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2005

 

Gennaio 2005

Parola ed accoglienza: le coordinate della Pace (Dialogo, gennaio 2005)

En plein di pubblico al XII Festival Organistico Internazionale di Ragusa (Insieme: 17/01/2005)

 

Febbraio 2005

Un’iniezione di buon umore in corsia (Dialogo: Febbraio 2005)

Anestesia: problemi e prospettive (Insieme: 15/02/2005)

 

Marzo 2005

Mercato del lavoro: luci e ombre (Dialogo: Marzo 2005)

Diversamente abili oggi. Quale futuro? (Insieme: 01/03/2005)

8 Marzo: essere Donna sempre, non solo per un giorno (Insieme: 16/03/2005)

Vito Frisina nuovo Assessore (Insieme: 16/03/2005)

Astrologia: scienza, antica sapienza o psicologia degli antichi (Insieme: 16/03/2005)

Giornata FAI di primavera (Insieme: 31/03/2005)

Diagnosi prenatale: certezze e dubbi (Insieme: 31/03/2005)

 

Aprile 2005

Centenario CGIL: G. Epifani a Ragusa (Dialogo: Aprile 2005)

Consegnato “Eracle di Cafeo” a Giovanni Morana (Dialogo: Aprile 2005)

Giovanni Paolo II, Apostolo di Pace (Insieme: 09/04/2005)

Una Sezione africana presso la Biblioteca Civica di Ragusa (Insieme: 29/04/2005)

 

Maggio 2005

Il Paraninfo al Teatro Tenda di Ragusa (Dialogo: Maggio 2005)

Settimana della Cultura a Ragusa (Insieme: 16/05/2005)

Ragusa barocca. Colori e immagini (Insieme: 16/05/2005)

Nuovo Direttore all’Archivio di Stato di Ragusa (Insieme: 16/05/2005)

Arte e Architettura: gioielli iblei (Insieme: 31/05/2005)

Ciclo di conferenze alla “G. Pascoli” (Insieme: 31/05/2005)

 

Giugno 2005

La vita appesa ad un filo… di speranza (Dialogo, giugno 2005)

Settimana della Cultura a Modica (Dialogo, giugno 2005)

 

Luglio 2005

Mostra fotografica ai Cappuccini di Ibla (Insieme: 05/07/2005)

La mostra etno-fotografica di Giompaolo riscalda il cuore degli iblei (Insieme: 20/07/2005)

 

Settembre 2005

L’Archivio di Stato si arricchisce di memoria (Insieme: 15/09/2005)

“PattiChiari” in città (Insieme: 15/09/2005)

 

Ottobre 2005

A Ragusa la Festa dell’Unità dedicata al Mediterraneo (Dialogo, ottobre 2005)

La Diocesi di Ragusa: “Chiesa fanciulla” (Insieme: 05/10/2005)

Mostra documentaria (Insieme: 05/10/2005)

L’intervista (Insieme: 05/10/2005)

La lirica di Carmela Sgarioto (Insieme: 05/10/2005)

Sole pallido a Ragusa: tutti con gli occhi all’insù (Insieme: 17/10/2005)

Mio caro Euro: “Toccare, guardare, muovere” (Insieme: 17/10/2005)

Charles de Foucauld: instancabile lavoratore nella vigna del Signore (Insieme: 17/10/2005)

La misura oraria negli iblei (Insieme: 31/10/2005)

Le “Cromie di Stagione” al Centro Studi F. Rossitto di Ragusa (Insieme: 31/10/2005)

 

Novembre 2005

Lezione di gnomonica con visita guidata a Modica (Dialogo, novembre 2005)

La scrittrice B. Monroy incontra i ragusani (Insieme: 16/11/2005)

La “Divina Commedia” al Centro Studi “F. Rossitto” (Insieme: 16/11/2005)

“Lu Scavittu” (Insieme: 30/11/2005)

Quegli “Spazi antichi” al Castello di Donnafugata (Insieme: 30/11/2005)

 

Dicembre 2005

La Fiamma Olimpica passa da Ragusa (Dialogo, dicembre 2005)

Il Natale: una tradizione nel cuore degli iblei (Insieme: 21/12/2005)

 

 

 

GENNAIO 2005

 

Parola ed accoglienza: le coordinate della Pace

 

Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12,21).

Questo è il messaggio attorno a cui è ruotato il tema principe, “Mediterraneo mare di mezzo”, del Convegno nazionale, tenutosi giovedì 30 e venerdì 31 dicembre scorso, presso l’Aula Magna del Liceo Scientifico “E. Fermi” di Ragusa. L’iniziativa, promossa dal Comune di Ragusa, dal Movimento Cattolico Internazionale per la Pace “Pax Christi” e dalla Scuola della Pace e della Solidarietà “Saro Digrandi”, rientra nell’ambito di quel variegato programma che vede la città di Ragusa scelta per la manifestazione relativa alla 37° Marcia per la Pace pianificata per il giorno di San Silvestro. Un Convegno, dunque, in preparazione ad un evento che riunisce, convoca ed accoglie l’animo di ciascuno sotto il segno della Pace attraverso la Parola che illumina la storia ed il cammino di ogni credente. A tale scopo il Movimento “Pax Christi”, in collaborazione con l’Assessorato alla Pace di Ragusa, ha organizzato un Convegno a carattere nazionale per affrontare problematiche che si raccolgono attorno al bacino del Mediterraneo, paradigma del mondo intero.

I lavori del Convegno sono stati aperti con il saluto ai partecipanti da parte del dirigente scolastico del Liceo Scientifico, prof. Lo Monaco, dell’Assessore alla Pace e Solidarietà, prof. La Porta, del Sindaco dott. Tonino Solarino e del Vescovo di Ragusa, S.E. mons. Paolo Urso, che ha commentato l’iniziativa con una toccante quanto puntuale riflessione riguardante l’uomo ed il suo senso di paura affrontata in chiave evangelica.

Illustri i convegnisti che si sono alternati nel corso delle due giornate caratterizzate da programmati ed interessanti interventi nonché da appassionanti dibattiti proposti e seguiti da un folto ed attento pubblico. La paura, la speranza e l’incontro sono stati i temi fondamentali la cui discettazione ha impegnato non poco i relatori (il politologo, giornalista e saggista, Raniero La Valle, il Vescovo e biblista, mons. Tommaso Valentinetti, tra quelli di spicco) a convergere in un unico obiettivo: raggiungere e consolidare la Pace.

Si vive in un tempo in cui tutto dovrebbe spingere all’apertura, alla percezione più viva dell’universale solidarietà degli uomini e dei popoli. Si avverte la necessità di proteggere l’ambiente e il patrimonio comuni all’umanità, di ridurre i pesi e la minaccia mortale degli armamenti nonché il dovere di strappare alla miseria milioni di uomini che, coi mezzi per condurre una vita decente, ritroverebbero la possibilità di apportare energie nuove allo sforzo comune. Davanti all’ampiezza ed alle difficoltà del compito si osserva dovunque un riflesso di irrigidimento. Alla fonte c’è la paura. La paura soprattutto dell’uomo e della sua libertà responsabile. Paura spesso aggravata dallo scatenamento delle violenze e delle repressioni. Si ha paura di Gesù Cristo, sia perché non lo si conosce, sia perché anche da parte degli stessi cristiani non si fa più sufficientemente l’esperienza, esigente ma vivificante, di una esistenza ispirata dal suo Evangelo. Di fronte a questi stati d’animo la Chiesa desidera testimoniare la sua speranza basata sulla convinzione che il male, il mysteryum iniquitatis, non ha l’ultima parola nelle vicende umane. L’accorato appello lanciato il 1° gennaio 1979 dal Pontefice, “Per giungere alla pace, educare alla pace”, giunge, ora come non mai, in maniera forte e certamente più urgente perché gli uomini, di fronte alle tragedie che continuano ad affliggere l’umanità, sono tentati di cedere al fatalismo, quasi che la pace sia un ideale irraggiungibile.

La Pace è “made in cielo”, cioè prima di tutto creatura e dono di Dio alle donne ed agli uomini di ogni tempo. E’ con l’ascolto attento della Parola di Dio che si rivela il volto originario della Pace con l’indicazione dei suoi sentieri nei quali, sebbene impervi e difficili da percorrere, deve confluire lo sforzo di ciascuno al fine di promuovere un’autentica cultura della solidarietà e della giustizia come “obiettivo primario di ogni società e della convivenza nazionale ed internazionale”. Ciò è ancora più necessario nell’attuale contesto socio-politico del bacino mediterraneo, reso complesso dalla diffusa mobilità umana, dalla comunicazione globale e dall’incontro non sempre facile tra culture diverse. Il mare è sempre stato un mezzo di comunicazione, ma anche un ostacolo ed un pericolo. Mare nostrum: non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà di cui il Mediterraneo è custode rievocando radici e origini comuni. Mediterraneo, terra di mezzo, terra in mezzo al mare o meglio mare racchiuso da terre. Nel Mediterraneo non solo sono nate la poesia e la letteratura ma anche il pensiero stesso dell’uomo. Pensiero che è rivolto ad una continua ed incessante ricerca di un ordine etico e giuridico, secondo l’antico adagio “Serva ordinem et ordo servabit te” (conserva l’ordine e l’ordine conserverà te). In questo compito s’inserisce la necessità della Chiesa di fare riflettere ogni individuo e ciascun popolo alla scopo di conseguire un unico obiettivo volto a far rispettare l’ordine internazionale. E’ questo lo straordinario magistero che la Chiesa sta producendo in tema di pace. In tale contesto si rivela di primaria importanza l’esigenza di portare sino alla periferia tutto ciò su cui non solo il Papa ma a volte anche i vescovi di piccole diocesi si pronunciano affinché il nutrimento dottrinale venga metabolizzato dal tessuto ecclesiale e ciò allo scopo di aiutare ciascuno “a vivere lo Shalom biblico considerando l’annuncio della Pace come il principio architettonico della sua prassi pastorale”.

 

 

 

 

En plein al XII Festival Organistico Internazionale di Ragusa

 

Quando la musica viaggia sulle ali dell’anima bussando al cuore di ciascuno, così come le api sobbalzano da un fiore all’altro inebriate dal nettare, allora si sente nell’aria il profumo intenso delle note che si diffondono e volano in alto sprigionate dall’energia timbrica dell’Organo.

Ciò è quanto si è verificato nel corso dei concerti inseriti nel Festival Internazionale Organistico che, seguito da un attento e folto pubblico, quest’anno giunge alla sua dodicesima edizione. Promosso dall’A.Gi.Mus. di Ragusa, in sinergica cooperazione con l’Assessorato alle Attività Culturali e BB. CC. della città di Ragusa, ancora una volta l’iniziativa, attraverso la sapiente perizia del Direttore artistico M° Marco D’Avola, ha regalato alla comunità iblea serate ed atmosfere indimenticabili attraverso l’assaggio uditivo di bellissime pagine di letteratura musicale. Il calendario dei concerti per Organo ha avuto inizio il 26 dicembre, alla Cattedrale di S. Giovanni Battista, con la magistrale performance di apertura del M° Marco D’Avola, collocandosi, pertanto, nel periodo delle festività natalizie in cui l’animo si apre alla felicità perché si nutre del desiderio e della nostalgia di Gesù Bambino accolto da un festante coro angelico intonante canti e musica che varcano le soglie del cielo.

Gli appuntamenti concertistici si sono conclusi, presso la Cattedrale di San Giovanni Battista, nel giorno dell’Epifania per suggellare il cammino delle composizioni organistiche che ancora una volta fanno apprezzare il capoluogo ibleo come città della qualità, delle bellezze architettoniche ma, soprattutto, della sensibilità d’animo.

 

Giuseppe Nativo

 

 

FEBBRAIO 2005

 

Un’iniezione di buon umore in corsia

 

Tre gli ingredienti magici: “Sim Sala Bim”, naso rosso a patata e sorriso. Il buon umore entra in corsia. Questo è quanto recentemente verificatosi presso il reparto di Pediatria dell’azienda ospedaliera “Civile-Ompa” nel corso di un mirabile evento sponsorizzato dalla Provincia Regionale di Ragusa.

Si tratta del progetto di una nuova metodologia terapeutica fatta di gioia, di sorrisi e di amicizia: la “clown-terapia”. La filosofia che anima l’iniziativa implica un approccio olistico alla realtà della malattia vista non come disfunzione di un apparato o come alterazione di questo o di quel parametro ematochimico ma come un’esperienza di vita tanto per il paziente quanto per chi ha il compito di curarlo. Tale approccio non solo impone un cambiamento di prospettive ma introduce il concetto di una nuova figura professionale pronta a dare un’iniezione di buon umore: il “clown dottore” o “dottor sorriso”.

I “clown dottori” sono una nuova realtà della gelotologia, la disciplina che studia (anche) le potenzialità terapeutiche del ridere e del pensiero positivo. Presenti in moltissimi ospedali in tutto il mondo, in Italia la loro opera si estrinseca da vari anni in diversi nosocomi. Il loro operato ha come fine quello di permettere al bambino ospedalizzato di evadere per un momento dalla realtà dell'ambiente ospedaliero, facendogli così ritrovare i punti di riferimento del suo mondo fatto di colori, musica, magia e umorismo. Tutto questo attraverso spettacoli di animazione umoristica e di altro genere, con un unico filo conduttore: tante risate. Vestiti da clown, ma con camici da dottori, si aggirano per i raparti pediatrici a visitare i piccoli pazienti. La loro tecnica si rivela di tipo “artistico” che risulta la più idonea per poter operare, con un rapporto 1/1, in una situazione “estrema” come l’ospedale. Per tale motivo il “clown-dottore” riceve una formazione specifica per interagire, in un ambiente “psicologicamente difficile” e complesso come quello ospedaliero, con il singolo bambino, all’interno della sua rete di relazioni (genitori, personale), anche nello spazio che egli occupa nella degenza (il lettino, la cameretta). Tale formazione prevede nozioni di psicologia dell’età evolutiva, psicologia relazionale, psicologia dell’ospedale, igiene e procedure ospedaliere, gelotologia, nonché, ovviamente, tutta la parte artistica ("morbida" clowneria, microprestidigitazione, microjongleria, improvvisazione teatrale, uso del burattino, ecc…). Diversamente formato l’animatore potrebbe non essere in grado di leggere i segnali emergenti nella situazione specifica in cui si trova ad operare, con il rischio di superdosare (o sottodosare) il proprio intervento, di non finalizzarlo specificamente al tipo di bambino (e al tipo di patologia) che ha di fronte.

Così a portare una ventata di buon umore, tra i piccoli pazienti del Reparto Pediatria dell’Ospedale Civile del capoluogo ibleo, sono stati due medici, il dottor “Sorriso” ed il dottor “Allegria”, i quali, una volta giunti al capezzale di ogni bambino ricoverato, hanno sfoderato il loro talento di improvvisazione e la loro capacità di divertire creando su misura dei piccoli sketch e facendo il possibile per coinvolgere ogni piccolo paziente, naturalmente entro i limiti delle sue possibilità. Un “vagone” di risate, dunque, che ha coinvolto anche i genitori. L’obiettivo della terapia è raggiunto attraverso gli effetti psicologici e biologici del riso. Ridere, infatti, è un esercizio muscolare e respiratorio che permette un fenomeno di purificazione e liberazione delle vie respiratorie superiori. In buona sostanza, ridere è un primo passo verso uno stato di ottimismo che contribuisce a donare gioia di vivere.

Viva soddisfazione, pertanto, ha espresso il dott. Nicolini, primario della Divisione di Pediatria del nosocomio ragusano, a cui si sono aggiunti gli apprezzamenti del direttore del presidio ospedaliero, dott. Pasquale Granata, per l’ottima riuscita dell’iniziativa che ha trovato massima collaborazione anche nel personale medico, infermieristico ed ausiliario. Il Direttore sanitario ha poi commentato come la frase della famosa pedagogista Maria Montessori, “l’attività è gioia e la gioia fa l’effetto di un’iniezione di salute”, ha fatto comprendere quanto sia importante in reparti dedicati ai bambini poter dare la possibilità di continuare a giocare e a sorridere anche quando la vita viene sorpresa da eventi imprevisti e il “mondo del bambino” viene sostituito dal “mondo sanitario”. Giuseppe Nativo

 

Anestesia: problemi e prospettive

 

Nei vari rami della chirurgia, la soppressione temporanea della sensibilità viene realizzata mediante l’uso di particolari farmaci.

Già in epoche antichissime vengono usate con intento anestetico, nel quadro di una medicina empirica, bevande soporifere (per es., la mandragora) oppure manualità quali la compressione delle carotidi. L’anestesia comincia ad acquistare un profilo scientifico con la nascita e i progressi della chimica. L’interventistica, almeno fino alla metà del XIX secolo, richiede grandi abilità e rapidità. Le qualità richieste al chirurgo sono quelle di avere l’occhio dell’aquila, la forza del gigante e la mano di velluto. Tutta la letteratura sul tema, fino all’era dell’anestesia, sottolinea la necessità di manovrare i “ferri” con destrezza onde evitare il più possibile i dolori al paziente e limitare i conseguenti contorcimenti raffrenati a forza da nerboruti assistenti.

La scena inizia a mutare dopo il 1846 con i tentativi, portati a buon fine, di produrre insensibilità al dolore mediante l’inalazione di gas chimici. Risale al 1956 l’utilizzo del bromoclorotrifluoroetano che trova larga diffusione non solo per la sua potenza che si dimostra superiore a quella dell’etere, ma anche per la rapidità del risveglio del soggetto anestetizzato e per l’assenza di effetti postumi (nausea, vomito). L’utilizzo di altre sostanze anestetiche, tra cui vari preparati non barbiturici per l’anestesia endovenosa, unitamente a nuove tecniche narcotizzanti, hanno permesso al chirurgo, sin dal terzo decennio del secolo scorso, di intervenire, con appropriate manovre invasive, evitando al massimo i casi di eventi infausti (collasso polmonare; etc.).

A tale proposito ci siamo rivolti ad un anestesista, con maturata esperienza sul campo della narcosi, che svolge la sua attività, da oltre sei lustri, presso uno dei nosocomi afferenti alla struttura sanitaria del capoluogo ibleo.

-Dott. Figura, dal punto di vista dell’anamnesi, come viene inquadrato il paziente che deve subire un intervento chirurgico con anestesia generale? Esiste un rapporto da instaurare tra paziente e anestesista?

Il paziente viene inquadrato all’interno di una scala di rischio A.S.A. (American Society Anestesiologist) per gruppi di patologie collaterali che aumentano il rischio di complicanze (ASA da 1 a 4). In base a tali gradi di rischio (intendendo solo la probabilità statistica di un evento contrario) viene richiesto e raccolto il “consenso informato” del paziente. E’ a mio avviso fondamentale un colloquio preventivo tra paziente e medico Anestesista. Ha il duplice scopo di “legalizzare” il rapporto medico-paziente e di allontanare l’ansia, grande nemica di ogni anestesia.

-In genere le preoccupazioni del paziente sono rivolte sull’esito dell’intervento e/o sulle eventuali problematiche insorgenti da trattamento anestetico?

Dico sempre, scherzando, ai miei pazienti, di “temere il chirurgo, non l’anestesia”. E’ solo una battuta ma serve a far capire che l’anestesista e l’anestesia sono i migliori amici, gli angeli custodi di quel paziente durante l’atto chirurgico. Il fatto di temere l’anestesia è normale ed è legato a quell’alone di mistero che avvolge tale pratica medica, misconosciuta anche agli addetti ai lavori ma che ha alla sua base  norme scientifiche estremamente rigide e severe.

-Si possono verificare casi infausti?

Purtroppo come in tutte le pratiche mediche, anche nell’anestesia - anche se tale pratica viene esercitata col massimo di perizia, diligenza e prudenza - vi sono casi infausti. Ciò rientra nella legge dei grandi numeri e della statistica.

-Quali prospettive ci riservano le ricerche su nuove tecniche anestetiche?

La domanda si collega alla precedente. La ricerca è volta all’ottenimento di farmaci anestetici più sicuri, meno dannosi, più efficaci ed anche meno costosi.

