2015

Gennaio 2015

- Dal Socialismo alla “Nuova Democrazia” – Saggio di G.ppe Miccichè (Dialogo, gennaio 2015)

- Pubblicato poema di Gaetano Magro (Insieme, 25.01.2015)

 

Febbraio 2015

- La Chiesa di San Giacomo fuori le mura. Intervista alla professoressa Mirella Spillicchi (Dialogo, febbraio 2015)

- Grazie al modello 730 precompilato dichiarazione dei redditi più semplice? (Insieme, 15.02.2015)

 

Marzo 2015

- Il Partito Comunista nella’area degli Iblei 1921-1965 (Dialogo, marzo 2015)

 

Aprile 2015

- Chi ha ucciso Ponzio Pilato? Giallo storico di Natale e Salvo Figura (Dialogo, aprile 2015)

- La Sindone tra storia, culto e scienza (Insieme, 05.04.2015)

- Arriva la nuova banconota da 20 euro (Insieme, 19.04.2015)

 

Maggio 2015

- Internet e nuovi vocaboli. Il nuovo linguaggio dei giovani (Dialogo, maggio 2015)

- In pensione dal prossimo autunno il tagliando dell’assicurazione (Insieme, 10.05.2015)

- Teologia della donna rileggendo la Genesi (Insieme, 31.05.2015)

 

Giugno 2015

- Le medicine da mettere in valigia (Dialogo, giugno 2015)

- Il rapporto tra medico e paziente non sempre strappa un sorriso (Insieme, 14.06.2015)

- Biglietti aerei e ferroviari on line. Quali sono i diritti del viaggiatore? (Insieme, 28.06.2015)

 

Settembre 2015

- Ginevra (parte seconda). Viaggio onirico narrativo (Insieme, 27.09.2015)

 

Ottobre 2015

- Pile e batterie esauste. I dati sulla raccolta, trattamento e riciclo in Sicilia (Dialogo, ottobre 2015)

 

Novembre 2015

- Al via un progetto europeo per l’assistenza agli anziani (Dialogo, novembre 2015)

 

Dicembre 2015

- Convegno al Centro Servizi Culturali di Ragusa. “Interrogare il Novecento” (Dialogo, dicembre 2015);

- Solare anche nei centri storici grazie alle tegole fotovoltaiche (Insieme, 13/12/2015);

- Come accogliere ogni giorno la nascita di Gesù (Insieme, 25.12.2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

GENNAIO 2015

 

 

Dal Socialismo alla “Nuova Democrazia”

Luigi Macchi

Saggio storico di Giuseppe Miccichè

 

All’età di 72 anni, colpito da trombosi, Luigi Macchi esala l’ultimo respiro etneo il 17 marzo 1942. Muore “povero di beni materiali – ma ricco di un patrimonio ideale che merita di essere ricordato ed onorato”. Sulla stampa locale appare un laconico comunicato “come si doveva a un uomo che non aveva simpatizzato per il regime e non s’era piegato”. Non così nel cuore di tanta gente che ha tanto amato dedicando gran parte della propria vita. Non pochi sentono di rendergli l’estremo omaggio. Nel corteo, ma in forma privata, è presente il podestà Emanuele Giardina e altre personalità. Nei giorni seguenti gli organi di polizia prendono nota della scomparsa di un oppositore disponendo, pertanto, l’eliminazione del relativo fascicolo dal Casellario Politico e revocando il “riservato controllo della corrispondenza nei suoi riguardi”. Sulla comunicazione fatta dal Prefetto di Catania, Zannelli, con freddezza burocratica è apposto il timbro: “Morto”.

La militanza politica di Luigi Macchi (nato a Termini Imerese nel 1871) è compresa tra due avvenimenti di rilevante portata nella sua vicenda personale e nella storia del movimento socialista: l’esperienza giovanile nei Fasci dei lavoratori (1891-1894), e la decadenza dal mandato parlamentare per antifascismo nel 1926.

Pioniere del socialismo siciliano, avvocato penalista di facondia straordinaria, socialista di area “defeliciana”, consigliere comunale e assessore di Catania, parlamentare e antifascista, sempre attento alla causa lavoro, non fu mai elemento passivo, ma seppe dare un contributo prezioso di idee e di azione lasciando un segno profondo. Ciò nonostante appare molto scarsa la letteratura a lui dedicata. Per tale motivo lo storico santacrocese Giuseppe Miccichè gli ha dedicato il suo recente libro “Luigi Macchi. Dal Socialismo alla Nuova Democrazia” (Centro Studi “Feliciano Rossitto”, Ragusa, 2014, pp. 206).

Miccichè, già docente di discipline umanistiche nelle Scuole secondarie, co-fondatore nel 1981 del Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa (ricoprendo la carica di Presidente fino al 2002), ha al suo attivo non pochi saggi che vanno a sviscerare, in maniera esaustiva, variegate tematiche riguardanti la storia politica e sociale siciliana tra ‘800 e ‘900 (tra cui “Dopoguerra e fascismo in Sicilia”, 1976; “Il Movimento Cattolico nella Sicilia sud-orientale”, 1994; “Il Movimento socialista nella Sicilia sud-orientale”, Ragusa 2009; “Economia e sviluppo in terra iblea”, 2014).

Il libro, supportato da una robusta bibliografia e relative fonti d’archivio, si rivela non solo come preziosa e puntuale biografia di un importante uomo politico, ma anche affresco puntuale delle vicende politiche e sociali della Sicilia tra fine ‘800 e caduta del fascismo. Socialista fin dalla primissima giovinezza, Macchi dalla sua Termini Imerese si sposta a Catania e con De Felice, Tasca di Cutò, Montalto, Di Giovanni, diviene una delle figure maggiori del socialismo riformista, legalitario, costruttore, in contrasto col socialismo massimalista e ancor di più col comunismo.

Dai primi del ‘900 si afferma come attivo propagandista e lavora per la maturazione delle classi subalterne, la nascita di leghe e circoli, le lotte rivendicative. Diviene popolarissimo nella vecchia provincia di Siracusa, in particolare nel collegio di Comiso, dove è compagno di lotte di Nannino Terranova, Turi Molè, Peppino Di Vita.

Collaboratore di De Felice nella amministrazione comunale di Catania, assessore ai LL.PP. e per qualche tempo prosindaco, è artefice del piano regolatore della Catania di nord-est, che modernizza e rilancia. Nel 1913 il Macchi si candida alle politiche per la XXIV legislatura nel collegio di Comiso, dove non è eletto; entra comunque alla Camera nel novembre 1914 nel collegio di Paternò, succedendo a Giovanni Milana

Sempre critico del “nordismo” del Partito socialista e della linea intransigente, è tra i principali rappresentanti del Psri, costituito da Bissolati, Bonomi, De Felice. La Grande Guerra e la scelta interventista, in contrasto col neutralismo del Psi, impediscono la crescita del nuovo partito. Macchi resta fermo alla sua scelta, convinto che i lavoratori devono sentire la Patria come propria.

Dalla primissima giovinezza è amico del famoso baritono Titta Ruffo e della sorella di questi Velia, e nel gennaio del ’16 è testimone di Velia che sposa Giacomo Matteotti, il futuro martire.

Morto De Felice nel ’20, egli resta in Sicilia il maggiore rappresentante del socialriformismo con Vincenzo Giuffrida, Tasca di Cutò, Saitta e altri. Come tanti socialriformisti, cattolici, liberal-democratici, si mostra inizialmente incerto davanti al fascismo, considerandolo fenomeno passeggero. Critica le violenze delle squadracce fasciste, ma anche quelle degli estremisti socialisti massimalisti e comunisti. Si avvicina poi agli antifascisti raccolti attorno a Giovanni Amendola e a “Nuova Democrazia” considerandoli ultima trincea contro il fascismo, e dopo il delitto Matteotti partecipa all’Aventino, sicché nel ’26 viene dichiarato decaduto da parlamentare.

Ritorna quindi alle aule giudiziarie tra i grandi avvocati, e a Catania è punto di riferimento per quanti restano fedeli alla democrazia e alla libertà.

 

 

 

 

Pubblicato il poema di Gaetano Magro

 

«… fino ad arrivare là dove nessuno è mai giunto prima». E’ la frase di apertura della famosa serie televisiva “Star Trek” (quella “classica” del 1966) che ritengo si possa adattare perfettamente al recente poema “Il vaniloquio delle cellule ebbre” (pubblicato su “Incroci”, semestrale di letteratura, gennaio-giugno 2014, pp. 36-40) di Gaetano Giuseppe Magro, professore di Anatomia patologica che naviga tra scienza e poesia, approdando anche alla narrativa (“Formalina”, 2013).

In quest’ultimo poema l’autore si incunea nelle vene della poesia per sviscerare quel senso iniziale e finale che avvolge il corpo del reale, fornendo al lettore un caleidoscopico universo di immagini avvolte in quell’intreccio ineffabile tra scienza e poesia, logica e arte, che varca – a doppio senso di circolazione – la sottile membrana di confine tra i due mondi. Un po’ come il “Viaggio allucinante” (Fantastic Voyage, film del 1966) in cui un sottomarino miniaturizzato alle dimensioni di una cellula viene iniettato nell’arteria carotide di un paziente. Un viaggio nell’infinitesimale, già presente nella letteratura fantastica, nei fumetti e anche al cinema, cui l’autore ha voluto dare un suo imprinting traendo le fila dai suoi precedenti lavori.

