità e di comportamenti antisociali, se si supera un certo numero di ore di esposizione a scene “truculente”. Sono soltanto ipotesi?

«Come ho detto prima, alcune sono ipotesi che hanno trovato supporto in numerosissime pubblicazioni scientifiche sul tema. Ad esempio la correlazione fra ore trascorse davanti la Tv ed obesità nei bambini è un dato ormai acquisito nella letteratura scientifica. A parte l’inattività fisica, anche l’abitudine a consumare il pasto mentre si guarda la televisione gioca un ruolo determinante sull’insorgenza dell’obesità giacché distoglie l’attenzione dal gusto e dal sapore del pasto e si “ingurgita” ciò che è disponibile indipendentemente dal fabbisogno calorico e dalla qualità del cibo».

 

 

 

 

 

 

 

Quando la poesia è testimonianza

 

“Il sogno lirico di un poeta – accattivante e talora inquietante come la sua stessa estetica –, che non disdegna il lirismo metafisico pur se teme, umanamente, il sogno teologico; o che il piacere e l’ebbrezza del poeta, questo sogno possano intaccare”. Scrive così Giovanni Occhipinti nel 2004 nel suo volume “La voce della poesia. Un itinerario poetico per Alberto Caramella” (Edizioni Feeria, Firenze). Il libro celebra l’interrogazione che Occhipinti rivolge, da poeta e da critico, all’esperienza poetica di Alberto Caramella (Firenze 1929-2007). Egli non si sofferma soltanto sullo scandaglio o sui bagliori che emanano da questa poesia, bensì, per così dire, ama giustamente contestualizzarla in quel percorso di pensiero e di poesia che attraversa tutto il Novecento. Da Kant a Marcuse, da Montale a Saba e Cattafi, tanto per fare qualche nome.

Nell’ambito di tali istanze e sulla scia della “Giornata mondiale della poesia”, la Fondazione il Fiore di Firenze in sinergica collaborazione con la Comunità di San Leolino di Firenze, ha organizzato, per l’intera giornata di venerdì 28 marzo, nella sede del Consiglio regionale della Toscana un convegno, “La testimonianza della poesia: Alberto Caramella”, in cui la poesia del proprio fondatore, Alberto Caramella, sarà messa a fuoco e analizzata a trecentosessanta gradi. Dopo il saluto del presidente della Commissione Cultura Nicola Danti e introduzione di Maria Giuseppina Caramella, si alterneranno 14 relatori provenienti da diverse parti d’Italia. Tra questi ci sarà l’intervento di Giovanni Occhipinti, figlio degli iblei, poeta, narratore e critico letterario tra i più apprezzati del secondo Novecento, che con le sue opere segna la sua già estesa presenza nel variegato panorama della letteratura italiana contemporanea. Titolo della relazione: “La Casa della Luce come allegoria della poetica del tempo che ispira l’estetica del verso di Alberto Caramella”, lucida e puntuale analisi non solo sull’uomo e poeta Caramella, ma anche sulle domande e inquietudini che dallo stesso poeta si protendono sul nostro presente e sul nostro possibile futuro da un punto di vista umano. Si tratta, tuttavia, di un percorso ancora aperto di cui Occhipinti cerca di toccare i punti salienti ricordando, appunto, la “Casa della Luce” (cfr. il testo omonimo curato dallo stesso Alberto Caramella e pubblicato da Vanni Scheiwiller nel 1999), incastonata nella collina di Bellosguardo (zona di Firenze, situata nella parte sud-ovest, collocata su una piccola collina dalla quale si gode un bel panorama della parte più vecchia ed importante della città), inaugurata nel 1995, quando Caramella inizia a vivere la propria ufficialità di poeta con “Mille scuse per esistere”.

 

 

 

 

Auto del futuro, elettriche o ad idrogeno?

 

Ci saranno auto nei prossimi decenni? La risposta è certamente affermativa. L’attenzione, semmai, è spostata sulla struttura dei motori e sulla loro alimentazione. Per quest’ultimo settore sono molte le ricerche che cercano soluzioni più o meno ottimali.

Secondo un recente studio pubblicato da una nota multinazionale petrolifera, che prende in considerazione i variegati aspetti del prossimo futuro, è emerso che benzina e diesel alimenteranno le auto almeno per ancora mezzo secolo. Ovviamente tale prospettiva, fatta a lungo termine, deve essere considerata con la dovuta attenzione e, soprattutto, elasticità per i molteplici fattori che giocano delle variabili non indifferenti. Un aspetto, però, sembrerebbe abbastanza “certo” e cioè che fra circa cinquanta anni il mercato delle autovetture potrebbe liberarsi dei combustibili fossili e volgere lo sguardo verso fonti, cosiddette alternative, che limiterebbero così la domanda di benzina e gasolio al solo trasporto dei veicoli “pesanti”.

La ricerca sull’alimentazione dei motori del prossimo futuro pone molta attenzione all’idrogeno che potrebbe essere una soluzione ottimale per evitare o limitare al minimo le emissioni allo scarico (oggi molto nocive alla salute e all’ambiente). Problemi tecnico-strutturali del motore e costi alti sembrano, però, rallentare tale orientamento che, in tempi attuali, appare ancora molto futuristico. Da una proiezione dei dati relativi alla domanda globale dei “tradizionali” combustibili sembra che il picco sarà raggiunto intorno al 2035. Dopo tale data, considerato l’avanzamento tecnologico previsto per i motori e la programmata efficienza dei veicoli, la domanda inizierà a scendere per prestare il fianco all’uso di motori ad energia elettrica e, in tempi immediatamente successivi, ad idrogeno.

Ma come saranno i motori nel 2070? Aspettare è certamente segno di saggezza!

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

APRILE 2014

 

 

Artrosi, prevenzione e strategie terapeutiche

Interessante conferenza al Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa

 

Il termine artrosi indica una malattia degenerativa delle articolazioni che sono strutture deputate a collegare o “articolare” fra di loro le ossa. L’artrosi è fra le malattie croniche più comuni nella popolazione e la causa che provoca disabilità più frequente nell’anziano. Per tale motivo è importante capire i giusti comportamenti e abitudini al fine di perseguire, con l’aiuto dello specialista, precise strategie terapeutiche che consentono la prevenzione artrosi e di migliorare sensibilmente la qualità della vita.

A trattare tale rilevante problematica è stato Gianmauro Bisceglia, fisioterapista, che recentemente ha intrattenuto, su invito del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa, l’attento e numeroso pubblico intervenuto presso la sala conferenze del Centro stesso.

“Si tratta di una tematica che sicuramente coinvolge numerose persone - ha spiegato il presidente Giorgio Chessari nel corso del suo breve intervento introduttivo alla serata – e che necessita di ulteriori approfondimenti”. E’, dunque, utile affrontare determinate argomentazioni da un punto di vista scientifico e seguendo i dettami della fisioterapia. Quest’ultima è una branca della medicina che si occupa della prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dei pazienti affetti da variegate patologie (disfunzioni congenite o acquisite in ambito neuro-muscolo-scheletrico e viscerale) attraverso molteplici interventi terapeutici, quali: terapia fisica, terapia manuale/manipolativa, terapia posturale, terapia occupazionale e altre. Il campo su cui interviene il dottore Bisceglia è anche quello della terapia occupazionale, detta anche ergoterapia, ovvero disciplina riabilitativa avente come obiettivo primario il compito di portare il paziente a raggiungere il più alto grado di autonomia nelle attività della vita quotidiana, nella scuola, nel lavoro, in comunità. E l’artrosi è proprio una di queste malattie che meritano attenzione.

