2016

Gennaio 2016

- “Il Natale è il 24”. Video musicale diretto dallo sciclitano Danilo Schininà (Dialogo, gennaio 2016)

- In provincia di Ragusa si circola su auto di almeno dieci anni (Insieme, 17.01.2016)

 

Febbraio 2016

- “Argu lu cani”. Silloge poetica dello sciclitano Salvo Micciché (Dialogo, febbraio 2016)

- A Ragusa presentato video che racconta con immagini le bellezze iblee (Dialogo, febbraio 2016)

- Il crocefisso del Giubileo della Misericordia (Insieme, 07.02.2016)

- Come spiegare ai ragazzi di oggi l’Anno Santo della Misericordia (Insieme, 28.02.2016)

 

Marzo 2016

- Eventi sismici negli iblei (Dialogo, marzo 2016)

- La Via Crucis e le immagini di Franco Cilia che toccano il cuore (Insieme, 13.03.2016)

 

Aprile 2016

- Il “Feliciano Rossitto” si arricchisce di un nuovo Centro polifunzionale (Dialogo, aprile 2016)

- I nuovi locali del Centro polifunzionale Feliciano Rossitto (Insieme.it, 08.04.2016)

 

Maggio 2016

- Ragusa, maggio 1985. Breve storia di “Pagine dal Sud” (Dialogo, maggio 2016)

 

Giugno 2016

- “Zàghiri e Parmi”. Nuova silloge poetica dello sciclitano Salvo Micciché (Dialogo, giugno 2016)

 

Ottobre 2016

- A Scicli 3° convegno di Urologia (Dialogo, ottobre 2016)

- I compiti a casa o studio in classe? (Insieme, 16.10.2016)

- L’associazione Radioamatori al servizio della sicurezza (Insieme, 16.10.2016)

 

Novembre 2016

- Parliamo di “Medicina difensiva” (Dialogo, novembre 2016)

 

Dicembre 2016

- A Ragusa “Né Romeo né Giulietta”. Film-commedia sull’omofobia e pregiudizi (Dialogo, dicembre 2016);

- Così l’etichetta tutela tutti noi consumatori (Insieme, 04.12.2016)

- Un’arte tra ricordi e tradizione con al centro la Sacra Famiglia (Insieme, 25.12.2016)

 

 

 

GENNAIO 2016

 

La riedizione di Ciampi, i Baciamolemani e l’attore Enrico Lo Verso

“Il Natale è il 24”

Video musicale diretto dallo sciclitano Danilo Schininà

 

Un tavolo con tovaglia chiara che si staglia con l’ambiente circostante scuro ma costellato da tante luci natalizie, una sedia. Un metronomo che scandisce il tempo; ma non quello reale, fluido, fatiscente e gravido di contraddizioni. È il tempo dell’anima, del sentirsi soli o in compagnia di se stessi.

Sono queste le prime impressioni che danno le scene iniziali del video musicale “Il Natale è il 24” per la regia del trentacinquenne sciclitano Danilo Schininà. Un video musicale che, magistralmente sottolineato dal gruppo “Baciamolemani”, diffuso su rete internet da qualche settimana, fa già registrare numerosi consensi. Sebbene abbia una durata di soli quattro minuti (e una manciata di secondi) il filmato si presenta come un condensato di musica, arte, scenografia, ben ritmato e con echi che richiamano le note di Ennio Morricone appositamente confezionate per ambientazioni western.

Il titolo del video e le parole della canzone proposta dalla band siciliana è una riproposizione dell’omonimo testo (inciso nel 1971) del compianto cantautore livornese Piero Ciampi contraddistinto da una vita professionale difficile e altrettanto complicata quella personale e affettiva. Una vita a precipizio, fuori dalle logiche e dagli schemi rimodulata dal regista Danilo Schininà e rielaborata nelle note dei “Baciamolemani”. Una musica che somiglia a Piero Ciampi: eccentrica, spiazzante e inimitabile.

“Il Natale è il 24” si presenta come una sorta di madrigale struggente e, nel contempo, picaresco e con le chitarre in evidenza. Sembra l’autobiografico, tragicomico, sbandato e surreale crocevia di “Cronache di poveri amanti” e “Amici Miei” (“Io vado/ quando sono abbandonato/ vado in cerca di una donna,/ senza danni./ Sento,/ quelle volte che non pago,/ che rimane pure amore/ per un’ora”). La guerra di Piero Ciampi non finisce mai perché “non si combatte con le armi ma col cuore”. Ed è proprio in questa direzione che deve essere intesa l’interpretazione data dall’attore Enrico Lo Verso, su cui si sofferma più volte la macchina da presa attraverso molteplici angolature che ruotano intorno agli altri attori che contornano la scena (Pasquale Spadola, Giada Ruggeri, Anita Pomario, Lorenzo Pluchino).

Le immagini scorrono. La scena si riempie di personaggi che, attorno al tavolo dove siede Enrico Lo Verso, festeggiano il Natale con tanto di scambio di regali. Ma il nostro è lì, solo, in una dimensione atemporale che ripercorre la pellicola della sua vita che “va così”, in una ripetitiva e complicata quotidianità “senza amici e senza amore”. Un pianto liberatorio irrompe la scena. Ma non si comprende bene se sia anche un misto di sorriso. Un amaro sorriso verso le ingiustizie della vita. Ma il metronomo è lì, coscienza e presenza di una realtà modellata da kronos.

 

Scheda biografica di Danilo Schininà

Attore e regista dalla multiforme personalità, si diploma alla scuola di recitazione Bibiena di Bologna, a cui presta collaborazione fino al 2005. Laureatosi in Discipline dell’Arte della Musica e dello Spettacolo (DAMS) all’Università di Bologna, scrive, dirige e interpreta il monologo “Dolce confusione” (2006). Gira in terra iblea non pochi cortometraggi apprezzati dalla critica e dal grande pubblico. Il video musicale “Il Natale è il 24” è stato presentato alla XIX edizione della manifestazione di cinematografia e critica al “Costaiblea Filmfestival” tenutosi a Ragusa nelle giornate del 28-29-30 dello scorso dicembre.

 

 

 

 

In provincia di Ragusa si circola su auto di almeno dieci anni

 

Nelle scorse settimane si è tanto parlato di smog e di inquinamento nei centri urbani dovuto all’emissione di anidride carbonica e polveri sottili, dannose all’apparato respiratorio, a seguito della circolazione dei numerosi autoveicoli.

Ma quali sono i dati statistici relativi all’anzianità media delle auto a Ragusa e nella zona afferente al territorio ibleo? Secondo le recenti analisi dell’Osservatorio di Facile.it, prendendo come riferimento un intervallo di tempo pari a dodici mesi (fino a novembre 2015), le automobili in provincia di Ragusa hanno un’anzianità media di circa dieci anni. In particolare, quelle fino a due anni rappresentano poco più dell’otto per cento, mentre quelle con un’anzianità di dieci-quindici anni si attestano a poco meno del trentuno per cento.

Tali dati sono basati su un campione di quasi trentaduemila preventivi relativi alle assicurazioni auto il cui costo appare strettamente correlato anche valore medio della vettura. Nel territorio ibleo, sempre nel periodo in argomento, circa il quarantadue per cento del parco auto private ha un valore fino a cinquemila euro, mentre quasi l’otto per cento possiede un valore medio che oscilla dai venti ai trentamila euro. Questi ultimi dati statistici si rivelano un po’ al di sotto di quelli fatti registrare in ambito nazionale.

Le marche e i modelli di auto utilizzati, sempre in ambito ibleo, si registrano variamente distribuiti toccando quasi tutte le tipologie offerte dal mercato con qualche predilezione riguardante quelle fabbricate in Italia.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

FEBBRAIO 2016

 

Quando la Sicilia è una “pitrudda cu tri punti

“Argu lu cani”

Silloge poetica dello sciclitano Salvo Micciché

 

Una edizione essenziale nella forma, ma ricchissima nel contenuto. Un testo da portare in borsa, oppure da tenere sul comodino per leggerlo con serenità o nei momenti di attesa in un giorno qualunque, considerando che ogni giorno “qualunque” non è.

E’ un viaggio “onirico-poetico” quello dello sciclitano Salvo Micciché (consulente informatico, fotoreporter e direttore editoriale di un quotidiano on line) dove il verso si trasforma in immagini e queste prendono vita dal suono del verso e, talora, dal suo incalzante ritmo. Un itinerario che - attraverso anche la rielaborazione di antiche nenie, filastrocche e rime popolari – si presenta come un intreccio di intime dimensioni.