Una sorta di summa che propone il tema della relazione tra poesia e scienza. Un poetare in cui le due dimensioni interessate, in qualche modo, trascendono sé stesse per dar vita ad un terzo soggetto che è una novità nel campo del reale, si tratta di una verità “altra”che scaturisce come sintesi da una relazione di scambio. Quello che nell’autore sembra in apparenza «il vaniloquio delle cellule ebbre», si rivela invece un imperscrutabile disegno poetico. Sta al destinatario, al lettore, riconoscere, secondo la propria esperienza e sensibilità, la giusta dimensione in cui «ogni poesia è collirio di Dio».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

FEBBRAIO 2015

 

 

La chiesa di San Giacomo fuori le mura

Itinerari formativi del Centro Territoriale Permanente di Modica

Intervista alla professoressa Mirella Spillicchi

 

Formazione, cultura e arte. Sono alcuni dei fondamenti principi su cui si basa l’attività del Centro Territoriale Permanente (CTP) di Modica per l’istruzione e la formazione in età adulta. Da oltre tre lustri il CTP è un organismo formativo esteso a tutti i cittadini adulti che ha come obiettivo quello di mettere a loro disposizione percorsi culturali, attività di istruzione e di orientamento per accrescere sapere e abilità. Tali attività, cui si possono iscrivere cittadini italiani e stranieri per conseguire il diploma di licenza media oppure per approfondire determinati campi del sapere, sono curate da un team di insegnanti della scuola di stato.

E’ nell’ambito di tali aspettative che si muove il Centro Territoriale Permanente di Modica la cui operosità si è ben inserita nel territorio ibleo attraverso la sinergica collaborazione di alcuni docenti. Ci siamo rivolti alla professoressa Mirella Spillicchi che qualche settimana fa, nell’ambito delle lezioni del corso di beni culturali del Centro Territoriale Permanente di Modica, ha coinvolto in maniera estremamente positiva i corsisti adulti proponendo loro un percorso culturale rivolto al patrimonio chiesastico del territorio modicano.

Obiettivo della tematica intrapresa, e affrontata con approfondimenti che hanno toccato anche la storia dell’arte, è stato il romitorio di San Giacomo fuori le mura ubicato in contrada Fiumara. Immersa in una valletta ombrosa alla periferia della capitale della Contea, ai piedi del Ponte Guerrieri, la struttura religiosa si fa risalire al XIII secolo.

Come mai tale scelta? “La scelta dell’itinerario nasce dalla necessità di coinvolgere, ove possibile, l’intera cittadinanza al fine di divulgare la rilevanza del patrimonio monumentale e di architettura religiosa di cui dispone il nostro territorio. L’obiettivo è quello di proporre e – ove possibile - avviare un’efficace ed incisiva azione di recupero, correlandola alla relativa fruizione dei suddetti beni. Il sito scelto per la nostra visita è caratterizzato da uno stato di degrado, nonostante interventi ad opera del Centro sociale di Modica bassa, dell’Amministrazione comunale e della parrocchia di S. Maria di Betlem di cui la chiesa di San Giacomo è suffraganea”.

Quali sono le caratteristiche architettoniche della struttura? “La chiesa un tempo era raggiungibile attraverso il cosiddetto iuolu di San Jacubbu (il sentiero di San Giacomo), oggi non più percorribile a causa del forte degrado che caratterizza l’ambiente naturale che la circonda. La chiesa andrebbe recuperata non solo da un punto di vista storico e architettonico ma anche da quello turistico. In tale ambito gioca un ruolo, purtroppo, molto negativo il fatto che l’impianto chiesastico si trovi situato in una zona periferica della città di Modica. Ciò rende la struttura poco appetibile per i circuiti turistici ormai consolidati. Lo scorso anno è stata oggetto di una proposta di intervento che ha visto coinvolti rappresentanti del Centro sociale di Modica centro, della Curia diocesana e dell’Amministrazione comunale. L’architettura esterna non presenta elementi decorativi di particolare rilievo, fatta eccezione per il piccolo campanile sovrastato da una croce con braccia patenti. Una stretta feritoia funge da finestra. Un arco sovrasta gli ingressi. L’interno dell’edificio consta di due ambienti di cui, quello principale è sorprendentemente abbellito da un’interessante pittura nella nicchia absidale che propone l’iconografia della Deposizione. L’affresco si trova nell’abside e potrebbe risalire al XV secolo. La Vergine sorregge il corpo inerte del Cristo deposto dalla croce, a sinistra si trova San Giovanni evangelista, a destra una delle pie donne. Vi sono poi due personaggi alle estremità della composizione con abito e copricapo rinascimentale. Il tutto in una cornice dipinta a scacchi, simile a quella della cappella gotica della Chiesa del Carmine di Modica. In una nicchia è collocata la statua di San Giacomo, che reca la data 10 settembre 1898 e la firma dello scultore Angelo Strano, autore di diverse statue tuttora conservate presso la chiesa di S. Maria di Betlem. L’ambiente attiguo fu probabilmente realizzato in seguito, con il conseguente allargamento di una probabile apertura nella parete destra: è dotato di un sedile perimetrale in muratura”.

Quali gli obiettivi raggiunti? “I corsisti hanno avuto modo apprezzare il sito. Il tutto grazie alla disponibilità del parroco di Santa Maria di Betlem e di alcuni componenti il Centro sociale di Modica bassa che hanno fatto da tramite. E’ attraverso la conoscenza del nostro patrimonio che è possibile amarlo e farlo amare, non solo per la sua rilevanza storica ma anche per la preziosità che merita di essere protetta e recuperata in un circuito più ampio volto a valorizzare una delle più vetuste strutture religiose del nostro territorio”.

Sta lavorando ad altri progetti formativi? “Attualmente il Centro Territoriale Permanente di Modica, insieme agli altri enti su territorio nazionale, ha avviato una fase di trasformazione in un nuovo organismo denominato CPIA che sarà operativo a partire da settembre. Il mio auspicio, per quella data, è che il capillare lavoro di divulgazione in materia di beni culturali attuato in questi anni dal sopra citato CTP non vada disperso e che si possa continuare a dare risposte serie e concrete al desiderio di conoscere il proprio territorio da parte della popolazione locale”.

 

 

 

 

 

Grazie al modello 730 precompilato

dichiarazione dei redditi sarà più semplice?

 

Con il corrente anno parte il cosiddetto 730 precompilato (ovvero il modulo per la dichiarazione dei redditi) che ha come scopo, almeno nelle intenzioni del governo, quello di semplificare il fisco italiano. Tuttavia non mancano critiche e polemiche al nuovo sistema definito da molti come incompleto e, pertanto, maggiormente soggetto a errori e controlli. Infatti secondo gli addetti ai lavori non saranno pochi i dati che rimarranno fuori da tale modulo. Ciò comporterà probabilmente delle modifiche da parte del contribuente prima di trasmettere la dichiarazione all’Agenzia delle entrate.

Il tutto partirà dal 15 aprile prossimo, giorno in cui tutti i contribuenti italiani potranno collegarsi sul sito internet dell’Agenzia delle entrate per consultare, attraverso un accesso personalizzato, il proprio modello 730 precompilato. A quel punto il contribuente dovrà valutare se confermare il modulo così come lo trova redatto e quindi trasmetterlo subito all’Agenzia delle entrate, oppure, se ritiene necessario apportare delle modifiche, dovrà rivolgersi a strutture abilitate (Caf, ovvero al Centro assistenza fiscale, per esempio) o ad un professionista abilitato e inviarlo secondo le consuete modalità. L’obiettivo, almeno per quest’anno, non sembra essere centrato in quanto mancano in questo modulo i dati relativi alle spese mediche, e si presume che circa il novanta per cento dei modelli in questione saranno soggetti a modifiche.

Inoltre, è stato anche previsto, considerato che lo scopo della riforma è appunto quello di semplificare il fisco, che i maggiori controlli di conformità saranno effettuati sulle dichiarazioni modificate rispetto al modulo precompilato.

A prescindere poi dal fatto che il modello venga accettato incondizionatamente dal contribuente, così come compilato dall’Agenzia o che il 730 precompilato venga modificato o integrato, il Caf o professionisti abilitati sono tenuti ad apporre il cosiddetto “visto di conformità” sul modello 730. Tale visto serve a certificare che i dati inseriti nella dichiarazione, ivi compresi quelli precompilati, sono giusti e verificati con il contribuente.