Lo scheletro (impalcatura reggente gli organi del corpo) consente il movimento del corpo nello spazio non solo per l’azione dei muscoli e tendini, ma anche per la presenza sulla superficie ossea di strutture “specializzate” le quali permettono lo spostamento di un segmento osseo rispetto ad uno o più adiacenti. Tali strutture sono rappresentate dalle articolazioni. Queste, pur essendo intimamente connesse all’osso a cui appartengono, differiscono profondamente da esso per la struttura. Il compito della struttura ossea è quello di resistere a sollecitazioni di flessione-torsione trasmesse dall’apparato muscolo-tendineo durante le fasi di contrazione-rilascio di una qualsivoglia attività fisica. L’articolazione permette il movimento di “osso con osso” comportandosi come un ammortizzatore. Con il termine articolazione si definisce un insieme di tessuti organizzati e strutturati per assolvere al compito descritto. Quando si instaura un processo degenerativo non infiammatorio a carico delle articolazioni si ha l’artrosi. Ogni articolazione, quindi, può essere interessata da un processo artrosico anche se vi sono sedi che più frequentemente vengono colpite, quali, ad esempio, mani, coxo-femorali (articolazione dell’anca) e ginocchia. Essa può esistere come manifestazione primaria - e in tal caso è localizzata nelle mani, piedi (es.: alluce valgo), ginocchio, anca, colonna, spalla, etc. - oppure come manifestazione secondaria (ravvisando una relazione tra lo sviluppo del processo artrosico e patologie preesistenti).

Il primo campanello d’allarme è il dolore. Ad esso subentra la limitazione funzionale (cioè limitazione dei movimenti articolari) e rigidità articolare, che è presente al risveglio o dopo un periodo di immobilità, accompagnata da senso di insicurezza e cedimento articolare soprattutto sulle articolazioni portanti (anca, ginocchio, caviglia). Spesso questo, a dispetto del dolore, è il fattore che più preoccupa chi è affetto da artrosi e lo induce a consultare il medico. Non di rado al movimento l’articolazione produrrà rumore di “scroscio”: esso è legato allo sfregamento delle superfici articolari che essendo divenute non uniformi, in seguito alla malattia, hanno perduto la levigatezza originaria.

Il dottor Bisceglia, nel corso della sua articolata e puntuale discettazione, ha più volte sottolineato come l’informazione rappresenta il primo passo da effettuare affinché il soggetto possa perseguire idonei accorgimenti per una buona profilassi. Prevenzione dell’artrosi significa volgere l’attenzione a ridurre – e talora eliminare - i fattori di rischio e/o aggravamento allo scopo di ritardare od arrestare l’evoluzione della malattia. La sedentarietà o peggio l’immobilità articolare divengono pertanto potenziali fattori di rischio artrosico. Anche un iper uso od abuso articolare, sottoponendo cioè un’articolazione ad eccessivo e ripetitivo carico di lavoro, conduce ad una usura articolare. Inoltre, il sovrappeso o, peggio, l’obesità danneggiano la salute articolare per lo stress meccanico cui sottopongono le strutture ossee. Corre l’obbligo ricordare che recenti studi, ancora oggetto di discussione, hanno messo in relazione l’alterato metabolismo degli zuccheri e dei grassi, negli obesi, con il danno prodotto a livello articolare. Infatti, anche coloro che hanno disordini metabolici, iperuricemia o gotta (accumulo nei tessuti di acido urico) per esempio, o disordini endocrini, come il diabete, risulterebbero statisticamente più esposti a sviluppare un’artrosi.

Per quanto riguarda i provvedimenti farmacologici, il paracetamolo (farmaco ad azione analgesica largamente utilizzato sia da solo, sia in associazione ad altre sostanze) rappresenta il medicamento di prima scelta per il controllo del dolore. In caso di dolore medio e severo, è possibile combinare più farmaci. Talvolta il dolore che accompagna l’artrosi è così forte da necessitare una somministrazione di farmaci più incisivi. In ogni caso è sempre necessario consultare il medico o il fisioterapista per una corretta impostazione del trattamento per il quale, nei casi più ostinati, risulta necessario ricorrere alla chirurgia ortopedica.

 

Giuseppe Nativo

 

 

MAGGIO 2014

 

 

Dopo l’estate arriva la nuova banconota da 10 euro

 

E’ nata qualche mese fa. Già se ne parla tantissimo, ma il battesimo sarà tenuto dopo la prossima estate. Si tratta della nuova banconota da dieci euro che presenta innovazioni nella veste grafica e passi avanti tecnologici volti ad offrire una maggiore protezione dalla contraffazione.

I nuovi biglietti, che come quelli della rinnovata versione del taglio da cinque euro avranno l’effigie della dea greca Europa da cui il vecchio continente prende il nome, saranno introdotti in maniera graduale al fine di consentire a tutti di adeguarsi e inizieranno a circolare a partire dal prossimo mese di settembre.

Per cercare di confondere il meno possibile l’ampia platea di utenza, la nuova banconota somiglia ai vecchi biglietti da dieci euro introdotti ormai dodici anni fa. Dalla veste iconografica si nota subito il richiamo all’architettura romanica, ma la tonalità del colore è rivolta verso sfumature del marrone, nell’insieme più calde. Ma la principale novità è un ologramma (trattamento delle immagini con sistema antifalsificazione) con il ritratto della dea Europa e una nuova filigrana. Altra caratteristica è il numero verde smeraldo che, quando viene mosso, cambia colore passando al blu scuro. Inoltre, grazie a un rivestimento protettivo, il nuovo dieci euro si presenta più resistente nel tempo. Ciò riduce le sostituzioni e di conseguenza i costi e il connesso impatto ambientale.

Si è già messa in moto la macchina tecnico operativa impegnata a sostegno dell’adeguamento dei dispositivi di controllo dell’autenticità e delle apparecchiature per la selezione e accettazione delle banconote. Tra i tanti obiettivi da perseguire è quello di aggiornare in tempo utile i software che leggono e riconoscono i soldi evitando così i disagi che molti utenti hanno accusato lo scorso maggio con l’introduzione dei nuovi tagli da cinque euro. In quella occasione, infatti, non pochi distributori automatici presso i tabaccai, le pompe di benzina e le biglietterie hanno respinto la banconota da cinque. Una delle principali motivazioni alla base dell’introduzione della nuova serie è la volontà di permettere a chiunque utilizzi le banconote di continuare a farlo in totale sicurezza.

A tale riguardo ed in relazione a problematiche connesse ai reati di contraffazione, è emerso che nel secondo semestre del 2013 Bankitalia ha riconosciuto false oltre 69mila banconote che sono state ritirate dalla circolazione, con un incremento del 10% rispetto al primo semestre del 2013. Da un ulteriore monitoraggio risulta che il taglio da venti euro risulta ancora il più contraffatto, rappresentando il 43,5% del totale dei falsi individuati nel periodo, seguito dal cinquanta euro (23,5%) e da quello di cento euro (17,8%).