 

Giuseppe Nativo

 

 

MARZO 2005

 

Mercato del lavoro: luci e ombre

 

Il mondo del lavoro è sempre stato al centro dell’attenzione delle forze economiche e sociali. Oggi, a seguito della spinta della globalizzazione e delle nuove teconologie, ci si trova di fronte ad uno scenario economico e sociale molto diverso da quello della rivoluzione industriale. Si osserva un cambiamento dell’economia che si orienta in maniera sempre più insistente verso il comparto dell’informazione e dei servizi. Da un lato, l’inserimento delle nuove tecnologie nei processi produttivi ha reso possibile un incremento della produttività delle aziende, ma ha anche generato una riduzione della forza lavoro impiegata. Dall’altro, poiché nell’elaborazione e nello sviluppo del processo produttivo si dà sempre più peso allo studio ed al Know how che comporta un maggior utilizzo di nuove tecnologie, si dà sempre più peso al fattore umano. Pertanto, si prospettano all’orizzonte nuove opportunità di lavoro qualificante e creativo. Non si pensa più al “posto di lavoro” fisso, ma ad attività dinamiche in strutture produttive in continuo cambiamento. Diventa fondamentale, quindi, acquisire e riqualificare di continuo le proprie capacità per anticipare il cambiamento tecnologico ed organizzativo delle imprese. Il passaggio a modi di produzione e mercato del lavoro post-industriali riducono man mano l’area dell’occupazione stabile e garantita, creando percorsi lavorativi più mobili, che alternano l’impiego al non impiego, l’impiego “tipico” a quello “atipico”. I vecchi modelli di protezione sociale appaiono inadeguati per affrontare una situazione nella quale è sempre più generalizzato il rischio per grandi masse di dover vivere con poco lavoro o addirittura in uno stato di cronica disoccupazione. Queste le tematiche recentemente affrontate nel corso del seminario tenutosi nel saloncino del Vescovado, avente per titolo “La riforma del mercato del lavoro e le nuove opportunità in provincia”, promosso dalla Diocesi di Ragusa e dal Progetto Policoro in collaborazione con l’Ufficio di Pastorale Sociale e Lavoro e l’Ufficio di Pastorale Giovanile congiuntamente con la Caritas Diocesana.

L’apertura dei lavori, relatori il dott. Vincenzo Romeo ed il dott. Carmelo Arezzo, è stata affidata a Don Salvatore Puglisi, vicario generale, che ha disquisito sul ruolo della Chiesa di fronte ai cambiamenti economici e sociali ed il suo sforzo per “umanizzare” il mondo del lavoro attraverso la dottrina sociale cristiana e la testimonianza dei valori evangelici.

Al centro del dibattito è stata la nuova legge di riforma del mercato del lavoro, la cosiddetta “legge Biagi”, che introduce ulteriori e più ampi elementi di flessibilità nei rapporti di lavoro. Sul tale cogente tematica ha relazionato il dott. Vincenzo Romeo (componente della segreteria u.s.t. CISL Ragusa) con “La riforma del mercato del lavoro”. In maniera sintetica ma puntuale sono stati riassunti i punti più importanti del decreto legislativo di attuazione della riforma Biagi approvato dal Consiglio dei Ministri del 6/06/2003 ed entrato in vigore con D. Lgs. 276/2003. La riforma Biagi si pone come obiettivo primario quello di realizzare un mercato del lavoro trasparente in cui viene monitorata la condizione di ciascuna persona in età di lavoro attraverso un sistema di servizi pubblici e privati che – in rete tra di loro – dovrebbero accompagnare e facilitare l’incontro tra coloro che cercano lavoro e coloro che cercano lavoratori. La riforma vuole rendere più efficaci tali meccanismi attraverso contratti che uniscono alla prestazione lavorativa le necessarie attività di formazione e di riqualificazione professionale. Tutto ciò deve essere sostenuto con la collaborazione tra le rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori attraverso la libera creazione di organismi dalle stesse gestiti per obiettivi condivisi.

Il dott. Carmelo Arezzo, Segretario Generale della Camera di Commercio di Ragusa, che ha discettato sulle opportunità di lavoro in provincia di Ragusa attraverso le elaborazioni statistiche degli indicatori territoriali, si è cordialmente intrattenuto con la Redazione di “Insieme” a cui ha concesso alcune riflessioni.

 

-Dott. Arezzo, la riforma del mercato del lavoro ha posto delle basi per l’articolazione di una rete di nuovi servizi. Quali le problematiche dell’applicazione locale della “legge Biagi”?

Le indicazioni  innovative della legge Biagi sono certamente più in sintonia con una realtà occupazionale più avanzata che ha già risolto almeno in linea di massima il tema della ricerca del primo lavoro. In condizioni quali quelle della nostra provincia, caratterizzata da una dignitosa performance di sviluppo negli ultimi anni, ma oggi segnata da crisi significative nei comparti fondamentali, cominciando dall’agricoltura, appare come una strategia di intervento che deve essere opportunamente digerita dal contesto imprenditoriale che sempre di più si trova a fare i conti con la disoccupazione giovanile di qualità e con la disoccupazione di ritorno di quanti, ancora giovani, vengono espulsi dal mercato del lavoro.

 

-Quali le problematiche che pone il mercato del lavoro in provincia di Ragusa e qual è lo stato di salute delle imprese?

Se in provincia di Ragusa in tempi brevi non si avrà una svolta sui temi infrastrutturali, con interventi significativi da parte del pubblico sulle reti dei trasporti, dall’aeroporto di Comiso al porto di Pozzallo, dalla superstrada per Catania all’autoporto, la capacità di creare nuove imprese e quindi nuova occupazione da parte del nostro sistema di piccole e  medie imprese finirà con il ridursi con il rischio addirittura di avviare un processo di arretramento. E questo a prescindere dal superamento di quelle situazioni di difficoltà che ciclicamente, come oggi nell’agricoltura della fascia trasformata, un territorio si trova a sopportare.

 

-Quali prospettive si profilano per il 2010, momento cruciale dell’ ”apertura” del Mediterraneo?

Prospettive ad un tempo di grande speranza e di significativa preoccupazione: la collocazione geografica della nostra provincia e più in generale della Sicilia sono una straordinaria opportunità per un sistema produttivo che peraltro ha fatto della qualità la sua connotazione fondamentale, ma di contro un certo ritardo nei confronti delle strategie commerciale  e di aggressione del mercato accanto ad un gap nella formazione e nella innovazione rischiano di annullare le nostre potenzialità di crescita.

 

Diversamente abili oggi. Quale futuro?

 

Le famiglie di persone diversamente abili propongono alla Comunità un percorso da costruire insieme, perché il futuro di tutti può essere assicurato solo con azioni collettive e condivise. Questa la toccante, delicata ed interessante tematica proposta dall’ANFFAS Onlus di Ragusa (Ass. Naz. Famiglie di Disabili Intellettivi e Relazionali), in cooperazione con il “Pro Diritti H” (Coordinamento Provinciale delle Associazioni per la Difesa e la Promozione dei Diritti dei Disabili e delle loro Famiglie), in occasione dell’Incontro Dibattito recentemente tenutosi presso la Sala Avis di Ragusa. Emblematico e significativo il titolo dato al convegno - “Dopo di noi” nel durante noi. Quali risposte alle attese delle famiglie? – a cui ha partecipato un attento e folto pubblico che si è stretto, nell’emozione del momento, ai vertici politico istituzionali del capoluogo ibleo, tra i quali il Sindaco, l’Assessore ai Servizi Sociali, il Presidente della Provincia Reg.le di Ragusa, nonché ai numerosi parlamentari regionali che hanno mostrato alta sensibilità alle problematiche emerse nel corso del convegno.

Prologo del percorso tematico dell’incontro è stata la presentazione video “Dopo di noi”, del bravissimo ideatore e regista Vincenzo Cascone, che ha posto, nelle sequenze appositamente predisposte, l’interrogativo scottante che quotidianamente si affaccia nel pensiero di ogni famiglia: “quale futuro dei nostri figli?”; ma soprattutto quello che emerge dirompente come un grido dal cuore di ogni genitore che accudisce il proprio figlio, frutto dell’amore coniugale, diversamente abile: “quale futuro per il nostro angioletto, quando non ci saremo più?”. A tale riguardo corre l’obbligo segnalare che per volontà delle famiglie Anffas, nel 1984, è nata la fondazione “Dopo di Noi” con lo scopo di promuovere, coordinare ed attuare, con esclusivo fine di solidarietà sociale, iniziative e servizi sostitutivi della famiglia a favore di persone disabili o comunque prive di adeguata assistenza familiare. La Fondazione rappresenta anche una risposta concreta alle esigenze di genitori desiderosi di lasciare al proprio figlio disabile l’alloggio e/o altri beni, con la finalità che a questo venga garantita, nel tempo, la migliore qualità della vita possibile. Lo scopo del convegno è servito a dare, con maggiore insistenza, uno stimolo alle istituzioni affinché pongano in essere tutti gli interventi idonei alla realizzazione di nuove strutture, implementazione e/o ristrutturazione di quelle esistenti in grado di ospitare tutte i disabili bisognosi di assistenza ma soprattutto per quelli a cui è venuta meno la presenza dei genitori, elemento portante nella sfera affettiva dei soggetti diversamente abili. La presentazione del video ha posto in evidenza anche la problematica riguardante le strutture locali che risultano del tutto insufficienti a sopperire alle variegate ed indifferibili esigenze di una Comunità. Protagonisti del video i ragazzi dell’Anffas di Ragusa nella loro spontanea quotidianità ma anche il loro pulmino che ogni giorno viaggia con loro accogliendo e trasportando nuovi arrivati con nuove esigenze che necessitano di essere seguite. All’interno dell’abitacolo i pensieri, le sensibilità ed i bisogni dei ragazzi si intrecciano in un unico cammino verso cui si dirige il pulmino carico di speranza che non deve essere spezzata. Quella speranza del domani che deve costituire la certezza per il futuro, prossima fermata del pulmino Anffas nel cuore di ciascuno di noi.

 

8 marzo: essere Donna sempre, non solo per un giorno.

 

Potenziare l’attività degli organismi locali e territoriali che operano nelle diverse realtà locali e dell’isola, costruendo una “rete” attiva per lo scambio di esperienze e per il trasferimento delle conoscenze femminili. E’ questo il tema affrontato nel corso dell’incontro promosso ed organizzato dal Coordinamento Provinciale delle Donne DS e tenutosi l’8 marzo presso la sede ragusana.

Non a caso la scelta della giornata che contraddistingue un periodo di forti riflessioni ed emozioni di tutte le coscienze. L’intento è stato quello di ricordare la giornata internazionale della donna correlandolo non solo alla condizione femminile ma, soprattutto, al rilascio di Giuliana Sgrena e di quella “gioia spezzata” che ha funestato gli attimi immediatamente successivi alla sua liberazione.

Numerosa l’adesione di pubblico che ha gremito il saloncino “E. Berlinguer” per seguire con attenzione la proiezione del film di Francesca Comencini dal titolo “Mi piace lavorare” (Mobbing).

Ad introdurre i lavori è stata la dott.ssa Gianna Miceli, responsabile del Coordinamento Donne DS-Ragusa, cui sono seguite le puntuali riflessioni del segretario della Sezione, Carmelo Cassarino, nonché quelle della sig.ra Nicastro, membro del Coordinamento.

Numerose e variegate le problematiche affrontate che hanno tracciato un quadro sulla realtà femminile della provincia di Ragusa, dell’isola e delle strategie per l’integrazione nella vita sociale, civile e nel mondo del lavoro delle donne. La presenza di quest’ultime nella vita istituzionale è minoritaria e l’esclusione della comunità femminile dai luoghi delle decisioni rappresenta – hanno commentato i relatori – un vistoso deficit di democrazia. Ciò costituisce, inoltre, un evidente ostacolo alla crescita sociale ed economica della nostra regione.

Tuttavia, le donne apportano un rilevante contributo indipendentemente dal ruolo che esercitano (amministratrici locali, sindacaliste, imprenditrici, consulenti, etc.). C’è in ogni caso molta strada da fare ancora per quanto riguarda la creazione delle condizioni per facilitare la conciliazione fra vita professionale e famiglia. Molteplici e variegate le resistenze culturali ancora presenti nei confronti del lavoro femminile fuori casa. Altro fattore che influisce negativamente è l’assenza di una strategia unitaria e condivisa da tutti in materia di pari opportunità. Pochi o scarsi i progetti mirati ad inserire nel mondo del lavoro le donne che, dopo essersi dedicate alla famiglia, vorrebbero trovarsi una collocazione al di fuori dalle pareti domestiche. Sforzo comune è quello di porre le basi affinché gli indirizzi nazionali e comunitari in tema di pari opportunità possano dare dei frutti più concreti.

Condizione femminile, dunque, ancora da riconfigurare e, soprattutto, da difendere. Ciò è quanto traspare dalla proiezione del video. Raccontato come un documentario, il bel film della Comencini mette in luce, oltre alla tragicità del mobbing, un’altra ed altrettanto subdola nota. La protagonista, Anna, si identifica con il lavoro che svolge, esiste in quanto madre e in quanto impiegata. Le piace tale condizione, la vive con assoluta tranquillità e quindi la negazione della sua professione è paradossalmente la negazione di se stessa. Come se oltre alle angherie dei capi e dei colleghi ci si mettesse qualcosa di ancora più drammatico: l’inconfutabile sensazione di non appartenere, di non contare nulla nella società.

Affinché ciò non accada è necessario combattere con tutte le forze e con tutta l’anima.

 

 

Vito Frisina nuovo Assessore

 

E’ l’ing. Vito Frisina il nuovo Assessore alla Cultura presso l’Amministrazione Comunale di Ragusa. In realtà la sua delega è più ampia. Si occuperà anche di Beni Culturali, Università, Promozione del Turismo, Spettacoli, Marketing del Territorio nonché di Contenzioso e Sanità. Il Sindaco Tonino Solarino, lunedì 7 marzo, con propria determina, ha nominato il nuovo componente del Civico Consesso che subentra al dimissionario Senatore Gianni Battaglia.

Il nominativo di Vito Frisina è stato indicato con comunicazione ufficiale dall’Unione Comunale dei DS che si era precedentemente riunita nella seduta del 5/03/2005.

La scelta, maturata dopo attente ed oculate consultazioni programmatiche, riveste una particolare importanza per il delicato compito a cui è chiamato ad assolvere l’ing. Frisina sulla scia dell’impegno profuso dall’Assessore uscente.

Ottime le referenze del nuovo membro della Giunta comunale e notevoli gli sforzi politici curati con grande abnegazione e con tanto entusiasmo.

Nel 1998 viene eletto per la prima volta al Consiglio Comunale, a soli 23 anni, diventando il più giovane Consigliere della città di Ragusa.

“I primi anni non sono certo stati facili” – precisa l’ing. Frisina – “tenere il passo ai tanti colleghi, alcuni dei quali con lunghissima esperienza, ed acquisire la conoscenza della macchina amministrativa, hanno richiesto grande impegno e sacrificio. Ho spesso sacrificato gli affetti e le amicizie per seguire una passione diventata sempre più coinvolgente e totalizzante”.

Da oltre un lustro fa parte dei Democratici di Sinistra, presente nel gruppo dirigente provinciale e Regionale, mentre dal 2002 riveste la carica di Capogruppo dei DS in Consiglio Comunale.

“I cinque anni passati” – aggiunge Frisina – “sono stati anni intensi ed importanti della mia vita che mi hanno fatto maturare sia in campo culturale sia in quello politico. Ho accettato la nomina, non senza una punta di emozione, sentendo il peso della responsabilità della funzione che andrò ad assolvere. Sono convinto che il profondo solco tracciato dal Senatore Gianni Battaglia possa continuare con il coinvolgimento di tutte le forze culturali e politiche della città di Ragusa.

Mi corre, altresì, l’obbligo precisare che la politica è e deve rimanere una passione, da coltivare con grande impegno ed onestà, ma da non trasformare in professione!”.

 

 

Astrologia: scienza, antica sapienza o “psicologia degli antichi”?

 

“L’astrologia è un sistema simbolico. E’ una lente che utilizza un genere particolare di immagini o modelli simbolici, per dare un senso a modelli di vita più profondi che sarebbe, altrimenti, difficile comprendere a livello intellettuale”.

Questa la definizione recentemente fornita da Liz Greene che dà spazio ad ulteriori considerazioni di carattere storico, filosofico e psicoanalitico.

L’intrigante problematica è stata oggetto di una conferenza tenutasi il 26 febbraio scorso presso il Centro Servizi Culturali di Via Diaz a Ragusa. Il tema centrale, “Astrologia tradizionale: la Scienza Sacra del Cielo”, è stato brillantemente trattato dall’avv. Armando Profita che rappresenta uno dei validi studiosi di astrologia del nostro paese. Il simposio è stato organizzato dal prof. Pippo Palazzolo - presidente di “A.s.tr.um.” (Ass. per gli Studi Tradizionali e Umanistici), nonché direttore della rivista telematica “Le Ali di Ermes”, da anni impegnato sul fronte dello studio serio ed appassionato delle “discipline astrologiche” – in cooperazione con il Centro Servizi Culturali ed il Comune di Ragusa.

Da oltre quattro millenni l’uomo osserva sistematicamente il cielo, cercando di trarre analogie con gli eventi terrestri, con il duplice scopo di rassicurarsi e di prevenire le difficoltà che, inevitabili, gli si presentano. Sin dall’antichità l’astrologia si presenta come un fenomeno culturale dal quale qualsiasi storia della civiltà è strettamente correlata, indipendentemente dal giudizio che se ne possa dare sui suoi fondamenti teorici e sulla sua pratica. Nell’attuale paradosso di una astrologia che è somministrata al grosso pubblico nel suo aspetto opinabile ed è, al tempo stesso, snobbata dal mondo scientifico nell’aspetto serio, si ritiene opportuno presentare un’astrologia che scarti invece tali estremi, alla luce degli studi compiuti su questo campo da C. G. Jung che definisce l’astrologia “psicologia degli antichi”. Nei primi secoli dopo Cristo, la fiducia nel responso degli astri è talmente forte da obbligare i Padri della nascente Chiesa cattolica a pronunciarsi in difesa del “libero arbitrio” rispetto alle “inclinazioni degli astri”, comunemente accettate (“astra inclinant, non necessitant”, S. Tommaso d’Aquino). Per illustri personaggi dell’antichità, come Platone, Aristotele, Tolomeo, Plotino, questa “arte regale” costituisce una scienza umana: una psicologia, se non la psicologia. E’ per il popolino che essa si è gradualmente deformata, fino a diventare uno specchio rivelatore del destino sconfinando in una poco credibile mentalità magica. Del resto, per recuperare la verità psicologica da afferrare sotto la maschera divinatoria, basta rifarsi al “legislatore” dell’astrologia greca, Claudio Tolomeo, vissuto nel secondo secolo della nostra era. Nel suo “Tetrabiblos” questi attua la prima distinzione tra “astronomia”, scienza certa del movimento degli astri, e “astrologia”, scienza, non ugualmente esatta, del rapporto tra i fenomeni celesti descritti dall’astronomia con la vita sulla Terra. Tolomeo, diversamente da quanti fanno perentorie previsioni ancora oggi, sa bene che le ipotesi astrologiche sono sì probabili, ma non certe, dato che si applicano ad un soggetto complesso, quale è l’uomo. E’ necessario attendere C. G. Jung, con la teoria sulla “sincronicità”, per liberare gli astri e l’uomo da questo rapporto di dipendenza, recuperando la dimensione simbolica di questa disciplina e rendendo l’individuo libero di vivere la sua costellazione interiore secondo le proprie valutazioni. Non stupisce dunque che Jung, e con lui alcuni altri psicanalisti, siano rimasti, a seguito delle loro ricerche, colpiti nel constatare che esiste identità tra ciò che svela un’indagine psicanalitica e ciò che rivela l’analisi di un tema zodiacale. E’ lo stesso universo interiore ad essere esplorato e vi si ritrovano gli stessi processi psichici. La rappresentazione della personalità, “tema natale”, attraverso la carta del cielo costituisce un dispositivo che focalizza l’universo psichico in una cellula generatrice composta da una pluralità di istanze psichiche da cui sorge tutto un mondo in un universo “pulsante”… In una segreta armonia risvegliata da un’eco misteriosa, in cui il linguaggio metaforico dell’elemento fa cantare l’anima che vibra all’infinito.

 

 

 

Giornata FAI di Primavera

 

Arte, architettura e gusto per l’antico. Questi gli ingredienti che hanno rilanciato la “Giornata FAI di Primavera” consumatasi, tra sabato 19 e domenica 20 marzo, in oltre 180 città italiane che hanno aderito a tale splendida iniziativa, a carattere nazionale, promossa dal Fondo per l’Ambiente Italiano sotto l’Alto patronato della Presidenza della Repubblica, giunta quest’anno alla tredicesima edizione.