Il titolo, “Argu lu cani (Cunti, stori e puisia in lingua siciliana)”, Edizioni Biancavela – StreetLib (2016, pp. 100, anche in eBook nelle librerie on line), mutuato da una lirica contenuta nella silloge, riporta in mente Argo, il cane di Ulisse, che è stato per tantissimi anni anche il fidato amico a quattro zampe dell’autore. I versi omerici, volutamente riportati, fanno quasi da preambolo all’iter poetico dell’autore.

Il metodo utilizzato dall’autore è proprio quello di ripercorrere, tramite l’affettuoso colloquio con il proprio cane, un itinerario ricco di “stori di stori”, ormai cadute nell’oblio, ma terreno di preziosa ricerca volta a ri-scoprire l’appartenenza ad un territorio.

Pensieri, immagini, verso e narrazione si toccano, si abbracciano, si intrecciano, assumendo un ritmo fortemente corroborato dalle forme espressive dialettali affiancate dalle traduzioni. Il termine “cuntu” fa capolino di continuo come una sorta di mantra. Nel verso non sempre c’è la rima; se c’è a volte è baciata, a volte alternata: come un percorso sinusoidale che ripercorre gli alti e bassi del quotidiano vivere. Il fascino dei luoghi della sua Sicilia, amabilmente definita “Isula” e deliziosamente immaginata come “pitrudda cu tri punti” (piccola pietra a tre punte), è rimasto immutato. In essi permane una sottile malia che trasporta l’animo in un tempo senza tempo dove l’unica realtà che conti è l’amore perché la “Sicilia jè terra d’amuri, terra do Signuri” (la “Sicilia è terra d’amore, terra del Signore”).

Quando la promozione turistica passa da internet

A Ragusa presentato video che racconta con immagini le bellezze iblee

 

Una meravigliosa terra iblea colta nelle sue poliedriche sfaccettature: barocca, marinara, ammaliante, festosa, assolata, folcloristica, religiosa, archeologica. Paesaggi mozzafiato dai mille colori: giallo, come le spighe di grano che ondeggiano alla maniera del mare nelle giornate ventose; arancione, come il cielo al tramonto; azzurro come il cielo primaverile che odora di zagara. E poi ancora, verdi vallate che accarezzano l’occhio; campi sterminati, dall’acuto odore di fieno tagliato e imballato, contornati di secolari alberi saraceni.

Queste le linee essenziali delle immagini che scorrono, fotogramma su fotogramma, nel video di promozione turistica fortemente voluto dal Comune di Ragusa e, appena qualche settimana fa, presentato alla cittadinanza. L’obiettivo perseguito dall’Amministrazione comunale è quello di far crescere la realtà turistica e favorire la conoscenza del territorio ibleo sia in ambito nazionale che all’estero.

Il video è stato realizzato dal giovane e talentuoso regista palermitano Riccardo Lupo che, in collaborazione con il collega locale Alessio Micieli e una troupe costituita da oltre dieci persone, attraverso un sapiente intreccio di immagini e musica, presenta una mini storia raccontata tra le campagne, i monumenti barocchi e le spiagge della costa ragusana, tenendo anche conto delle tradizioni religiose e dei seducenti ambienti rurali.

Scelte che si rivelano non casuali quelle effettuate dal regista Lupo attraverso la macchina da presa. L’idea? “Era quella di dare il senso della vacanza e del relax. Se vuoi staccare vieni in Sicilia e il posto più bello è Ragusa – ha precisato Lupo durante la presentazione - e non volevamo creare un video-cartolina ma raccontare una storia utilizzando citazioni e metafore, puntando sull’innamoramento per questa terra”. Un ruolo non indifferente è stato svolto da Alessio Micieli per la scelta dei luoghi oggetto delle riprese.

L’iniziativa filmica è stata inserita su rete internet per sfruttare al meglio i canali digitali e ottenere maggiore penetrazione nel settore degli operatori turistici che potranno così inserirla all’interno delle proprie comunicazioni.

Il video, intitolato “Ragusa. Easy to reach, hard to leave” (ovvero, “Ragusa. Facile da raggiungere, difficile da lasciare”), è messo a disposizione liberamente e gratuitamente. Due sono le versioni realizzate, una di un minuto e l’altra, più estesa, di due minuti e venticinque secondi, con cui si cercherà di catturare i non pochi turisti che già frequentano o che programmeranno di visitare le città iblee.

Unico neo, forse, è che lo spot sia stato girato in lingua inglese.

 

 

Il crocefisso del Giubileo della Misericordia

Sulla porta santa la tela di Franco Cilia

 

Il discorso sulla iconografia della Crocifissione di Gesù diviene articolato e molto ampio quando va a toccare la rappresentazione figurativa del racconto evangelico. La straordinaria diversificazione delle raffigurazioni del Calvario che si trovano nella storia dell’arte va spiegata in rapporto alla diversa attribuzione di significato religioso data all’evento a cui possono giungere differenti sensibilità e differenti letture dei testi evangelici. Ma va spiegata anche (e forse soprattutto) in rapporto alla creatività degli artisti.

“Mentre dipingevo giravo intorno alla tela allo scopo di dare movimento alla figura e, nel contempo, dare l’impressione a chi guarda di essere sempre visto dalla stessa”. Inizia così il veloce ma intenso colloquio, informale e amichevole, con Franco Cilia, eclettico maestro delle arti visive. Era una mattinata come tutte le altre ma speciale perché nella Cattedrale di San Giovanni Battista di Ragusa erano in atto i preparativi per un evento epocale: l’apertura della porta santa per il Giubileo 2015-2016. A Ragusa come a Roma. Franco era lì, in un angolino all’interno della Cattedrale, accanto alla statua di San Giovanni Battista, con una sciarpa che copriva appena il collo e con gli occhi che brillavano perché osservava soddisfatto la sua tela, riproducente il Crocefisso, installata sopra la porta santa (nella parte interna). Una porta che sarà attraversata da numerose anime pellegrine nel corso dell’anno giubilare.

Si tratta della tela riproducente il Crocefisso (“Christus patiens”) ritratto in forma ravvicinata. Cilia accenna, segna, dà una delicata luce alle ombre delle mani, delle dita. Il profilo del naso, le ciglia e le sopracciglia, le ferite e le relative piaghe appena abbozzate, sono tratteggiati da delicate pennellate schematiche ma decise. L’intera figurazione è addolcita da uno sguardo del Cristo che sembra scrutare in qualunque direzione si ponga l’osservatore. Quello di Cilia non sembra un Cristo sofferente, anzi dà l’impressione di essere a disposizione di chiunque lo cerchi con umiltà d’animo. Sullo sfondo le tenebre che cercano di avvolgere la sagomatura di un monte ma stentano a diffondersi perché cedono il passo alla luce nascente che squarcia il silenzio assordante del peccato. Una luce che, come cantava Francesco d’Assisi, “de te, Altissimo, porta significatione”. “La luce non si oppone alle tenebre che albergano nel cuore dell’uomo e nel dramma della storia dal di sopra e dall’esterno: ma vi si cala dentro, sino in fondo, per vincerle e fugarle dal di sotto e dal di dentro”, spiega Franco Cilia.

 

 

Come spiegare ai ragazzi di oggi l’Anno Santo della Misericordia

 

Come spiegare il Giubileo ai ragazzi? Semplice. E’ come parlare al proprio figlio e spiegare, in maniera essenziale e molto semplice, il suo significato e la sua storia. Così ha pensato bene Paolo Curtaz che nel suo recente volumetto “Il Giubileo spiegato ai ragazzi” (Roma, Edizioni Paoline, pp. 32) ne ha delineato le linee fondamentali esplicitate appositamente per i ragazzi dai sette agli undici anni.

L’autore, con una buona formazione teologica, alterna il suo tempo fra la sua famiglia, la montagna, la voglia di conoscere le cose di Dio e di raccontarle: scherzosamente si definisce evangelizzatore freelance. Ha scritto non pochi libri di spiritualità, tradotti in diverse lingue.

Pretesto letterario è proprio il colloquio con suo figlio Jakob, un ragazzo come tutti gli altri appassionato di auto, amante della bici e della chitarra. Le argomentazioni sono svolte in maniera fluida e molto comprensibile. E così l’autore racconta a suo figlio, e nel contempo a tutti i ragazzi della sua età, cos’è il Giubileo, come è iniziato; il perché di un Giubileo straordinario; quale il tema proposto, che è quello della misericordia.

Così scrive l’autore: “Siamo chiamati a imitare il Padre che non guarda la razza, il colore della pelle, e nemmeno gli errori, e si fa carico di noi, sempre. Questa è la misericordia di cui parla papa Francesco e su cui vuole riflettere per un anno intero. L’atteggiamento della misericordia ha a che fare con la compassione, che non è dire mi fa pena ma è mettersi nei panni dell’altro e trovare delle soluzioni, come, appunto, fa il samaritano della parabola del Vangelo di Luca”.