Altra incombenza, da parte degli organi preposti al controllo della moneta, è l’azione continua di sostituzione delle banconote logore in circolazione. Ciò consente di mantenere elevata la qualità del contante e di conseguenza agevola il riconoscimento ed il ritiro dalla circolazione delle falsificazioni. Per rendere ancora più marcata l’opera di contrasto alla contraffazione sono stati realizzati, in sede europea, un sistema informatico di raccolta e monitoraggio dei dati sulle falsificazioni (il Counterfeit Monitoring System - CMS, ovvero Sistema di Monitoraggio delle Contraffazioni) e uno schema organizzativo che vede operare differenti istituzioni in ogni Paese membro dell’Unione.

 

 

 

 

Prescritte troppe medicine. In Sicilia si rischia lo spreco

 

Qualche settimana fa è stato pubblicato, a cura dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali (Osmed), un rapporto che offre un panorama completo sull’utilizzazione dei medicinali a livello nazionale e regionale. I dati presi in esame si riferiscono ai primi nove mesi del 2013. Lo scenario offerto, attraverso la lettura delle informazioni raccolte mediante i diversi flussi informativi, consente di capire l’andamento dei consumi e dell’assistenza farmaceutica. Relativamente alla regione Sicilia emerge una spesa farmaceutica convenzionata di classe A (ovvero quella fascia di farmaci essenziali a carico del servizio sanitario nazionale) abbastanza elevata pari a circa 178,9 euro pro capite, che è un valore al di sopra della media nazionale (circa 141 euro). Quasi tutte le regioni hanno fatto registrare, rispetto al 2012, una spesa lorda pro capite di farmaci per automedicazione (cioè quei farmaci per i quali sia per l’acquisto sia per l’assunzione non è necessaria la ricetta medica), con i maggiori incrementi in Sicilia (+13,0%).

Accanto ai consumi dei medicinali è stata anche evidenziata, da parte degli esperti dell’Agenzia italiana del farmaco, la prescrizione (soprattutto al sud), talora indiscriminata, di vitamine molto spesso non necessarie all’organismo.

Da tempo si parla di proteggere e promuovere la salute pubblica attraverso terapie efficaci cercando, anche, di salvaguardare la spesa farmaceutica che ha, come obiettivo principale, quello di garantire un accesso ai farmaci sostenibile e uguale per tutti. Ma alla luce del rapporto Osmed come si coniuga tutto ciò? E quali sono le problematiche correlate all’acquisto e consumo dei farmaci a Ragusa? Abbiamo girato la domanda al dottore Luca Guccione, titolare di una nota farmacia iblea.

«La realtà di Ragusa è sempre molto virtuosa essendo tra le prime in Sicilia per risparmio farmaceutico. In Sicilia sono solo alcune province a squilibrare questo consumo ma comunque in Italia siamo con il prezzo dei farmaci mutualistici più basso in Europa. Questo determina grossi problemi di esportazione dei farmaci all’estero da parte di esportatori di professione creando grosse mancanze di farmaci in Italia. Lo Stato nei suoi organismi di controllo più volte sollecitato non ha ancora dato risposta a questo grosso problema. Comunque in Sicilia la media del costo dei farmaci continua a diminuire in maniera importante essendo oltretutto subentrato un monitoraggio in tempo reale che è il mezzo della ricetta elettronica. L’aumentato consumo di farmaci OTC SOP (ndr farmaci senza obbligo di prescrizione) deriva dal passaggio di molti farmaci dalla classificazione della fascia C a questa categoria (il cui acquisto è a carico del cittadino) sì da poterne favorire la vendita nei negozi di vicinato.»

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

GIUGNO 2014

 

Economia e sviluppo in terra iblea

Analisi storica di Giuseppe Miccichè

 

E’ il 27 ottobre 1953. Per il capoluogo ibleo non è una giornata qualsiasi. Dai quattro pozzi scavati nei pressi di Ragusa, a poco meno di duemila metri di profondità, sgorga “l’oro nero”. I tecnici, euforici, parlano di notevole ricchezza del giacimento petrolifero che dà grande speranza per l’avvio di nuove attività produttive che “una stampa assolutamente disinformata” proclama come “liberazione dell’Italia da ogni dipendenza dall’estero grazie alla ricchezza del sottosuolo ibleo”. Presto i fatti smentiscono le aspettative degli indotti sulla economia iblea, ma anche le notizie sulla consistenza del giacimento. In quegli anni a comporre e rendere variegato il quadro delle attività industriali contribuiscono la Società “Linificio Siculo” per la lavorazione della paglia di lino, la “Cisalpina” e la “CIDA” a Pozzallo per la denocciolatura e frantumazione delle carrube, l’estrazione di melassa e la produzione di miele e di alcool mediante distillazione.

A far rivivere quel periodo è Giuseppe Miccichè nel suo recente volumetto “Economia e sviluppo in terra iblea” (Tipogr. Barone e Bella, Ragusa 2014, pp. 100) che racchiude un condensato di storia ben strutturato e corredato da un’apprezzabile bibliografia basilare su cui il lettore si può confrontare cogliendo gli aspetti essenziali di una storiografia ragionata. Miccichè, già docente di discipline umanistiche nelle Scuole secondarie, co-fondatore nel 1981 del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa (ricoprendo la carica di Presidente fino al 2002), ha al suo attivo non pochi saggi che vanno a sviscerare, in maniera esaustiva, variegate tematiche riguardanti la storia politica e sociale siciliana tra ‘800 e ‘900 (tra cui “Dopoguerra e fascismo in Sicilia”, 1976; “Il Movimento Cattolico nella Sicilia sud-orientale”, 1994; “Santa Croce Camerina nei secoli”, 2003; “Il Movimento socialista nella Sicilia sud-orientale”, Ragusa 2009).

Con questo lavoro l’autore, come scrive in premessa, “intende cogliere i momenti di avanzamento e quelli di crisi della economia iblea” nonché “le trasformazioni subite dal territorio” ponendo come base i “caratteri che essi hanno gradualmente assunto dai secoli più lontani all’inizio del terzo Millennio”. Tutto ciò gli consente di porre il presente in un complesso gioco di relazioni con il tempo, rintracciare precise radici dei percorsi socio-culturali e possibili evoluzioni delle stesse. L’excursus intrapreso fa da pungolo al lettore per approfondire le molteplici sfaccettature della storia di terra iblea che si mostra come un territorio dalle grandi possibilità. Basti pensare all’introduzione dell’istituto degli enfiteusi (di antichissima origine, noto già in età greca e romana) voluta dai conti di Modica e che a partire dalla metà del ‘500 contribuisce in modo determinante alla “defeudalizzazione del territorio, incidendo profondamente nella costruzione della originalità dell’area iblea relativamente all’assetto proprietario, al rapporto uomo-terra, alla diversificazione colturale”. Dopo il funesto evento tellurico del 1693 e la relativa ricostruzione urbanistica, si assiste ad un graduale sviluppo sul piano economico, e commerciale. Una marcata crescita demografica si registra tra il 1595 e il 1798 (Modica oltrepassa i 19.000 abitanti, Ragusa ha 16.616 anime). Alla fine del ‘700 il cosiddetto “morbo nero” investe i vigneti di diverse contrade producendo gravi danni, in particolare nel vittoriese. I primi anni dell’800 vedono la zona iblea tra le più avanzate anche sotto l’aspetto della varietà colturale, come testimoniato dall’abate Paolo Balsamo (noto studioso di economia agricola) nel suo “giornale” di viaggio compiuto in Sicilia.