Attraverso gli sforzi e l’impegno del FAI è stato possibile fruire di quei monumenti normalmente chiusi o sconosciuti al pubblico.

Il FAI, istituito da sei lustri, nasce per tutelare e salvaguardare il patrimonio artistico e naturalistico del nostro Paese nella convinzione che la sensibilità per la tutela di tali beni, immersi in uno splendido panorama ambientale e paesaggistico, debba passare attraverso una sempre più ampia adesione dei cittadini al grande tema della tutela, conservazione e fruizione degli stessi.

Grazie all’impegno profuso dalla Delegazione FAI di Ragusa e con il patrocinio della Provincia Regionale e del Comune di Ragusa, in sinergica cooperazione con la Soprintendenza ai BB. CC. AA., è stato possibile inserire in tale iniziativa la parte antica del capoluogo ibleo.

Si è rivelato, quindi, un grande week end di mobilitazione popolare, un modo per vivere il territorio con intensità ed emozione attraverso le sue meraviglie e i suoi tesori. Una grande festa che quest’anno coincide peraltro con i 30 anni di attività del FAI. Le opere d’arte ed i luoghi manifestano tutta la loro forza quando possono essere vissuti e non solamente ammirati. A tale scopo, notevole si è rivelata la collaborazione offerta da alcune Scuole ragusane i cui insegnanti hanno fattivamente coinvolto i loro alunni trasformandoli, per l’occasione, in provetti “ciceroni”. Per la rilassante passeggiata nel quartiere barocco di Ragusa-Ibla, il FAI ha incentrato la sua attenzione proponendo la visita di tre piccoli ma preziosi gioielli architettonici: la Chiesa di Maria SS. dell’Idria, un tempo sede della locale Commenda dell’Ordine di Malta, con “apprendisti ciceroni” dell’Istituto Superiore “Umberto I°”, Sez. Liceo Classico; la Chiesa di San Rocco, con la sua preziosa pala in pietra di epoca gagginiana, affidata agli studenti del Liceo Scientifico Statale “E. Fermi”; la Chiesa di Santa Maria dello Spasimo, di Via Torrenuova. Per quest’ultima le visite guidate sono state curate dagli alunni dell’Istituto Comprensivo “Berlinguer” di Via Diodoro Siculo. I ragazzi, calati nel loro ruolo di “ciceroni”, hanno contribuito a dare a tale iniziativa un tono altamente culturale facendo sentire al pubblico quella sensibilità d’animo che talvolta mal si concilia con l’attività frenetica della vita quotidiana.

La Redazione di “Insieme” ha avuto la possibilità di saggiare l’impegno nonché il grado di preparazione raggiunto e dimostrato dai ragazzi attraverso la visita guidata della Chiesa di S. Maria dello Spasimo. In forma accogliente e molto puntuale è stata illustrata la piccola facciata dell’impianto chiesastico il cui portale presenta analogie con elementi dei portali della Chiesa di S. Pietro in Modica. L’impaginazione architettonica fa registrare alcune fasi ricostruttive ascrivibili agli anni ’30 e ’40 del Settecento. All’interno non passa inosservato il soffitto ligneo, appena restaurato ad opera della Soprintendenza ai BB. CC. AA. di Ragusa, dipinto con effetto illusionistico, risalente agli anni ’70 del XVIII secolo, che fa emozionare e sollevare gli occhi al cielo con l’animo sospinto da quella sensibile riflessione che il sommo poeta ebbe a dire:

“… natura lo suo corso prende / da divino intelletto e da sua arte; / e … l’arte vostra quella, quando pote, / segue, come ‘l maestro fa il discente; / sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote…” (Inf., XI, 99-105).

 

 

 

Diagnosi prenatale: certezze e dubbi

 

Diagnosi prenatale, analisi degli elementi cito-genetici, comunicazione diagnostica e decisioni parentali sono i temi trattati nel corso della conferenza, avente come oggetto la “Comunicazione della diagnosi nel neonato con patologia genetica”, recentemente tenutasi presso il Centro Servizi Culturali di Ragusa. L’incontro - organizzato da A.M.M.I. (Associazione Mogli Medici Italiani), A.I.M.C., Associazione Piccolo Principe e dallo stesso Centro Servizi Culturali – ha richiamato l’attenzione di un folto ed attento pubblico che ha attivamente partecipato alla discussione-dibattito intavolata al termine del convegno.

La delicata tematica è stata affrontata, con molta perizia e chiarezza espositiva, dal dott. Salvatore Savasta (Dirigente Medico presso la Clinica Pediatrica “Policlinico S. Matteo” di Pavia) che ha fornito i punti cardine su cui ruota l’universo della cromosomopatia e relativa diagnosi correlandola alla “prima comunicazione” con la famiglia nel caso di patologia del feto.

La diagnosi prenatale si occupa della diagnosi precoce delle malattie genetiche su base genica, delle anomalie cromosomiche e delle malformazioni fetali rilevabili “in utero” nel corso della gravidanza. Le prime (emofilia, distrofia muscolare, etc.) sono relativamente rare nella popolazione e pertanto rappresentano quantitativamente una piccola parte delle richieste di accertamento, sebbene si tratti delle diagnosi qualitativamente più impegnative. Gran parte delle richieste per diagnosi prenatale ha come obiettivo di escludere le anomalie cromosomiche, la più nota delle quali è la sindrome di Down. Ciò avviene al punto che, quando comunemente si parla di diagnosi prenatale, si intende, quasi per antonomasia, il riconoscimento precoce di quelle anomalie cromosomiche che fanno capo alla sindrome di Down. Questa, infatti, è l’anomalia cromosomica a maggiore incidenza e inoltre, essendo clinicamente meno grave delle altre cromosomopatie, può essere compatibile con una sopravvivenza anche lunga dell’individuo affetto, sebbene porti comunque con sé profondi risvolti sociali. Parlare di diagnosi prenatale riveste, forse, un carattere inusuale con cui guardare l’argomento ma è sicuramente un approccio molto pratico e non certo ipocrita con cui affrontare il problema che investe in prima persona i genitori.

Il rapporto con il proprio figlio, per qualsiasi genitore, ha inizio, in qualche modo, già durante il periodo della gravidanza della donna. La coppia in attesa, infatti, proietta sul bambino che nascerà una serie di speranze e di aspettative che trovano la loro origine nella stessa storia personale del padre e della madre, nel rapporto che questi hanno avuto con i rispettivi genitori nonché nel livello di maturazione affettiva ed emotiva da essi raggiunto. La diagnosi prenatale di un’anomalia cromosomica del feto costituisce il primo evento-chiave nella vita di una coppia che si trova a dover affrontare la convivenza con un neonato con bisogni educativi particolari. L’atteggiamento con cui le risultanze sono comunicate ai genitori da parte del personale sanitario deve, pertanto, rivestire una rilevante importanza. Al momento della comunicazione della diagnosi, inoltre, i genitori hanno bisogno di ricevere informazioni precise e circostanziate sulla patologia del bambino affinché possano formarsi un’immagine mentale delle condizioni e delle possibilità del proprio figlio che dovrà essere seguito amorevolmente e con quella serenità d’animo che porterà buoni frutti anche sui rapporti sociali. Ne deriva che alla coppia spetta il compito di interrogarsi: “Intendiamo fare diagnosi prenatale oppure affidarci perché amiamo nostro figlio da sempre e intendiamo accettarlo comunque sia?”. Nessun progresso medico potrà mai superare la necessità di porsi tale riflessione perché essa fa capo alla domanda originale che l’Uomo porta dentro di sé.

 

Giuseppe Nativo

 

 

APRILE 2005

 

Centenario della CGIL: Guglielmo Epifani a Ragusa

 

Cento anni guardando al futuro. E’ lo spirito con cui la CGIL si appresta a festeggiare i 100 anni dalla sua fondazione (il 1 ottobre 1906). Mancano ancora alcuni mesi alla ricorrenza, ma la macchina organizzativa è già in moto per realizzare un ambizioso e variegato programma.

Nell’ambito di tali iniziative – estremamente preziose da un punto di vista storico e culturale - che vede le strutture regionali e provinciali inserite negli interventi programmati per il biennio 2005/2006, la sede sindacale del capoluogo ibleo ha pianificato, in collaborazione con il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa e l’Associazione Centenario Cgil, l’incontro con il Segretario Nazionale della CGIL, Guglielmo Epifani, tenutosi nella serata del 30 marzo scorso presso l’aeroporto di Comiso.

Tale incontro è stato preceduto, nel corso della mattinata, dalla visita di Epifani presso i locali dove opera il Centro Studi “F. Rossitto”. A fare gli onori di casa è stato l’On. Giorgio Chessari, nella qualità di Presidente del Centro, che, avvalendosi della presenza del prof. Giuseppe Miccichè (già Presidente del Centro nonché esperto nel comparto degli studi storico-politici in ambito ibleo), dei Soci e collaboratori del Centro stesso nonché di Tommaso Fonte (Segretario Generale CGIL Ragusa), ha illustrato l’attività della struttura dotata di emeroteca, di un archivio storico e di una biblioteca inserita già da tempo nel sistema telematico integrato Opac.

“E’ un momento significativo ed importante”, ha esordito il Segretario Nazionale della CGIL, Guglielmo Epifani, sottolineando che per il 2006 sono previste diverse iniziative culturali.

“Non sono tante le organizzazioni che possono vantare un secolo di storia. L’obiettivo – ha aggiunto Tommaso Fonte, Segretario Generale CGIL Ragusa – è arricchire e potenziare la nostra identità oggi e la capacità di essere protagonisti nel futuro”.

Anche il primo cittadino, dott. Tonino Solarino, ha voluto presenziare alla cerimonia di benvenuto, organizzata presso il Centro, consegnando una targa ricordo ad Epifani.

Momenti significativi nonché toccanti hanno caratterizzato la “mattinata ragusana” che ha visto Epifani in full immersion nel clima ibleo.

Per quanto riguarda le iniziative inerenti la ricerca storica e la memoria, il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, proprio quest’anno, in occasione del 25° anniversario della scomparsa di Feliciano Rossitto, si è fatto promotore di impegnativi e brillanti momenti culturali: l’istituzione di borse di studio per tesi di laurea sulla storia del sindacato in Sicilia; un concorso nazionale per una biografia dell’illustre dirigente sindacale a cui è intitolato il Centro; completamento della pubblicazione degli “Scritti” e dei “Discorsi” del sindacalista.

A ricordo di tale illustre figura, è stata predisposta la consegna di un pieghevole contenente, tra l’altro, uno scritto del quale si riportano alcuni passi:

 “…I braccianti che occupano le terre, le donne che vengono dalle colline nelle piane per lavorare, gli operai delle fabbriche, i giovani nelle scuole vogliono che la terra, la fabbrica, la scuola servano per trasformare il mondo in cui vivono…” , queste le parole tratte da una missiva, datata 11/12/1976, scritta da Feliciano Rossitto, dirigente del movimento operaio scomparso nel 1980, gravide di significato e che ancora riecheggiano nel cuore di tutti i lavoratori.

 

 

 

 

Consegnato “Eracle di Cafeo” al dott. Giovanni Morana

 

Nell’ambito delle iniziative organizzate e promosse dall’ormai storico Ente Morale Autonomo “Liceo Convitto”, fondazione culturale modicana che annovera tra i suoi collaboratori illustri cultori di storia ed archeologia locale, si è ormai radicata la pubblicazione di una pregevole Rivista di Studi Storici, “Archivum Historicum Mothycense”, edita come supplemento al mensile “Dialogo”. Tale rivista, il cui curatore nonché memoria storica dell’Ente è il prof. Giorgio Colombo, a cadenza annuale, si vanta di preziosi contributi culturali che, raccolti in un “quaderno”, offrono uno strumento didattico di rilevante valore. La presentazione del decimo numero, tenutasi il 15 aprile scorso, ha avuto luogo nei prestigiosi locali di Palazzo S. Anna a Modica ed è stata affidata alla dott.ssa Basile, sovrintendente per i Beni Culturali e Ambientali della Provincia di Ragusa. Numerosi sono stati i saggi pubblicati (a ciò hanno contribuito il prof. Guzzetta, gli archeologi Di Stefano, Rizzone e Sammito, il prof. Vernuccio nonché i ricercatori Bonacasa e Scerra), che si rifanno alla scoperta della statuetta dell’Eracle di Cafeo, oggetto, peraltro, di un’intera giornata di studio nel dicembre 2003.

La presentazione della rivista ha dato l’occasione - alla presenza dei vertici istituzionali della città di Modica, il primo cittadino, dott. Piero Torchi, unitamente al dott. Giorgio Cavallo, Assessore alle Politiche Culturali - di dare il benvenuto al neo direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa e della Sezione di Modica, dott.ssa Anna Maria Iozzia, che dal mese di febbraio scorso è subentrata al dott. Giovanni Morana. A quest’ultimo - che lascia la preziosa struttura archivistica, fiore all’occhiello di tutto il territorio ibleo, dopo quasi quaranta anni di attività - su proposta del Consiglio Direttivo dell’Ente “Liceo Convitto” è stato assegnato il premio “Eracle di Cafeo”. Prima che il Sindaco consegnasse ufficialmente la prestigiosa statuetta, il prof. Colombo ha motivato tale iniziativa mettendo in evidenza le qualità professionali e l’impegno profuso dal dott. Morana in tutta la sua attività lavorativa e culturale. Quest’ultima, caratterizzata da numerosissime pubblicazioni di carattere storico-archivistico, ha messo in rilievo variegati aspetti del territorio afferente all’antica Contea di Modica. Il prof. Colombo, non senza emozione, ha ricordato uno stralcio di un articolo apparso in una rivista degli anni ’60 del secolo scorso in cui si apprendeva che l’allora neo costituita struttura archivistica di Ragusa e la “Sottosezione di Modica” (questa, in quel tempo, si chiamava così e dipendeva dal Comune) era diretta da “un valente e giovane archivista” il quale iniziava con scrupolo e perizia la difficile ed oltremodo impegnativa attività di quella realtà istituzionale accresciutasi, nel corso dei decenni, grazie anche all’incameramento dei diversi “versamenti” di vetusta documentazione. Il dott. Morana, nel corso del suo intervento, pur non abbandonando la sua proverbiale “riservatezza”, ha riassunto, in maniera puntuale, i momenti salienti della sua lunga carriera evidenziando come i problemi tecnici ed amministrativi sono stati sempre affrontati e brillantemente risolti grazie anche alla solerzia ed alla capacità mostrata dai suoi collaboratori. “Punto di riferimento per la nostra generazione – ha aggiunto - era l’Archivio di Stato di Palermo che aveva allora al suo vertice personalità come Adelaide Baviera Albanese, Carmelo Trasselli, Romualdo Giuffrida, e dove funzionava una Scuola di Paleografia, Archivistica e Diplomatica. L’apprendistato si svolgeva sul doppio fronte della teoria e della pratica”.

L’intervento della dott.ssa Anna Maria Iozzia, originaria di Ispica, proveniente da un’instancabile e ricchissima attività di ricerca presso l’Archivio di Stato di Catania, è stato incentrato sulla illustrazione del folto e variegato programma di iniziative culturali riguardanti diverse “giornate archivistiche” dedicate a mostre documentarie che vedranno impegnate le strutture di Ragusa e di Modica.

“Tutto ciò – ha concluso - è un’esperienza che arricchisce tanto in ambito culturale quanto in quello lavorativo. Mi sento vicina anche a questo territorio non solo perché figlia degli iblei ma anche per l’intreccio delle due realtà, ragusana e catanese, che si integrano a vicenda anche in campo storico”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Paolo II, Apostolo di Pace

 

“…Nel ciel che più de la sua luce prende / … vidi cose che ridire / né sa né può chi di là su discende; / perché appressando sé al suo disire, / nostro intelletto si profonda tanto, / che dietro la memoria non può ire…” (Dante, Paradiso, I, 4-9).

Solo così l’umana sensibilità può solo immaginare l’ultimo viaggio del Papa.

Mentre le sue condizioni si aggravavano sempre di più ed i mass-media predisponevano i lunghi collegamenti non-stop con frequenti interventi e riflessioni, la gente sembrava smarrita. Negli occhi, specchio dell’anima, traspariva la triste consapevolezza che il Pontefice avrebbe esalato, di lì a poco, l’ultimo respiro offerto da quel corpo fisico ormai provato dalle sofferenze, mentre quello spirituale prendeva “forza” avvicinandosi lentamente all’altare di Dio in quell’ineffabile abbraccio a cui tutti protendiamo.

Un sabato, quel 2 aprile, che sicuramente porteremo e ricorderemo sempre nei nostri cuori. Un sabato pomeriggio trascorso a ricordare la figura di Karol come il susseguirsi di fotogrammi del film “umano” in proiezione che volge al termine. Il cuore e la mente ci riportano alle ultime settimane, al primo ricovero ospedaliero ritenuto essenziale dai sanitari. Scorrono le immagini del suo ritorno in Vaticano in auto, a destra del conducente. Un affettuoso saluto appena abbozzato con lo sguardo stanco ma vigile ed attento come per dire: “…Ragazzi, sono tornato. Non abbiate paura! Aspettatemi…”. Una tempra forte che ha dovuto cedere alla caducità del corpo fisico.

Le ore che hanno preceduto la dipartita alla Casa del Padre di Papa Wojtyla, sono state ore trascorse in preghiera. Gli occhi smarriti, lucidi, pieni di triste emozione delle persone di tutte l’età accorse in Piazza San Pietro a Roma, sono gli stessi in tutti i luoghi del mondo.

La Veglia di Preghiera, presso la Cattedrale di San Giovanni Battista, ha caratterizzato la serata di quel sabato come unica e valida arma che la fede cristiana effonde attraverso tutti gli uomini di buona volontà.

Poco dopo le 20,30 di quel sabato, al termine della veglia di preghiera, ci ha accolto una chiesa semivuota e adombrata per le pochissime luci accese. Solo la Cappella del SS. Sacramento brillava di una luce particolare. Un via vai continuo di persone spezzava il silenzio che imperava sovrano. Il “fragoroso” silenzio, gravido di preghiere, era permeato da un leggero odore di incenso ancora presente nella cappella.

Attraverso quella ricchezza affluente di arte che ben si coniuga con l’impaginazione architettonica della cappella e che innalza l’anima al Signore, ci ritorna in mente la figura del nostro Papa che fin dalla sua giovinezza ha manifestato una grande passione per la letteratura e per la filosofia dando vita, negli anni del pontificato, a numerose pubblicazioni dall’alto valore teologico, ma pure artistico e contemplativo. Un Papa, dunque, teologo, filosofo ma anche poeta. L’unione armonica di questi aspetti è nata dal suo profondo amore non solo per la conoscenza e la sua alta sensibilità d’animo, ma anche per la meraviglia e lo stupore che sono funzioni caratterizzanti l’essere umano. La meraviglia è il primordiale impulso conoscitivo verso la scoperta e la ricerca, che ab origine ha distinto l’uomo dal resto del Creato. Lo stupore è quello che vive ed esiste nell’atto straordinario della Creazione. Questi aspetti sono sublimati nella raccolta di dodici liriche che Wojtyla, poeta, ha consegnato alle stampe nel marzo del 2003. Attraverso queste sue meditazioni il Papa ha compiuto un pellegrinaggio poetico ma anche spirituale. In un passo delle sue liriche, in quella dimensione “metafisico-poetica”, nella Cappella Sistina, sembra intravedere anche quello che sarà il “con-clave” che, dopo la sua morte, dovrà trasferire le Chiavi del regno al successore. Così scrive:

“…E’ dato all’uomo di morire una sola volta e poi il Giudizio!

Una finale trasparenza e luce.

La trasparenza degli eventi -

La trasparenza delle coscienze –

Bisogna che, in occasione del conclave, Michelangelo insegni al popolo –

Non dimenticate: Omnia nuda et aperta sunt ante oculos Eius.

Tu che penetri tutto – indica!