Cosa c'è di nuovo quindi? La novità introdotta con il nuovo 730/2015, sta nel fatto che eventuali errori, omissioni o incongruenze rilevate sulla dichiarazione in sede di controllo formale, non verranno più comunicati al contribuente ma a chi ha prestato l’assistenza fiscale.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MARZO 2015

 

 

Il Partito comunista nell’area degli iblei 1921-1965

Analisi storica di Giuseppe Miccichè

 

E’ di qualche settimana fa l’uscita in libreria dell’ulteriore saggio dello storico ibleo Giuseppe Miccichè “Il Partito comunista nell’area degli iblei 1921-1965” (edizioni Centro Studi Feliciano Rossitto, Ragusa, 2014, pp. 240) che, dopo “Il Movimento Cattolico” (1994) e “Il Movimento socialista” (2009), completa il programma di ricostruzione della storia dei principali movimenti politici e sindacali che dall’800 si sono costituiti nella Sicilia sud-orientale, contribuendo a contraddistinguere i contenuti e le modalità delle lotte rispetto alle restanti aree isolane.

Il volume, caratterizzato da una robusta e articolata bibliografia (attingendo anche alla ricchissima documentazione dell’Archivio Centrale dello Stato, dell’Istituto Gramsci di Roma e Palermo, dell’Archivio di Stato di Ragusa, del Centro Studi Feliciano Rossitto, archivio-emeroteca Miccichè), abbozzato alla fine degli anni ’80, e poi messo da parte per dare il passo ad altri lavori, è stato ripreso nel 2012 e ultimato nel 2014.

Come mai questa lunga incubazione? «In questo arco temporale – spiega il professore Miccichè – alla documentazione fondata su un ricco materiale d’archivio e a stampa si sono aggiunte testimonianze di uomini e donne che nel primo dopoguerra sono stati in primo piano nella difficile costruzione del Pcd’I, poi nella opposizione al fascismo, infine nella rinascita del Pci. Ho potuto così ricostruire il percorso compiuto da una formazione politica che, inizialmente quasi irrilevante, grazie alla statura politica e morale dei quadri dirigenti, ha acquistato nel secondo dopoguerra una corposità e una capacità d’incidenza che l’hanno elevata a forza maggioritaria e per molti anni pilota della sinistra».

Si tratta di un percorso caratterizzato da luci e ombre? «Certo non mancano nell’azione del Pci, nazionale e locale, aspetti che la storia ha condannato: il “legame di ferro”, assolutamente acritico, con l’URSS, mantenuto negli anni dello stalinismo e oltre, il “socialfascismo”, “l’imperialismo di partito”. In parallelo, però, non è possibile dimenticare la lotta eroica contro il regime fascista, e il grande impegno nel secondo dopoguerra per veicolare tutte le energie disponibili nella lotta per la giustizia sociale».

Nel panorama politico dei comuni iblei il Partito Comunista ha una storia singolare per la particolarità del percorso compiuto? «Certamente. All’alba del 1921, muovendo i primi passi nell’area degli iblei, il partito, allora Pcd’I (Partito comunista d’Italia), risultava costituito da sparuti gruppi di giovani e giovanissimi che, in linea coi compagni di ogni parte d’Italia, denunziavano ai lavoratori le contraddizioni e le insufficienze del Psi, rivoluzionario nei deliberati congressuali ma di fatto riformista nella politica quotidiana. Alla luce dei bagliori che venivano dall’Oriente russo, dove era in corso una grandiosa rivoluzione proletaria, essi sognavano di ripeterne l’esperienza, ma si rivelavano incapaci di dare corpo e incisività al partito per non poche difficoltà, tra cui la scarsa ricettività dell’ambiente e la reazione quadristica nazional-fascista che avanzava».

Cambia qualcosa negli anni Trenta? «Sono anni caratterizzati da momenti di ripresa per l’assunzione di posizioni diverse: aperte con le esperienze del Fuai (Fronte Unico Antifascista Italiano) di Vincenzo Terranova (1933-‘34), figlio secondogenito di Nannino, pioniere del socialismo tra Vittoria, Comiso e Biscari (Acate), produttive di più ampie adesioni; chiuse con l’azione del gruppo facente capo a Michele Santonocito (1937-’39), un calzolaio già emigrato in Argentina, che militando nel Pc e frequentando gruppi sovversivi ha acquisito una certa cultura politica, assolutamente “ortodosso”».

E con la caduta del regime? «La caduta del fascismo, nel ’43-’45, ricostituì le condizioni politiche per una ripresa del lavoro organizzativo e della lotta del partito, denominato ora Pci. Si ripresentarono però i difetti delle origini – il rivoluzionarismo verbale, lo schematismo settario, il plebeismo, infine propensioni per una repubblica federativa e istituti di tipo sovietico – che ne impedivano la crescita organizzativa e politica e creavano difficoltà nella collaborazione col Psi».

Un itinerario, dunque, difficile? «Lentamente, grazie all’attività di nuovi quadri capaci di superare tali tendenze, il partito si allineò agli orientamenti e alle direttive che miravano a livello nazionale alla costruzione di un “partito nuovo” secondo le indicazioni togliattiane, attraverso un coerente impegno per la rinascita del Paese».

Numerose sono state le azioni intraprese dal partito? «Si batté per la repubblica, l’autonomia regionale, l’assegnazione delle terre incolte, l’imponibile di manodopera, lo sviluppo dell’apparato industriale. Tuttavia esso poté effettivamente e ampiamente svilupparsi e divenire alla fine partito di massa solo dopo il ’47 con la venuta di Virgilio Failla, guida preziosa per diversi quadri (Balloni, Cagnes, Guzzardi, Minardi, Rossitto, Scibilia, Speranza, Spampinato, Trovato, solo per citarne alcuni)».

Orgoglioso di appartenere a un partito che da minuscola formazione era divenuto il maggiore partito della sinistra, Virgilio Failla (1921-’79), suo leader e parlamentare, poteva allora scrivere: «Noi siamo dalla parte degli uomini validi, saldamente in piedi e protesi in avanti, […] e nell’orgogliosa difesa del bene supremo della dignità e della coerenza».

 

Giuseppe Nativo

 

 

APRILE 2015

 

 

Chi ha ucciso Ponzio Pilato?

Giallo-storico di Natale e Salvo Andrea Figura

 

   In un giallo-storico il lavoro di documentazione è quello che fa la differenza. Non è solo questione di conoscere date ed eventi, ma è necessario immergersi nel periodo narrato, assorbirne l’atmosfera e il modo di pensare. In fondo, i sentimenti umani non sono cambiati attraverso lo scorrere dei secoli. Oggi come ieri, le azioni sono motivate da amore, odio, vendetta, avidità, compassione, generosità. E se tali emozioni sono travolgenti, il personaggio che le esprime non sarà mai banale. Quello che cambia, con il passare dei secoli, sono i contesti di riferimento.

   Ciò mirabilmente traspare nel recente volume “Chi ha ucciso Ponzio Pilato?” (Edizioni Lulu.com, 2014, pp. 256) di Natale e Salvo Andrea Figura, quest’ultimo medico anestesista rianimatore, ragusano di adozione ma palazzolese con Dna metà corinzio e metà siculo, mentre il primo, classe 1942, nato a Rosolini ma residente nell’Urbe, è ufficiale dell’Aeronautica militare in congedo. Personalità estremamente versatili dalla cui sinergia nasce la narrazione a quattro mani.

   Ma come è nata l’idea? Avete condotto delle ricerche per scriverlo? “Mio cugino Salvo Andrea e io abbiamo pensato di scrivere un giallo-storico ambientato in Palestina nell’anno della crocifissione di Gesù e scelto di indagare sulla morte di Ponzio Pilato, Governatore della Giudea, intorno al quale sono sorte varie leggende che lo danno per morto in Tracia per mano barbara, o assassinato a Roma per ordine imperiale, o suicida in Gallia. Noi invece lo abbiamo immaginato morto a Gerusalemme, proprio nell’Orto degli Ulivi, appena dopo la crocifissione e forse… a causa di quella”. A supporto delle estese ricerche storiche è indicata, in fondo al libro, una corposa bibliografia che è stata di fondamentale aiuto agli autori al fine di rimanere aderenti al pensiero dell’epoca e agli usi e costumi romani ed ebrei di quel tempo.

   Il corpo del governatore Ponzio Pilato barbaramente assassinato è ancora caldo già nelle prime pagine del racconto. Agrippa, proconsole in Siria e fedelissimo dell’imperatore romano Tiberio Cesare Augusto, e forse anche Caifa, gran sacerdote del Tempio (succeduto a capo del Sinedrio al suocero Hanna), sospettati di essere “grandi ladroni e profittatori del tesoro del Tempio e dei tributi di Roma”. Il bandito Barabba, sopraffatto da ingorda cupidigia, forse complice dei primi due, è cieco esecutore materiale di un delitto caduto nell’oblio. A condurre le indagini è chiamato il senatore Caius Julius Pollìcius, nella qualità di inviato imperiale. Il tutto in una dimensione affabulante che ruota attorno alla ineffabile eredità religiosa, erroneamente interpretata dall’umana indole come miracoloso potere magico, umilmente lasciata da “quel giovane falegname, Gesù di Nazareth”.