Ma Curtaz va anche un po’ oltre spiegando, con il suo stile chiaro e asciutto, anche il significato del peccato, del perdono, del sacramento della Penitenza e dell’impegno che l’Anno Santo straordinario affida

a tutti, inclusi i ragazzi, e che tutti sono chiamati ad ottemperare.

L’anno giubilare è soprattutto l’anno di Cristo. Nel Nuovo Testamento Gesù si presenta come colui che porta a compimento l’antico Giubileo, essendo venuto a “predicare l'anno di grazia del Signore” (Isaia).

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MARZO 2016

 

 

Eventi sismici negli iblei

Indicazioni sulle norme comportamentali in caso di emergenza

 

Le non poche scosse telluriche verificatesi a febbraio scorso nella zona degli iblei, interessando il territorio del ragusano (Ragusa, Giarratana) e quello aretuseo (Palazzolo Acreide), hanno “rispolverato” le problematiche connesse al rischio sismico della Sicilia sud-orientale.

Non poca l’apprensione tra la popolazione iblea. I vari eventi sismici, succedutisi con discreta frequenza, sono stati avvertiti in una vasta area della Sicilia orientale senza, per fortuna, fare registrare danni a persone o cose. Numerosi i comunicati stampa diffusi dal Comune di Ragusa di concerto con la Protezione Civile riguardanti indicazioni sulle aree di attesa e norme comportamentali da tenere in caso di emergenza.

Il nodo su cui incentrare l’attenzione, e che, forse, nessuno pratica, è quello di discutere in famiglia sui comportamenti da tenere in modo tale da raccordarsi “preventivamente” su come procedere durante la fase sismica, specie di estesa e forte intensità.

In maniera sintetica, ecco le cose da sapere “prima del terremoto”: evitare di stare vicino a vetrate, specchi, mensole con oggetti pesanti (il pericolo maggiore durante un terremoto è quello di essere colpiti da oggetti che cadono); tenere un elenco aggiornato dei numeri telefonici di soccorso corredato da una cartina stradale della città; conoscere la posizione delle utenze domestiche ed avere conoscenza sulle manovre necessarie per poterle escludere; non ultimo, sapere l’esatta collocazione dell’area più vicina alla propria abitazione adibita a punto di attesa. Le cose da sapere “durante il terremoto”: non cercare di uscire durante la scossa e non utilizzare scale e ascensori, che possono costituire grande pericolo per la propria incolumità; ripararsi sotto le strutture portanti quali architravi e muri maestri, oppure sotto letti e tavoli in posizione distesa o inginocchiata proteggendosi il capo con cuscini; se si è all’interno di un ascensore, fermarsi al primo piano possibile e uscire immediatamente; se si è in luogo pubblico evitare di raggiungere l’uscita per evitare una situazione di affollamento che potrebbe provocare ulteriori danni alle persone. Per il “dopo il terremoto”: raggiungere le aree di raccolta predisposte ed indicate nel Piano Comunale di Protezione Civile, avendo cura di non usare autoveicoli per lasciare le strade libere per i soccorsi; aspettarsi scosse secondarie di assestamento; seguire eventuali indicazioni delle Forze dell’Ordine e dei Volontari della Protezione Civile.

Dal punto di vista sismico la Sicilia è caratterizzata da una spiccata attività che interessa, in particolar modo, la zona costiera orientale, compresa tra lo Stretto di Messina e il territorio afferente alla provincia di Ragusa; ma anche la zona settentrionale, lungo quella zona caratterizzata dalla dorsale dei Peloritani-Nebrodi-Madonie-Monti di Palermo; la zona, tristemente famosa, del Belice, nella parte occidentale dell’isola e le zone cosiddette a vulcanismo attivo (cioè quelle aree caratterizzate da eventi di risalita in superficie di materiale allo stato fuso, accompagnato da gas e solidi, attraverso i vulcani), come quelle dell’Etna e delle isole Eolie. Da non trascurare la zona del Canale di Sicilia.

Il settore sud-orientale, tra il Catanese e l’area iblea, unitamente all’area dello stretto di Messina, è quello dove storicamente si sono accentrati gli eventi tellurici più significativi dell’intera regione. Qui si sono verificati gli eventi più forti e distruttivi, basti pensare a quello del febbraio del 1169 (con danni estesi a Catania, Lentini, Modica e Siracusa); quello del 10 dicembre 1542 che interessò tante città del Val di Noto (a novembre di quell’anno lo sciame sismico interessò anche Scicli). Una vera e propria catastrofe fu quella provocata dal grande “tremuoto” dell’11 gennaio 1693, preceduto da un primo forte terremoto un paio di giorni prima. Eventi meno distruttivi, ma con effetti comunque pesanti in alcune località dell’Isola, sono avvenuti anche nell’ottobre del 1624 e marzo 1818. L’ultimo evento significativo è quello del 13 dicembre 1990 che causò gravi danni ad Augusta e di entità minore ma diffusi in molti altri centri tra cui Siracusa e anche Ragusa dove vi fu tanto allarme e preoccupazione tra la popolazione.

Corre l’obbligo ricordare che in Italia quotidianamente si verificano scosse che rientrano in quella che può essere definita “normale” routine, costantemente monitorata dalla Rete Sismica Nazionale. Da una recente analisi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia è emerso che nel corso del 2015, in Italia e nelle aree geograficamente limitrofe al territorio nazionale, si sono verificati in media poco più di quaranta terremoti al giorno, quasi un terremoto ogni mezz’ora, per un totale di quasi quindicimila. Un dato importante rilevato è che rispetto agli anni precedenti il numero di eventi tellurici sembra sensibilmente diminuito.

 

 

 

 

La Via Crucis e le immagini di Franco Cilia che toccano il cuore

 

Tempo di Pasqua. Tempo di preghiera e di meditazione sulla “Via Crucis”. Molti pensano che la “Via Crucis” sia una preghiera per anziani, un pio esercizio ripetitivo poco adatto ai giovani. L’esperienza dice che alcune forme di orazione sono diffuse nel mondo giovanile più di quanto si pensi. Se poi al percorso di preghiera si aggiunge una pennellata artistica, l’esperienza spirituale tocca due volte il cuore. E’ il caso della “Via Crucis” la cui sequenza testuale è guidata da immagini. Una iconografia che accompagna il lettore verso la “Via della Croce”, ricostruendo il percorso doloroso di Cristo che si avvia alla crocifissione sul Golgota, artisticamente rivisitata attraverso l’anima pittorica del maestro Franco Cilia. Sue, infatti, le opere riprodotte sull’opuscoletto “Via Crucis Via di Misericordia” mentre il contenuto è tratto dal Sussidio Quaresima 2016 predisposto dalla Conferenza episcopale italiana.

«Nell’articolare le immagini – confessa l’artista - è stato il passo di Luca (Lc 9, 23) a ispirarmi, in particolare quando l’evangelista dice “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. E il soffrire diventa dolce quando si ama».

Sono in tutto 15 le icone tratte dalle sue opere, in cui si nota un Cristo che, nonostante abbia subìto la spaventosa flagellazione, riscatta e vivifica le nostre fibre più segrete.

Quando Gesù cade per la prima volta, si accascia ai piedi dei soldati che imprecano e minacciano. Accanto al Cristo un’umanità decaduta che dall’artista è schematicamente tratteggiata da semplici ombre sagomate e che simboleggiano il lato oscuro della personalità individuale. Cilia, però, rovescia il rapporto metaforico codificato dalla tradizione tra tenebre e luce, proiettando sulle sagome quanto più radicalmente si oppone, ovvero lo splendore proveniente dal Cristo.

La sequenza iconografica culmina con la risurrezione. Essa è un «evento dentro la storia che – spiega Cilia - infrange l’ambito della storia e va al di là di essa».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

APRILE 2016

 

 

Il Feliciano Rossitto si arricchisce di un nuovo Centro polifunzionale

Una realtà consolidata che guarda al futuro e realizza il progetto di una nuova sede

 

Era il 25 gennaio del 2008 e nel corso dell’assemblea dei soci del Centro studi “Feliciano Rossitto”, il presidente, Giorgio Chessari, esordiva dicendo: “Abbiamo appena presentato al Comune di Ragusa l’istanza per l’assegnazione di un’area per la costruzione della nuova sede, un salto di qualità dovuto ma anche un regalo alla città che potrà ospitare in modo permanente un centro dove l’arte e la cultura possano trovare spazio”. A marzo del 2015 la posa della prima pietra. Oggi quel progetto è già realtà. Una struttura di non trascurabile valenza che costituisce modello di opera pubblica realizzato da un ente di diritto privato senza scopo di lucro.