Lui additerà…”

 

(“Epilogo”, da “Trittico Romano. Meditazioni”, di Giovanni Paolo II, in http://www.vatican.va )

 

 

 

Una sezione africana presso la Biblioteca Civica di Ragusa

 

“Leggere l'Africa... nero su bianco - Le Biblioteche d'Africa”: è questa la denominazione del progetto promosso su iniziativa della Scuola della Pace e della Solidarietà “Saro di Grandi” in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Ragusa, in particolare l’Assessorato alla Cultura e l’Assessorato alla Pace, il cui scopo è quello di collaborare alla costruzione di una rete di centri di cultura africana, alcuni dei quali già presenti in Italia, attraverso l’istituzione di un’apposita sezione presso la locale Biblioteca Civica dove verranno raccolti “scritti d’Africa”.

L’iniziativa - che ha avuto un’adesione a livello nazionale in quanto ha fatto registrare l’adesione dell'associazione onlus “Chiama l'Africa”, della trasmissione radiofonica di RAI3 “Fahrenheit” nonché dell’associazione “Scritti d'Africa” - ha lo scopo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media sul continente africano, per farne conoscere i problemi ma anche la ricchezza, i valori e le potenzialità e favorire iniziative politiche concrete per la pace e lo sviluppo del continente.

L’obiettivo è quello di lanciare una campagna per la donazione da parte delle case editrici di volumi di scrittori africani o di pubblicazioni sull’Africa da rendere disponibili nelle cosiddette “Biblioteche d’Africa”, ovvero particolari sezioni in seno a specifiche ed idonee biblioteche riconosciute dal progetto in questione.

L’iniziativa, con la preziosa collaborazione delle operatrici del progetto di servizio civile “I have a dream”, è stata recentemente presentata, presso la Sala Avis di Ragusa, attraverso un interessante convegno sul tema “Ruolo delle donne per lo sviluppo e la promozione sociale nei paesi africani” che ha fatto registrare la presenza della dott.ssa Rokia Sanogo, docente presso la facoltà di Medicina e Farmacia dell’Università del Mali (Africa).

I lavori sono stati introdotti dall’Assessore alla Cultura, ing. Vito Frisina, che ha evidenziato come tale iniziativa rivesta particolare e fondamentale importanza non solo per gli scambi culturali con il continente africano ma anche perché pone la città di Ragusa in una posizione di rilievo per l’istituzione di uno specifico settore di lettura presso la locale Biblioteca Civica – unica in Sicilia oltre alla Biblioteca Comunale E. Morante di Roma, la Biblioteca Ass. Centro Donna di Urbino e la Biblioteca di Ponte di Brenta di Padova – arricchendola ulteriormente di volumi che saranno disponibili per la consultazione anche al comparto scolastico ed accademico. L’Assessore alla Pace, prof. Carmelo La Porta, ha posto l’accento sugli aspetti socio-geografici della tematica che è stata affrontata, in maniera puntuale e con toccanti note, dalla dott.ssa Sanogo che si è rivelata una relatrice di notevole calibro. Laureata in Farmacia e specialista in Farmacognosia - quella branca della Farmacologia che studia anche le caratteristiche chimiche delle “droghe”, cioè di quelle sostanze che sono prodotti complessi di origine vegetale, animale o minerale – la dott.ssa Sanogo svolge la sua attività in un Paese in cui sono abbastanza radicate vetuste tradizioni etniche in cui il ruolo della donna è ancora fortemente penalizzato. In tale contesto, le donne, colpite drasticamente dalle dinamiche sociali segnate dalla miseria che attraversano tutta l'Africa, sembrano essere, paradossalmente, più agevolate. E' verso di esse che si rivolgono le possibili soluzioni di sostegno e di aiuto concreto, per sollevarle dalla indigenza o per sostenerle nel lavoro e, per questo, sono sempre più spesso impiegati alcuni strumenti economico–finanziari adattati ad ogni singola realtà locale. Tutto ciò costituisce un nodo importante nel rapporto fra economia e le donne che vengono così coinvolte non solo passivamente, ma anche attivamente, proprio perché in questo modo i piani economici stessi hanno maggiore facilità di riuscire. Tuttavia il ruolo delle donne e la loro diretta partecipazione a tutti i livelli di strutturazione del piano socio-economico è anche funzionale all’allargamento del commercio africano, che originariamente si fondava su un sistema economico di scambio, nell'ambito del libero mercato, in cui i profitti vengono reinvestiti.

 

Giuseppe Nativo

 

 

MAGGIO 2005

 

“Il paraninfo” al Teatro Tenda di Ragusa

 

Scroscianti e prolungati applausi hanno contraddistinto la brillante serata di venerdì 29 aprile scorso in occasione della rappresentazione della commedia di Luigi Capuana dal titolo “Il paraninfo”. L’allestimento, che è stato portato in scena al Teatro Tenda di Ragusa dalla Compagnia “Teatro Utopia”, in compartecipazione con il Comune di Ragusa, ha dato modo di esprimere e sprigionare la valenza del teatro dialettale siciliano attraverso la sapiente regia di Giorgio Sparacino, già da anni impegnato nel comparto teatrale di grande rilievo artistico e culturale. Accanto a Sparacino, che ha magistralmente ricoperto il difficile ruolo di regista e di attore protagonista, hanno recitato, tra gli altri, Pina Ganci (che ha curato anche i costumi), Giuseppe Antoci e Claudio Giummarra. La scenografia e la grafica sono state curate dal bravo Rocco Cafiso. Gli attori, tutti bravi e con eccellente verve artistica, hanno dato il meglio di loro stessi interpretando i personaggi loro affidati con un trasporto quasi intimo.

A lungo ignorato o emarginato, il teatro di Capuana (1839-1915) è stato sfiorato dal dibattito critico solo in anni recenti, quando lo si è visto da un lato come lo specchio della crisi nazionale post-unitaria, dall’altro come documento “minore” di una vasta attività di scrittura. La drammaturgia capuaniana - che tenta fin dalle origini la strada del realismo, per poi allestire in concreto un progetto verista sul quale si innesta lo studio delle anime - traccia un lungo percorso creativo, che merita di essere conosciuto anche per essere stato l’immagine fedele del gusto teatrale post-unitario.

In tale contesto ben si inseriscono gli apprezzamenti esternati dalle centinaia di persone presenti in sala che hanno premiato, con sinceri e calorosi applausi, la rappresentazione frutto di uno studio intenso ed impegno profuso da parte di tutto lo staff della Compagnia teatrale.

Il regista, Giorgio Sparacino, subito dopo la rappresentazione, ha intrattenuto con la Redazione un breve colloquio.

 

Quando nasce il “Teatro Utopia”?

Nasce qualche anno fa, nel 2002, con il preciso intento di unire le forze valide del panorama professionistico e semiprofessionistico ibleo per dar vita ad una vera e propria Compagnia stabile iblea. Tali sforzi sono volti non solo a rispondere a precise esigenze artistiche del territorio ibleo ma anche a colmare quel gap che la nostra zona registra in campo teatrale nei confronti di altre realtà “più agguerrite” della Sicilia orientale ed occidentale.

 

Da “Le Troiane” di Euripide, con cui avete riscosso vasto consenso del pubblico e della critica la scorsa estate al Castello di Donnafugata, al teatro di Luigi Capuana…

Si tratta di un progetto ambizioso che ci vede impegnati su variegati fronti!... ma a voler considerare le pregevoli qualità dei giovani e volenterosi attori presenti nel nostro territorio è certamente un’impresa non impossibile! Il testo proposto, “Il paraninfo”, è quello che appartiene alla pura tradizione del teatro dialettale siciliano, di cui è un capolavoro incontrastato. Sebbene le rappresentazioni prima citate siano di un genere differente costituiscono due momenti di alto valore artistico e culturale ciascuno, s’intende, nel comparto di propria pertinenza. La rappresentazione da noi proposta vuole dimostrare che il teatro dialettale non è un teatro minore e che i suoi testi possono essere proposti come testi classici.

 

                                                                                              Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

“Settimana della Cultura” a Ragusa

 

Il capoluogo ibleo, attraverso l’Archivio di Stato di Ragusa e la Sezione di Modica, aderisce alla “Settimana della Cultura”, indetta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che quest’anno ha come titolo “L’Italia è arte. Per tutti”.

Per la nostra città le manifestazioni culturali, che iniziano il 16 maggio, si protrarranno fino al 4 giugno prossimo. Sarà cioè una settimana… di venti giorni dedicata alla Cultura ma anche ai Musei. Quest’ultimi, dal 16 al 22 maggio, inseriti nella programmazione degli “Eventi maggio 2005” da parte della Civica Amministrazione di Ragusa, saranno aperti al pubblico che potrà visitare gratuitamente sia le esposizioni museali sia quelle allestite presso i locali dell’Archivio di Stato di Ragusa e relativa Sezione (queste aperte fino al 4 giugno).

Il nostro sforzo organizzativo - precisa la dott.ssa Anna Maria Iozzia, direttore della struttura archivistica del capoluogo ibleo – è volto a dare alle variegate iniziative uno spessore culturale, che comunque il nostro territorio già possiede, nonché a ripercorrere le tappe di una memoria collettiva con la quale deve necessariamente confrontarsi chiunque tenti di individuare e riannodare quei fili invisibili che legano passato e presente”.

Un periodo, dunque, intenso di eventi culturali: lunedì 16 maggio (alle ore 10.00), presso l’Archivio di Stato di Ragusa, alla presenza del primo cittadino, prof. Tonino Solarino, nonché dell’Assessore comunale alla Cultura e ai Beni Culturali, ing. Vito Frisina, la “Settimana” si apre con l’inaugurazione della mostra “Momenti di un plurisecolare percorso d’arte” (con documenti di archivio, incisioni e carte degli eredi di Antonino Cannj); dopo le iniziative presso la Sezione modicana, a conclusione del percorso culturale-archivistico, il 19 maggio (alle ore 17.30), presso la Sala Convegni del Palazzo della Provincia Regionale di Ragusa - alla presenza delle massime autorità istituzionali della città di Ragusa, di S.E. Mons. Paolo Urso, Vescovo della Diocesi di Ragusa, unitamente al prof. Vito Librando (già docente di Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Catania) – interverranno il prof. Giorgio Flaccavento, storico dell’arte, sul tema “Centro e periferia in una nuova provincia: Duilio Cambellotti – Antonino Cannj”. Concluderà la serata la prof.ssa Gaudenzia Flaccavento che relazionerà su “Mastri, contratti e altari dopo il terremoto del 1693”.

Ancora una volta la città di Ragusa – precisa l’Assessore comunale alla Cultura, ing. Vito Frisina – si pone in primo piano nel contesto nazionale con le sue iniziative culturali e, nel corso di questa settimana “triplicata”, sceglie di raccontarsi non solo attraverso il potere fabulatorio delle vetuste carte d’archivio ma anche con l’attività presente. Un presente in continua evoluzione e progresso che mostra come la città desideri indagare tanto nel proprio tessuto artistico quanto in quello delle relazioni umane, in modo originale e antiretorico, consapevole che non può esserci progresso se non c’è un progetto culturale continuativo”.

 

                                                                         Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

Mostra “Ragusa Barocca”, colori e immagini

 

“Nei giorni 9 e 11 gennaio del 1693, due scosse sismiche di grande violenza distruggono la maggior parte delle città e dei borghi della Sicilia sud-orientale… In totale 58 sono gli insediamenti toccati dalla catastrofe, di cui venti interamente distrutti…”. Questo è ciò che emerge dal rapporto ufficiale inviato da Giuseppe Lanza, duca di Camastra, Vicario generale per la ricostruzione, al Viceré.

Da quel momento, in maniera graduale ma abbastanza spedita, il territorio del Val di Noto è tutto un cantiere che, giorno dopo giorno e di decennio in decennio, dà un nuovo volto alle numerose chiese preesistenti, più o meno danneggiate dal sisma. La volontà – determinata – di vivere è più forte di ogni calamità. E’ da questi fermenti che emergeranno i vigorosi ed “ingegnosi” progettisti che lasceranno la propria traccia in molti Comuni del Vallo e, dunque, anche a Ragusa. Lo slancio edificatorio post-terremoto coinvolge tutta la popolazione. E’ un impegno costruttivo che si sviluppa, senza remore, da una “coralità popolare”, cioè da un “sentire” comune, che fa nascere quell’arte “barocca” nell’accezione più pregnante, in quanto intimamente o esplicitamente condivisa dalle varie categorie sociali. Dai palazzi o dalle strutture chiesastiche si sentono ancora i rumori degli scalpellini degli “ingenieri” i quali modellano e plasmano quelle opere che attraverso il loro impegno operativo e partecipativo hanno varcato i secoli regalandoci vere e propri gioielli architettonici come quelli che annovera il capoluogo ibleo.

Questa la pregnante ed interessante tematica affrontata nel corso dell’incontro, recentemente tenutosi (dal 16 al 23 aprile) presso la Chiesa dei Cappuccini (già Sant’Agata), all’interno dei Giardini Iblei, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Ragusa Barocca” colori e immagini. L’Evento, organizzato dalla Collettiva d’Arte contemporanea con sezione d’Arte Sacra, è stato patrocinato dalla Città di Ragusa, dalla Fondazione S. Giovanni, dall’A.A.P.I.T. di Ragusa nonché dall’Accademia Internazionale Città di Roma. La giornata inaugurale è stata caratterizzata dalla presenza di diverse autorità in campo sociale, culturale ed ecclesiastico: l’arch. Richard Schembari, la sig.ra Maria Ventura, Pres. Reg. Accademia, il comm. Giovanni Maggi, Presidente dell’Accademia Città di Roma, il dott. Salvatore Basotto, critico d’arte e scrittore. L’apertura dei lavori è stata affidata, tra gli altri, a mons. Carmelo Tidona, Parroco della Cattedrale di S. Giovanni Battista, che ha messo in luce come l’elemento religioso sia il trait d’union fra l’arte barocca e la stessa spiritualità sublimata nelle belle impaginazioni architettoniche. Il primo cittadino, dott. Tonino Solarino, coadiuvato dalla preziosa presenza dell’ing. Vito Frisina, Assessore alla Cultura del Comune di Ragusa, ha posto l’attenzione sulla necessità di perseguire progetti culturali che pongono la città di Ragusa, e di riflesso l’intero territorio ibleo, in una posizione di particolare rilievo non solo perché patrimonio dell’umanità ma anche per l’emergere delle “dorate” facciate dei templi dagli edifici circostanti.

E’ proprio in questo lembo sud-orientale della Sicilia, dove la natura e cultura nobilmente interloquiranno per sempre, che si innalzerà il canto:

“Nobile claret opus,

sed opus quod nobile claret clarificet mentes,

ut eant per lumina vera ad verum lumen,

ubi Christus janua vera…”

 

(Sull’architrave della porta principale della chiesa abbaziale di Saint-Denis, sec. XII, Parigi).

 

 

                                                                                   Giuseppe Nativo

 

 

 

Nuovo direttore all’Archivio di Stato di Ragusa

 

Direzione, ricerca e sinergia sono stati gli ingredienti che hanno caratterizzato per quasi mezzo secolo l’attività operativa dell’Archivio di Stato di Ragusa.

Tale struttura, unitamente alla Sezione di Modica, fiore all’occhiello del territorio ibleo non solo per i vetusti e preziosi carteggi provenienti dalla Contea ma anche per la cortesia, disponibilità e preparazione del personale, è stata diretta per alcuni decenni dal dott. Giovanni Morana che si è distinto non solo per la sua riservatezza ma anche e soprattutto per l’impegno profuso nella sua attività direzionale. Stimato dagli operatori del settore archivistico ha rivolto alla ricerca storica e storiografica, senza tralasciare gli aspetti amministrativi del suo ufficio, una buona fetta del suo già ristretto tempo libero attraverso elaborati e preziosi volumi di cui risulta autore o curatore (dai mercanti forestieri della Contea di Modica alle “estrazioni” di grano dal caricatore di Pozzallo nel ‘600, agli eventi che caratterizzarono il “the day after” cioè all’indomani dello “spaventevole… lastimoso… et horrendo” disastro che provocò il terribile “terrae motus” del 1693 che tanto “ruina” apportò in tutta l’area territoriale dell’antica Contea).

Da qualche settimana, però, il suo desiderio di essere “rinchiuso” in archivio, per continuare “a tempo pieno” le sue ricerche, ha preso consistenza.

Cambio di guardia, dunque, per raggiunti limiti di attività lavorativa del dott. Morana, all’Archivio di Stato di Ragusa alla cui guida è stata chiamata la dott.ssa Anna Maria Iozzia, funzionaria presso l’Archivio di Stato di Catania

Ottime le referenze della Iozzia che si è contraddistinta nel campo della ricerca archivistica. Originaria di Ispica, vive da molti anni nel capoluogo etneo.

E’ autrice e coautrice di diverse pubblicazioni (interessante il saggio “La cucina dei Benedettini a Catania”, pubbl. nel 2000) nonché curatrice di numerose mostre documentarie i cui cataloghi sono stati prodotti dall’Archivio di Stato di Catania (“Iconografia devozionale nei documenti d'archivi”, “Imprese e capitali stranieri a Catania tra '800 e '900”, tra i più qualificati). Ha partecipato a molteplici convegni su variegate tematiche storiche (nell’ambito del territorio ibleo, “Beneficenza e assistenza in una comunità feudale”, convegno sull’antica Biscari, giugno 1995; “Il territorio di Ispica attraverso la ricerca toponomastica” simposio su “I segni della memoria”, ottobre 2003).

In occasione del cambio direzionale, il dott. Morana, uscente, nonché la dott.ssa Iozzia,subentrante, hanno intrattenuto con la Redazione di “Insieme” un lungo colloquio rilasciando una breve intervista.

 

-Dott. Morana, in queste evenienze, in genere, si parla solo del subentrante, ma ci sembra opportuno e doveroso porgerLe qualche domanda. Dal 1966, anno della sua assunzione, ad oggi quali sono le impressioni maturate in campo archivistico?

In quegli anni ho preso contatto con una realtà istituzionale appena nata. La normativa che si applicava era del 1939. Giovane Archivista, avviato ad occupare la sede di Ragusa, mi trovai davanti a problemi insieme tecnici ed amministrativi. Punto di riferimento fu l’Archivio di Stato di Palermo che aveva al suo vertice personalità di rilievo come il Trasselli e dove funzionava una Scuola di Paleografia, Archivistica e Diplomatica. L’apprendistato si svolgeva sul doppio fronte della teoria e della pratica.

 

-Qual è l’episodio più significativo che ricorda?

Ne potrei citare tantissimi... Un elemento di novità, non trascurabile, è stato l’avvento dell’informatica che ha comportato scelte metodologiche anche negli ordinamenti.

 

 

In un’epoca di multimedialità parlare di vetuste e polverose carte d’archivio sembra quasi fuori “moda”. Eppure tuffarsi nell’oceano dei documenti è come navigare nella barca del tempo, quasi al di sopra della dimensione spazio-temporale che non trova alcun confine fisico. Toccati dalle sapienti mani degli studiosi i manoscritti prendono vita descrivendo eventi tanto lontani negli anni quanto vicini per la loro carica umana. Attraverso tali documenti riaffiorano nomi e storie di gente comune che certamente non trovano cittadinanza nella grande storia di avvenimenti, ma solo nella vita infra-storica delle carte d’archivio.

 

-Dott.ssa Iozzia, considerata la sua propensione nel settore della ricerca archivistica, come ha accolto la nomina alla Direzione dell’Archivio di Stato di Ragusa?

E’ un’esperienza che arricchisce tanto in ambito culturale quanto in quello lavorativo. Mi sento vicina anche a questo territorio non solo perché figlia degli iblei ma anche per l’intreccio delle due realtà, ragusana e catanese, che si integrano a vicenda anche in campo storico.

 

-Ricerca e Archivio si muovono su binari paralleli, quali i problemi e quali le prospettive?

Gli archivi hanno subito negli ultimi anni, e continuano a subire, profonde trasformazioni. Sono mutati il quadro normativo e l’organizzazione. Molte funzioni e servizi tendono ad essere privatizzati. Anche l’utenza e le sue esigenze cambiano rapidamente. Sullo sfondo di queste trasformazioni vi sono mutamenti culturali di grande spessore, che investono la concezione della storia, degli oggetti di memoria e del “documento”. E’ necessario comunque stimolare la ricerca nelle giovani generazioni, che sono il “futuro della nostra memoria”, non solo per la tutela ma anche per la valorizzazione degli archivi.

 

 

 

 

 

Arte e Architettura: gioielli iblei

 

Le molteplici iniziative inserite nell’ambito della “Settimana della Cultura”, che ha visto la sinergica cooperazione del Comune di Ragusa e di Modica congiuntamente alla Provincia Regionale di Ragusa, ha dato al grande pubblico, ma anche alla folta schiera di studiosi, la possibilità di incontrarsi per la trattazione di tematiche riguardanti l’arte e l’architettura negli iblei attraverso i documenti d’archivio.