Il periodo successivo è contraddistinto dalla nascita delle prime strade: la Noto-Bulgifezza per Spaccaforno (oggi Ispica) e la Ragusa-Modica-Scicli. Nella seconda metà degli anni ’80 dell’Ottocento una grave crisi agraria e commerciale investe il circondario di Modica coinvolgendo i locali istituti di credito sorti in quel periodo (tra cui la Banca Popolare Cooperativa di Scicli, 1884; Banca Agricola Industriale Circondariale di Modica, 1886; Banca Popolare Cooperativa di Vittoria, 1887; Banca Popolare Cooerativa Agricola di Ragusa, 1889). In tale contesto si registra la nascita e lo sviluppo dei Fasci dei Lavoratori

 

 

 

 

 

Troppo rumore negli ospedali e si guarisce più lentamente

 

Voci indistinte. Bambini che giocano. Cellulari che squillano. Una marea di rumori riempie l’ambiente circostante. Sembra di essere al bar, invece si tratta di una corsia ospedaliera. Si sa che trovarsi in ospedale non è come essere a casa. La permanenza ospedaliera non è mai facile, tra terapie, prelievi e orari non sempre comodi. Ma c’è un fattore che oltre a risultare fastidioso può anche ritardare la guarigione del paziente: il rumore. La seccante sensazione acustica inizia la mattina presto allorché l’infermiere accende la luce svegliando il paziente per avvisarlo che è già l’ora del termometro. Poi arriva il momento per misurare la pressione sanguigna; e così via, in un susseguirsi di eventi e adempimenti da superare nel corso della giornata tipo di un paziente ricoverato. Nel corso delle visite dei parenti i corridoi si riempiono di gente che talora parla ad alta voce: basterebbe chiudere le porte, ma non lo fa nessuno.

A ciò si deve aggiungere lo scarico dell’acqua della toilette, il passaggio del carrello della lavanderia. Al primo posto rimane, dunque, il rumore che impedisce o, molto spesso, interrompe il riposo notturno.

Diversi studi hanno dimostrato che il rumore all’interno delle strutture sanitarie è aumentato nel corso degli ultimi anni, specie a causa del numero sempre più elevato di strumenti tecnologici in funzione, dai monitor ai cercapersone ai telefonini, oltre che per l’ubicazione del nosocomio. In pratica si è notato che il rumore durante il sonno o addirittura l’interruzione del sonno stesso possa provocare al paziente non pochi disturbi, quali ad esempio l’aumento dei battiti cardiaci. Tutto ciò può rappresentare un danno per il paziente ricoverato? Abbiamo girato la domanda al dottore Salvo Figura, già medico anestesista rianimatore presso una delle strutture ospedaliere iblee.

«Ricordo che una volta nei pressi degli ospedali un cartello stradale ammoniva: Ospedale, zona di silenzio. Credo che non esista più perché coperto da cartelloni che stracolmi di pubblicità. Gli automobilisti strombazzano a più non posso tra l’indifferenza generale. Il danno per il paziente ricoverato esiste. Uno stimolo che superi la soglia di tolleranza, a parte il danno acustico (all’orecchio) provoca una scarica di adrenalina estremamente pericolosa per i cardiopatici e gli ipertesi. Il danno dunque, c’è, esiste ed è reale».

Il valore medio del rumore all’interno degli ospedali supera quello previsto per tali strutture?

«Viene superato di gran lunga, sfiorando e superando spesso i cento decibel, cioè il rumore prodotto all’interno di una metropolitana. Gli standard prevedono un picco massimo di cinquanta decibel, ma “normalmente” si viaggia tra i sessanta e i settanta. L’ideale sarebbe molto meno. Le statistiche inoltre indicano il Sud più fracassone del Nord e l’Italia tra le più indisciplinate d’Europa».

 

 

 

 

Estate tempo di mare e di abbronzature. Come difendersi dalle “minacce” del sole

 

E’ in arrivo il sapore della bella stagione. Un sapore che sa di salsedine. La spiaggia e gli spumeggianti spruzzi del mare saraceno che lambisce da sempre le coste della Sicilia sud-orientale invogliano a provare l’intima carezza di un sole accattivante e caldo. E’ tempo di bagni ma anche di abbronzature, alla ricerca dell’ostentazione di una pelle scura per dimostrare di essere stati al mare. Prendere il sole sugli scogli delle frazioni marinare iblee non è come abbronzarsi sui lettini delle località balneari del nord. Nell’assolata Sicilia basta poco per abbronzarsi più del dovuto.

L’abbronzatura è quel fenomeno per il quale la pelle diventa scura in seguito all’esposizione ai raggi ultravioletti (raggi a breve lunghezza d’onda) provenienti dalla luce solare. La superficie del corpo esposta al sole cambia colore per una reazione fotochimica: le radiazioni solari stimolano un maggior rilascio di un particolare pigmento cutaneo che fa assumere alla pelle un colore bruno-nero. Una esposizione graduale al sole consente di raggiungere un’adeguata abbronzatura senza incorrere nelle scottature. Quest’ultime sono le noti dolenti delle vacanze estive. A tale proposito sono state poste alcune domande al dottore Salvo Figura, già medico anestesista rianimatore.

Dottor Figura in estate si parla spesso di eritemi e scottature. Cosa sono e quando appaiono sulla pelle? L’eritema è un semplice arrossamento dello strato superficiale dell’epidermide che appare chiazzata a “macchia di leopardo” insieme ad un intenso prurito, dovuto a notevoli quantità di istamina ed altri mediatori chimici liberati dalle cellule a ciò preposte. I soggetti che presentano familiarità per malattie allergiche ne sono più colpiti. Poi arrivano le scottature solari, da eccessiva esposizione al sole, specie nelle ore in cui l’ozono non riesce a filtrare i raggi ultravioletti. Le scottature possono arrivare ad interessare gli strati più profondi del derma col rischio che si formino delle vere cicatrici permanenti.

Qual è la differenza tra “colpo di sole” e “colpo di calore”? Il colpo di sole avviene per effetto diretto del calore solare sulla teca cranica, calore che da qui diffonde all’interno provocando un edema cerebrale più o meno intenso con conseguenze disastrose. Nei reparti internistici si vedono con frequenza. Il colpo di calore, molto più insidioso, si verifica quando il tasso di umidità dell’ambiente esterno, supera la capacità dell’organismo di espellere il sudore (quest’ultimo preposto al raffreddamento del corpo). Si suda finché percentualmente il nostro grado di umidità (il sudore) è superiore a quello dell’ambiente. Se ciò non avviene il corpo non riesce più a sudare con susseguente squilibrio delle percentuali di sodio e potassio presenti nel nostro corpo.

Un consiglio? Due semplici “armi” che possono aiutare moltissimo: il buon senso e l’uso di protezioni e precauzioni.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

SETEMBRE 2014

 

 

Il suggerimento dei pediatri. Leggete le fiabe ai bambini

 

I piccoli imparano a cliccare prima ancora di sapere come si volta una pagina di un libro o di un giornale. E’ ciò che emerge, in estrema sintesi, da una ricerca effettuata oltreoceano i cui risultati sembrano abbastanza chiari: i bambini cominciano ad usare molto presto apparecchi tecnologicamente avanzati (quali smartphone, personal computer, tablet) a discapito della lettura. L’attuale tendenza, caldamente suggerita dai pediatri statunitensi, è sintetizzata nel “nuovo” compito affidato ai neo-genitori: leggere, ad esempio, le favole ad alta voce ai propri bimbi fin dalla nascita e il più possibile.