L’inaugurazione, tenutasi il 7 aprile scorso, alla presenza dei segretari confederali (CGIL, CISL, UIL), vertici politico-istituzionali e religiosi, ha fatto registrare un notevole afflusso di persone che hanno seguito con notevole interesse la serata scandita da non pochi interventi.

Quest’anno il Centro studi compie il 35° compleanno. Nato nel lontano 1981 per cercare di soddisfare le esigenze culturali del capoluogo ibleo, il Centro diviene ben presto punto di contatto di variegate e molteplici collaborazioni ad alto livello socio-culturale nonché elemento catalizzatore e di riferimento di sinergie che si instaurano nell’ambito di non poche iniziative promosse ed organizzate con altre associazioni o istituzioni culturali, con i comuni e la provincia, la Regione Siciliana, il Ministero dei Beni culturali, le istituzioni universitarie, l’Associazione Teatro Utopia e il Centro servizi culturali. Riconosciuta tanto in ambito regionale (6/11/1989) quanto in quello nazionale (9/12/1997), la struttura, oggi ubicata nei nuovi e più ampi locali di Via Ettore Majorana angolo Via Giorgio La Pira, continua a scandire la vita culturale del capoluogo (e non solo). E’ prevista la possibilità di organizzare eventi culturali anche di tipo espositivo mentre l’annessa biblioteca risulterà dotata, oltre che di una cospicua Emeroteca (che è disponibile agli insegnanti, studenti e a tutti i cittadini per ricerche e consultazioni), di numerosissimi volumi (la catalogazione delle opere supera di gran lunga le 20.000 unità) raccolti nelle sezioni di Storia contemporanea (con una sottosezione dedicata alla Sicilia ed alla provincia di Ragusa), Letteratura, Pedagogia e Didattica, Scienza, Economia, Etnologia. Da luglio 1999, la biblioteca risulta inserita nel circuito del Servizio Bibliotecario Nazionale e Regionale con possibilità di usufruire del “prestito inter-bibliotecario”. Nel corso dei compiuti sette lustri di attività numerosissime sono le pubblicazioni edite dal Centro che diviene così strumento di formazione e di ricerca per la promozione culturale e sociale del territorio ibleo. Infatti il Centro, in veste editoriale, ha anche partecipato a manifestazioni librarie ad ampia risonanza territoriale.

Oggi il Centro Studi è una realtà fortemente rinsaldata nel territorio ibleo. Mostre, convegni, incontri, dibattiti e presentazioni di numerosi libri hanno fatto conoscere al grande pubblico l’instancabile cammino letterario di molti scrittori nonché le opere d’arte di non pochi artisti creando numerose collaborazioni culturali con enti e associazioni non solamente iblee. In questi ultimi anni la struttura si è anche arricchita di una consistente mole libraria attraverso alcune donazioni. Quest’ultime riguardano, ad esempio, il comparto della storia locale, relativamente ad una serie di libri che fanno parte della collezione del compianto prof. Giuseppe Raniolo (attento ed accanito studioso dell’antica Contea), nonché il settore letterario rappresentato dalla raccolta di corrispondenza (epistolario 1967-2006) intrattenuta dal poeta Giovanni Occhipinti con i grandi della letteratura italiana. Dal 2007 i lavori di catalogazione e sistemazione del voluminoso materiale documentario, anche su base telematica, si sono ulteriormente sviluppati grazie alla presenza di alcune unità che hanno svolto, come volontari, il servizio civile supportando nelle mansioni pratiche gli operatori del Centro Studi.

Perché una nuova struttura? “Si tratta della progettazione – spiega Giorgio Chessari – del nuovo Centro polifunzionale per la cultura, la scienza, l’arte, il teatro, il lavoro, la solidarietà e la pace intitolato a Feliciano Rossitto. E’ una costruzione che possiede, come caratteristica principale, quella della poli-funzionalità, allo scopo di far fronte alle numerosissime richieste in campo socio-culturale che quotidianamente pervengono al Centro. Sulla base di queste incalzanti esigenze è stata predisposta l’elaborazione progettuale che tiene conto della realizzazione di una struttura dislocata su un’area molto estesa”.

Come è suddivisa l’area? “Il Centro sorge su un terreno comunale di circa 15.000 mq, la cui concessione è per 99 anni. Al momento è stato allestito solo il primo lotto, ovvero un immobile di due piani per un totale di 700 mq, di cui 300 mq destinati ad una sala pluriuso che consentirà convegni e rappresentazioni teatrali. Sono anche presenti locali adibiti a biblioteca, in cui potranno essere collocati circa 30.000 volumi, sala lettura, uffici e servizi vari. E’ stata anche pensata un’area dedicata ai parcheggi e, soprattutto, al verde. Tutto ciò si è reso possibile grazie ad un piano finanziario molto articolato: cessione dell’immobile dov’era allocato il Centro (a suo tempo acquistato con donazioni di soci e di Maria Lanza Rossitto), mutuo bancario da ammortizzare in 15 anni, donazioni liberali e varie sottoscrizioni”.

La nuova struttura offrirà, pertanto, la possibilità di prevedere anche l’insediamento di apposite sezioni o gruppi di studio nell’ambito della filosofia, economia e storia che si affiancheranno a quelli già presenti (comparto organizzativo, musicale e giuridico). “Il Centro, in buona sostanza, deve considerarsi – puntualizza Pippo Antoci, che si occupa del settore organizzativo – uno strumento anche in termini sociali per avvicinare i giovani alle politiche culturali”.

 

 

 

 

I nuovi locali del Centro polifunzionale Feliciano Rossitto

Serata inaugurale all’insegna della pace, della solidarietà, del lavoro e della cultura

 

Messaggi di augurio e articolate riflessioni sulla nascita del nuovo Centro Polifunzionale sono stati rivolti da Franco Martini (segretario Confederale della CGIL) il quale ha posto l’attenzione sulla futura attività della nuova struttura da intendersi non come spazio chiuso ma coma una sorta di agorà dove “la storia si fa memoria”. Anche il Sindaco di Ragusa, Federico Piccitto, ha rivolto l’attenzione sull’aperienda struttura che deve essere intesa come veicolo di valori non solo culturali. Un “luogo culturale – ha aggiunto - al servizio della città” inteso come luogo di condivisione e scambio di idee.

Il vice prefetto, dott.ssa Cocciufa, ha fatto riflettere sul fatto che il Centro Studi “F. Rossitto” deve essere inquadrato come “un pezzo di storia della città di Ragusa” specificando che la presenza di tantissime persone presenti “dimostra che Ragusa è una comunità con una voglia di fare che si concretizza nella operosità”. Anche don Puglisi, vicario del vescovo, portando gli affettuosi saluti di mons. Carmelo Cuttitta (assente per indifferibili impegni pastorali), ha voluto porre l’accento non solo sul solco profondo dei valori culturali ma su quelli sociali che il nuovo Centro polifunzionale deve promuovere sulla scia del lavoro già intrapreso, in quanto la struttura per la sua peculiarità deve essere luogo di incontro e confronto. Paolo Sanzaro della Cisl ha invitato il pubblico a rivolgere un plauso a Giorgio Chessari per aver pensato non solo ad una struttura più ampia ma anche e soprattutto ad un luogo di formazione “che guarda al Mediterraneo” in quanto il Centro è “patrimonio di tutti” rivolto al bene comune. Carmelo Barbagallo della Uil ha rivolto un affettuoso augurio per il Centro Polifunzioanle, segno di grande speranza per le generazioni future.

Nel corso della serata la sig.ra Ornella Cappello, dell’ufficio segreteria del Centro, ha reso pubblici i nominativi dei numerosi soggetti che hanno dato un contributo alla costruzione dei nuovi locali. La stessa ha poi dato lettura del nutrito elenco dei professionisti che, ciascuno per la parte di propria pertinenza, hanno contribuito alla progettazione dello stabile nelle varie fasi costruttive.