In tale contesto ben si inserisce la conferenza tenutasi, giovedì 19 maggio, presso la Sala Convegni del Palazzo della Provincia di Ragusa. A presenziare l’evento dalle connotazioni altamente culturali sono stati il Vescovo della Diocesi di Ragusa, S.E. Mons. Paolo Urso, il presidente della Provincia Reg.le di Ragusa, ing. Franco Antoci, nonché il prof. Vito Librando, già docente di Storia dell’arte presso l’Università degli Studi di Catania, il prof. Giorgio Flaccavento, storico dell’arte, e la prof.ssa Gaudenzia Flaccavento.

L’introduzione dei lavori è stata affidata alla dott.ssa A. M. Iozzia, nuovo direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa e Sezione di Modica, organizzatrice e curatrice, unitamente ai suoi valenti collaboratori, delle due mostre allestite in contemporanea (dal 16 maggio al 4 giugno) nei locali delle strutture archivistiche di Ragusa e di Modica.

Ad anticipare le brillanti relazioni è stato il prof. Librando con un breve ma interessante excursus storico che ha introdotto le tematiche in programma per la serata.

Il prof. Flaccavento, con il suo intervento su “Centro e periferia in una nuova provincia: Duilio Cambellotti – Antonino Cannj”, ha discettato sui rapporti amichevoli e di “committenza” pittorica instauratisi tra il Cambellotti ed Antonino Cannj. Quest’ultimo, “ragusano doc”, nel corso della collaborazione con il Cambellotti, ha dato al capoluogo ibleo splendidi quadri, oggi di alto valore estetico.

Il rapporto di committenza – che si instaura negli anni immediatamente successivi al terremoto del 1693 e che contraddistingue quella ricostruzione architettonica sia in campo dell’edilizia “laica” sia in quella “ecclesiastica” – in continua interrelazione tra gli architetti e le maestranze locali è stato il tema affrontato dalla prof.ssa Gaudenzia Flaccavento con “Mastri, contratti e altari dopo il terremoto del 1693”. La studiosa ha relazionato sulla tecnica costruttiva utilizzata nei primi decenni post-terremoto correlandola alla ricostruzione biografica di alcune famiglie di “mastri” e “capi-mastri” che tanto si adoperarono al fine di dare una giusta impaginazione stilistica a tutta l’architettura iblea, oggi “patrimonio dell’umanità” per la bellezza che si compenetra nell’arte.

Su quest’ultima tematica si è soffermato il Vescovo della Diocesi di Ragusa, S.E. Mons. Urso, ponendo come riflessione la capacità dei pittori e degli scultori che con sensibilità unica e con appassionata dedizione cercano nuove “epifanie” della bellezza per farne dono al mondo nella creazione artistica. Nessuno meglio degli artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all'alba della creazione, guardò all'opera delle sue mani. Una “vibrazione” di quel sentimento si è infinite volte riflessa nei loro sguardi con cui, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei colori e delle forme, hanno ammirato l'opera del loro estro, avvertendovi quasi l'eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarli.

Come sottolineava il Cardinale Nicolò Cusano: “L'arte creativa, che l'anima ha la fortuna di ospitare, non s'identifica con quell'arte per essenza che è Dio, ma di essa è soltanto una comunicazione ed una partecipazione”.

 

 

 

 

 

Ciclo di conferenze alla “G. Pascoli” di Ragusa

 

L’Istituto comprensivo “G. Pascoli” di Ragusa-Ibla si è fatto promotore - con la collaborazione della Provincia Regionale di Ragusa, l’A.I.C.C., l’Ass. Culturale Aniblea, l’Endas Provinciale e la Regione Siciliana Ass. BB. CC. – di una serie di iniziative che terranno impegnato il settore degli studiosi tanto in campo storico quanto in quello letterario attraverso una serie di incontri che cercheranno di far luce su specifiche tematiche di particolare rilievo.

L’intero ciclo di manifestazioni è curato dal prof. G. Cosentini, peraltro acclarato cultore e ricercatore di storia locale nonché esperto in materie umanistiche.

Il primo “assaggio” tematico ha avuto inizio il 23 maggio scorso con la conferenza su “La storia della famiglia Borgia e i Borgia di Sicilia”, la cui discettazione è stata affidata al prof. Luigi Borgia, direttore dell’Archivio di Stato di Arezzo, diretto discendente della celeberrima famiglia.

Nel corso della introduzione, magistralmente condotta dal prof. Cosentini, è stato posto in evidenza come gli studi storico-umanistici possano contribuire ad accelerare lo sviluppo culturale di una città e di un territorio che ha dato illustri natali. A tale riguardo il prof. Cosentini ha posto in rilievo la figura di Quintino Cataudella, a cui è dedicato l’intero ciclo di conferenze, uno dei più insigni grecisti italiani del Novecento, che con le sue opere ha dato un forte impulso agli studi sulla letteratura greca e latina facendo risplendere di luce propria il territorio ibleo, estremo lembo sud-orientale della nostra isola.

Il prof. Borgia, specialista in studi medievali, ha relazionato sul percorso ultrasecolare della famiglia Borgia, esaminando alcuni aspetti poco conosciuti anche da un punto di vista araldico.

La serata è stata ulteriormente impreziosita dalla presenza in sala della dott.ssa A. M. Iozzia, direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa, nonché del dott. A. Sparti, direttore della struttura archivistica di Catania, intervenuti per l’alta rilevanza dell’argomento affrontato.

Il ciclo di appuntamenti terminato il 30 maggio, col tema “La Parola nella Cultura Greca” (relatore il prof. S. Nicosia, dell’Università di Palermo), riprenderà dopo la pausa estiva con problematiche che susciteranno l’interesse anche del settore accademico.

 

Giuseppe Nativo

 

 

GIUGNO 2005

 

La vita appesa ad un filo… di speranza

 

Ragusa. Un lunedì di maggio. Una giornata come tutte le altre. L’aria del meriggio, foriera di profumi primaverili, appena ventilata, sfiora il viso come una invitante carezza. Nel cielo le rondini fanno riecheggiare il loro verso soffocato dal rumore affannato del traffico cittadino. Su una piazzetta dei bambini trascorrono le ultime ore del giorno che volge a termine giocando, ridendo e facendo assaporare la loro spensieratezza a degli anziani signori che, attraversando la strada, li osservano con un amaro sorriso che li riporta alla loro ormai lontana giovinezza. Ma un sibilo, una frenata, un grido spezzano quella apparente casualità catapultandola in quella triste e quotidiana realtà che pervade ogni cosa. Gente che accorre, espressioni tirate, vocio indistinto. Il tutto si miscela in un’atmosfera surreale. L’aria è ferma, il tempo non corre. Tutto sembra bloccato, in eterno presente, come in una immensa moviola. Il rumore assordante della sirena spiegata dell’ambulanza in arrivo spezza quel fragoroso silenzio, alimentando quel filo di speranza che lega alla vita. Quello stesso filo che nello spazio di un miserere diviene sempre più sottile attirando le attenzioni della mitica Atropos.

Vittima dell’infausto evento è un bambino di circa sei anni. Febbrili e concitate si rivelano le cure dei sanitari che prestano in maniera idonea e con grande perizia i primi soccorsi. Dai primi dati clinici e dalla valutazione delle immagini radiologiche risulta in maniera inequivocabile che il bambino versa in precarie condizioni a seguito di "grave trauma cranio-facciale" e che, pertanto, si rende necessario ed indifferibile il suo trasporto presso la NCH (Unità Operativa di Neurochirurgia) di una delle attrezzate strutture sanitarie del capoluogo etneo. Messa subito in moto la macchina tecnico – amministrativa, la struttura sanitaria ragusana chiede ed ottiene un posto disponibile presso la NCH etnea unitamente a quello del reparto di rianimazione di quel nosocomio. Il piccolo viene “stabilizzato” presso l’unità operativa di rianimazione iblea contattando, nel contempo, la Centrale Operativa del 118 che dà il nulla osta per l’urgente trasporto del piccolo paziente, le cui condizioni diventano sempre più gravi, in elicottero. Qui inizia l’odissea. Essendo ormai buio la struttura elipista di Ragusa non può essere utilizzata in quanto non ancora abilitata al volo notturno. L’attenzione, dunque, viene rivolta all’altra elipista ubicata a Modica. Anche in questo caso tutti gli sforzi dei sanitari si perdono nel nulla in quanto i piloti sconsigliano categoricamente il decollo ed il conseguente atterraggio per motivi dovuti alla scarsa sicurezza delle manovre che sarebbero impedite dalla presenza di alcune gru collocate in quei pressi. Inizia così una seconda lotta contro il tempo: il trasporto via strada con ambulanza a sirene spiegate. Non c’è tempo per pensare. E’ necessario agire… e agire al più presto. Alcuni operatori sanitari saltano sull’ambulanza che, come un guscio al cui interno è custodita la vita, scivola via percorrendo le strade deserte di una città semi addormentata. Il velivolo, stretto nella morsa della luce notturna, procede speditamente ed inconsapevole delle mille difficoltà che si frapporranno lungo il tragitto verso la speranza, l’ultima spiaggia, a cui si appella quell’innocente e prezioso carico che porta in grembo. Inghiottita dall’oscurità, l’ambulanza percorre, incontrando non poche difficoltà, il tratto stradale Ragusa-Catania. Sembra non arrivare mai! Tra buche nella strada, semafori in agro di Vizzini e Francofonte, curve ad “S” e doppia “S”, pesanti e grossi autoveicoli con rimorchio da superare, abbagliamenti da super fari alogeni puntati contro dai mezzi provenienti dalla corsia opposta, rischi generici e specifici, finalmente, dopo due ore abbondanti il personale a bordo dell’ambulanza tira un sospiro di sollievo. In un fiat il bimbo viene consegnato all’unità dell’Azienda ospedaliera etnea. L’Unità Operativa di Neurochirurgia, già attivatasi, inoltra il piccolo in sala operatoria. Secondi, minuti, ore. Il ticchettio dell’orologio scandisce imperterrito il tempo che ancora una volta è sovrano. La fronte dei sanitari, piena di rughe percorse dalle perline di sudore, ridiventa più distesa. La vita di quel bimbo, scivolata lungo quel debole filo di speranza, ora alimenta ed irrobustisce il filo stesso da cui il bimbo si aggrappa uscendo fuori da quel tunnel, privo di tempo e di spazio, in cui stava per essere catapultato. Le notizie sono rassicuranti, il bambino si salva. Ma sarà salva la coscienza delle Funzioni responsabili che dovrebbero porre in essere tutti gli accorgimenti idonei volti ad arginare, o meglio ancora risolvere le sopra citate discrasie?

Non si tratta del “solito” problema di “mala-sanità”, ma di “mala-società”, di indifferenza e di tutte le altra… “mala…” che affliggono questa società del benessere e del superfluo: tanto la morte e le malattie riguardano sempre gli altri!. Il paziente, così, diventa vittima due volte: la prima perché subisce l’incidente, la seconda perché è ignaro “colpevole” di averlo subito di notte quando gli elicotteri non possono decollare né atterrare. Il cittadino contribuente è anch’egli vittima due volte: la prima perché dalle sue tasche vengono tolte le risorse economiche da utilizzare per le infrastrutture in cui ripone cieca fiducia, la seconda perché assiste impotente alle tante discrasie che ormai imperversano, ad ampio raggio, in tutti i settori. Per capire determinate problematiche è necessario viverle altrimenti non si riesce a capirne le difficoltà.

Sulla schiena scorre un brivido freddo e nella mente prende piede un dubbio atroce: domani potrebbe toccare a noi un simile viaggio, e non da medici, ma da traumatizzati!

 

 

 

 

Settimana della Cultura a Modica

 

La presenza di soggetti religiosi nelle carte dei notai è da collegare con l’uso di decorare le coperte dei volumi notarili o le pagine che contenevano le formule utilizzate all’inizio o alla fine dell’anno di rogazione oppure i capilettera delle intitolazioni. Tale uso, manifestatosi in maniera saltuaria già nel corso del ’500, si afferma, specialmente in ambito provinciale, durante il ’600 e il ’700...”

Questo l’incipit della dott.ssa Anna Maria Iozzia, direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa e Sezione di Modica, in occasione dell’inaugurazione della mostra, tenutasi nei locali della struttura modicana, lunedì 16 maggio, avente per oggetto l’ “Arte sacra nella Contea di Modica”, nell’ambito delle variegate manifestazioni culturali inserite nella “Settimana della Cultura”, indetta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che quest’anno ha come tema “L’Italia è arte. Per tutti”.

Il reperimento di tale materiale, che viene definito di “iconografia devozionale”, fornisce occasione di studio per quelle incisioni a stampa di cui si rivela ricca la produzione notarile dell’antica Contea di Modica nei secoli XVII-XVIII. Si tratta di un’insolita modalità di veicolazione nel tempo e nello spazio della mutevole raffigurazione grafica delle figure sacre e dei santi attraverso un atto con valenza giuridica, qual è, appunto, l’atto notarile. Requisiti fondamentali di queste immagini sono la semplicità e la facile lettura. Tali caratteristiche consentono infatti un immediato rapporto con il soggetto sacro, rapporto scevro da quelle complicazioni intellettuali che potevano sorgere nel caso di raffigurazioni più ricercate dal punto di vista estetico e stilistico. L’uso di tali immagini subisce un notevole incremento grazie al concilio di Trento (1545-1563) che, sciogliendo ogni diffidenza nei loro confronti, ne fa un mezzo di propaganda per stimolare la pietà religiosa e promuovere il culto dei fedeli. Un esempio di raffigurazione a carattere religioso è quella dell’Immacolata Concezione, verso la quale il popolo siciliano ha una speciale devozione ed alla cui diffusione contribuiscono, in maniera particolare, intorno alla fine del ’500, i francescani che, tra l’altro, sollecitano il viceré spagnolo di Sicilia, Alfonso Enriquez de Caprera, a proclamare nel 1643 l’Immacolata Concezione patrona della Sicilia.

Subito dopo l’inaugurazione della mostra (aperta dal 16 maggio al 4 giugno), alla presenza del Sindaco di Modica, dott. Piero Torchi Lucifora, e dell’Assessore comunale alle Politiche Culturali, dott. Giorgio Cavallo, ha avuto inizio, presso l’Aula Magna del prestigioso Ente Autonomo Liceo Convitto, la conferenza-dibattito tenuta dal prof. Paolo Nifosì, storico dell’arte, su “La fabbrica della chiesa di San Giorgio di Modica: un cantiere di tre secoli”. L’impianto chiesastico della chiesa di San Giorgio offre allo studioso di architettura non poche problematiche tanto da un punto di vista dell’impaginazione architettonica della fabbrica quanto da quelli interpretativi della medesima; punti, questi, non ancora del tutto chiariti e relativi anche alla facciata per la quale i documenti archivistici offrono non pochi elementi lacunosi lungo i tre secoli in cui la chiesa si rivela un cantiere in continua “evoluzione”. L’interessante problematica è stata più volte ripresa da diversi studiosi nonché oggetto di elaborati accademici (vedasi Chiara e Marcello Assenza, tesi di laurea la cui scheda di lettura è stata inserita nel catalogo “Genius Loci 2004 – Arte, architettura e territorio. Modica nelle tesi di laurea”, pubblicato dalla Casa Editrice “La Biblioteca di Babele”).

Serata, dunque, di duplice valenza, archivistica ed architettonica, impreziosita dalla presenza del dott. Aldo Sparti, direttore dell’Archivio di Stato di Catania nonché, tra le figure di spicco, della ricercatrice dott.ssa Grasso della medesima struttura archivistica.

La tematica affrontata dal prof. Paolo Nifosì, è stata preceduta dagli interventi programmati del primo cittadino di Modica e dell’Assessore Giorgio Cavallo i quali hanno posto l’accento sulla necessità di sviluppare ulteriori studi relativi al territorio dell’antica Contea. “Tali ricerche – ha aggiunto il dott. Cavallo - fanno registrare un importante dato positivo nella nostra città dove è in continua crescita l’esigenza di riscoprire i luoghi, la cultura di un passato comune e di una identità collettiva. Riconoscersi come città significa anche indagare sulla propria storia e recuperare le proprie tradizioni”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

LUGLIO 2005

 

 

Mostra fotografica ai Cappuccini di Ibla

 

Henry Cartier Bresson diceva: “Per noi fotografi ciò che sparisce sparisce, per sempre”.

E’ vero… L’occasione dura un attimo e se si perde, quell’immagine non potrà mai esistere. Ciò vale per qualsiasi oggetto si voglia fotografare. A tale regola non si sottrae neanche la mostra fotografica che dai primi di luglio potrà essere ammirata presso la Chiesa dei Cappuccini (già Sant’Agata), all’interno dei Giardini Iblei.

Si tratta di una raccolta di foto, circa duecento, prodotte, in quest’ultimo trentennio, dal dott. Vincenzo Giompaolo, fotoamatore e studioso delle tradizioni popolari siciliane. L’evento culturale, patrocinato dalla Provincia Regionale e dall’A.P.P.I.T. di Ragusa in sinergia con l’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Ragusa, sarà tenuto a battesimo dal Presidente della Prov. Reg.le di Ragusa, ing. Franco Antoci, che interverrà anche nella qualità di Presidente dell’Associazione “Ragusani nel Mondo”, nonché dal responsabile dell’Associazione Culturale “Sicily is one”, Sebastiano La Mesa, promotore ed organizzatore dell’intera manifestazione. L’allestimento espositivo, che permarrà per tutto il mese di luglio, avente per titolo “Sicilia, tra culto e cultura”, raccoglie una serie di tematiche molto care ai siciliani ed in particolare ai cittadini iblei: le “Feste religiose”, le “Cene di San Giuseppe”, le “Edicole votive”, i “Castelli”, il “Natale in Sicilia”, i “Lavori di una volta” e le “Costruzioni in pietra a secco”. Immagini che hanno come filo conduttore il sentimento genuino che sgorga dall’animo dell’uomo in qualunque situazione. Essendo le foto uno strumento di comunicazione possono essere usate per la scoperta e la divulgazione di aspetti e valori che altrimenti non si paleserebbero a tutti.

“…E’ questo il significato intrinseco della mostra fotografica”, così assicura il dott. Vincenzo Giompaolo con cui la Redazione di “Insieme” ha scambiato due chiacchiere distogliendolo dal faticoso lavoro di allestimento.

 

-Dott. Giompaolo, come è nata la sua passione per la fotografia?

Oltre trent’anni fa nasce la mia passione per la ricerca etnografica con particolare riferimento alla studio delle tradizioni popolari. Tale ricerca mi ha portato a visitare numerosissime località siciliane, anche dell’entroterra, allo scopo di individuare i loro usi e costumi le cui radici culturali affondano nella notte dei tempi. Da qui l’esigenza di portare con me le immagini di quei luoghi e di quelle usanze attraverso qualcosa che potesse essere conservata nel tempo: la fotografia...

 

-La fotografia intesa come chiave di lettura dei luoghi, delle attività umane e delle tradizioni. Qual è l’aspetto fondamentale che rende le sue foto come una preziosa documentazione che giunge dal passato?

Le immagini fotografiche che qui vengono proposte e che documentano momenti e scene di vita, di mestieri ormai scomparsi e di usi e costumi del ceto popolare e rurale, rappresentano una modesta selezione di una quantità di immagini ben più ampia. A differenza dei documenti cartacei, che ci riportano notizie del passato attraverso la loro lettura, le foto cercano di far rivivere, anche se attraverso un’immagine “catturata”, lo spirito di una tradizione per mezzo di una iconografia e mimica unica che contraddistingue il popolo siciliano. Oggi l’immagine ha perso la sua “genuinità” perché sopraffatta da una visione del mondo artefatta e, nello stesso tempo, veloce. Per entrare in contatto con il passato è necessario “viaggiare” con la sua stessa lunghezza d’onda. Attraverso la visione delle foto la memoria del passato, di un passato che in fondo ci appartiene perché insito nel nostro animo e che le odierne generazioni non conoscono o trascurano, emerge in tutte le sue sfaccettature. La fotografia, pur con tutti i suoi limiti e parzialità, è perlomeno riuscita a tramandarci una “immagine” di quella realtà che accende i cuori e riscalda gli animi verso una dimensione dimenticata che ci fa ritornare bambini.