Tale linea di comportamento è stata letteralmente “sposata” dalla Società italiana di pediatria in quanto è noto che la lettura ad alta voce percepita sin dalla tenera età migliori le abilità cognitive e favorisca lo sviluppo del linguaggio. Ciò sembra favorito da un’area importante del cervello che si sviluppa nei primi mesi e fino ai primi tre anni di vita. Pertanto, leggere ad alta voce aiuta i piccoli a sviluppare un buon vocabolario e, nel contempo, stimolare le loro capacità di socializzazione.

Leggere le favole ai bambini è un uso antico, e non solo un rito d'amore ma anche un momento d'incontro e crescita. Uno dei più importanti fattori che rientrano nella sfera affettiva di ciascun individuo è proprio il rapporto genitore – bambino. Non si deve, infatti, trascurare il fattore educativo che è un processo continuo ed ininterrotto. Si dice dei bambini che sono il risultato dei comportamenti dei genitori. I piccoli guardano, scrutano ed infine imitano. In buona sostanza fanno loro il modo di essere di mamma e papà, ovvero formano la loro personalità ricalcando quella delle figure di riferimento primarie. Di qui l’importante compito di vivere quotidianamente e con serenità il rapporto con i figli. Un magico strumento per raccontare il mondo ed insegnare la morale ai piccoli è rappresentato proprio dalle fiabe: storie fantastiche che celano i

più nobili e puri principi.  Vanno bene tutte da quelle classiche a quelle originali, dalle più moderne ed avventurose alle più antiche, semplici ed intramontabili che ricordano tantissimo le serate trascorse con i nostri nonni attorno al focolare domestico.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OTTOBRE 2014

 

 

Giallo-thriller realizzato in provincia di Ragusa

“B.I.T.C.H.” lungometraggio ideato da quattro studenti cineasti

 

   Che cos’è il cinema? A questa domanda il filosofo francese Henri Bergson, nel 1907, fornisce una risposta ben precisa, e lo fa nel quarto capitolo de L’evolution crèatrice, collegando con equilibrata freddezza i termini “macchina” e “meraviglia”, laddove la stragrande maggioranza delle persone vi aveva visto solo la seconda, come enigma insondabile.

   Viktor Sklovskij (critico letterario e scrittore russo, 1893-1984) afferma che il cinema, in quanto opera d’arte, può essere percepito e compreso solo associandolo per confronto ad altre opere d’arte. Una nuova forma d’arte non nasce per esprimere un nuovo contenuto, ma per meglio esprimere il contenuto che una vecchia forma d’arte non è più in grado di esprimere, avendo perso il suo valore artistico, quindi la sua capacità di veicolare un messaggio.

Lev Kulesov (regista cinematografico e teorico russo, 1899-1970), coglie invece la sostanza del procedimento di montaggio, ricavandone tutti i possibili echi teorici, tra cui quello fondamentale di porre in evidenza certi elementi, tratteggiando la loro essenzialità, donando al montaggio stesso una nuova, diversa, verità.

   Sono questi alcuni dei tanti obiettivi che un affiatato gruppo di studenti ragusani si è prefisso attraverso la realizzazione del lungometraggio interamente realizzato nel territorio ibleo. E’ grazie all’impegno profuso e all’entusiasmo stravolgente e trascinante di Jacopo Pellegrino, Raffaele Romano, Salvatore Schininà, Gianluca Todaro che ha preso vita la loro “creatura”. Si tratta del film “B.I.T.C.H.”, realizzato a budget zero. I quattro studenti ragusani, riunitisi nella casa di produzione Bullet Pictures, con la loro creatività, il loro modo di fare e la capacità di sapersi porre nella maniera giusta, sono riusciti a coinvolgere anche attori professionisti dell’area iblea dando consistenza ad un interessante progetto cinematografico che ha suscitato la curiosità del pubblico. La “premiere” si è già tenuta a fine settembre al Cineplex di Ragusa. Il film, della durata di 94 minuti, è un giallo-thriller. Raffaele Romano e Jacopo Pellegrino hanno curato la regia, su soggetto dello stesso Romano, mentre la sceneggiatura è stata scritta a sei mani da Pellegrino, Romano e Schininà. Quest’ultimo ha ricoperto pure il ruolo di aiuto-regista. Gianluca Todaro si è occupato, invece, di dirigere la fotografia. Nel cast Germano Martorana, Vittorio Bonaccorso, Barbara Giummarra, Alessandro Sparacino, Piero Gurrieri, Amélie Mastalerz, Adriano Gurrieri, Anita Indigeno, Jessica Anzalone, Fabio Guastella, Salvo Paternò, Federica Bisegna. Alla presentazione del lungometraggio ha partecipato anche Giacomo Campione cui è stato affidato il missaggio audio e il sound design. Da menzionare anche Sarah Pollicita che ha curato i costumi, mentre per il trucco si sono adoperati Roberta Di Giorgio e Marisa Velardi. I loghi delle locandine sono stati realizzati da Napalm Artworm.

   Idonea, ma anche coraggiosa, si è rivelata la scelta dei quattro di ambientare il film al di fuori dei consueti stereotipi siciliani, utilizzando le location dell’area iblea che, in questo caso, sembrano risultare irriconoscibili proprio perché non calati nei contesti tradizionali. La trama. L’azione si svolge a Brexton Island, quella che chiamano “the city of Heaven”, ovvero la città del Paradiso. Un’isola situata nel cuore dello Stretto della Manica in cui tutto, o quasi, è concesso. Bevande alcoliche, droga e prostituzione rappresentano il motore dell’economia locale, attirando turisti provenienti da ogni parte del mondo. All’interno dei sobborghi caratteristici della città si celano verità nascoste che solo il protagonista, grazie al suo temperamento, riuscirà a svelare. E’ proprio tra i vicoli di Alley’s District, noto come il quartiere degli eccessi, che una prostituta viene brutalmente assassinata. E’ la più richiesta a Brexton Island, la più ambita, il suo nome è Roxanne. Toccherà all’ispettore John Benson ricostruire la notte dell’omicidio, lottando contro il tempo e andando incontro a numerosi sospetti e parecchi ostacoli. Un film a forti tinte gialle, che, non limitandosi semplicemente a raccontare una storia, sottolinea i vari percorsi introspettivi dei personaggi, in un’articolata vicenda intrecciata da molti intrighi, azione e mistero.

   La Redazione di “Dialogo” ha piacevolmente intrattenuto una chiacchierata con Jacopo Pellegrino che ha rilasciato la seguente intervista.

   Com’è nata l’idea del film? “La passione per il cinema e per il videomaking in generale ci accomuna ormai da molti anni e, come spesso accade, l’idea di realizzare un film è nata quasi per caso. Dopo la realizzazione di diversi cortometraggi a stampo perlopiù amatoriale, avevamo la voglia di osare di più e di progettare e concretizzare qualcosa di veramente impegnativo. Così ci siamo riuniti e abbiamo cominciato a parlare di B.I.T.C.H., rendendoci conto che un cortometraggio non sarebbe bastato per raccontare la storia che avevamo in mente, ma che la dimensione naturale del nostro progetto doveva essere quella di un lungometraggio”.