Tra le tante personalità si è registrata la presenza di Giuliano Rossitto (nipote di Feliciano), Giuseppe Leone, l’attore Marcello Perracchio, giudici Duchi e Fera, lo scrittore e critico letterario Diego Guadagnino, il maestro Franco Cilia, lo scrittore Francesco Lucania, il maestro Salvatore Fratantonio, l’archeologo Giovanni Distefano. Non ultimo il professore Peppino Miccichè, storico e già presidente del Centro.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MAGGIO 2016

 

Ragusa, maggio 1985

Breve storia di “Pagine dal Sud”

 

“Da troppo tempo ormai una parte notevole delle forze politiche di governo e del mondo imprenditoriale si attarda in un’analisi della crisi che, piuttosto che costituire una diagnosi per una terapia efficace, sta invece rappresentando un ostacolo sempre più grande all’impegno necessario per fronteggiarla”. Questo l’incipit del primo editoriale, datato maggio 1985, pubblicato sulla rivista “Pagine dal Sud”, allora a cadenza bimestrale (da alcuni anni non più in edicola), edita dal Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa, ente culturale che quest’anno compie 35 anni di attività e che intende produrre cultura, nel segno della concretezza e nel ricordo di Feliciano Rossitto (immaturamente scomparso nel marzo del 1980), dirigente politico e sindacale, interprete fedele degli ideali del socialismo il quale fu sempre aperto alle istanze di rinnovamento e di progresso della società. La rivista nasce come strumento di formazione nonché di ricerca per la promozione intellettuale e sociale del territorio ibleo.

Gli anni ’80 si preannunciano abbastanza difficili. Al boom consumistico degli anni ’70 si contrappone l’inflazione e la conseguente stagnazione economica. La crisi crea enormi tensioni e difficoltà che si avvertono nel settore del lavoro. L’introduzione di una massiccia ed estesa automazione nelle procedure lavorative porta ad una fase di trapasso, verso una nuova epoca, in cui la produzione tenderà a dipendere, più che dallo sfruttamento della forza-lavoro, dal grado di introduzione delle nuove tecnologie capaci di rivoluzionare modi di vita secolari, sino al punto di poter tradurre in pratica l’atavica aspirazione della liberazione dell’uomo dallo sfruttamento dell’uomo. La rivista si fa partecipe delle cocenti problematiche di quel momento attraverso la trattazione di tematiche che toccano da vicino il territorio ibleo e, in particolare, la città di Ragusa. Tra i solerti ed affiatati collaboratori di quegli anni, ciascuno incaricato di un settore specifico da seguire, spiccano nomi che, nel corso del tempo, si distinguono per il loro impegno sociale, culturale e politico (tra gli altri, il compianto Angelo Campo, allora direttore della rivista; il professore Giuseppe Miccichè, eminente studioso della storia politica iblea del ‘900; l’on. Giorgio Chessari, fermamente impegnato sul piano politico nonché “padre” della legge regionale 61/81 per il risanamento e salvaguardia dei centri storici di Ragusa; Emanuele Schembari, giornalista e poeta). Tra questi, alla sig.ra Maria Moscato, una collaboratrice dagli occhi marroni con qualche sfumatura di verde e molto vispi, è affidato l’incarico di dare una intestazione alla rivista. Un titolo che tenga conto della caratteristica fortemente incentrata alle problematiche siciliane ma che, nel contempo, sia rivolta alle grandi tematiche nazionali. Come intestazione della testata è scelto l’emblematico “Pagine dal Sud”. Accanto all’editoriale di quel primo numero così si legge: “Assistiamo oggi ad una crisi profonda di valori e di ideali ed è sotto i nostri occhi il malessere esistente in tutte le istituzioni. Siamo perciò convinti che oggi l’esigenza più grande sia quella di un accostamento, oltre che ai problemi reali della nostra città e dell’isola tutta, anche ai libri, alla storia, alla ricerca, allo studio”. Sulla base di tali istanze viene data alle stampe la rivista il cui compito è quello di rappresentare il trait d’union tra una cultura teorica (lettura, ricerche riguardanti il territorio) e l’analisi dei problemi più immediati della collettività.

Attraverso i titoli di alcuni articoli di quel numero “Uno” (maggio 1985) è possibile tracciare una radiografia di quel periodo che sembra non discostarsi molto dalla realtà odierna. Nel comparto dell’economia e lavoro spicca, tra gli altri, l’articolo “Cala la produzione, diminuiscono gli investimenti, aumentano i disoccupati. Che fare?” (a cura di F. Leggio) in cui sono affrontate alcune questioni legate al tema centrale dello sviluppo industriale e lavorativo nel ragusano in un arco temporale che va dal 1977 al 1984 (indici di disoccupazione in provincia di Ragusa: posto il 1977 a base 100, nel 1980 si registra un indice pari a 207, mentre nel 1984 risulta a quota 367). Segue l’inchiesta su “Crisi della riforma sanitaria: la sanità manipolata” (di R. Cannizzaro) che pone l’attenzione alle problematiche sulla riforma sanitaria, approvata in quegli anni dal Parlamento, in ordine all’estensione dell’intervento pubblico per coprire ogni malattia ed esigenza ad essa connessa. Le immagini, rigorosamente in bianco e nero, contribuiscono ad introdurre gli argomenti secondo lo stile di quel periodo.

 

 

 

GIUGNO 2016

 

 

“Zàghiri e Parmi”

Nuova silloge poetica dello sciclitano Salvo Micciché

 

“Con Onomastica di Scicli (1991) ho cercato di dare un contributo di ricerca in campo onomastico e araldico a proposito dei cognomi ricadenti nel territorio di Scicli e dintorni. Con Argu lu cani (gennaio 2016) – spiega Salvo Micciché nella sua nota esplicativa - ho voluto fare un omaggio poetico alla Sicilia, in particolare al Sudest, territorio in cui sono nato e cresciuto, con l’intento di conservare, diffondere, mantenere vivo l’interesse per il siciliano parlato, fissarlo con la scrittura affinché non si perda, volendo offrire ai più giovani un modo nuovo per conoscerlo e ai più anziani un’altra maniera per ricordare le forme più desuete e arcaiche della lingua. Con questo libro, Zàghiri e Parmi (aprile 2016), mi propongo di portare avanti questi studi, offrendo al Lettore altre poesie, ma anche una sintesi di grammatica e un glossario più ampio di quello già presente in Argu, per fornire ulteriori strumenti di lettura, di riflessione e di ricerca”.

Inizia così il viaggio poetico di Salvo Micicché (cultore di araldica e onomastica, consulente informatico, fotoreporter e direttore editoriale del quotidiano on line Ondaiblea) intriso di vigorosa sicilianità. Si tratta di un volume da cui emerge di continuo il profumo della Sicilia attraverso la presenza di “zàghiri e parmi” e “àrvuli putati” (alberi potati) di atavica memoria, in uno sposalizio continuo tra natura e sensi. Un dimensione, forse, edenica, per quanto sfumata nella lontananza del sogno, quasi inaccessibile, come oggetto di nostalgico desiderio, ma che lo sciclitano Salvo Micciché delicatamente evoca attraverso i suoi versi che aprono “Zàghiri e Parmi” (Biancavela – StreetLib, 2016, pp. 152, anche in versione digitale nelle librerie on line), silloge poetica contrassegnata da mirabili pennellate intrise di sensibilità e animosa affabulazione dialettale. E’, forse, il giardino di casa, richiamato da fanciulleschi ricordi, a fungere da elemento trainante e viatico per questo ulteriore volume, sequel poetico del suo “Argu lu cani”.

Nei versi di Salvo si notano talora subitanei affioramenti memoriali colorati con angoli di luce, in mezzo al tripudio dell’aria, dei colori, degli alberi in fiore. E’ un palcoscenico in cui la parvenza reale del paesaggio siciliano lievita e fermenta, diventa sede di rinascenze. E’, forse, una dimensione onirica in cui ancora si percepisce una Sicilia antica ricca di agrumeti. Una “Isula” dal profumo energico di zagare i cui effluvi intensi ne rappresentano il manifesto immaginifico sensoriale. Di qui l’immagine dei “lapuzzi” (piccole api) che, nelle reminiscenze dell’autore, mangiucchiano “nne macchiteḍḍi sucannu nèttiri friscu re çiuri cjù beḍḍi” (negli alberelli succhiando nettare fresco dai fiori più belli). Un’immagine sensoria, carica di inesausta vitalità, che dà l’idea del ronzio delle laboriose api domestiche orbitanti “nno jardinu” (nel giardino): un universo straordinario, visto come angolo di paradiso (dal latino paradisus e questo dal greco, ovvero giardino).

Le epifanie dei luoghi di Sicilia, in particolare della sua Scicli, dal sapore familiare dove le brave massaie “re cincu susuti” (alzate dalle cinque del mattino) si apprestano a “scaniari” (impastare) il pane, diventano anche crogiuolo di voci e armonia di suoni che si intrecciano, si accavallano. La voce della terra e il rumore del vento, il cui soffio modella i “çjanchi re macchi i carrua” (fianchi degli alberi di carrubo), sono elementi essenziali della campagna e del duro lavoro che scoraggia i giovani e necessita di: “rasuliari, ’nsitari, putari, tratturiari, scavari u filàgnulu, sprucchiari, spampinari” (scerbare, innestare, potare, arare, scavare il filare, sbocciolare, defogliare). Azioni che, espresse con il verbo coniugato all’infinito, danno l'impressione del movimento, del lavorio frenetico e incessante della campagna. Un mestiere antico, quello del contadino, che rispetta la natura con l’utilizzo dello “zappuni” che “stocca i vurazza ma jìnchia la ucca” (spezza le braccia ma riempie la bocca).