   Sin dalle prime righe l’impianto narrativo, intessuto degli schemi mentali di quell’epoca, si srotola alla ricerca della soluzione attraverso pagine ricche di minuziose e gradevoli descrizioni dei personaggi e degli ambienti immaginati. Nell’ambientazione del giallo-storico gli autori si trovano in perfetta sintonia nello scavare i pensieri più reconditi dei loro personaggi incuneandosi tra le pieghe di quelle personalità con una prosa scorrevole, intrigante, impeccabile e sbizzarrendosi nello scrutare e nel descrivere in maniera efficace ed espressiva le sensazioni, le emozioni e le inquietudini caratteristiche di quel momento storico. E’ proprio in tale sottile confine tra storia e immaginazione che il lettore ha l’impressione di vivere nella dimensione narrata.

 

 

 

 

 

Un sacerdote e giornalista svela in un libro un mistero che affascina e che conquista sempre più l’animo dei fedeli

La sindone tra storia, culto e scienza

Dal 19 aprile al 24 giugno ostensione straordinaria nella cattedrale di Torino

 

Giovanni Paolo II sembra non volersi più staccare da quel “segno sconvolgente dell’amore sofferente del Redentore che è la Sindone” nel pomeriggio di domenica 24 maggio 1998, la giornata più significativa dell’ultima ostensione del secolo.

Ma che cosa è la Sindone? Qual e la sua storia? Perché affascina tanta gente, credenti e non, scienziati e curiosi, uomini pensosi e indifferenti al fenomeno religioso?

A queste e ad altre domande tenta di rispondere il libro di Pier Giuseppe Accornero, “Sindone. Storia, scienza, culto, attualità” (edizioni Paoline, Milano 2014, pp. 240).

«Mi sono imbattuto nella Sindone da studente, quarantacinque anni fa – spiega l’autore - quando fui mandato a seguire la commissione di esperti nominata dal cardinale Michele Pellegrino nel 1969, per affrontare il problema della conservazione del tessuto. Ne fui conquistato». Da allora si è appassionato della Sindone.

Pier Giuseppe Accornero, classe 1946, sacerdote dal 1972, giornalista professionista, collabora con quotidiani, settimanali, radio e televisioni, è stato caporedattore de “L’Eco di Bergamo”. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni (tra cui “Sindone verità o inganno?” 1998). Il lenzuolo sindonico alterna periodi di memorabile notorietà – nelle ostensioni e per le scoperte scientifiche – a periodi di nascondimento.

«Ho grande rispetto per le ragioni del no – confessa l’autore -, ma ritengo siano più numerose le ragioni del , ben sapendo che per i primi dieci secoli non ci sono documenti». Il volume, con i suoi pregevoli aspetti documentari, vuole essere un’opera a carattere divulgativo. La ricerca scientifica è relativamente giovane. Tutto ha inizio dopo le sensazionali fotografie scattate da Secondo Pia nel 1898. Decenni di indagini hanno interessato numerose branche della scienza e coinvolto numerosi studiosi di vari Paesi. Una buona parte delle conclusioni sembrano pendere sul versante dell’autenticità, nonostante gli esiti non favorevoli della “famosa” prova della datazione, effettuata nel 1988, che pone il lenzuolo nel periodo medievale. Malgrado ciò nessuno è riuscito a dimostrare che la tela sia opera umana artefatta.

I Papi, anche in tempi relativamente recenti, hanno espresso giudizi sempre più profondi e motivati e se nei primi diciannove secoli di storia cristiana ci sono state solo cinque visite dei pontefici a Torino (Pio VII venne alla Sindone, nel 1804 e nel 1815, tre mesi prima della nascita di don Bosco), nei trent’anni 1980-2010 due Papi vi hanno compiuto cinque visite (san Giovani Poalo II nel 1980, 1988, 1989, 1998; Benedetto XVI nel 2010).

Nel bicentenario della nascita di Giovanni Bosco (1815-2015), nella Cattedrale di Torino si svolgerà un’ostensione straordinaria della Sindone (19 aprile-24 giugno 2015) che darà la possibilità di riscoprire “l’Amore più grande”.

 

 

 

Arriva la nuova banconota da 20 euro

Avrà una “finestra con ritratto” e circolerà dal 25 novembre 2015

 

Il nuovo biglietto da 20 euro è il terzo taglio della serie “Europa” che sostituisce con gradualità la prima serie di banconote in euro introdotta nel 2002, cioè quando nasce la moneta espressa in euro che attualmente è adottata da 19 stati membri dell’Unione europea. I biglietti da 5 e da 10 della seconda serie sono stati emessi rispettivamente nel maggio 2013 e nel settembre 2014; alla banconota da 20 euro, che circolerà a partire dal 25 novembre prossimo, seguiranno, in tempi successivi, i nuovi biglietti dei tagli via via maggiori: 50, 100, 200 e 500.

Il taglio da 20 euro è uno dei più utilizzati della scala delle banconote in euro: basti pensare che viene diffusamente erogato attraverso le numerose apparecchiature Bancomat ed è accettato da numerosi distributori automatici di biglietti. Per tale ragione i commercianti al dettaglio ne verificano spesso l’autenticità al momento dell’incasso, servendosi di piccoli dispositivi di controllo. Per agevolare i preparativi in vista dell’introduzione del nuovo biglietto da 20, le numerose strutture incaricate della diffusione della nuova banconota hanno dispensato informazioni ai produttori di apparecchiature per il trattamento delle banconote e agli altri soggetti interessati al fine di predisporre i necessari adeguamenti.

Ma in che cosa consiste la caratteristica innovativa? E’ proprio in quella che viene chiamata la “finestra con ritratto” integrata nell’ologramma (trattamento delle immagini con sistema antifalsificazione) a rappresentare un’innovazione nel campo della tecnologia delle cartemonete. In buona sostanza, guardando la banconota in controluce, la finestra rivela in trasparenza, su entrambi i lati del biglietto, il ritratto della figura mitologica di Europa (da cui il vecchio continente prende il nome). Inoltre, come i tagli da 5 e da 10 della seconda serie, la nuova banconota da 20 include un “numero verde smeraldo” e il ritratto di Europa è apposto anche nella filigrana. Tutto ciò al fine di rendere molto difficili eventuali falsificazioni e, nel contempo, rafforzare la fiducia riposta nella cartamoneta dai 338 milioni di cittadini che le utilizzano in tutta l’area dell’euro.

E se una banconota appare sospetta cosa bisogna fare? Innanzi tutto va subito confrontata con un’altra di autenticità comprovata. Se il sospetto di falsificazione trova quindi conferma, bisogna contattate le forze dell’ordine. I biglietti autentici possono essere facilmente riconosciuti con il metodo

basato sulle tre parole chiave “toccare, guardare, muovere”, attraverso il quale si riconoscono le banconote buone da quelle falsificate, cioè imitate o alterate intenzionalmente o a scopo fraudolento.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MAGGIO 2015

 

 

Internet e nuovi vocaboli

Il nuovo linguaggio dei giovani

 

Il mondo cambia e con esso cambiano le parole per descriverlo. Qualche anno fa non esistevano gli esodati e i pentastellati, nessuno twittava o googlava, e i selfie, al massimo, erano autoscatti.

La parola globalizzazione (di origine anglosassone ormai entrata nel modo di esprimersi quotidiano) ha reso più ampio il vocabolario mentre il web, piazzale di incontro virtuale e vetrina del multilinguismo, costringe ad aggiornare continuamente le nostre conoscenze linguistiche.

E così i dizionari presentano continui aggiornamenti come, ad esempio, la parola taggare, che, nel contesto dei social network, significa segnalare che in una foto o in video è presente una persona. Un altro termine, che si è prepotentemente inserito nel linguaggio quotidiano, è selfie, ovvero una foto scattata a sé stessi o in gruppo tramite cellulare. Poi c’è il post che assume il significato di messaggio inviato a un gruppo di discussione in Internet. Da qui l’uso del verbo postare, cioè inviare un post in internet. Twittare, o cinguettare, significa comunicare attraverso il social network twitter. E questo solo per citarne alcuni. Però, chi avesse dubbi sui termini finora esplorati può sempre googlare, ovvero cercare su Internet con un motore di ricerca, e approfondire l'argomento. Tale attività è sicuramente ripetuta più volte al giorno.

E’ un mondo che cambia o si tratta di un linguaggio giovanile? Quest’ultimo, impostosi all’attenzione degli studiosi alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, viene oggi riscoperto in relazione alla video-scrittura (ovvero la scrittura con apparecchiature elettroniche). Poco più di una ventina di anni fa il linguaggio giovanile consisteva in una “rielaborazione addolcita” dei gerghi della malavita e, anche, del gergo militare, a cui attingeva una quantità numerosa di voci. Oggi la fonte è cambiata. A segnare una nuova dipendenza culturale sono stati i media, dalla televisione alle radio giovanili, alla musica (canzoni, video digitali) fino alla comunicazione mediata dal computer da cui deriva l’uso di abbreviare segmenti di parole o parole intere ( xché invece di perché, da dove dgt? per da dove digiti?) o di aggiungere faccine (le cosiddette emoticons).