 

-Culto e cultura attraverso le foto. Qual è il filo conduttore delle variegate tematiche affrontate attraverso le immagini?

I soggetti fotografici che qui vengono presentati rivestono, a mio sommesso avviso, una importanza particolare perché testimoniano l’espressione più vera della cultura e tradizione popolare. La cultura di una comunità nasce dal consolidarsi e tramandarsi nel tempo di esperienze e soprattutto valori che gli individui della comunità stessa riconoscono come comuni e condivisi. Il ricordo e la memoria, proprio per la loro funzione di tramandare nel tempo esperienze e valori, sono elementi di fondamentale importanza per il crearsi di una cultura. I riti, le feste, ma anche i castelli, le edicole votive ed i lavori di una volta, essendo richiami della memoria di eventi, sono elementi fondanti di una comunità. La memoria non è semplice ricordo del passato, ma soggettività del presente, fonte d’identità che storicamente si materializza e si rappresenta in forme diverse. Ai fini della conservazione viva della memoria, essa va coltivata come una pianta, altrimenti appassisce e muore. La fotografia rappresenta il cibo di cui si alimenta la memoria.

 

 

 

 

La mostra etno-fotografica di Giompaolo riscalda il cuore degli iblei

 

Un notevole flusso di visitatori – tra curiosi, turisti, appassionati e ricercatori – ha caratterizzato le prime settimane della 1° Mostra fotografica “Sicilia: tra Culto e Cultura” di Vincenzo Giompaolo, la cui installazione espositiva verrà mantenuta per tutto il mese di luglio nei locali attigui alla Chiesa dei Cappuccini (già Sant’Agata), a Ragusa-Ibla, all’interno del Giardino.

Duecento sono le foto che accompagnano il visitatore durante il percorso espositivo.

…E’ l’indimenticabile vissuto della Sicilia tradizionale… un percorso evocativo e conoscitivo in cui la cultura è connessa con il culto, atto con il quale l'uomo, mediante il rito che coinvolge la sua componente spirituale, si pone verso il trascendente, verso il sacro, e… il popolo siciliano sente la presenza del sacro…”.

Questo l’incipit del prof. Nino Cirnigliaro, Presidente del Centro Servizi Culturali di Ragusa, in occasione della serata inaugurale, alla presenza dell’Autore e di tutto lo staff organizzativo.

L’evento culturale, patrocinato dalla Provincia Regionale e dall’A.P.P.I.T. di Ragusa in sinergia con il Comune di Ragusa, si inserisce nell’ambito di quelle iniziative volte a valorizzare il territorio afferente alla cosiddetta zona del “triangolo barocco”, già riconosciuta come patrimonio dell’umanità.

Tali aspetti sono stati puntualizzati, nel corso della relazione introduttiva, dall’Assessore alla Cultura del Comune di Ragusa, ing. Vito Frisina, che ha sottolineato come l’impegno di studiosi e ricercatori della portata del dott. Giompaolo siano non solo da incoraggiare ma anche da apprezzare per lo sforzo e l’impegno profusi volti a far conoscere aspetti tradizionali del nostro territorio che toccano l’intimo di ognuno.

Scorci di vita quotidiana, momenti di appassionato ed intenso fervore popolare delle feste religiose, i mestieri di una volta, le edicole votive, la lavorazione dei “muri a secco” sono alcuni dei temi trattati che conducono quasi per mano il visitatore in quella accorata dimensione umana dal sapore antico attraverso un percorso espositivo suddiviso in sette tematiche, la cui essenza può essere colta anche dalla lettura di appositi pannelli esplicativi.

La mostra fotografica nasce grazie alla sinergia messa a tutto campo fra il dott. Vincenzo Giompaolo, fotoamatore e studioso delle tradizioni popolari siciliane da oltre sei lustri, e l’Associazione culturale “Sicily is one” il cui responsabile, Sebastiano La Mesa, da circa due anni è impegnato nella divulgazione e diffusione di tematiche culturali con le quali valorizzare questa terra straordinaria che è la Sicilia.

Tale attività ha fatto nascere e, nel contempo, rinsaldare i rapporti già intrapresi con l’Associazione internazionale “Ragusani nel Mondo”. Grazie a tale collaborazione la mostra varcherà i confini oceanici e sarà esposta dal 16 al 22 ottobre di quest’anno in America ed esattamente nella città di Hawthorn (New Jersey) presso il Circolo della Comunità Iblea. Una ulteriore testimonianza dell’impegno a raggiungere gli scopi statutari che l’Associazione stessa si è data.

Con l’organizzatore dell’intera manifestazione, Sebastiano La Mesa, la Redazione ha intrattenuto un piacevole colloquio.

 

-La mostra fotografica è frutto dell’esperienza fotografica del dott. Giompaolo e nasce dalla collaborazione fra l’Associazione “Sicily is one” e l’Associazione “Ragusani nel Mondo”. Quali i progetti e gli obiettivi?

L’esperienza maturata in campo fotografico dal dott. Giompaolo è del tutto unica in quanto trae origine dai suoi studi etnografici e si sviluppa in quest’ultimo trentennio con una vasta mole di fotografie che costituiscono una preziosa documentazione sugli usi, costumi e tradizioni del popolo siciliano. L’associazione culturale “ Sicily is one”, che mi onoro di presiedere, nasce a Ragusa nel 2004 con l’obiettivo di diffondere, promuovere, tutelare, la cultura del territorio siciliano ed in particolar modo della Provincia Iblea in ogni sua forma e genere. Da qui le variegate manifestazioni che ci hanno visto protagonisti e, nello stesso tempo, organizzatori e che hanno avuto l’obiettivo primario di far apprezzare e valorizzare, a tutti i nostri conterranei, le nostre bellezze naturali-paesaggistiche ed architettoniche. In questo contesto ben si inserisce la proficua collaborazione con l’Associazione “Ragusani nel Mondo”.

 

-Tradizioni, usi e costumi visti attraverso le foto. Potrebbe sembrare riduttivo?

La forza e, soprattutto, la forma espressiva di una foto spesso rendono più di un documento. Il supporto cartaceo, pur essendo molto importante come traccia scritta, deve essere letto ed interpretato in quanto in esso manca la forma visiva dell’azione che viene descritta dal documento stesso. Nella foto si entra subito nella dimensione reale dell’azione che costituisce l’oggetto della tematica rappresentata. La foto può essere considerata come la forma iconografica e, soprattutto, mimica del soggetto immortalato con un click.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

SETTEMBRE 2005

 

 

L’Archivio di Stato si arricchisce di memoria

 

E’ un ritorno della memoria…”. Così esordisce la dott.ssa Anna Maria Iozzia, direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa. Si tratta del trasferimento di numerosi faldoni dall’Archivio di Stato aretuseo alla struttura archivistica iblea. Tale operazione, autorizzata con apposito decreto del Ministero per i BB. CC. emesso il 20 giugno scorso, consiste nell’acquisizione di 340 volumi riguardanti le attività istituzionali – in un arco temporale che va dal XVI al XIX secolo – delle città di Ragusa, Modica, Scicli, Ispica e Vittoria. Ventitré sono i volumi relativi alla vita amministrativa della “università” (anticamente così erano denominate le città) di Ragusa: “Registro introiti ed esiti tesoreria” (voll. 10, 1621/1730); “Registro mandati di pagamento” (voll. 2, 1741/1814); “Conti frumentari” (voll. 5, 1788/1835); “Conti diversi” (voll. 6, 1801/1820). Una memoria “rimpatriata e ritrovata”, così ha sottolineato la dott.ssa Iozzia, “che ha bisogno di essere scoperta e riscoperta e che sicuramente contribuirà a fornire un ulteriore arricchimento alla già tanto travagliata storia della Contea”. Espressioni di viva soddisfazione sono pervenute dall’Assessore alla Cultura, ing. Vito Frisina, cui sono seguite anche quelle dal settore della ricerca storica e, non ultima, da quello accademico, punta di forza di tutto il territorio culturale ibleo, per i contributi che tali documenti d’archivio potranno apportare nell’elaborazione delle tesi di laurea riguardanti tematiche storiche.

L’intero progetto è stato più volte oggetto di attenzione e di studio da parte dell’Archivio di Stato ibleo, che da diversi anni ha intrapreso una copiosa corrispondenza anche con le competenti Funzioni centrali, al fine di rendere possibile l’acquisizione dei vetusti carteggi rimasti allocati presso la struttura archivistica di Siracusa. Tale progetto ha preso consistenza grazie all’impegno profuso dall’allora direttore dott. Morana, memoria storica dell’Archivio di Stato di Ragusa, e, solo dopo non pochi periodi di stasi, recentemente ripreso dalla dott.ssa Iozzia. “Si tratta di un evento che ci vedrà impegnati su diversi fronti”, la stessa ha puntualizzato, “poiché è necessario predisporre tutte le attività relative nonché predisporre un’adeguata sistemazione delle carte. A questa prima fase seguono le procedure di inventariazione dei documenti attraverso l’ausilio di mezzi informatici, allo scopo di rendere fruibile l’intera documentazione entro tempi ragionevolmente brevi”. Si tratta, dunque, di un viaggio di rientro dei documenti d’archivio. Un viaggio che riporta indietro nel tempo al fine di attingere nuovi dati sulle vicende storiche del territorio ibleo.

Per l’occasione, sono state già programmate alcune iniziative di approfondimento scientifico per il quale si sta lavorando e che troveranno piena attuazione ad ultimazione delle anzidette procedure.

 

 

 

 

“PattiChiari” in città

 

250 i comuni interessati in 20 regioni italiane, isole comprese. 4 i camper personalizzati, ciascuno dotati di computers portatili collegati on-line tramite schede Umts, forniti di materiale informativo sulle iniziative del progetto e sull’utilizzo degli strumenti “PattiChiari”. Oltre 700 le giornate di operatività. Questi i numeri raggiunti dal progetto “PattiChiari” che, a quasi 24 mesi dal suo primo vagito, ha portato, nelle prinicipali piazze siciliane, ad una vasta campagna di informazione finanziaria volta a far conoscere a tutta la collettività le tematiche relative al credito, al risparmio ed ai servizi: “Capire di più per scegliere al meglio”. Questo è l’obiettivo su cui ruota l’intera operazione a cui aderiscono gran parte degli istituti di credito del territorio ibleo. Ad oltre un anno dall’iniziativa diversi sportelli bancari, adeguandosi agli standards del progetto, hanno ottenuto la prescritta certificazione ponendo in atto tutti gli idonei accorgimenti per una migliore “customer satisfaction” che mira ad una ulteriore ed incisiva fidelizzazione della clientela sempre più esigente e rivolta verso prodotti e servizi bancari in linea con la versatilità del mercato.

Tre gli obiettivi principali dell’iniziativa “PattiChiari” che vede coinvolti oltre il 90% degli sportelli di Ragusa e provincia: costruire una base comune di dialogo tra banche e imprese sui piani e le scelte d’investimento; mettere in grado il cliente di scegliere il tipo di conto più adeguato alle proprie esigenze e, quindi, mettere in pratica un salto di qualità nella trasparenza del credito. A rafforzare l’approccio con la collettività è stata intrapresa un’iniziativa, che vede protagoniste le banche aderenti al “Consorzio PattiChiari” in sinergica cooperazione con gli Enti locali, consistente in un piano di incontri nelle regioni italiane, iniziato nel mese di giugno scorso, attraverso l’utilizzo di camper itineranti che hanno toccato varie città della Sicilia. In tale vasta operazione sono stati coinvolti tre comuni della provincia iblea: Ragusa, Scicli e Pozzallo. Il supporto richiesto alle banche consorziate a “PattiChiari” è stato quello di trasferire al loro interno tutte le informazioni – ricavabili attraverso il relativo sito internet - sul progetto, in particolar modo gli itinerari dei van, per consentire al personale interno ed in particolare agli operatori di sportello di essere preparati all’arrivo del camper presso le loro sedi. Inoltre, gli istituti di credito interessati dall’iniziativa hanno esposto, in vetrine ben visibili al pubblico, le locandine “PattiChiari in città” realizzate a supporto della presenza locale dei menzionati camper. A Ragusa, teatro dell’incontro ravvicinato, per l’intera giornata del 26 luglio scorso, è stata Piazza Libertà ad ospitare uno dei van “PattiChiari” che ha attirato non poco la curiosità di un nutrito numero di persone, malgrado le alte temperature estive raggiunte in città in quel periodo. Un momento importante, dunque, del progetto “PattiChiari”, in cui sono state portate le informazioni bancarie necessarie al cittadino direttamente dove vive.

Tale campagna di informazione ha segnato una tappa importante nel percorso di avvicinamento a tutta l’utenza bancaria in linea con gli obiettivi del Conosorzio PattiChiari in quanto la volontà di avvicinarsi fisicamente alle persone, parlando il loro linguaggio, ascoltando le loro esigenze, rispecchia le caratteristiche che hanno animato le precedenti fasi dell’intera iniziativa.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

OTTOBRE 2005

 

 

A Ragusa la Festa dell’Unità dedicata al Mediterraneo

 

Momenti di spettacolo, di divertimento ma anche di grande spessore culturale per i delicati e scottanti temi affrontati. Questi gli ingredienti della Festa Nazionale dell’Unità che, ancora una volta, si è svolta a Ragusa dal 15 al 25 settembre scorso.

Nella splendida cornice dei giardini iblei, inebriati dai variegati profumi della splendida vegetazione ma anche da uno stupendo panorama da cui le chiese barocche ed i vetusti palazzi nobiliari di Ragusa-Ibla si ergono come ultimi baluardi di un tempo che fu, si è svolta l’intera manifestazione. Dieci giorni di intense attività che hanno scandito i primi giorni autunnali del centro storico ibleo.

L’iniziativa è stata organizzata dalla federazione provinciale dei Democratici di Sinistra di Ragusa, dal locale coordinamento Donne DS nonché dalla Sinistra Giovanile.

Oltre 20 gli stands approntati, 5 gli angoli dedicati ai momenti ricreativi, l’angolo Bar con la “caffetteria delle donne”, 3 i settori gastronomici offerti (l’angolo del panino, pizzeria e gelateria), angolo fiera (costituito da 15 espositori), oltre 50 le persone impegnate a rendere più agevole il copioso flusso di pubblico intervenuto nel corso delle giornate programmate. Questi i numeri che hanno caratterizzato il “dietro le quinte” e che hanno contraddistinto gli sforzi di tutta la macchina organizzativa garantendo l’ottima riuscita dell’intera manifestazione.

La Festa Nazionale dell’Unità, quest’anno, è stata improntata su variegate problematiche gravitanti attorno al tema principale rappresentato dal bacino del Mediterraneo, paradigma del mondo intero.

Il mare è sempre stato un mezzo di comunicazione, ma anche un ostacolo ed un pericolo. Mare nostrum: non un mare, ma un susseguirsi di mari. Mediterraneo, terra di mezzo, terra in mezzo al mare o meglio mare racchiuso da terre. Se ne è discusso nei focus di approfondimento, anche attraverso la presenza del vicepresidente del Senato, sen. Cesare Salvi, il quale, evidenziando l’importanza della festa tematica in corso, ha posto la delicata questione del Mezzogiorno al centro del nuovo programma inserendola in una politica economica e sociale di respiro nazionale ma anche europeo. “I problemi fondamentali dell’Italia” – ha aggiunto, nel corso dei lavori, il presidente della direzione regionale dei DS, On. Giorgio Chessari – “sono quelli dell’Europa che deve rilanciare non solo l’impegno per la stabilità ma anche per la crescita e lo sviluppo dell’occupazione”.

Numerosi gli esponenti politici nazionali dei DS che con i loro interventi hanno proposto interessanti riflessioni su temi come l’immigrazione. Cercare di riflettere sulle motivazioni che spingono persone a soffocare l’affetto per la propria terra tentando la sorte in un paese straniero, ma anche come si è disposti ad accogliere gli stessi, costituiscono scottanti problematiche la cui soluzione merita un appropriato percorso politico che deve viaggiare parallelamente alla sensibilità di ciascuno per la “costruzione” di una pace che sembra ancora lontana. Altri temi, però, si affacciano al nostro orizzonte quali gli accordi in vista del 2010 momento in cui il Mediterraneo diventerà un’area di libero scambio. Problematiche, queste, che hanno formato oggetto di profonde riflessioni nei focus programmati in cui si sono confrontati anche esperti dei vari settori trattati al fine di analizzarne gli scenari e pensare agli sviluppi.

La Festa Nazionale dell’Unità–Mediterraneo si è chiusa a Ragusa con una grande partecipazione” - spiega il sen. Gianni Battaglia –“E’ la terza iniziativa consecutiva che realizziamo ai giardini iblei. Il successo crescente ci spinge ad impegnarci ancora di più per ulteriori iniziative. Il grande interesse riscontrato dal pubblico è segno che riusciamo ad intercettare una significativa domanda. Ciò si riscontra nei giovani, in tutta la Sinistra Giovanile che quest’anno ha fornito un valido supporto partecipando con rilevanti contributi organizzativi e di idee a tutto campo”.

 

Alla dott.ssa Gianna Miceli, Coordinamento Donne DS di Ragusa, abbiamo chiesto:

 

Coordinamento donne e Mediterraneo. Quale connubio e quale ruolo si profila in un più vasto ambito di impegno sociale?

L’idea di fare a Ragusa una festa tematica sul Mediterraneo è nata dal fatto che nella nostra realtà viviamo appieno la problematica dei popoli che si affacciano nel Mediterraneo. Quando la Direzione nazionale mi propose il tema, fui ben lieta perché sapevo che avremmo affrontato argomenti ed ambiti a noi molto vicini. Mi riferisco al problema degli immigrati e della loro integrazione con particolare attenzione al ruolo della donna. Abbiamo incentrato la nostra attenzione sulla centralità dei diritti della persona e sul rispetto anche nel mondo del lavoro dove spesso si consumano fenomeni di sfruttamento. Un’occasione, dunque, di confronto sui temi caldi che ruotano intorno alla nuova centralità del Mezzogiorno parte integrante e viva del Mediterraneo.

 

-La Festa dell’Unità ha appena chiuso i battenti. Quali le impressioni a caldo?

Alla luce di come è andata la festa posso dire con orgoglio che è stata davvero un grande evento. Un’occasione che ci ha fatto vivere momenti di fatica ma anche di grande soddisfazione per la partecipazione dei numerosi cittadini provenienti anche da fuori comune. Il cospicuo numero di visitatori ci ha dato la possibilità di avere un vasto consenso e ciò è stato dimostrato non solo dalla loro viva partecipazione ma anche dall’apprezzamento per gli argomenti trattati. Non bisogna comunque trascurare i nostri stand allestiti in modo tale da dare il massimo comfort e per far trascorrere qualche ora in buona compagnia, davanti ad ottimi piatti!”.

 

 

                                                                                              Giuseppe Nativo

 

 

 

 

La Diocesi di Ragusa: “Chiesa fanciulla”

4 giornate di studio per il 50° anniversario della fondazione

 

 

“Tutto il territorio compreso nei confini dell’attuale provincia civile e appartenente alla giurisdizione ecclesiastica dell’Arcivescovo di Siracusa, cioè i sette paesi chiamati volgarmente Ragusa, Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Monterosso, S. Croce Camerina, Vittoria, con tutte le parrocchie ivi esistenti lo dismembriamo dalla Archidiocesi di Siracusa ed erigiamo in nuova diocesi da chiamarsi diocesi di Ragusa…” (Bolla di erezione della Diocesi di Ragusa, emessa da Pio XII, “Ad Dominicum Gregem”, 6 maggio 1950, Roma presso S. Pietro).

 

Un avvenimento di portata storica nel mondo cattolico. Oggi Ragusa proclamata Diocesi realizza l’ardente aspirazione di mezzo secolo. Insignito della nuova dignità episcopale l’Arcivescovo di Siracusa S. E. Ettore Baranzini: lo affianca come Vescovo Ausiliare Mons. Francesco Pennisi in esecuzione della Bolla pontificia affidata al Cardinale S. E. Ruffini. Interverrà alla solenne cerimonia il Presidente del governo regionale” (“La Sicilia”, sabato 9 settembre 1950, pag. 3).