La silloge, impreziosita da un ricco compendio di grammatica della lingua siciliana e da un’articolata bibliografia, è un esempio di come si possa miscelare la cultura di uno spicchio (la Sicilia della zona iblea) di Italia con la naturalezza del raccontare e raccontarsi in versi. Dalla lettura di ogni poesia emerge l’amore profondo di Salvo per la sua terra e la dedica che lui fa di questo libro “ai siciliani onesti” è un po’ la dedica che può sentire per sé ogni suo conterraneo.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

OTTOBRE 2016

 

 

A Scicli il 3° Simposio di Urologia

Coinvolti medici e specialisti di cinque regioni italiane

 

Calabria, Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta sono le quattro regioni italiane che, unitamente alla Sicilia, hanno fatto in modo di convergere i propri sforzi medico-scientifici in campo urologico per approfondire tematiche ed esperienze in campo chirurgico e fare il punto della situazione sulla ricerca e prospettive terapeutiche.

Luogo d’incontro (7-8 ottobre) è stata la città di Scicli che ha fornito una splendida ambientazione anche da un punto di vista logistico. Si tratta del terzo anno consecutivo in cui Scicli diventa protagonista per l’interessante simposio scientifico interregionale.

Sede congressuale scelta è stata il Teatro Italia capace di soddisfare la consistente presenza di medici e specialisti nel campo dell’urologia. Presidente del convegno: il professore Gaetano Marino, specializzato in Urologia e in Chirurgia d’urgenza, che si occupa di urologia in tutti gli ambiti di applicazione, quali prevenzione, diagnosi e cura di tutte le patologie dell’apparato uro-genitale. Attualmente è Direttore della struttura complessa Urologia ASL TO 5 Regione Piemonte su tre presidi ospedalieri.

Perché la scelta è caduta su Scicli? “In questo terzo simposio abbiamo raggiunto una numerosa richiesta di partecipazione da parte dei professionisti e la struttura del Teatro Italia va a soddisfare tali esigenze. L’iniziativa, nata tre anni fa dal mio desiderio di ringraziare le mie radici, è stata peraltro caldamente suggerita da colleghi e aziende partecipanti”.

Quale formula ha adottato per l’articolazione dei lavori congressuali? “Dal punto di vista scientifico ho cercato di adottare una formula raramente presentata in Italia. In buona sostanza, accanto a tavole rotonde medico specialistiche ho volutamente inserito relazioni infermieristiche nel presupposto costruttivo di dare al personale infermieristico – che è parte integrante del processo clinico assistenziale inteso nella sua globalità – una giusta ed appropriata visibilità professionale”.

Quest’anno il programma è stato articolato tenendo conto delle problematiche urologiche strettamente correlate a quelle di natura oncologica.

Ed infine professore cosa riserva il panorama medico scientifico anche in relazione alla sua esperienza acquisita sul campo? “In questa terza edizione del simposio sono state presentate le prime quinquennali esperienze laparo-robotiche (N.d.R. evoluzione tecnologica della chirurgia mininvasiva laparoscopica che consente di operare inserendo telecamera e strumenti attraverso minuscole incisioni) ma soprattutto le novità della medicina rigenerativa e della medicina integrata per il trattamento delle disfunzioni vescico-sfinteriali (N.d.R. a carico della vescica e parti muscolari delle vie urogenitali) con particolare riferimento alla diagnosi e cura della vescica neurologica (N.d.R. disfunzione neurologica del basso apparato urinario). Il vero futuro sarà nella integrazione della medicina rigenerativa con la neurochirurgia funzionale per il trattamento delle lesioni spinali per curare i tetra e paraplegici (N.d.R. paralisi motoria). E’ ancora presto per le applicazioni cliniche ma se ci saranno i necessari investimenti molti pazienti con iniziali lesioni parziali potranno riprendere parte della funzione deficitaria. L’altro messaggio – che è stato appena citato - è quello che per la prima volta infermieri e medici agiranno sempre più insieme nel processo clinico assistenziale. Già da alcuni anni negli Stati Uniti molte procedure che in Italia sono di pertinenza medica sono effettuate da infermieri professionali che hanno effettuato corsi post laurea dedicati”.

E’ stato dato spazio alle tematiche riguardanti la chirurgia mininvasiva e la chirurgia robotica. Quest’ultima, negli ultimi tre lustri, nell’ambito dell’urologia ha fatto sicuramente passi da gigante. Oggigiorno nella pratica clinica le precise braccia meccaniche, guidate sempre da chirurghi esperti, rimuovono con relativa velocità e semplicità tumori nella prostata, nei reni e nel tratto urinario.

Quali le problematiche emerse (quali, ad esempio, eventuali fattori di rischio a carico del paziente) e, soprattutto, l’utilizzo di tali tecniche per un immediato futuro? “La chirurgia robotica è solo l’immediato futuro per pazienti che non hanno mai effettuato interventi chirurgici, essa è oggi particolarmente indicata per i tumori del colon retto e della prostata. Ma il futuro della terapia dei tumori non è la chirurgia, come disse nel 1967 Francois Ody, ma sarà il trattamento extracorporeo dove le nuove radioterapie con particolari apparecchiature (acceleratori lineari) potranno concentrare l’azione citocida (ovvero la morte delle cellule) in modo selettivo. Altro traguardo sarà il trattamento sistemico con chemio-immunoterapie come già oggi viene effettuato per alcuni tumori della mammella in cui viene stimolata la crescita di cellule tumorali per poi ucciderle in toto con chemioterapia. Altro futuro sarà quello della terapia genica nei pazienti selezionati affetti da sindromi congenite con neoplasie multiple. Ma credo fermamente ancora che solo la prevenzione primaria sia il più grande impegno che dovrà essere effettuato. La dieta corretta, attività fisica e assenza di esposizione a tossicità ambientale e lavorativa rimangono le priorità del nostro secolo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

I compiti a casa o studio in classe?

Le nuove frontiere della scuola

 

Tanti i dibattiti volti a riflettere sul peso e il valore dei compiti per casa lasciati dai docenti. Il tema, però, va sviluppato ed è applicabile non solo alla scuola, ma anche all’università, al lavoro, alla vita, alle relazioni. La questione, però, non è tanto sui compiti quanto sul farli bene in qualunque contesto.

Si può discutere sulla mole del lavoro assegnato a casa, sulla possibilità di evitare gli eccessi, sulla mancanza di guide che insegnino come si fanno i compiti, ma anche sull’incapacità di concentrarsi su qualcosa a lungo, sul tempo dedicato, sull’agenda quotidiana stracolma di attività che possiede un ragazzino di circa dieci anni.

Allora i compiti a casa si o no? Abbiamo girato il quesito a Giuseppe Palazzolo, dirigente scolastico della Direzione didattica “Mariele Ventre” di Ragusa. “E’ un argomento complesso ed è necessario operare una serie di distinzioni: fasce di età, tipologia dei compiti, periodo (scolastico o vacanze?), discipline. Non credo che ci sia una risposta secca, anche se si possono fare delle considerazioni, sia pure molto generali. I compiti a casa, in funzione di verifica e consolidamento del lavoro svolto la mattina, a scuola, hanno sicuramente una funzione positiva, se pensiamo agli alunni della scuola primaria, all’acquisizione di più sicure abilità di scrittura e calcolo. E’ vero che in alcuni Paesi nord europei, con ottimi esiti scolastici, tutto il lavoro si svolge a scuola, ma si tratta di una realtà, anche socio-culturale, molto diversa. In Italia ci sono stati periodi storici nei quali i compiti a casa avevano un peso essenziale, talora indispensabile per completare il lavoro in classe. Chiaramente, gli alunni le cui famiglie, direttamente o indirettamente, potevano aiutare i figli a studiare a casa, ottenevano migliori risultati degli altri, anche se ciò comportava una ingiusta selezione sociale”.