Corre l’obbligo fare presente che accanto al codice verbale muta quello non verbale. Quando i ragazzi si salutano “si danno il cinque” battendo i palmi delle mani in varie maniere, non dicono buongiorno o buonasera, ma salve o ciao che apre i messaggi di posta elettronica ed anche le conversazioni telefoniche. Secondo gli studiosi l’uso linguistico giovanile non solo copre una larga fascia d’età, ma è caratterizzato anche dall’uso di voci dialettali e gergali. Si tratta di un lessico che sfugge a tentativi di esemplificazione, perché si evolve e cambia in relazione allo spazio e al tempo. Alcuni termini, per esempio, variano da zona a zona (vedi “un casino” usato al posto di “molto”, sostituito da “una cifra” nell’area romana), altri sono sostituiti da parole più espressive o più “aggiornate” (come nel caso di “tirare” la coca al posto di “sniffare”, del sessantottino “matusa” superato da termini come “arterio”, “fossile”, “sapiens”).

Ciò che interessa ai giovani non è tanto la denominazione di cose o stati, quanto la loro valutazione soggettiva. In buona sostanza, l’uso di dialettismi è spesso rivisitato ad hoc. La scelta di tecnicismi, reinterpretati però in chiave espressiva, comporta una voluta deformazione semantica. Passando dall’asse formale a quello informale i termini divengono più divulgativi.

Una domanda sorge spontanea: fra un decennio si parlerà un linguaggio diverso? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

 

In pensione dal prossimo autunno il tagliando dell’assicurazione

 

Il tagliando assicurazione auto, documento cartaceo che va posto sul parabrezza dell’autovettura (in modo da poter essere verificato in qualsiasi momento dalle

Autorità) e che serve per attestare l’emissione della polizza assicurativa e la regolarità del pagamento del premio da parte dell’assicurato, in autunno, cesserà di esistere. Non sarà obbligatoria anche la relativa all'esposizione. Ciò è dovuto al fatto che a partire dal prossimo mese di ottobre verrà sostituito con il nuovo contrassegno dell’assicurazione che sarà elettronico o telematico, come previsto dalla nuova normativa.

Tale tagliando contiene alcune importanti informazioni come la targa del veicolo che deve corrispondere al numero contratto riportato sul certificato verde della polizza di assicurazione, il nome e il logo della compagnia di assicurazione e la data di scadenza della copertura assicurativa. La mancata esposizione del tagliando assicurazione o la sua non ottimale leggibilità dall’esterno è sanzionabile con una multa.

Da ottobre prossimo però tutto questo cambierà. La norma infatti, contenuta nel decreto Liberalizzazioni 2012, prevede oltre che la dematerializzazione dei tagliandi dell’assicurazione auto anche un percorso a tappe al fine di creare idonee condizioni tecniche come la costituzione di un’apposita banca dati online, da parte della Motorizzazione, aggiornata in tempo reale con i dati delle compagnie assicuratrici. In tal modo si cercherà di limitare un fenomeno molto diffuso riguardante le polizze scadute o falsificate e, nel contempo, introdurre controlli più veloci e in tempo reale da parte delle Autorità.

La targa dell’auto diventerà la carta d’identità del veicolo in quanto con una semplice interrogazione elettronica si potranno incrociare i dati archiviati dalle assicurazioni, dall’Agenzia delle Entrate e dalle Forze dell’Ordine.

 

 

 

 

 

 

Teologia della donna rileggendo la Genesi

 

Un’originale lettura dei testi del libro della Genesi e della storia della Chiesa tentando di comprendere perché la funzione della donna nella Chiesa si pone oggi come una questione delicata e urgente. E’ questo l’obiettivo principe del recente libro dal titolo

“Dio ama le donne? Verso una teologia della donna” (Edizioni Paoline, Milano 2015, pp. 128). L’autrice, Anne Soupa, ha studiato teologia nelle facoltà cattoliche di Lione e Parigi. Ha lavorato come biblista, in particolare dirigendo la rivista Biblia presso la casa editrice Cerf. È diventata famosa come promotrice, insieme all’editrice e saggista Christine Pedotti, di un Comitato che ha l’obiettivo di difendere la dignità delle donne.

La sua analisi critica dell’argomento e delle conseguenze in termini di discriminazioni, invita tutti, uomini e donne, a ripensare oggi la loro «comune umanità» e i loro rapporti mutati all’interno della Chiesa, non in funzione dei modi, ma alla luce dell’insegnamento evangelico. In questi ultimi anni è sempre più radicato il dibattito sulla diversità tra uomo e donna e ciò che tende ad emergere è una vera e propria crisi di genere che tocca tutti.

Eppure proprio nel vecchio testamento, nel meraviglioso poema della creazione, Dio crea l’uomo a sua immagine, dove la parola “adamo” non è riferita al genere maschile ma all’essere umano in generale. «Dio creo l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1, 26). Sia san Bonaventura che san Tommaso hanno diffuso l’interpretazione di un’anteriorità maschile portatrice esclusiva della somiglianza a Dio. Un fraintendimento che già ai tempi di Aristotele faceva pensare che la donna fosse quasi stata un errore. A quel “e Dio vide che era cosa buona” si sottende quasi un invito rivolto all’umanità stessa di proseguire il lavoro della creazione.

La teologia parla di complementarità uomo donna. Dalla Parola di Dio si può solo dedurre che l’altro è un dono, che entrambi i sessi appartengono alla stessa famiglia e che devono essere uno aiuto dell’altro.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

GIUGNO 2015

 

 

Le medicine da mettere in valigia

Farmaci da potare in vacanze per evitare imprevisti

 

Fra qualche settimana sarà il momento di andare in vacanza e la preparazione della valigia è d’obbligo: vestiti, costumi, creme, beauty-case e libri vanno bene, ma è importante non dimenticarsi delle medicine.

Disinfettanti, garze sterili e cerotti (kit del pronto soccorso). E poi ancora antinfiammatori, lassativi, farmaci per combattere la cattiva digestione e creme contro le irritazioni della pelle. A prima vista può sembrare la lista lunga della spesa e invece si tratta di una sorta di “salva - vacanze”, ovvero di quei farmaci riposti in genere negli armadietti dei medicinali in ogni casa, e che, se messi in valigia prima di partire, possono sicuramente aiutare ad affrontare i più comuni malesseri in cui si può incorrere durante la villeggiatura. Ed ecco così che una scottatura al sole, una lieve contusione, un arrossamento degli occhi o una puntura di insetto possono essere curati in tutta serenità.

Ma quali sono i medicinali più comuni per risolvere i più comuni disturbi estivi? Innanzi tutto è necessario precisare che l’automedicazione deve essere responsabile. Esistono numerosi farmaci di automedicazione, cioè medicinali che non necessitano di prescrizione da parte del medico e possono essere acquistati direttamente in farmacia, chiedendo al proprio farmacista consigli sul loro impiego. Molti disturbi possono essere efficacemente curati anche senza l’intervento medico. Tuttavia, trattandosi comunque pur sempre di farmaci, è opportuno conoscerli, non usarli a caso e seguire determinate regole. Il loro impiego, ad esempio, non va protratto oltre quanto stabilito dal foglietto illustrativo e se il disturbo accusato non si dovesse risolvere entro 3-4 giorni è bene rivolgersi ad un medico. Inoltre, è necessario tenere sempre conto dei potenziali effetti collaterali: alcuni farmaci, quali ad esempio gli antistaminici, non vanno assunti prima di svolgere attività che richiedano particolare vigilanza (chi guida deve quindi prestare attenzione ai farmaci, anche di automedicazione, che assume prima di affrontare il viaggio).

Tra i medicinali da non dimenticare prima di partire, oltre al kit già citato, è necessario inserire gli antidolorifici/antinfiammatori e antipiretici, disinfettanti per la gola, antidiarroici. Non bisogna poi dimenticare di portare con sé i farmaci con ricetta che si assumono abitualmente (ad esempio quelli per la pressione alta, per il cuore, etc.).

E’ buona norma accertarsi sempre delle modalità di conservazione indicate dai foglietti illustrativi. Non è infrequente il caso di farmaci che prevedono una conservazione in frigo. Un altro pericolo in agguato è l’umidità: quella presente, per esempio, in un bagno non ben aerato può alterare compresse, capsule e cerotti medicati.

Se si va a mare o in montagna non bisogna dimenticare di portare gli occhiali da sole e la

protezione solare: specie in montagna, perché ad alta quota i raggi solari sono molto forti.

Una regola da seguire sempre, a casa come nel luogo di vacanza, è quella di conservare i farmaci lontano dalla portata dei bambini.

Per i viaggi all’estero bisogna tenere presente che non sempre si trovano gli stessi farmaci di automedicazione a cui si è abituati; è quindi opportuno conoscere il nome del principio attivo (componente di un farmaco da cui dipende l’azione curativa) per trovare un farmaco analogo.

Infine, è importante evitare eccessivi sbalzi di temperatura: è consigliabile non superare i 30°C (meglio mantenersi sui 25°C) per cui è bene non lasciare i farmaci in macchina sotto

il sole. Sono dannose anche le temperature troppo basse, per cui ad esempio se si viaggia in aereo è sempre bene tenere la valigetta dei farmaci nel bagaglio a mano: nelle stive degli aerei la temperatura è molto fredda.