 

La diocesi di Ragusa, che con bolla Apostolica “Ad Dominicum gregem”, (spedita) sotto piombatura il 6 maggio 1950, costituimmo, unimmo aeque principaliter alla Chiesa Metropolitana di Siracusa e rendemmo suffraganea alla medesima Sede, separiamo da quella stessa Sede e provvediamo di un proprio Vescovo, senza che risultino cambiati i confini di ciascuna Chiesa…

La città stessa di Ragusa sarà il capoluogo della diocesi di Ragusa ed ivi stabiliamo che si ponga la sede e il domicilio del Vescovo…” (Bolla di separazione della diocesi di Ragusa, “Quamquam est”, 1 ottobre 1955, Castelgandolfo - Roma).

 

Pio Vescovo, Servo dei Servi di Dio, al venerabile fratello Francesco Pennisi… ora eletto Vescovo di Ragusa, salute e apostolica benedizione. Attenti alle peculiarità dei tempi e dei luoghi alle quali si sono aggiunte anche le pressanti preghiere del clero e del popolo ragusano, mediante la nostra lettera apostolica “Quamquam est”, spedita oggi stesso sotto piombatura, abbiamo separato la diocesi di Ragusa dall’Archidiocesi di Siracusa, alla quale fino ad oggi è stata unita aeque principaliter…” (Bolla di nomina di S. E. mons. Francesco Pennisi a Vescovo di Ragusa, 1 ottobre 1955, Castelgandolfo - Roma).

 

Questi i punti cardine su cui è ruotato il 1° Convegno storico su “La Diocesi di Ragusa tra istituzione e rinnovamento conciliare”, tenutosi, dal 20 al 23 settembre, presso il Salone del Seminario. La Chiesa ragusana, per la prima volta, nella sua pur breve vita come diocesi autonoma, volge uno sguardo al passato incentrando l’attenzione sulla sua istituzione e sull’influsso del Concilio Vaticano II. L’importante iniziativa si inserisce nell’ambito dei festeggiamenti commemorativi di mezzo secolo di attività pastorale autonoma (1955 – 2005).

Quattro sessioni - le prime tre presso il salone vescovile e l’ultima presso la sala convegni della Provincia, con il patrocinio della Provincia Regionale, del Comune nonchè del Centro Servizi Amministrativi della città di Ragusa - hanno contraddistinto le relative giornate di studio. Nel corso dell’assise sono state affrontate tematiche specifiche e ad ampio raggio: le origini della Diocesi tra il contesto ecclesiale siracusano e quello ragusano (relatori: mons. Magnano, per la parte aretusea; Sac. prof. Pavone, per la parte iblea); sviluppo della Diocesi tra storia e microstoria (rel. prof. Lauretta); il Concilio in rapporto all’attività pastorale svolta da mons. Canzonieri e magistero episcopale di mons. Pennisi (relatori: mons. Battaglia e Sac. prof. Converso); il rinnovamento conciliare correlato alla conservazione dei Beni Culturali della Diocesi (rel. prof. Flaccavento).

Nella serata inaugurale i toccanti momenti della Lectio Magistralis - affidata alle cure del Sac. prof. Stabile (Facoltà Teologica di Sicilia), relativamente alla nascita della Diocesi rapportata al contesto ecclesiale siciliano e nazionale - sono stati preceduti dai saluti delle autorità civili cittadine appositamente intervenute per l’occasione.

Il Vescovo di Ragusa, S. E. mons. Paolo Urso, nel suo intervento introduttivo, ha richiamato l’attenzione sulla recente ordinazione sacerdotale di tre giovani il cui evento non è stato casuale. Con quella cerimonia, si è ritenuto opportuno iniziare a fare memoria dei cinquant’anni della Diocesi per dire con forza e con amore che la comunità cristiana vuole “mettersi al servizio”. Non solo quei tre giovani, ma tutta la Chiesa è chiamata a riscoprire l’onore e la bellezza del servizio da prestare a Dio e agli uomini. La Chiesa, ha detto il Concilio, “non è mossa da alcuna ambizione terrena; essa mira a questo solo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito”. Non vi è migliore occasione, ha sottolineato, della commemorazione di un anniversario ecclesiale per poter ritornare alle motivazioni della propria esistenza, riflettere e verificare il cammino già fatto, individuando i nuovi percorsi e seguirli con serenità e generosità. Rendere testimonianza alla verità, servire e non essere serviti costituiscono gli elementi essenziali della fedeltà della Chiesa al suo signore. E’ proprio in tale contesto che è necessario ripercorrere il cammino della Diocesi di Ragusa non solo per ricordare tali momenti ma anche per farli propri in una riflessione più ampia. Il Vescovo ha poi concluso il suo intervento ponendo l’accento sull’importanza di tale prezioso appuntamento, a cui hanno partecipato diversi relatori, auspicando che momenti di questo tipo, con la riflessione storica sulla Chiesa ragusana, possano ripetersi.

La presentazione del simposio è stata affidata al Sac. prof. Mario Pavone, che ha portato i suoi contributi nella vesti di relatore ma anche di referente organizzativo nonché coordinatore scientifico del Convegno. Padre Pavone ha argomentato sulla memoria specificando poi che si è scelto, per questo primo appuntamento, di focalizzare l’attenzione solo su una parte della storia della Diocesi, su quei momenti, cioè, che hanno contraddistinto l’istituzione e su quello conciliare, ovvero in un ambito temporale che va dal 1950 alla conclusione del Concilio (1965).

Quella della Diocesi di Ragusa è una storia abbastanza travagliata, non solo da un punto di vista ecclesiale. I sempre più crescenti e consistenti fermenti culturali, socio-economici e politici caratterizzano i primi cinquant’anni del secolo scorso contribuendo alla crescita della città, divenuta capoluogo di provincia nel 1926. La costituzione della nuova provincia rientra nell’aumento (da 72 a 96) di quelle in cui allora è divisa l’Italia. Tutto ciò comporta per la novella città capoluogo l’istituzione di adeguate strutture governative (Prefettura), ecclesiastiche (Seminario vescovile) ed una maggiore articolazione di quelle già esistenti. E’ la terra della cosiddetta “fascia trasformata”, in quanto la necessità di salvaguardare le piante dalle forti escursioni termiche dovute al clima, spinge gli imprenditori agricoli ad integrare le opere di irrigazione e canalizzazione con vaste e sempre più numerose serre, specie nella fascia costiera. Ragusa è anche il territorio in cui i cittadini si contraddistinguono tanto per l’alto senso civico quanto per quello religioso. Ciò può essere colto - ha precisato nella sua relazione il prof. Lauretta - attraverso la lettura di alcune centinaia di epistole che i soldati al fronte periodicamente spediscono sia alle proprie famiglie sia ai direttori spirituali: alle famiglie rassicuranti note, ai padri spirituali accorate lettere in cui la consapevolezza della morte, sempre in agguato durante le variegate azioni belliche, traspare in maniera forte e triste. Momenti di effervescenza economica creano la speranza per una città più industrializzata e consapevole nel ruolo produttivo dell’isola. Attraverso i documenti cartacei, custoditi presso l’Archivio Diocesano e l’Archivio di Stato di Ragusa, si possono ricostruire le varie fasi giuridico-istituzionali che, non scevre di lunghe argomentazioni e frapposte difficoltà, hanno apportato un valido contributo alla fondazione della Diocesi. Gli anni antecedenti al 1950 sono anch’essi anni di estenuanti dibattiti, prese di posizione ed interventi di autorità civili. A tale riguardo giova ricordare che si conservano, presso l’Archivio di Stato di Ragusa, due lettere che risalgono, rispettivamente, al 1932 e 1936. Si tratta di corrispondenza degli alti vertici istituzionali dell’epoca i quali sollecitano il Prefetto di Ragusa ad interessarsi presso il Governo ed anche presso la Santa Sede affinché a Ragusa possa essere eretta una Diocesi. Nel corso degli anni non mancano i ricorsi ed alterne vicende, compresi gli “attriti” fisiologici con la Diocesi di Siracusa.

L’erezione del Seminario, peraltro espressamente specificata al punto VI della Bolla Ad Dominicum Gregem del 6 maggio 1950, rappresenta un passo importante per la novella Diocesi. L’Arcivescovo, mons. Baranzini (I° Vescovo della Diocesi iblea), dopo circa sedici mesi dall’esecuzione della menzionata Bolla, l’8 settembre 1951, scrive al suo Ausiliare, mons. Pennisi, un’accorata epistola con cui gli affida il “delicato importante compito di porre le basi a dare inizio al nuovo Seminario che deve sorgere in Ragusa, allo scopo di portare un efficace contributo al maggior bene delle due Diocesi…”, confidando in una reciproca “cooperazione fattiva e amorosa”.

Un carteggio archivistico copioso, dunque, quello della Diocesi di Ragusa, da cui emerge un percorso sociale e religioso non privo di difficoltà ma che, con la buona volontà di tutti gli organismi interessati nel corso di quegli anni, raggiunge l’obiettivo ardentemente sperato ed incessantemente coltivato da tutta la comunità iblea.

La celebrazione della fausta ricorrenza, significando anzitutto l’impegno per l’ulteriore crescita del popolo di Dio nella fede e nella comunione ecclesiale, vuole essere anche occasione di un’attenta ricognizione tanto del patrimonio artistico quanto di quello teologico e pastorale ereditato dalle passate generazioni. E’ per queste intrinseche motivazioni che gli atti del I° Convegno storico avranno un esito a stampa entro tempi ragionevolmente brevi.

Ci vengono in mente le parole di Paolo VI che devono riecheggiare nel cuore di ognuno: “ricordare è rivivere!”.

 

 

 

Mostra documentaria

 

La sinergica ed instancabile cooperazione tra L’Archivio di Stato e l’Archivio Storico Diocesano di Ragusa è stato l’elemento di primaria importanza per l’ottima riuscita della mostra documentaria che ha caratterizzato la quarta sessione del I° Convegno storico sulla fondazione della Diocesi di Ragusa.

Attraverso l’esposizione di alcuni dei documenti rivenienti dalle due citate strutture è possibile intraprendere in maniera visibile e, per così dire, “tangibile” il cammino della novella Diocesi sin dai primi anni della sua istituzione.

Si tratta di un momento di rilevante importanza in quanto, attraverso il percorso espositivo di preziosi carteggi d’epoca, si possono cogliere ed apprezzare appieno gli aspetti storico-documentari della Diocesi Ragusa: dalla cartolina commemorativa realizzata in occasione della venuta di S. Em. il cardinale Ernesto Ruffini a Ragusa, il 9 settembre 1950 (fonte: Arch. Storico Dioc. Rg), al manifesto del programma dei festeggiamenti per il solenne ingresso ed insediamento di S. E. mons. Francesco Pennisi, 1955 (fonte: Arch. di Stato Rg, Fondo Prefettura, b. 2518).

La giornata inaugurale della mostra (allestita presso i locali dell’Archivio di Stato di Ragusa e visitabile fino all’8 ottobre, lunedì e sabato dalle ore 9 alle 12, martedì e venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 17) ha, pertanto, costituito la parte conclusiva del convegno in parola. L’iniziativa, sotto l’alto patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è stata preceduta, nella sala convegni della Provincia, da due brillanti, esaurienti ed interessanti relazioni presentate e curate rispettivamente dalla dott.ssa Anna Maria Iozzia, direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa, la quale ha discettato su “Momenti della Diocesi di Ragusa attraverso le carte dell’Archivio di Stato di Ragusa”, ed il dott. Giuseppe Antoci, responsabile dell’Archivio Storico Diocesano di Ragusa, che ha imperniato le sue argomentazioni relativamente a ”L’istituzione della Diocesi” attraverso i documenti del suo ufficio. Manifesti, ricorsi, telegrammi e lettere hanno consentito a risalire al dibattito che si è venuto a creare nei periodi antecedenti e successivi alla nascita della Diocesi e che ha visto coinvolti, accanto a personalità religiose, anche quelle civili.

Momenti di grande interesse, dunque, che hanno fatto ripercorrere alcune delle tappe storiche della fondazione, portando non poca emozione tra il pubblico presente in sala.

Viva soddisfazione è stata espressa dalla dott.ssa Iozzia che ha sottolineato come l’apporto fornito dai documenti ufficiali, alcuni dei quali provenienti dalla Prefettura, possa essere da stimolo per ulteriori verifiche e ricerche volte a fare più luce su determinati momenti chiave della fondazione della Diocesi. “Riguardo alla data (1955-2005)” - ha puntualizzato – “anche per l’Archivio di Stato di Ragusa quest’anno riveste grande rilevanza poiché ricorre il 50° anniversario della sua istituzione”.

Il dott. Antoci, al termine del suo intervento, ha precisato come il cammino religioso e sociale della Diocesi può essere colto non solo dalla documentazione cartacea ma anche attraverso interessanti e rare fotografie d’epoca che, a far tempo dal 30 di settembre, sono esposte all’interno del cortile del seminario.

Un percorso fotografico che fa rivivere gli aspetti delle celebrazioni di questi ultimi 50 anni.

 

L’intervista

 

 

Le tematiche affrontate nell’ambito del I° Convegno storico sulla fondazione ed istituzione della Diocesi di Ragusa hanno dato vita, nel corso di ogni giornata dedicata ad una specifica problematica, a numerosi spunti e riflessioni da parte degli autorevoli relatori. La portata dell’avvenimento ha fatto registrare la presenza di un pubblico sempre attento.

Per l’occasione è stato invitato a portare il suo contributo mons. Pasquale Magnano (Diocesi di Siracusa), già rettore del santuario Madonna delle Lacrime ed attuale responsabile dell’Archivio Storico Diocesano aretuseo, il quale ha discettato su “Le origini della Diocesi di Ragusa e il contesto ecclesiale siracusano” relativamente alle argomentazioni offerte dalla lettura dei documenti custoditi presso quella struttura archivistica.

Al termine dei lavori la Redazione ha intavolato una piacevole chiacchierata con mons. Magnano il quale ha rilasciato la seguente intervista.

 

-I° Convegno storico sulla Diocesi di Ragusa, tra istituzione e rinnovamento conciliare. Quali sono i suoi ricordi di quel momento?

In quel tempo, mi riferisco ai primi anni ’50 del Novecento, ero al secondo liceo. La notizia della costituenda Diocesi di Ragusa fu quasi improvvisa. Superati i primi momenti di curiosità, subentrò un piccolo senso di sgomento. La novità fu accolta con naturale gioia da parte di tutta la cittadinanza di Ragusa che finalmente vide attuare tutte quelle istanze e aspettative di autonomia rivenienti dalle accresciute esigenze spirituali e pastorali.

 

-Chiesa siracusana e Chiesa ragusana. Legami storici ed ecclesiali. Quali sono le affinità e le diversità?

Se dovessimo utilizzare dei termini che si usano in biologia diremmo che il DNA è unico, in quanto unica è la matrice che contraddistingue il legame di tutta la Comunità cristiana facente parte del territorio sud-orientale della nostra isola. Il substrato sociale, essendo fortemente correlato alle caratteristiche zonali, apporta sicuramente delle variabili che si riflettono nella diversa sensibilità d’animo che comunque va a confluire in un’unica prospettiva spirituale incrementata, nel caso di Ragusa, da una peculiare vitalità propria di una Chiesa ancora giovane.

 

 

 

 

La lirica di Carmela Sgarioto

 

 

Cos’è la poesia? Pura leziosità intellettuale o introspezione dell’animo…

Queste sono solo due risposte delle miriadi che possono essere fornite al quesito.

I versi sono costruiti artificiosamente o “esplodono” spontaneamente, come le fresche acque che sgorgano dirompenti dalla dura roccia, creando quel fascinoso arcobaleno i cui colori aprono i sensi ed il cuore in un abbraccio con la natura?

Come un vulcano in eruzione dalle cui viscere risalgono lava e lapilli infuocati, così la mente “sforna” sensazioni ed immagini dando forma e voce all’inesprimibile in una dimensione evocativa e suggestiva, talvolta di sapore angoscioso. Questi i sentimenti e le sensazioni che si provano leggendo le poesie della prof.ssa Carmela Sgarioto - ragusana, studiosa di tematiche socio-ambientali culturali – prima classificata nella sezione di “poesie in vernacolo” al recentissimo Premio Letterario Nazionale “Ninfa Camarina 2005” città di Vittoria con l’accorata “Na rrosa rrussa”.

La Sgarioto, con la sua lirica ricca di sentimento, ci fa tornare bambini ma con un animo da adulti. Fa rivivere situazioni ed aspetti della vita ormai dimenticati o non più di “moda”. E’ un universo “fatato” e, nello stesso tempo, “realistico” per la “cruda realtà” che la quotidianità della vita ci pone innanzi. E’ sufficiente una “rosa rossa” (“na rrosa russa”, per l’appunto) per condurre il lettore nella “sua” dimensione, nel “suo” sogno, che poi si rivelano patrimonio di “tutti” poiché sprigionano immagini, pensieri e sentimenti cui universalmente ci si sente legati, quasi “stregati”. In tale contesto la semplice rosa rossa diventa la metafora della vita. La rosa indica amore, genuinità ma anche un percorso amaro e difficile a causa delle numerose spine presenti sullo stelo che indicano il tortuoso cammino dell’esistenza umana. La rosa è un fiore “nobile” e si fa apprezzare perché vellutata e, in quanto tale, difficile da raccogliere tra “sdirrubbi e mmazzacani” (“dirupi e pietraie”). Ma una volta ottenuta, tutto sembra “n-zuonnu” (“un sogno”) tanto bello quanto vano ed irreale. L’amore con cui è donata la rosa varca però i confini spazio-temporali in quanto tale sentimento permane sempre nel nostro cuore anche quando essa appassisce e, “spamminata ntra li manu” (“sfiorita tra le mani”), ci riporta in mente il profumo e la presenza di chi ormai “n-zilenziu” (“in silenzio”) è uscito “ri sta vita”.

Un grazie, dunque, alla prof.ssa Carmela Sgarioto per averci regalato con la sua lirica un’inquietante “consapevolezza del vivere” che solo con l’arte poetica raggiunge la sua alta espressione nel rapporto fra i vari fattori simbolici, nell’immagine resa linguaggio, insomma in tutto ciò che non è esterno alla dimensione psichica, ma in essa trova collocazione e vive ogni evento-sentimento che si apre con una prospettiva profondissima toccando i veri nuclei della realtà.

 

 

Sole pallido a Ragusa: tutti con gli occhi all’insù

 

“…a.d. quintum idus Quinctiles caelo sereno interdiu oscurata lux est, cum luna sub orbis solem subisset…” (“il giorno 11 Quintile, a ciel sereno, la luce fu oscurata, perché la Luna era davanti al disco solare”), così scrive Tito Livio riguardo all’eclisse di Sole osservata a Roma il 14 marzo del 190 a. C..

Quanto tempo è passato. Eppure un’eclisse suscita ancora un fascino ed una suggestione non indifferenti. E’ quanto accaduto a Ragusa, lunedì 3 ottobre scorso. Nel corso della mattinata - in un arco di tempo che va dalle 9,56 alle 12,45 circa – il sole è stato caratterizzato da un luce un po’ diversa dalla solita. Il prezioso astro, che ha dato la vita sul pianeta Terra, d’incanto, è diventato pallido come nelle giornate invernali coperte da plumbee nuvole cariche di pioggia. Nulla di tutto ciò. Malgrado il cielo azzurro, navigato, di tanto in tanto, da trasparenti nubi, il sole ha presentato una notevole defaillance. La causa, in termini astronomici, è dovuta all’eclisse parziale di Sole che è stato possibile notare in tutto il territorio ibleo. In un’atmosfera surreale, resa più confusa dal rumore imperterrito del traffico urbano e resa più ovattata dal religioso silenzio di tutti i volatili, tutta la natura ha seguito con mesto e rispettoso silenzio l’evolversi dell’evento fisico. Ma che cos’è l’eclisse? Una eclisse di Sole, come nel caso in questione, si verifica quando la Luna si frappone tra il pianeta Terra ed il Sole coprendolo interamente o parzialmente per un determinato intervallo di tempo. Il fenomeno è possibile in quanto il disco lunare, visto dalla Terra, appare grande quanto quello del Sole. L’eclisse di Sole del 3 ottobre è stata del tipo “anulare” giacché il Sole, non essendo stato completamente oscurato dal disco lunare, ha presentato sempre una buona fetta o un “sottile” bordo non coperti. Il cono d’ombra che si viene a creare sulla Terra provoca, a seconda della latitudine e longitudine della diverse zone geografiche interessate, una visione più o meno accentuata dell’evento.