La tendenza adesso è cambiata? “Oggi la tendenza è nettamente cambiata, anche se, a mio avviso, man mano che i ragazzi crescono, diventa più utile per loro avere dei momenti di riflessione, approfondimento e ricerca rispetto a quanto appreso in classe. E’ soprattutto sul metodo di studio che i docenti debbono lavorare molto, affinché gli studenti possano organizzarsi autonomamente il loro lavoro a casa, dando una certa libertà di scelta”. Ha un ricordo giovanile da alunno? “Mi viene in mente un ricordo da studente liceale di quinto anno. Il professore di Filosofia era molto giovane e, fin dal primo giorno, mise in chiaro che lui compiti a casa non ne avrebbe dati per niente. Noi eravamo smarriti, cosa avremmo studiato a casa? Alla nostra richiesta, il professore ci rispose che, se avevamo interesse per qualche argomento o autore, lui avrebbe dato a ciascuno una bibliografia essenziale, per consentirgli di conoscere ed approfondire direttamente dai testi la materia ed, eventualmente, comunicare ai compagni, in classe, quanto aveva appreso. Metodi d’avanguardia, per quegli anni…”.

 

 

 

 

L’Associazione Radioamatori al servizio della sicurezza

 

Anche l’Associazione radioamatori italiani (Ari) sezione provinciale di Ragusa presente a Donnalucata per preparare l’evento del 25 settembre in azione congiunta con Protezione Civile, 118, Forze dell’Ordine, Militari, Comune di Scicli, Prefettura di Ragusa. Sede operativa Palazzo Mormino.

Qual è la vostra attività in occasioni come questa? «La nostra attività – spiega Salvo Miccichè, presidente Ari sez. Ragusa - consiste nel dare assistenza alle TLC (radiocomunicazioni) collegando in questo caso alcuni punti strategici del territorio da tenere sotto controllo con la centrale, che poi è in contatto con i referenti di vari altri servizi (sanità, sicurezza, emergenza) per prestare aiuto e consentire un regolare svolgimento della manifestazione. Ci sono eventi come questo in cui non è pensabile usare i telefoni per collegarsi punto a punto: con un sistema di TLC si possono dare comunicazioni “circolari” (a tutti) e ricevere contemporaneamente più referenti».

In caso di emergenza quali sono le procedure che adottate? «Il nostro compito è ricevere segnalazioni e smistarle ai responsabili dei servizi, come dicevo. Poi si attivano i piani predisposti dalla Protezione Civile. Inoltre vi sono referenti per varie necessità, quali ad esempio polizia, e personale sanitario. Già presenti squadre di pronto intervento, ambulanze, pattuglie, squadre comunali. Funziona tutto per settori, ma con un coordinamento tramite anche una capillare rete informativa e di TLC».

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

NOVEMBRE 2016

 

Parliamo di “Medicina difensiva”

Sempre più chirurghi rinunciano agli interventi per paura di essere chiamati in tribunale dai pazienti?

 

   Da un’analisi statistica effettuata qualche anno fa emergeva una delicata problematica riguardante i chirurghi che per paura delle denunce non affrontavano casi difficili. Alta la percentuale di medici che avevano subìto nel corso della carriera una denuncia o un esposto per presunti eventi avversi. Per molti il rischio di essere chiamati in giudizio sarebbe praticamente la prima preoccupazione sul lavoro, e altrettanti ammettono che l’esclusione o il non trattamento di pazienti a rischio, oltre le normali regole di prudenza, rappresenterebbe una possibile strategia di difesa abituale. Infatti si parla tanto di “medicina difensiva” nella speranza che non si trasformi in “medicina omissiva”. La problematica diviene ancora più articolata se si considera che le apparecchiature mediche talora si presentano non adeguate qualitativamente.

   Ma il panorama oggigiorno è cambiato? I medici si sentono “paralizzati” dal pensiero di finire in tribunale? Abbiamo girato la domanda a Salvo Figura, già medico anestesista presso una struttura ospedaliera iblea. “Qualunque atto medico, sia esso la prescrizione di potenti farmaci, sia un intervento chirurgico di qualsiasi specialità, non può prescindere da uno scrupoloso, prudente, professionalmente competente, studio del paziente. Ciò, affinché vengano esauditi i tre capisaldi dell’atto medico: diligenza, perizia, prudenza. Il sopraggiungere, però, di un “evento avverso” e imprevedibile, la malpractice degli anglosassoni, erroneamente tradotta come “malasanità”, configurerà il loro contrario e si parlerà quindi di errore per: negligenza, imperizia, imprudenza. Tre atti colposi le cui argomentazioni si articolano nelle aule giudiziarie. Ogni giorno in tutt’Italia, migliaia di medici svolgono la loro professione con coscienza, parola che cumula i tre atti medici positivi visti prima. Ma ciò non li porrà al riparo da una denuncia e da una richiesta di risarcimento astronomica, con annesso penale che distruggerà definitivamente la carriera professionale e la vita di quel medico messo subito alla gogna mediatica in ogni programma televisivo. Salvo poi appurare, a distanza anche di anni, la totale innocenza (come avviene nell’85% dei casi) del professionista, che aveva svolto il proprio lavoro con professionalità e che solamente il sopraggiungere di un evento avverso lo ha trasformato in un soggetto macchiatosi di un misfatto odioso”.

   Tale stato di cose a quali conseguenze ha portato?

“Tutto ciò ha portato i chirurghi ostetrici, ortopedici, generali, i medici anestesisti (ho citato le categorie più esposte), ad attuare quella che, anche qui erroneamente, viene definita Medicina difensiva, ma che nella realtà rappresenta l’applicazione rigorosissima, quasi pignola, di tutti, nessuno escluso, i protocolli preventivi di sicurezza, da effettuare su un paziente a rischio (desidero ricordare che il concetto di rischio è solamente la probabilità statistica del verificarsi di un determinato evento e che paziente a rischio è qualunque paziente che, affetto da malattie collaterali oltre a quella di base per cui si richiede l’intervento chirurgico, ha una probabilità statistica più elevata di andare incontro all’evento sfavorevole).

   Allora non c’è dunque alcuna “difesa” da parte dell’operatore sanitario? “Si può parlare solo di osservanza di normali e rigidi protocolli di comportamento professionale, codificati in tutto il mondo e approvati dalle più alte Società di chirurgia. Un po’ come la verifica strumentale eseguita su un aereo prima del decollo. Certo, a latere di quanto detto ci sono, da una parte, l’alea di una denuncia (fondata o no) da parte di parenti o pazienti, spesso abbagliati dal miraggio di esosi risarcimenti; dall’altra, c’è la stipula di assicurazioni professionali da parte dei medici chirurghi, con premi altissimi, in base alla specialità professata e al massimale assicurato, che li tutelino dalle rivalse della controparte. Si crea così un contenzioso, a volte lungo anni, che porterà a un atteggiamento di sfiducia e disistima, reciproche”.

   Insomma, in Italia soprattutto, il salire e lo scendere le scale del tribunale è diventato ormai, lo sport più praticato dai chirurghi? “Nei miei quarant’anni di vita professionale ho avuto la fortuna di non incappare mai in alcune di queste evenienze. Lo stesso non posso dire di molti miei colleghi sulla cui preparazione e integrità professionale e morale sono pronto a giurare, ma che si sono visti ugualmente infilare nel tritacarne della giustizia e dei media, e uscirne con le ossa rotte, a torto o a ragione!”.

   Il rimedio? “Operare sempre con coscienza netta e retta, preparazione professionale inappuntabile, umiltà e applicazione rigida dei protocolli di salvaguardia, evitando di cadere nelle omissioni che a volte sono più pericolose dell’errore paventato. Discutere sempre col paziente del suo caso, evitando sciocchi terrorismi, ma valutando insieme i rapporti rischi/benefici e richiedendo sempre il consenso informato e ben compreso e stimolare sempre la fiducia e la stima del paziente che affida la sua vita nelle nostre mani”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

DICEMBRE 2016

 

 

A Ragusa “Né Giulietta né Romeo”

Film-commedia sull’omofobia e pregiudizi

Coraggiosa e delicata regia di Veronica Pivetti

 

Ragusa. Cinema Lumiere. Sala stracolma di persone. Tutti in trepida attesa per vedere la pellicola di esordio, come regista, della bravissima Veronica Pivetti, attrice, doppiatrice e conduttrice televisiva italiana, sorella minore della politica Irene. L’interesse non è solo di incontrare “dal vivo” la Pivetti, protagonista, tra l’altro, di una fortunata serie televisiva in onda da qualche anno sulla Rai, ma anche quello di presenziare alla visione di un film presentato in anteprima al Giffoni Film Festival 2015 nonché inserito alle candidature della rassegna cinematografica “Globi d’Oro 2016” i cui premi sono stati assegnati a Roma nel giugno scorso.

Titolo del film “Né Giulietta né Romeo”, una spassosa commedia che vede tra i protagonisti tre amici adolescenti e inseparabili, Rocco (Andrea Amato), Maria (Carolina Pavone) e Mauri (Francesco De Miranda), alle prime armi con la propria identità, “inseguiti” dalla caparbia e protettiva madre di Rocco (Veronica Pivetti), ex-moglie di uno psichiatra egocentrico e sui generis (Corrado Invernizzi) e figlia di una frizzantissima nonna (Pia Engleberth).