 

 

 

 

Il rapporto tra medico e paziente non sempre strappa un sorriso

 

Un giorno qualunque in ospedale. Alle ore dieci circa passa il primario del reparto, impettito, orgoglioso della sua professione. Si accosta al lettino dei pazienti, legge velocemente le cartelle cliniche, silenzioso com’era venuto, esce dalla sala con al seguito i suoi timidi collaboratori.

Non una sillaba ai parenti dei pazienti che fuori dalla

corsia aspettano con ansia una parola di conforto per le sorti del loro congiunto. Anche il paziente guarda il medico con aria intimidita da tanta presenza. Sarebbe auspicabile che taluni medici spendessero, almeno per i soli pazienti, un largo sorriso accompagnato da un piccolo e sincero conforto. Tutto ciò vale molto più delle ricette mediche che aiutano il degente, ma psicologicamente lasciano il malato non solo depresso ma anche un po’ ansioso. Queste riflessioni valgono pure per i medici di famiglia che, non di rado, sono oberati da pesante lavoro a causa del cospicuo numero di mutuati.

Manca il tradizionale “dica trentatré” che un tempo serviva ad introdurre un ampio discorso generale sulla salute del paziente. La relazione medico-paziente è l’attivazione di un processo comunicativo che produce una significativa trasformazione tanto del medico quanto del paziente. Una diagnosi appropriata, infatti, dipende strettamente dal saper

comprendere il malato nella sua globalità, così che i suoi sintomi richiedono di essere letti ed interpretati come risposte psichiche e fisiche a determinate

situazioni di vita. Per quanto possa sembrare paradossale esiste una terapia che inizia prima della stessa diagnosi e comincia nel momento in cui si instaura la relazione tra medico e paziente.

Proprio per tale ragione, è giusto intendere il colloquio come un utilissimo strumento per

comunicare con l’altro, con la persona che soffre, piuttosto che intenderlo come metodo per inquisirlo. In buona sostanza occorre che il medico si confronti con il malato più che con la malattia, così che lo scopo del colloquio deve essere quello, in primo luogo, di consentire al malato di esprimersi, di rivelarsi in tutta la sua complessità, considerato che questa stessa espressione molto spesso riveste valore terapeutico.

 

 

 

 

 

Biglietti aerei e ferroviari on line

Quali sono i diritti del viaggiatore?

 

Le offerte e prenotazioni on line, specie quelle last minute (ovvero effettuate nell’imminenza della partenza), sono diventate un aiuto fondamentale per chi vuole andare in vacanza e godersela appieno, ovviamente tenendo conto delle disponibilità del proprio portafoglio. Risulta, pertanto, necessario sapersi districare nella variegata giungla di proposte che si possono trovare su rete internet, ponendo particolare attenzione ai diritti del viaggiatore relativamente alle problematiche che comportano rischi nell’acquisto on line di un biglietto aereo o ferroviario.

Tale forma di vendita a distanza, rientrante nell’ambito dei servizi telematici, è disciplinata dal Codice del consumo. Il contratto a mezzo internet è stipulato attraverso l’accettazione da parte dell’utente di una serie di previsioni, o tramite l’inserimento dei dati richiesti, per il soddisfacimento delle proprie necessità. Effettuata la compilazione, il consumatore deve procedere alla stampa del biglietto acquistato. Condizione necessaria è che l’operatore deve offrire una serie di informazioni volte a rendere l’utente consapevole dell’acquisto effettuato.

Il citato Codice del consumo, oltre a disciplinare gli obblighi di natura informativa gravanti sui venditori, regola anche il diritto di recesso degli acquirenti nel caso di un loro successivo ripensamento. Il dato di estrema importanza su cui porre la massima attenzione è proprio il sito web del venditore – talora raggiungibile tramite caselle “pre-selezionate” – le cui condizioni possono vincolare l’acquirente anche senza il suo dichiarato consenso. Per fronteggiare tale pratica diffusa è intervenuto un recente decreto (n. 21 del 2014) che vieta tale consuetudine. Risulta, quindi, assai importante acquistare la prenotazione aerea o ferroviaria direttamente dal vettore utilizzando il sito internet dello stesso non dimenticando, però, di aver cura di leggere attentamente le condizioni contrattuali evidenziate nella relativa pagina web e conservare accuratamente copia di tutta la corrispondenza inviata e ricevuta on line.

Nel caso, poi, di “overbooking” (termine usato principalmente dalle compagnie aeree per definire situazioni in cui si accettano prenotazioni al di sopra delle capacità effettive dell’aeromobile) il viaggiatore non imbarcato è tutelato attraverso formule alternative che possono prevedere anche il risarcimento del danno subito.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

SETTEMBRE 2015

 

“Ginevra (parte seconda)”

Viaggio onirico narrativo

 

Ancora un libro di Franco Cilia. Uno scrigno costellato di stati d’animo che si sfogliano pagina dopo pagina. Un libro che non spiega quello che non si può spiegare e che illustra, con raffinate sfumature, e quasi come una cronaca, le tappe della vita di nonno Franco (ovvero Franco Cilia, maestro eclettico delle arti visive e narrative) e la sua amata nipote Ginevra (oggi ragazzina di cinque anni, ma nella dimensione temporale della narrazione venticinquenne e orfana del nonno). Entrambi protagonisti, ancora una volta, del recente volumetto edito per i tipi Aurea Phoenix Edizioni, “Ginevra - parte seconda” (2015, pp.80).

Un sequel, al primo lavoro (“Ginevra”, Feeria, 2012), la cui intensa lettura piglia alla gola il lettore imprimendo nel suo animo un solco indelebile. Dante sintetizza questo concetto con dei versi di elevata tensione espressiva: “non fa scienza, /senza lo ritenere, avere inteso” (Par. V, vv. 41-42). Il “ritenere” come sinonimo di trattenere nel proprio intimo una parte importante di quanto compare sotto gli occhi e che deve necessariamente transitare nella mente. Di qui l’architettura narrativa di Cilia in cui la memoria percorre il sentiero del tempo interiore che sradica le tradizionali strutture del romanzo, scomponendo con finezza intellettuale il rapporto tra fabula e intrecci narrativi.

“L’arte cammina verso le porte del cielo, ma solo l’amore può entrarci”, un sentimento così grande per la nipote Ginevra che sovrasta finanche quell’energia che per il sommo poeta “move il sole e l’altre stelle” (Par. XXXIII, 145). Un’energia affettiva che viene ripercorsa dall’autore (co-protagonista del volumetto) a partire dal suo stesso funerale che “come una drammaturgia barocca – scrive in postfazione Totò Stella – si svolge all’arrivo della nipote da Parigi” accorsa dopo la triste notizia colà ricevuta della dipartita del suo caro nonno. Pennellature cromatiche contraddistinguono l’appassionante iter narrativo in cui Ginevra sente la voce del nonno dentro il suo cuore: dai “vicoli senza tempo” di Ibla in cui prendono forma “strane forme di luce e ombra”, luoghi della prima infanzia di nonno Franco ripercorsi in un viaggio mentale con Ginevra, fino alle varie stagioni creative della sua arte e alla tragedia esistenziale della prematura dipartita del figlio Gianluca. Nel silenzio affollato gravido di colori e di voci, mentre un lieve vento accarezza e gioca con i suoi capelli, “la Ginevra futura ricorda la sua infanzia a Ragusa” attraverso anche la lettura delle carte del nonno volato in cielo (“la morte non è altro che viaggiare nudi nel vento della speranza di incontrare Dio e il suo perdono”). In tale quadro narrativo “le tre dimensioni del Tempo – annota il prefatore Ennio Bispuri – vengono annullate e fuse in un extra-tempo disciolto all’interno di un accadere che al lettore appare come passato. Come dire che il presente diventa passato nella prospettiva di Ginevra che sta vivendo nel futuro”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

OTTOBRE 2015

 

 

Pile e batterie esauste

I dati sulla raccolta, trattamento e riciclo in Sicilia

 

   Nel 2014 in Italia sono state raccolte ben 9.584 tonnellate di pile e accumulatori portatili esausti. In Sicilia la situazione non brilla. Ciò è quanto emerge dall’elaborazione che ha dato luogo al primo rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti di pile e accumulatori giunti a fine vita (quali, ad esempio: stilo, torce, batterie per cellulari, etc.) presentato qualche settimana fa a Roma dal Centro di Coordinamento Nazionale Pile e Accumulatori (CDCNPA). Tale analisi statistica traccia una fotografia del sistema di raccolta e avvio a trattamento, riciclo e smaltimento di questa speciale tipologia di rifiuti. «Si tratta certamente di un momento importante perché i risultati raggiunti dimostrano che le modalità organizzative e operative definite dall’impianto normativo del D.Lgs. 188/2008 sono state messe in pratica», come riferisce Giulio Rentocchini, presidente del CDCNPA.

   Esiste un gap tra Nord e Sud. Le regioni settentrionali hanno raccolto 5.835 tonnellate di pile e accumulatori portatili esausti, ben 1580 tonnellate il territorio del centro Italia, mentre il Meridione (isole comprese) si è “fermato” a 2.169 tonnellate.