   Cosa si prova ad essere dietro la macchina da presa? “La sensazione che si prova dietro la macchina da presa è sicuramente unica e particolare. Vedere le singole scene progettate durante lo spoglio della sceneggiatura prendere vita grazie agli attori credo sia una delle esperienze più belle da poter provare per chi, come me, ha la passione per il cinema. Inoltre, lavorare con attori con grande esperienza, oltre che piacevole è stato profondamente formante, quindi senza alcun dubbio un’esperienza pienamente positiva”.

   Un fatto curioso verificatosi nel corso delle riprese? “Il primo giorno di riprese, la scena prevedeva la presenza di diverse belle ragazze che dovevano interpretare delle prostitute.

Ovviamente questo ha attirato diversi passanti incuriositi dalla situazione, così quando ancora nessuno sapeva del film già ci furono molte persone "catturate" da B.I.T.C.H.”

   Perché la scelta di luoghi iblei? “Sapevamo che gli scorci del nostro territorio si prestavano benissimo al tipo d'ambientazione impostata nella sceneggiatura. I vicoli caratteristici di Ragusa Ibla e non solo si adattavano perfettamente alle azioni dei personaggi e agli stati d'animo che muovevano tali azioni. Inoltre, allontanandoci dai tipici cliché collegati alle nostre location, abbiamo voluto valorizzare ancor di più, e in modo diverso, la bellezza dei nostri luoghi, dando la possibilità al pubblico di calarsi nel loro proprio ambiente in un modo insolito. Lo stesso titolo "B.I.T.C.H. - Brexton Island The City of Heaven" dimostra come l'ambientazione funga non solo da scenario di contorno, ma anche da personaggio principale in quanto funzionale alla trama”.

   Quali progetti per il futuro? “Per il futuro abbiamo intenzione di dedicarci alla produzione di cortometraggi e di lavori su commissione, quali pubblicità o videoclip musicali. In particolare nel breve periodo abbiamo in programma la produzione di alcuni racconti a tema noir, la quale visione sarà fruibile su Youtube nei prossimi mesi”.

 

   E’ stato raggiunto per telefono il sig. Gaetano, papà di Jacopo, a cui è stato chiesto il suo parere, come genitore, sul lavoro cinematografico svolto dai quattro ragazzi. “Sono contento – ha risposto con una certa emozione – dell’impegno mostrato da tutti e, soprattutto, di come il gruppo sia riuscito ad organizzarsi gestendo al meglio e con responsabilità anche le non poche difficoltà incontrate nella programmazione del set. Il film è stato un ‘segreto’ anche per noi genitori finché non è stata proiettata la premiere”.

 

 

 

 

 

 

 

Impariamo a conoscere i benefici effetti sulla salute che ha questa bacca oggetto di recente anche di studi scientifici

Così l’estratto di mirtillo ci aiuta a star meglio

 

Stile di vita e dieta sono fattori ambientali che possono contribuire all’aumento o diminuzione del rischio di sviluppare malattie o problemi all’organismo. Per tale motivo si fa sempre più largo utilizzo del concetto di nutraceutica, ovvero la scienza che riguarda lo studio di alimenti che hanno specifiche proprietà benefiche contro malattie particolari. Una recente ricerca italiana ha indagato l’effetto di prevenzione che l’estratto di

mirtillo nero ha sulle malattie cardiovascolari. I mirtilli sono dei piccoli arbusti, appartenenti alla famiglia delle Ericacee, alti poco più di mezzo metro.

Il mirtillo neroè quello maggiormente ricco di principi salutari. Infatti contiene zuccheri e molti acidi, in particolare l’acido citrico (che protegge le cellule), ma anche altre sostanze quali l’acido ossalico che conferisce il classico sapore asprigno del frutto. Il succo del mirtillo è anche ricco di polifenoli, sostanze chimiche che sono ritenute capaci di aumentare i livelli di colesterolo buono e ridurre i livelli di quello cattivo nel sangue riducendo così il rischio di malattie cardiovascolari.

I risultati dello studio rivelano che con un consumo di mirtilli selvatici equivalenti per un essere umano a due tazze al giorno, per alcune settimane, si ottiene un’azione positiva nel regolare e migliorare l’equilibrio tra la vasodilatazione (aumento del calibro dei vasi sanguigni) e la vasocostrizione (meccanismo che conduce alla diminuzione del lume del condotto sanguigno) nella parete delle arterie, migliorando il flusso di sangue e la regolazione della pressione arteriosa.

Inoltre il mirtillo, con le sue proprietà, è utilizzato anche in campo oculistico in quanto ha il potere di migliorare la vista crepuscolare e notturna nonché di proteggere i capillari dell’occhio. Per sfruttare al meglio tutte le proprietà del mirtillo l’ideale è assumere il frutto fresco.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

NOVEMBRE 2014

 

 

Quando la psicologia e la medicina si incontrano

Intervista a Maria Moschetto sul disagio dei pazienti oncologici

 

Il cancro rappresenta la seconda causa di morte dopo i disturbi cardiovascolari. Non di rado si rivela lungo e tortuoso l’iter che devono seguire i pazienti oncologici nel corso del ciclo della malattia, dai primi sintomi, alla diagnosi, alla terapia medica fino a pervenire, nei casi più gravi, alle cosiddette “cure palliative”. Queste sono da considerarsi come strumenti terapeutici complessi per assicurare al paziente non la guarigione, ma un percorso esistenziale di qualità con ridottissima presenza di dolore nella consapevolezza più o meno lucida dell’esito finale. Subentra, pertanto, la necessità di instaurare un supporto psicologico sia per il paziente sia per i parenti, spesso scissi tra il desiderio di fare di tutto per il proprio caro e l’affaticamento che spinge al bisogno non sempre confessabile dell’exitus liberatorio.

In Italia, nel 1980, nasce a Genova, presso l’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro il primo servizio di psicologia oncologica. Nel 1993 si registrano 40 centri dislocati su tutto il territorio nazionale con una regolare attività di assistenza psicologica ai pazienti e ai loro familiari. La psico-oncologia acquista, pertanto, una precisa identità culturale, scientifica e metodologica che esita nella costituzione di una società internazionale di Psico-oncologia nel 1984. L’anno successivo in Italia è istituita la Sipo (Società italiana psicologia oncologica), associazione integrante le figure professionali (psicologi, oncologi, psichiatri e altri operatori sanitari) che lavorano nell’ambito dell’oncologia edell’assistenza alle persone malate di cancro e alle loro famiglie.

Ma che cos’è la psiconcologia? Abbiamo girato la domanda a Maria Moschetto, psicologo e psicoterapeuta che opera nell’ambito della Sicilia sud-orientale. «La psiconcologia si pone come interfaccia fra le discipline oncologiche e quelle psicologico-psichiatriche. La premessa da cui parte la psiconcologia è che il disagio psicologico, espresso dal paziente nel corso di una malattia oncologica, non è connesso ad una vulnerabilità o ad una predisposizione psicopatologica della persona stessa quanto piuttosto alla condizione di crisi che la malattia - quale evento stressante imprevisto - porta con sé. Il cancro è una malattia assimilabile ad un “evento traumatico”, possiede cioè la proprietà di traumatizzare rappresentando una minaccia all’integrità personale dell’individuo. In letteratura si denomina tale disagio col termine “distress” per differenziarla da etichette psichiatriche che connotano negativamente il vissuto di adattamento».