Ma perché tanto interesse? Introduce la serata il simpaticissimo e giovane attore Luigi Tabita. “Fare questo film – ha dichiarato la regista Veronica Pivetti - è stata un’esperienza dirompente, un'assunzione di responsabilità sull’otto volante, un bagno totale di logica e istinto insieme. E, come Rocco, il protagonista della storia, ho deciso di cambiare pelle sperimentando un’altra, nuova, sentita e desiderata identità professionale”. Quello della Pivetti è un tema molto delicato e, al contempo, complesso, come può esserlo il percorso di un adolescente che si scopre omosessuale, in una società a cui piace pensarsi moderna e aperta, ma che, alla prova dei fatti, si rivela molto spesso ingabbiata dai pregiudizi. Il mondo familiare del protagonista (il giovanissimo Rocco) trova un punto di “rottura” nell’attimo in cui Rocco scopre di essere attratto da un suo compagno di classe. Man mano che la consapevolezza della propria omosessualità si fa sempre più netta, trova resistenze e incomprensione persino tra coloro che considerava più aperti e vicini, compresa sua madre. Rocco, deluso dalla reazione dei genitori e sempre più a disagio, deciderà allora di fuggire di casa per andare a vedere il concerto del suo cantante preferito, la giovane icona gay Jody McGee. La sua fuga lo porterà così fino a Milano, inseguito dalla mamma e dalla nonna, arzilla vecchietta nostalgica del ventennio fascista ma con una grande sensibilità interiore. Quello del protagonista è un viaggio che rappresenta la ricerca della sua “identità”, quella che sente intimamente nel suo corpo e nel suo cuore. Ma rappresenta anche un itinerario che porta un profondo cambiamento anche in coloro che gli stanno vicino.

L’intento alla base di questa opera prima è, a dir poco, encomiabile: si sceglie di affrontare non tanto la questione dell’omosessualità, ma quella del rapporto tra chi si scopre attratto dal suo stesso sesso e le resistenze di quel mondo che invece si vorrebbe vicino e al proprio fianco. Inoltre, c’è la volontà di trattare una questione delicata con toni che non appesantiscono la visione. Elementi riconosciuti anche da Amnesty International, che proprio a questa commedia ha concesso il patrocinio, evidenziando come il cinema oggi abbia la funzione non solo di denunciare, ma anche di demolire pregiudizi e luoghi comuni. La sapiente articolazione delle immagini racconta un conflitto generazionale dove da una parte c’è il mondo dei giovani con le sue ragioni, e dall’altra quello degli adulti, che non lo comprende perché incapace di una visone sgombra da innati schemi mentali.

La figura di nonna Amanda, figura divertente, abilmente interpretata e ben costruita, smorza i toni dell’intera architettura scenografica anche se, nel finale, si lancia in una direzione forse poco credibile nella realtà. Il film-commedia, in buona sostanza, si rivela comunque divertente e godibile. E’ questa la cifra stilistica di Veronica Pivetti, qui regista, attrice e anche sceneggiatrice insieme a Giovanna Gra, nella speranza che non si fermi nel fare riflettere e portare avanti l’obiettivo, non privo di merito, di affrontare temi delicati e complicati con il tono sfaccettato della commedia.

Grande soddisfazione è stata espressa in sala, nel corso del seguitissimo dibattito intavolato dopo la proiezione del film, da Agedo (Associazione GEnitori ed amici Di Omosessuali) Ragusa, attraverso l’intervento della sua presidente Anna Battaglia, che ha promosso ed organizzato l’evento cinematografico in sinergica collaborazione con Amnesty International gruppo 228 Ragusa, Nemoprofeta, con Fitzcarraldo Cineclub e con il contributo del Centro Servizi Culturali di Ragusa grazie a Giacinto Festival Try Changing.

 

 

 

 

Saper cosa arriva sulle tavole e cosa mangiamo è il primo passo per garantirci un’alimentazione senza sorprese di qualità.

Così l’etichetta tutela tutti noi consumatori

 

Fare la spesa è un adempimento così quotidiano che, spesso, non facciamo caso al fatto che alcuni prodotti potrebbero essere diversi da quelli generalmente acquistati in quanto contraffatti. In buona sostanza si tratterebbe di un prodotto che ha il nome, il marchio o alcuni segni che ci ricordano il prodotto che noi consumiamo, ma non è quello, traendoci così in inganno!

Risulta, pertanto, necessario conoscere alcune definizioni. La contraffazione è la creazione di un prodotto industriale con nome, marchi o segni distintivi che ingannano il consumatore. La sofisticazione è l’aggiunta di sostanze estranee al prodotto allo scopo di migliorare l’aspetto o coprirne difetti. La falsificazione è la sostituzione totale di un alimento con un altro di qualità inferiore.

Da ciò emerge l’esigenza dell’etichettatura del prodotto. Per esempio, una norma volta a tutelare il consumatore è quella relativa all’etichetta degli agrumi che deve indicare le sostanze chimiche e i conservanti usati nei trattamenti dopo la raccolta.

L’obiettivo dell’etichettatura è anche quello di fornire una migliore informazione al riguardo. Ciò assume una particolare importanza se consideriamo il fatto che, a differenza dei frutti a buccia sottile, gli agrumi (arance, mandarini, limoni) potrebbero essere trattati con dosi molto elevate di sostanze chimiche e la loro buccia potrebbe, in qualche modo, entrare a far parte dell’alimentazione umana. Inoltre, i limiti massimi applicabili ai residui di una sostanza chiamata “2-fenilfenolo” (additivo alimentare utilizzato per il trattamento a cera delle superfici degli agrumi) sono fissati a un livello maggiore per gli agrumi rispetto ad altri frutti.

L’etichetta, dunque, deve essere sempre presente. Una piccola eccezione sembrano averla i prodotti dolciari venduti direttamente nei laboratori. Per tali prodotti - come disposto dal Decreto legislativo n. 109 del 1992 - è prevista la commercializzazione anche senza etichetta, purché sul banco di vendita sia presente un cartello che indichi la denominazione di vendita e la lista degli ingredienti.

 

 

 

Un’arte tra ricordi e tradizione con al centro la Sacra Famiglia

 

Superato il cosiddetto periodo dei “morti” ci si preparava a superare quel “periodo di mezzo”, antecedente a quello pre-natalizio, introdotto dal “novenario” dell’Immacolata. Era il periodo più bello in quanto si era catapultati, con la sana ed ingenua dolcezza di una volta, in un’atmosfera festiva il cui prologo era la consueta preparazione del presepe. Era come pianificare un’opera d’arte. Dal muschio ai ruscelli, dalle montagne agli sterrati e tortuosi sentieri, dalle capanne e botteghe alle statuette da disporre in modo spontaneo ma nella giusta postazione in base alle attività professionali rappresentate, non sempre fedeli ai luoghi e al tempo che vedevano la nascita di Gesù. Tutto doveva avere un ordine quasi pre-costituito. Gli ultimi ritocchi erano fatti sistemando le luci intermittenti in modo tale da far entrare ciascuna “lucetta” in ogni casupola o grotta. I pastori, rappresentanti del ceto più semplice nonché destinatari privilegiati della buona novella, erano i protagonisti assoluti dopo, naturalmente, la “sacra famiglia” collocata, per consuetudine, in compagnia del bue e l’asinello. A cornice di tale impianto scenico – studiato fin nei minimi particolari dalla nonna - erano talora posti, quasi a delimitare i confini della zona presepe, un cospicuo numero di cioccolatini dalle variegate forme, colori e sapori.

L’apertura iniziale della scatola contenente i pezzi da disporre costituiva quasi un piacevole rito a cui nessuno della famiglia si sottraeva per la possibilità non solo di carpire i segreti della preparazione ma anche per dare eventuali suggerimenti e/o diventare promotore per l’acquisto di nuovi “personaggi”. Tutto si svolgeva con i tempi dovuti e necessari per la messa in opera di tutti i pezzi. Non potevano mancare “u ricuttaru”, “u furnaru”, “u cacciaturi” (il rivenditore di ricotta; il fornaio; il cacciatore). Ma anche pastorelli identificabili per l’atteggiamento: “u spavintatu” (chi prova spavento), l’arrotino, il barbiere e colui il quale ripara i piatti rotti. Un mondo a sé, ricreato in spazi angusti o che poteva occupare intere stanze della casa. Oggi di quel mondo, forse, è rimasto poco. Eppure resiste la tradizione dei presepi, in particolare laddove è forte il legame con le tradizioni.

 

Giuseppe Nativo

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