   Ma che cos’è il CDCNPA e in che cosa consiste il sistema di raccolta? Abbiamo girato la domanda al Presidente del CDCNPA Giulio Rentocchini. «Il Centro di Coordinamento Nazionale Pile e Accumulatori, attivo dal giugno 2011è l’organismo istituto con il D.Lgs. 188/2008 al quale è affidato il compito di coordinare nel nostro Paese la filiera di raccolta e avvio a trattamento, riciclo e smaltimento di pile e accumulatori esausti. Coordina le attività di Sistemi Collettivi o Individuali iscritti, a cui aderiscono i produttori responsabili della gestione del fine vita di questi rifiuti. Per quanto attiene la raccolta delle pile portatili, il sistema si basa su un principio di ripartizione territoriale: a ogni Consorziato il CDCNPA ha assegnato le aree territoriali (coincidenti per la maggior parte con le Province) da servire proporzionalmente alla quota di immesso rappresentata. All’interno di ogni area, ciascun Consorziato effettua il ritiro presso i Luoghi di raccolta che abbiano preventivamente richiesto l’attivazione di detto servizio al CDCNPA. I Luoghi di raccolta iscritti al portale del CDCNPA alla fine del 2014 erano 3.809, distribuiti su tutto il territorio nazionale».

   Può fare, anche se in maniera sintetica, una fotografia dei dati regionali? «In Sicilia nel 2014 sono stati ritirati 364.881 kg di pile e accumulatori portatili esausti. La Regione ospita 121 Luoghi di raccolta registrati, di cui 34 Centri di raccolta comunali, 83 Punti vendita, 2 Impianti di trattamento RAEE (ovvero “Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche”) e 2 Centri di stoccaggio».

   In Sicilia perché il sistema di raccolta arranca? A che cosa è dovuto? «In Sicilia, dai dati in nostro possesso, il numero di strutture adibite alla raccolta di questa speciale tipologia di rifiuti in rapporto alla popolazione residente, pari a oltre 5 milioni, è estremamente esiguo e ampie aree del territorio non sono coperte. Inoltre, i luoghi di raccolta sono poco utilizzati (circa il 5% di pile e accumulatori portatili esausti vengono conferiti presso le strutture aperte alla cittadinanza, il restante 95% proviene da raccolta volontaria presso operatori specializzati)».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

NOVEMBRE 2015

 

Al via un progetto europeo per l’assistenza agli anziani

Arrivano i robot tuttofare che fanno spesa e portano a passeggio

I rapporti interpersonali sono salvaguardati?

 

I badanti, forse, hanno le ore contate. In un futuro più o meno prossimo sembra che gli anziani possano essere aiutati da robot. E’ quanto emerge da un progetto europeo presentato alcuni mesi or sono a Pisa, denominato Robot-Era, e coordinato dall’istituto di biorobotica della locale Scuola Superiore Sant’Anna. La sperimentazione, che vede come protagonisti i cosiddetti “assistenti robotici domestici” proposti a marzo scorso in un incontro tecnico a Bruxelles, prevede la realizzazione di tre sistemi costruiti con sistemi avanzati di robotica (cioè quella disciplina dell’ingegneria volta a studiare e sviluppare metodi che permettano ad un automa di eseguire dei compiti specifici riproducendo il lavoro umano), appositamente studiati ed integrati per interagire alla perfezione in ambienti intelligenti (cioè adattati per ospitarli), in grado di svolgere numerose funzioni e, dunque, destinati a migliorare la vita degli anziani.

Alla realizzazione dei robot ha partecipato un variegato e nutrito gruppo di strutture (università, centri di ricerca, servizi sociali, piccole e medie aziende) nonché un folto numero di anziani della provincia di Pisa che si è adoperato per testare gli automi. Questi ultimi sarebbero stati costruiti per sopperire alle esigenze presenti in tre diversi scenari: domestici, condominiali ed esterni. Il robot domestico è programmato per agire in casa offrendo, in tal modo, molti servizi (ad esempio fa da supporto per terapie farmacologiche). Quello condominiale risulta specializzato per fornire prevalentemente servizi di sorveglianza, mentre quello da impiegare fuori casa si muove con agilità attraverso le strade cittadine e il suo compito è quello di ritirare acquisti o gettare l’immondizia o aiutare gli anziani nella loro quotidiana passeggiata. Relativamente all’estetica dei robot sembra che sia stata studiata per conquistare la fiducia degli utenti.

La tecnologia basata su robot potrà aiutare gli anziani e, nel contempo, rendere anche  meno gravose le problematiche che gravitano attorno al sistema sanitario italiano? Abbiamo girato la domanda a Maria Moschetto, psicologa e psicoterapeuta, che opera nella Sicilia sud-orientale.

«La rapidità e l’intensità del cambiamento demografico a cui si assiste nella nostra epoca è a dir poco, singolare. Dal rapporto Istat presentato nel giugno scorso, emerge che l’invecchiamento della popolazione si è accentuato al punto tale che l’Italia è il primo paese al mondo con il più alto indice di vecchiaia, ovvero il numero di ultrasessantacinquenni supera quello dei ragazzi con meno di 15 anni. Si parla di ‘senilizzazione’ della società che implica un aumento della speranza di vita e un miglioramento delle condizioni generali di salute accompagnati, tuttavia, da un ineluttabile incremento delle patologie cronico-degenerative e una maggiore incidenza di disabilità. L’impianto base del sistema sanitario italiano è concepito per rispondere alle malattie acute ed infettive, secondo l’approccio bio-medico, e il bisogno di assistenza prolungata pone una nuova sfida nell’ambito dei servizi socio-sanitari. A questo si aggiunge una profonda modificazione strutturale della rete di parentela caratterizzata, purtroppo, da una contrazione della capacità di “prendersi cura” delle generazioni più anziane. La robotica e il progetto di ricerca in questione, pertanto, potrebbe rappresentare una soluzione realistica avuto anche riguardo ad alcuni compiti che la macchina potrebbe svolgere con la massima efficienza e, verosimilmente, efficacia relativamente agli obiettivi di assistenza domiciliare agli anziani. In primo luogo, favorirebbe la loro indipendenza e sicurezza nell’ambiente in cui trascorrono la maggior parte della giornata. E’ facilmente intuibile quanto una tale condizione di semi-emancipazione” dalla rete familiare primaria potrebbe produrre riflessi positivi sul senso di auto-efficacia personale e sul loro comune “sentirsi di peso”. In secondo luogo, si renderebbe remota l’eventualità dell’istituzionalizzazione presso strutture di ricovero esterne con riduzione delle occasioni di allontanamento  e conseguente senso di “sradicamento”, che,  permanente o temporaneo,  è uno dei principali fattori di disadattamento psicologico nell’anziano».

A prescindere da ciò che può offrire la tecnologia, quali sono le implicazioni psicologiche che potrebbero insorgere negli anziani? In buona sostanza, essere a contatto con “freddi” robot aiuterebbe l’anziano a continuare i rapporti interpersonali? «Il problema e il limite di una tale forma “robotizzata” di assistenza riguarda, purtroppo, la relazione, il bisogno di contatto di ogni essere umano giacché la nostra esistenza è essenzialmente “relazionale”. A supporto di questo, che, a mio parere, costituisce il principale punto di criticità, sarebbe sufficiente citare i celebri esperimenti  di Harlow (1905-1981, psicologo statunitense) che ormai appartengono alla “preistoria” della psicologia. Nel 1959, nell’ambito degli studi sul legame e l’attaccamento, lo scienziato, rilevò che le scimmie Rhesus restavano abbracciati tutto il giorno ad un surrogato di madre fatta di morbida gommapiuma rivestita di un tessuto spugnoso dopo essersi nutrite da un biberon posizionato su un altro surrogato di madre fatta di fil di ferro. Il contatto fisico, il calore umano è un potente nutrimento psicofisico e non solo per i piccoli animali e, allo stato attuale, ritengo che la robotica non possa colmare tale bisogno. La piena attuazione di tali traguardi sarebbe un autentico successo sul piano dell’efficentismo tecnologico o, per dirla secondo il filosofo Galimberti, un prevalere della tecnè,  ignorando tuttavia la natura di ogni essere vivente».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

DICEMBRE 2015

 

 

“Interrogare il Novecento”

Convegno al Centro Servizi Culturali di Ragusa

Scrittori, poeti, critici letterari italiani e stranieri ne discutono

 

Sabato 21 e domenica 22 novembre, presso i locali del Centro servizi culturali di Ragusa, si è tenuto il convegno “Interrogare il Novecento” che ha chiamato a raccolta intellettuali di varia estrazione, quali docenti universitari, storici della letteratura, traduttori, scrittori, poeti, critici letterari italiani e internazionali. L’evento, promosso dal Centro servizi culturali, è stato possibile grazie alla collaborazione con il Comune di Ragusa, Gruppo “Mario Gori”, Selinus University of Sciences and Literature di Bologna e Banca Agricola Popolare di Ragusa.

 

Un’iniziativa culturale unica che ha visto come protagonista assoluta la Città di Ragusa. Obiettivo del convegno è stato quello di proporre una riflessione sui cambiamenti e le tendenze fatte registrare dalla letteratura nel corso del cosiddetto “secolo breve”. Attraverso voci critiche e poetiche (si sono avvicendate ben 14 relazioni), il simposio ha cercato di tracciare un quadro di un passato prossimo dell’intero panorama letterario, con particolare riferimento anche alla poesia.