Cosa rappresenta per il paziente avere contezza della diagnosi di cancro? «Per rappresentare cosa significa la diagnosi di cancro si può fare riferimento all’immagine del professore Paolo Gritti (docente di Psichiatria presso l’Università degli Studi di Napoli) che la descrive come un “ospite sgradito che si presenta non invitato, occupa il nostro spazio domestico in modo invadente, ci impone radicali mutamenti delle nostre abitudini… condiziona il nostro futuro”. Il cancro sconvolge il progetto esistenziale del paziente, lo destabilizza, significa morte, dolore per la perdita di parti di sé, angoscia per qualcosa che è pur parte del corpo stesso, lo distrugge. L’incipit di chi ha vissuto l’esperienza di una malattia oncologica è caratterizzato proprio da uno “shock iniziale”…».

Si tratta, dunque, di una sorta di discontinuità, un’interruzione che irrompe e dirompe l’esistenza della persona. Tutto ciò produce sicuramente reazioni psicologiche? «Tale squilibrio può presentarsi in seguito ad una qualunque delle circostanze che riguardano la malattia oncologica ed il suo iter il cui obiettivo è quello di pervenire alla guarigione. La situazione emblematica è quella della diagnosi, ma può realizzarsi anche in fase di pre-ospedalizzazione ed accoglienza, quando il paziente impatta con la struttura, la sente estranea o nella fase di trattamento attivo, chemio o radioterapico, quando sono previste soste di isolamento prolungate nel tempo. Crisi, tuttavia, può essere rappresentata in riferimento all’ideogramma cinese contenente il simbolo sia del “pericolo” ma anche quello della “opportunità”: di fronte alla crisi di una malattia che minaccia la vita, esiste anche la potenzialità di una riorganizzazione dei propri valori esistenziali, l’opportunità di un cambiamento e di una crescita personale. Tali emozioni, perché possano costituire una potenzialità di cambiamento per la persona che le sperimenta, necessitano un contenimento efficace. L’azione di contenimento può essere assolta non solo da interventi psicologici di tipo specialistico, ma anche da un approccio di équipe che costituisce, per il paziente e per la sua famiglia, un’esperienza emozionale importante quale il sentirsi accolti nella totalità del proprio essere bio-psico-sociale e nella continuità della propria storia. A ciò si aggiunge anche la presa in carico del paziente in quanto persona piuttosto che della malattia. Questo è il fondamento della nuova modalità di assistenza che integra l’aspetto emozionale con gli aspetti biomedici della cura».

La remissione dalla malattia è sufficiente a consentire al paziente di ritornare ad uno stato di guarigione psicologica considerato che il trauma della malattia spesso rimane come una sorta di “ferita aperta”? «Si tratta di “ricucire l’anima al corpo”, riorganizzare la speranza, riattivando nel paziente la fede nelle cure e nelle capacità personali di reagire alla malattia, agire sulle risorse che il paziente crede di aver smarrito, ristabilendone la fiducia di base. In oncologia si è interessati non solo e non più a quanto a lungo il paziente vivrà a seguito di una diagnosi di cancro ma come vivrà e conviverà con esso. Prendersi cura vuol dire porre attenzione ai bisogni del malato nell’ottica della promozione della sua qualità di vita. Gli operatori sanitari, benché consapevoli del ruolo fondamentale del “contatto umano” col malato sono tuttavia, il più delle volte, impreparati alla gestione emotiva che tale relazione implica, sentono di non avere sviluppato, nel loro percorso formativo, un adeguato bagaglio di strumenti adeguati all’interno della loro competenza professionale».

In Italia qual è lo stato dell’arte della psiconcologia? «Alla luce di quanto qui brevemente accennato, si può concludere con una riflessione: in Italia lo stato dell’arte della psiconcologia ha raggiunto un tale spessore scientifico da poterle assegnare una identità ben definita di area specialistica ed evidenziare l’importanza delle variabili psicosociali nelle patologie cancerose. Purtroppo, il sistema sanitario è ancora permeato da forti resistenze e la presenza dello psicologo in oncologia è quasi relegato ad un “prodotto di nicchia”, di lusso o, peggio ancora, superflua».

 

 

 

 

 

Assistenza agli anziani con i robot tuttofare

I rapporti interpersonali sono salvaguardati?

 

I badanti, forse, hanno le ore contate. In un futuro più o meno prossimo sembra che gli anziani possano essere aiutati da robot. E’ quanto emerge da un progetto europeo presentato qualche mese fa a Pisa, denominato Robot-Era, e coordinato da un istituto specializzato della locale Scuola Superiore Sant’Anna. La sperimentazione, che avrà termine alla fine del 2015, prevede la realizzazione di tre sistemi robotici avanzati, appositamente studiati ed integrati per interagire in ambienti adattati per ospitarli, in grado di svolgere numerose funzioni e, dunque, destinati a migliorare la vita degli anziani.

Alla realizzazione dei robot ha partecipato un variegato e nutrito gruppo di strutture (tra cui università, centri di ricerca, servizi sociali) nonché un folto numero di anziani che si è reso disponibile per testare gli automi. Questi ultimi sarebbero stati costruiti per sopperire alle esigenze presenti in tre diversi scenari: domestici, condominiali ed esterni. Il robot domestico è programmato per agire in casa offrendo, in tal modo, molti servizi (come, ad esempio, supporto per terapie farmacologiche). Quello condominiale risulta specializzato per fornire prevalentemente servizi di sorveglianza, mentre quello da impiegare fuori casa si muove con agilità attraverso le strade cittadine e il suo compito è quello di ritirare acquisti o gettare l’immondizia o aiutare gli anziani nella loro quotidiana passeggiata. L’estetica dei robot sembra che sia stata studiata per conquistare la fiducia degli utenti.

La tecnologia basata su robot potrà aiutare gli anziani? Abbiamo girato la domanda a Maria Moschetto, psicologa e psicoterapeuta, che opera nella Sicilia sud-orientale.

«La rapidità e l’intensità del cambiamento demografico a cui si assiste nella nostra epoca è, a dir poco, singolare. Dai dati statistici emerge un accentuato invecchiamento della popolazione: in Italia il numero di ultra sessantacinquenni supera quello dei ragazzi con meno di 15 anni. Si parla di “senilizzazione” della società che implica un aumento della speranza di vita e un miglioramento delle condizioni generali di salute accompagnati, tuttavia, da un inevitabile incremento delle patologie cronico-degenerative e una maggiore incidenza di disabilità. A questo si aggiunge una profonda modificazione strutturale della rete di parentela caratterizzata, purtroppo, da una contrazione della capacità di “prendersi cura” delle generazioni più anziane. La robotica e il progetto di ricerca in questione potrebbe, pertanto, rappresentare una soluzione realistica avuto anche riguardo ad alcuni compiti che la macchina sarebbe in grado di svolgere. Si parla tanto di assistenza domiciliare agli anziani. L’uso di robot dovrebbe favorire, in primo luogo, la loro indipendenza e sicurezza nell’ambiente in cui trascorrono la maggior parte della giornata. In secondo luogo, si renderebbe remota la possibilità di trasferire l’anziano presso strutture di ricovero esterne con riduzione delle occasioni di allontanamento e conseguente senso di “sradicamento”, che, permanente o temporaneo, è uno dei principali fattori di disadattamento psicologico nell’anziano».

A prescindere da ciò che può offrire la tecnologia, quali sono le implicazioni psicologiche che potrebbero insorgere negli anziani? In buona sostanza, essere a contatto con “freddi” robot aiuterebbe l’anziano a continuare i rapporti interpersonali?

«Il problema e il limite di una tale forma “robotizzata” di assistenza riguarda, purtroppo, la relazione, il bisogno di contatto di ogni essere umano giacché la nostra esistenza è essenzialmente “relazionale”. Il contatto fisico, ma anche tutto ciò che ruota attorno alla sfera dei rapporti interpersonali, è un potente nutrimento psicofisico e, allo stato attuale, ritengo che la robotica non possa colmare tale bisogno. La piena attuazione di tali traguardi sarebbe un autentico successo sul piano dell’efficienza tecnologica ma è necessario, tuttavia, tener in debita considerazione la natura di ogni essere vivente».

 

Giuseppe Nativo

 

 

DICEMBRE 2014

 

 

 

“Spatulidda” di Giorgio Occhipinti

 

Parafrasando la riflessione di Shi Tao, paesaggista cinese di epoca Qing, si può affermare che la narrazione obbedisce all’inchiostro, l’inchiostro alla penna, la penna alla mano, la mano al cuore dello scrittore. E’ in tale dimensione che talora si riscontra anche una forza narrativa frutto di un confronto con eventi che sorprendono e comprendono fino a divenire, plasmati dall’autore-narratore, carezza dell’attimo destinato a rimanere eterno nella parola.

Tutto ciò emerge nel recente volume del ragusano Giorgio Occhipinti, “Spatulidda” (A&B Editrice, Gruppo Edit. Bonanno, Acireale-Roma, 2014, pp. 240). Il sottotitolo “Il narratore della gemma iblea” dà un piccolo assaggio del contenuto dove il lettore è catapultato in una dimensione inusitata che trae spunto da un mirabile paesaggio ibleo, “vallata del miele” e “cesto barocco di immagini policrome”.

Giorgio Occhipinti, classe 1938, aplomb serioso ma affabile, ha svolto la sua attività professionale alla direzione di ente pubblico per la cura degli interessi economici e sociali. Ha alle spalle un’intensa attività pubblicistica. Nel 2005 ha pubblicato “La Cava della Gazza” (Ismeca), pièce teatrale, già messa in scena al Garibaldi di Modica dalla Compagnia amatoriale Teatro Utopia.

Nell’architettura narrativa dell’autore è la “forza vitale del nostro territorio” che diviene traccia profonda, intrisa di archeologia e, nel contempo, condita da figure mitologiche, in cui si trovano impiantati “gli embrioni che diedero vita al seme ibleo”. Tali aspetti, talora intrisi di notizie socio-economiche, fanno da effetto collante all’intera cornice descrittiva che ruota attorno alle vite parallele dei protagonisti: Carlo, Francesco e Mattia, “nicchie temporali della vita” che “si accendono, si spengono, mettono in luce l’essenza degli eventi”. La loro “unità” giovanile ben presto si frantuma risultando “dispersa in tre frammenti” che “girano attorno ad un asse” e, sebbene la sorte li abbia disposti “in orbite diverse”, “vivono assieme della stessa linfa in più ripiani” come in una sorta di spaderella, chiamata volgarmente “spatulidda” (di qui il titolo dato al libro), che sfoggia i suoi colori nella gariga mediterranea “madre silvestre del vigoroso fiore che i Romani chiamarono gladiolo” (per le sue foglie appiattite a forma di piccole spade). Carlo, “difende il passato e ne incontra l’animo tra i templi nascosti negli antri romani”. Francesco “divaga tra la passione forte e l’avventura”. Sono due figure che dall’autore sono emblematicamente paragonate alle infiorescenze poste lungo lo stelo della spatulidda, “ripiena di cappucci”, alla cui cima si trovano quelli di Mattia e Aurora, figura femminile dal cuore ferito come madre e come sposa, entrambi avviluppati “da un turbinio di sentimenti rinati e rivissuti”. Il tutto avvolto dai mille odori nel manto erboso della vita contornato da verdi erbe prative quali “Lattuchedda”, “Lassini e Pisciacani, Aina sarvaggia e lucirtara, e Puorri, e Cicuoria spinusa”, incorniciati da muri a secco che “vanno per i colli e gli altipiani, come tanti serpenti mansueti”.

Di qui lo spunto per raccontare gli “eventi della storia” causa di “lacerazioni profonde nel tessuto sociale” attraverso il soffio vitale che l’autore-narratore imprime ai suoi personaggi.

Il volume possiede un’apparente struttura semplice che, ad un’attenta lettura, si rivela articolata e tanto ricca di notizie storico-mitologiche da poter considerare il volume come una sorta di topografia ragionata mitologica della Sicilia antica.

Inframmezzati alla narrazione talora si trovano dei versi il cui ritmo e pause si rivelano appositamente cadenzati e complici. Nei versi emerge una particolare musicalità che si coglie proprio in quei momenti in cui la parola da sola non basta e il pensiero si lascia modulare da sensazioni lontane, eppure vicine nell’emozione che regalano.

 

 

 

I luoghi, i tempi, le persone della vita di Maria di Nazareth

 

Un viaggio compiuto nei luoghi che secondo i vangeli e secondo la tradizione sono stati al centro dell’esistenza di quella giovane donna che tutta la Chiesa venera come madre di Gesù. Un itinerario fatto insieme alla semplice ragazza di Nazareth, lungo le strade della Palestina, dell’Egitto e dell’attuale Turchia, dove il lettore scopre, pagina dopo pagina, un panorama ricco di molteplici dettagli, tutti intrecciati con il contesto storico-politico dell’epoca.

E’ quanto emerge dal volume di Michael Hesemann, “Maria di Nazareth” (edizioni Paoline, Milano, 2014, pp. 384) il cui sottotitolo “I luoghi, i tempi, le persone della sua vita” preannuncia la stesura di un’interessante biografia su Maria che si estende dagli inizi del regno di Erode il Grande fino a tutto il primo secolo dell’era cristiana.

L’autore, classe 1964, è uno storico, documentarista e giornalista specializzato in divulgazione storica e scientifica ormai apprezzato in ambito internazionale. Ha studiato antropologia culturale, lettere e giornalismo all’Università di Gottinga (Germania). In Italia ha pubblicato, tra gli altri, “Pio XII. Il Papa che si oppose a Hitler” (edizioni Paoline, 2009).

Nel libro l’autore ripercorre, con l’occhio analitico dello storico,  i vari contesti nei quali si svolge la vita di Maria, a partire dalla sua famiglia con i genitori Gioacchino e Anna, dal giudaismo dell’epoca con le sue tradizioni incentrate sul culto nel tempio fino agli eventi politico-militari che si intrecciano con le vicende della provincia di Palestina e con la potenza imperiale romana. E’ proprio in tale contesto che le scene della vita si susseguono con dovizia di particolari: la nascita di Gesù, la fuga in Egitto, la presenza di Maria in momenti particolari della vita di Gesù, per giungere al ruolo di Maria nella Chiesa primitiva, il suo rapportarsi con gli apostoli, il suo ruolo nella Chiesa di Gerusalemme.

Una peculiarità del lavoro di Hesemann è quella di porre l’attenzione alle testimonianze della devozione mariana nel corso dei secoli scavando nel solco delle tracce storiche che essa ha lasciato anche nei vari dipinti che raffigurano Maria.

 

Giuseppe Nativo

 

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