Tra gli interventi programmati quello di Zosi Zografidou, professore ordinario presso il Dipartimento di lingua e letteratura italiana della Facoltà di Lettere dell’Università “Aristotele” di Salonicco, già direttore del Master in ‘Lingua e Cultura Italiana’ presso lo stesso Dipartimento, avente per tema “Il ‘900 e la poesia del Mediterraneo. Verso una Itaca poetica”.

Il Mediterraneo è il mare di ieri e di oggi. E’ il “mare bianco di mezzo”, come viene chiamato dal mondo arabo. E’ il mare dei poeti che non appartengono a uno spazio determinato perché, come dice Elitis, “la poesia è sempre unica, quanto unico è il sole” dei poeti che portano dentro di loro lo spirito del Mediterraneo, punto di riferimento per tutti i paesi mediterranei, rappresentando l’elemento che inquadra il loro paesaggio ed elemento della loro cognizione.

Il mare rappresenta anche il luogo dell’avventura e della ricerca, e il viaggio sul mare simboleggia l’itinerario della vita dell’uomo. È simbolo della costante lotta e della continuità. Itaca rappresenta l’inizio e la fine della lotta della vita umana.

Nella letteratura mondiale l’opera che riassume i significati concreti e simbolici legati al tema del viaggio è l’Odisseadi Omero... «Nel corso dei secoli il mito di Ulisse è stato variamente interpretato, si è riempito di nuovi contenuti assumendo una valenza differente in relazione al momento storico e agli ideali filosofici, politici e culturali di ciascuna civiltà. Infatti ogni civiltà ha potuto interpretarlo a suo modo e “il viaggio di Ulisse è destinato a non finire mai, così come Ulisse, è rimasto sempre vivo nel corso dei secoli”, come scrive Russo-Karali, assumendo diversi ruoli e significati e avventurandosi in nuovi viaggi, in cerca di una Itaca. Ulisse è un uomo “bugiardo e capace di tutte le imposture”, scrive Ladrón de Guevara, “che nonostante il suo apparente desiderio di rientrare in patria ha un cuore che non lo vuole perché rimane vincolato al mare”. Secondo Bernard Andreae che definisce Ulisse “come il prototipo dell’uomo dinamico, sicuro di sé, che riflette sul suo destino e reagisce consapevolmente” è “il primo della letteratura mondiale a decidere delle proprie azioni, e a non dipendere più esclusivamente dal destino o dalla volontà degli dei”».

Anche il viaggio per Itaca ha un profondo significato «Il profondo significato del viaggio, dice il poeta greco Odisseas Elitis (1911-1996), parlando della poesia di Kavafis, non è il momento dell’arrivo ad Itaca, ma la durata stessa del viaggio. L’Itaca è l’ultima meta, che simboleggia la morte, dove ci porta il viaggio della vita. È inutile, per Kavafis, provare delusione per il triste finale, ma dobbiamo vivere con gioia e pienezza il presente, cercando di scoprire la ricchezza della vita la quale si rivela quando non abbiamo paura e timore a goderci ogni momento, ad avventurarci in cerca della conoscenza. “Il viaggio - dice Tabucchi riprendendo il discorso - trova senso solo in se stesso, nell’essere viaggio”. Umberto Saba sembra continuare lo stesso discorso».

Chi viaggia pensa alla meta. Ma quale è la meta di Ulisse secondo Mario Specchio? Tornare a Itaca a fare il re? Il marito? Il padre? «Ulisse è un avventuriero e rimarrà sempre inquieto, pieno di voglia di cercare nuove mete e nuove destinazioni, vuole aprire nuove strade inesplorate e cavalcare nuove salite, il suo viaggio non potrà finire mai, “non durerà più di un momento il vento - scrive Specchio - già raccoglie le forze alza le vele”. Ulisse sempre si volge verso nuove avventure. Scrive Ladrón de Guevara: “Ulisse è la giovinezza, l’ardire, l’osadia, la furbizia, ma anche la stanchezza di chi ha viaggiato tanto e vuole soltanto riposare in terra (seguendo l’interpretazione dell’oracolo) - e al di là delle braccia di Penelope trova pace all’interno dell’olivo, magico albero della nostra mediterraneità”».

 

 

 

Solare anche nei centri storici grazie alle tegole fotovoltaiche

 

Passeggiando in città non di rado si ha la possibilità di osservare in qualche edificio privato o pubblico un numero non esiguo di pannelli solari (dispositivi con celle “fotovoltaiche” in grado di convertire il calore assorbito in energia elettrica) collocati sui tetti o in giardino. Da qualche tempo, però, fanno capolino anche le tegole fotovoltaiche perfettamente integrate nella struttura dell’edificio. Problematiche di natura estetica e paesaggistica sono state motivo di ostacolo alla diffusione dell’energia solare anche in Sicilia dove la presenza di antichi borghi e centri storici ha frenato l’installazione dei pannelli solari talora vietati anche da disposizioni di legge.

L’utilizzo di tegole solari sembra aprire uno spiraglio per cercare di ovviare a tali impedimenti. Già presenti da tempo sul mercato, queste si sono perfezionate e diversificate in maniera tale da potersi integrare sempre meglio e, in particolare, con meno impatto visivo nel paesaggio. Ma cosa sono le tegole solari? Si tratta di tegole speciali che vengono inserite, in alternativa ai tradizionali pannelli, nelle coperture degli edifici. Di solito questi dispositivi sono costituiti da una base in cotto (o in materiale sintetico) su cui viene inserito un piccolo pannello fotovoltaico inserito tra i coppi e protetto da un vetro che garantisce una certa resistenza agli agenti atmosferici, agli urti e all’eventuale calpestio. Il tutto seguendo la naturale sagomatura della stessa tegola. Questo tipo di copertura, di solito, è realizzata in argilla naturale o con speciali materiali e sono facilmente adattabili a tutte le strutture. Anche se sono relativamente facili da installare (più o meno come le tegole tradizionali), richiedono ovviamente la sostituzione della parte di tetto interessata.

I difetti rispetto alla tegola: costano un po’ di più rispetto ad un impianto fotovoltaico tradizionale e presentano una resa leggermente inferiore. Si risparmia però sull’impalcatura che serve per mantenere i classici pannelli leggermente sollevati e orientati nella maniera più efficiente.

Esistono anche altri vantaggi: sono più simili ai tetti tradizionali e, inoltre, possono accedere ad una particolare certificazione che dovrebbe permettere di ottenere le necessarie autorizzazioni specie per chi, abitando in case ubicate in centri storici o soggette a vincoli architettonici o paesaggistici, vuole abbracciare comunque le energie rinnovabili.

 

 

 

Come accogliere ogni giorno la gioia della nascita di Gesù

 

“Almeno per un giorno prova a ricordare che la vera soddisfazione non deriva dalla quantità di averi accumulati ma dal bene elargito”. Questo l’incipit che Marco Gionta, già speaker e redattore nella sezione culturale di Radio Vaticana, appassionato di temi legati alla spiritualità e dedito allo studio del mondo degli angeli (sul tema ha scritto diversi libri), propone ai lettori sintetizzando il senso del suo ultimo libro “Natale ogni giorno” (Edizioni Paoline, Roma, pp. 144).

Frutto di un prolungato itinerario spirituale, il testo è composto da un’articolata serie di meditazioni sul Natale, che offrono la possibilità di approfondire la nascita di Gesù e ad accogliere nel proprio intimo i suoi doni spirituali affinché ogni giorno della vita terrena possa essere una celebrazione del miracolo della Natività.

Riflessioni, dunque, per ogni giorno di dicembre che accompagnano il lettore fino a Natale e le cui tematiche riguardano la fede, l’amore, la tolleranza, l’umiltà, la fratellanza, la gentilezza, la generosità, la pace e la solidarietà. Un percorso che tiene conto degli insegnamenti di Gesù e che, ora come allora, permettono a ciascuno di illuminare la propria anima. La particolarità del libro sta nel fatto che non mira a rimanere su un piano puramente astratto e riflessivo, ma va oltre esortando il lettore, con un approccio originale ed una peculiarità testuale agile e discorsiva, a mettere in pratica nella vita quotidiana i doni preziosi del Natale: “Riponi le tue lamentele, accantona le insoddisfazioni, cerca invece giardini in cui piantare... semi di felicità. Se riuscirai a realizzare questi propositi anche un solo giorno, allora potrai dire di aver compreso spiritualmente il significato profondo, vero e meraviglioso della nascita di Gesù. E se sarai in grado di accogliere il Natale per un giorno, perché non estendere la sua gioia, la sua consolazione e le sue benedizioni a tutta la vita? Ogni giorno può essere Natale”.

Come scrive l’autore, “dovremmo vivere di fatti e non di anni; di pensieri e non di respiri; di sentimenti e non di cifre su un quadrante. Dovremmo misurare il tempo attraverso i battiti del nostro cuore”.

Un libro semplice eppure approfondito, originale e colmo di spunti, da leggere, da vivere e, soprattutto, da condividere.

 

Giuseppe Nativo

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