Numerosi gli astrofili di Ragusa e provincia che hanno seguito con le loro apparecchiature il fenomeno celeste, avvantaggiati dalle buone condizioni climatiche. Avvertenza importante in queste evenienze è quella di non guardare direttamente il Sole in eclissi, per non subire danni irreparabili agli occhi, ma attraverso dei vetrini bene affumicati, delle lenti molto scure da saldatore o anche degli spezzoni di pellicola. Un fenomeno spettacolare, dunque, sia per la sua rarità che per la sua visibilità nel pieno della mattina da tutta Italia (ma anche da una fascia più estesa che ha interessato Spagna, Sicilia, Algeria, Tunisia e Libia) e con le scuole da qualche giorno di nuovo aperte per il nuovo anno scolastico. Ciò ha rappresentato un’opportunità da non perdere, specialmente per alcuni studenti degli ultimi anni delle scuole secondarie superiori a cui si è prospettata un’esperienza didattica interessante.

Questa eclisse, essendo “parziale”, non può essere paragonata a quella “totale” verificatasi l’11 agosto 1999, sebbene i risultati visivi siano stati abbastanza apprezzabili poiché nella sua fase massima la Luna ha coperto il disco solare di una porzione variabile tra il 60% e l’80% circa (fonte: Unione Astrofili Italiani) a seconda della coordinate geografiche delle zone interessate.

Il prossimo appuntamento è fissato per il 29 marzo 2006 quando si verificherà l’eclisse totale di Sole. Fino ad allora alla mente dei sognatori riaffioreranno i versi dell’Ariosto: “…Nel cerchio de la luna a menar t’aggio, che dei pianeti a noi più prossima era, perché la medicina che può saggio rendere Orlando, là dentro si serra. Come la luna questa notte sia sopra noi giunta, ci porremo in via…” (“Orlando furioso”, Canto XXXIV, 67).

 

 

 

Mio caro Euro: “toccare, guardare, muovere”

 

 

E’ di recente attuazione la distribuzione, a cura della B.C.E. (Banca Centrale Europea) per il tramite delle primarie banche italiane, di un piccolo opuscolo, in unico foglio piegato in cinque parti, dal simpatico ed accattivante titolo “Toccare, guardare, muovere”. Tale pieghevole fornisce la descrizione delle caratteristiche di sicurezza delle banconote euro, unitamente a preziose e specifiche indicazioni utili per verificare se le stesse siano legittime.

Anche a Ragusa, da qualche settimana, è in distribuzione questo foglio illustrativo, che sta riscontrando il consenso, la curiosità e l’interesse di tutti i cittadini. Da sempre si è avvertita l’esigenza di conoscere almeno i punti essenziali che contraddistinguono le banconote “buone” da quelle “non buone”, cioè false. Vengono in mente le scene di quel film con il grande Totò che interpreta la parte del provetto falsificatore di banconote, a quell’epoca, grandi quasi come lenzuoli. Malgrado le dimensioni attuali della carta moneta e le più sofisticate tecniche di stampa , esiste sempre qualcuno che prova ad operare delle contraffazioni che possono essere smascherate, non di rado, anche senza l’ausilio di speciali apparecchiature.

Innanzi tutto è necessario sapere che alcune banconote, anche se a prima vista possono essere tacciate di “sospetta falsità”, sono sicuramente legittime. Infatti alcune proprietà delle stesse possono subire un deterioramento se maneggiate in modo non appropriato. Ad esempio, la carta di un biglietto accidentalmente lavato può falsare il responso se viene sottoposto all’analisi di specifiche rilevazioni. A tale scopo, per verificare l’autenticità di una qualsiasi banconota viene incontro il metodo che sfrutta le azioni indicate dalle tre parole chiave che hanno dato il titolo allo stesso opuscolo, ovvero “toccare, guardare, muovere”.

La prima operazione da fare è quella di toccare la banconota al fine di constatare quella particolare “sonorità” e consistenza della carta su cui possono essere percepiti, al tatto, gli elementi di rilievo. L’osservazione, invece, deve seguire diverse azioni. Oltre a quella classica di osservare in controluce la filigrana, si può appoggiare il biglietto su una superficie scura. L’autenticità è testimoniata dal fatto che le zone in chiaro risulteranno più scure. Il “guardare”, sempre in controluce, può essere rivolto a quei punti che, con riferimento sempre a quelle “buone”, sono definiti “microperforazioni” con cui è disegnato il simbolo dell’euro che si scorge nella striscia olografica. La terza ed ultima azione, cioè quella del “muovere”, consiste principalmente nell’azione combinata di “osservare + muovere”. Muovendo la banconota, si possono scorgere delle mutazioni dell’immagine rilevabile sulla striscia olografica. Essa è autentica se si osservano, su un campo iridescente ed alternativamente, le cifre indicanti il valore nonché il simbolo dell’euro.

Alla fine di tutte queste operazioni, che per brevità sono state sinteticamente riportate, malgrado ci si accorgerà di essere già affezionati a quella “nostra” piccola banconota, si dovrà dire addio alla stessa magari ricevendone altra di taglio diverso. E le operazioni di cui sopra ricominciano…!

 

 

 

 

Charles de Foucauld: instancabile lavoratore nella vigna del Signore

 

Le “Piccole sorelle di Gesù”, comunità di religiose in Vittoria, congiuntamente alla “Fraternità Charles de Foucauld”, associazione femminile di fedeli con impegno di celibato, di Ragusa, esprimono la loro gioia acclamando con umile fierezza e compiacenza che un nuovo fratello sarà acquisito, il 13 novembre prossimo, nella gloria dei cieli dove il suo nome sarà trascritto in modo indelebile. Si tratta di Charles de Foucauld che all’età di 58 anni, il 1° dicembre del 1916, termina la sua avventura pastorale terrena vissuta tra le sabbie di Tamanrasset, oasi del Sahara algerino, per iniziare un cammino che lo porterà agli onori degli altari.

Sedotto da Gesù di Nazaret e configurato al Signore fino alla morte assaporando l’esperienza della tenerezza di Dio. E’ questa in estrema sintesi il sofferto percorso intrapreso dall’eremita francese che per la gente del deserto è “il marabut cristiano”. Innamorato del Sahara, orfano e dopo un periodo giovanile dedicato ad una vita disordinata e dissoluta, desidera ardentemente diventare l’amico ed il fratello dei nomadi del deserto, degli uomini blu, i Tuareg. Ordinato sacerdote nel 1901, impara presto la loro lingua e cerca di penetrare nella loro cultura allo scopo di “gridare il Vangelo” per amare ancora di più quella gente. La spiritualità di quest’uomo non è una spiritualità di evasione, è invece l’itinerario di uno spirito che cerca di staccarsi dalla storia, in quei tempi (ma forse lo è ancora oggi?) agitata e lacerata da tutte quelle inquietudini provocate da tante ingiustizie. Non è l’assillo di convertire quel popolo che lo affligge ma quello di “pregare, lavorare e aspettare”, è l’ispirazione profonda di tutto quello che gli uomini compiono nelle più umili occupazioni giornaliere. “Desidera di andare sino in fondo nell’amore e nel dono, e di tirare tutte le conseguenze”, così scrive di lui l’abbè Huvelin, il sacerdote che l’ha fatto accostare per la prima volta all’Eucaristia, quando, nel 1901, Charles de Foucauld decide di “assaporare” la sabbia del Sahara. “La mia vocazione”, afferma di se stesso l’eremita-prete, “è di imitare in modo più perfetto possibile Nostro Signore nella sua vita nascosta a Nazaret...”, aggiungendo, con fermo convincimento, “…sarò in mezzo a difficoltà di ogni genere, portando la croce di Gesù e condividendo la sua povertà”. Il giorno della sua tragica morte, nel testo della lettera inviata alla cugina Maria de Bondy, egli riprende la frase a cui spesso si rifà Giovanni della Croce: “Nel momento del più completo annientamento il Signore Gesù ha salvato il mondo”. Tale messaggio, sebbene intriso di mesta tristezza, esplode dirompente nel suo più alto significato, in cui traspare l’alta sensibilità spirituale di frère Charles, quando scrive: “Quando il chicco di grano che cade in terra non muore, rimane solo; se muore, porta molti frutti… Io non sono morto, per questo sono solo… Pregate per la mia conversione affinché, morendo, porti frutto…” (Lett. a Suzanne Perret, 15.12.1904). Quando prematuramente e tragicamente raggiunge la Casa del Padre, nel dicembre del 1916, in Europa infuria la guerra. Anche tra le dorate sabbie del deserto le potenze coloniali aprono le loro macabre danze belliche. Sulle dune del Sahara tanto sangue innocente è versato. Si aggiunge anche quello di Charles de Foucauld che, come un chicco di grano nel cuore del deserto, riesce a far germogliare e fiorire una grande famiglia spirituale dai tanti rami ancora oggi espressione dell’ “amore a Gesù e della scelta preferenziale dei poveri”.

Non tarda molto il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa che riconosce le sue virtù a quasi novanta anni dal termine del suo pellegrinaggio terreno. E’ un nuovo fratello celeste a cui dobbiamo rivolgere lo sguardo dell’anima come esempio di umiltà. Lo studio della santità vissuta porta alla scoperta delle manifestazioni umane più alte e caratteristiche e perciò degne di attenzione. Tale studio mette in evidenza un unico principio di perfezione, cioè la grazia che può essere a tutti comune. Infatti tutti siamo chiamati da Dio alla salvezza. Per essere Santi, dice S. Paolo, è necessario “essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rom. 8, 29). Ci vengono in mente le parole di Paolo VI quando, all’udienza generale del 16/3/1966, pone questa riflessione: “…voi domanderete che cosa è questa santità? Figliuoli carissimi, la risposta è piuttosto difficile ma voi forse la capite subito. Occorrono due cose per fare la santità: la grazia di Dio e la buona volontà. Avete voi queste due cose? Sì? Allora siete santi!”.

 

 

 

La misura oraria negli Iblei

 

…vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede…”, così il sommo poeta nella sua Divina Commedia (Purg., IV, 9) dipinge in maniera netta e significativa l’inesorabile trascorrere del tempo, di cui l’uomo, sin da epoca remota, ha sentito il bisogno di coglierne il senso ma soprattutto di quantificarne il ritmo.

Gli orologi o quadranti solari rappresentano i più antichi strumenti di astronomia, di cui si abbiano tracce documentate, che indicano lo scorrere delle ore del giorno. In generale, si basano su un principio abbastanza semplice che tiene conto della regolare (anche se apparente) variabilità della posizione del Sole sulla volta celeste e, con essa, la forma nonché le dimensioni dell’ombra che qualsiasi corpo proietta su un piano. Un’asta conficcata nel terreno o su una base di pietra può quindi funzionare da indice di una scala temporale. Questo il tema centrale affrontato nel corso della conferenza dal titolo “Alla scoperta della misura oraria”, recentemente tenutasi presso la sala biblioteca dell’Istituto Scolastico “P. Vetri” di Ragusa, inserita nell’ambito del progetto didattico avente per oggetto “Il tour del tempo”. La puntuale, brillante ed esaustiva relazione è stata affidata al prof. Giovanni Bellina, insegnante, da diversi lustri appassionato ed accanito ricercatore di quella disciplina scientifica – che riunisce scienza ed arte - detta “gnomonica”, ovvero studioso di un ampio settore che riguarda la tecnica costruttiva degli orologi solari o meridiane e loro applicazione geografica in relazione a tematiche fortemente correlate all’astronomia. Nella qualità di responsabile regionale del censimento dei quadranti solari della Sicilia, il prof. Bellina è autore del volume – pubblicato dal Circolo Didattico “Paolo Vetri” di Ragusa con il contributo della Regione Siciliana e della Provincia Regionale di Ragusa – “Su alcune misure di tempo degli iblei”, in cui, tra l’altro, sono descritti in dettaglio alcuni dei più importanti esemplari di orologi solari esistenti nella Sicilia sud-orientale, con particolare attenzione a quelli del territorio afferente al capoluogo ibleo.

Gli orologi solari spesso vengono indifferentemente chiamati meridiane ma, in realtà, queste ultime indicano specificatamente il cosiddetto “mezzogiorno solare locale”, ossia quando il Sole si trova esattamente sul meridiano solare del luogo considerato. La caratteristica di questi strumenti che misurano il tempo è che la lancetta delle ore è rappresentata dall’ombra formata dall’asta metallica denominata stilo o gnomone (dal greco gnomon che significa indice, indicatore). Nel medioevo la gnomonica viene recuperata grazie agli astronomi arabi i quali per primi applicano a questa scienza le nozioni relative alla matematica trigonometrica. Tra i vari tipi di orologi solari (orizzontali, verticali, etc.) quelli più in uso sono del tipo verticale che si vedono tracciati sulle pareti esposte a meridione di molti edifici – a Ragusa solo in edifici di culto, quale ad esempio la Chiesa di San Giovanni Battista che presenta una meridiana esposta “ad orientem” – e con stilo polare cioè inclinato, rispetto alla parete, di un angolo la cui ampiezza è strettamente collegata alla posizione geografica in cui è collocata il quadrante solare. Questi strumenti sono altresì completati da motti ed abbellimenti artistici di libera fantasia e creatività dell’autore, quali: “così va il tempo e così la vita: a noi mortali il sole l’addita”; “l’uomo misura il tempo e il tempo misura l’uomo”, etc.

Le ore segnate dai quadranti solari possono essere di vario tipo in base ai sistemi orari utilizzati per realizzarli. Molti di questi sistemi, da tempo in disuso, sono stati impiegati nelle varie epoche dai vari popoli come strumento indicatore per distinguere il giorno (le ore di luce) dalla notte (le tenebre) e dividendo ciascuno di questi due periodi disuguali (a seconda delle stagioni) in 12 ore. Il sistema di computazione “italico”, che rimane in vigore in Italia dal Medioevo al Settecento per scomparire definitivamente solo nella prima metà del XIX secolo, ad esempio, divide il giorno in 24 ore uguali facendolo iniziare e finire al tramonto del Sole; mentre il sistema “babilonese”, sebbene identico a quello “italico”, fa iniziare e finire la giornata al sorgere del Sole.

Rimane comunque una certezza: qualunque sia il sistema di computazione del tempo è pur vero che “…la vita fugge e non s’arresta un’ora…” (F. Petrarca).

 

 

 

Le “Cromie di stagione” al Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa

 

Colori, pensieri, emozioni e stati d’animo. Questi gli ingredienti che caratterizzano le opere del Maestro Salvatore Fratantonio, esposte presso i locali del Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa dal 22 ottobre al 18 novembre (lunedì – venerdì dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19).

Operazione tipografica di notevole spessore artistico si è rivelata quella riguardante l’inserimento di alcune stampe tratte dalle opere di Fratantonio nel calendario 2006 battezzato “Cromie di stagione”. Il calendario, presentato alla presenza di un folto ed attento pubblico, presso la sala convegni del Centro Studi “F. Rossitto”, è stato realizzato grazie alla sinergia nata tra l’artista e le Industrie Grafiche Editoriali Cannizzaro di Modica.

L’accoglienza delle opere di Fratantonio è stata affidata al Presidente del Centro, On. Giorgio Chessari, il quale ha evidenziato come l’impegno profuso dall’artista nel corso di un trentennio di attività possa costituire un’ottima base cognitiva per penetrarne valori, significati, evoluzione e revisioni delle sue opere. Ai saluti dell’Editore è seguito un interessante commento pittorico-artistico la cui discettazione è stata curata dal critico d’arte prof. Andrea Guastella. “L’artista non ci trasmette il visibile, ma il suo compito è quello di proporre l’invisibile che rende visibile con le sue opere”, questo l’incipit del puntuale excursus critico del prof. Guastella. “Insegnare a guardare” è l’effetto che Fratantonio intende suscitare nel suo pubblico. Nato in questa assolata terra di Sicilia, figlio degli iblei, Fratantonio inizia giovanissimo ad appassionarsi alla pittura. Il desiderio di raggiungere orizzonti più ampi lo spinge a prendere contatti con ambienti lontani: Roma come prima meta, Milano in tempi successivi. In entrambe le città studia ed approfondisce le correnti dell’arte contemporanea nonché i movimenti che l’hanno preceduta. Sostanzialmente autodidatta, elabora una propria tecnica sulla quale è innervata la sua attuale originalità espressiva. Quest’ultima è incentrata sui paesaggi su cui si contrappone la sua palese resistenza a disegnare il volto umano. “L’autore” – come specifica il prof. Guastella – “rifugge coerentemente dal ritratto per tenersi a distanza da un materiale avvertito come troppo individuale, troppo umano”. E’ attraverso due alberi avvinghiati (“In un abbraccio”, olio, 2004), una banchina sul mare (“Timore sul Mediterraneo”, olio, 2003), un “Arenile” (olio, 2000), i rami frondosi e spezzati di un carrubo (“Frattura”, olio, 2004), che si intravede in maniera delicata, ma tangibile, la traccia di una memoria personale: memoria dei luoghi dell’infanzia, della terra natia, dell’esperienze lavorative espletate, nel corso della sua attività, fuori Sicilia. I colori della sua pittura a volte tenuti, a volte caldi contraddistinguono quei paesaggi studiati con meticolosa pazienza che ci introducono in un’avventura “del ricordo e nel ricordo”. Dipingere per Fratantonio equivale a scavare nella memoria, a ripercorrere un’avventura interiore, fonte primaria della sua immaginazione. Nella sua spontaneità espressiva campeggia, in maniera preponderante, l’icona dell’albero, del carrubo in particolare, chiamata a svolgere la sua valenza di legame simbolico tra la terra e il cielo. Gli alberi di Fratantonio non sono solo dei quadri, ma rappresentano la “memoria del proprio ciclo di vita diventata immagine”.

 

Giuseppe Nativo

 

 

NOVEMBRE 2005

 

 

Lezione di gnomonica con visita guidata a Modica

 

L’uomo misura il tempo e il tempo misura l’uomo”, così recita uno dei tanti motti trascritti sui quadranti solari altrimenti detti meridiane. E’ proprio su questi arcaici strumenti di misurazione del tempo che si è incentrata la relazione dal titolo “Alla scoperta della misura oraria”, recentemente tenutasi presso la sala biblioteca dell’Istituto Scolastico “P. Vetri” di Ragusa, inserita nell’ambito del progetto didattico avente per oggetto “Il tour del tempo”. La discettazione di tale interessante tematica è stata affidata al prof. Giovanni Bellina, da diversi lustri accanito ricercatore di quella disciplina scientifica – che riunisce scienza ed arte - detta “gnomonica”, ovvero studioso di quell’ampio settore che riguarda la tecnica costruttiva degli orologi solari o meridiane e loro applicazione geografica tenendo conto di cognizioni fortemente correlate all’astronomia.

Gli orologi o quadranti solari rappresentano i più antichi strumenti di astronomia, di cui si abbiano tracce documentate, che indicano lo scorrere delle ore del giorno. In generale, si basano su un principio abbastanza semplice che tiene conto della regolare (anche se apparente) variabilità della posizione del Sole sulla volta celeste e, con essa, la forma nonché le dimensioni dell’ombra che qualsiasi corpo proietta su un piano. Un’asta metallica, denominata stilo o gnomone (dal greco gnomon che significa indice, indicatore), conficcata nel terreno o su una base di pietra può quindi funzionare da indicatore di una scala temporale attraverso cui poter misurare l’inesorabile trascorrere del tempo. Nella qualità di responsabile regionale del censimento dei quadranti solari della Sicilia, il prof. Bellina è autore del volume – pubblicato dal Circolo Didattico “Paolo Vetri” di Ragusa con il contributo della Regione Siciliana e della Provincia Regionale di Ragusa – “Su alcune misure di tempo degli iblei”, in cui, tra l’altro, sono descritti in dettaglio alcuni dei più importanti esemplari di orologi solari esistenti nella Sicilia sud-orientale, con particolare attenzione a quelli del territorio ibleo.

Gli orologi solari spesso vengono indifferentemente chiamati meridiane ma, in realtà, queste ultime indicano specificatamente il cosiddetto “mezzogiorno solare locale”, ossia quando il Sole si trova esattamente sul meridiano solare del luogo considerato.

Nel medioevo la gnomonica viene recuperata grazie agli astronomi arabi i quali per primi applicano a questa scienza le nozioni relative alla matematica trigonometrica. Le ore segnate dai quadranti solari possono essere di vario tipo in base ai sistemi orari utilizzati per realizzarli. Molti di questi sistemi, da tempo in disuso, sono stati impiegati nelle varie epoche dai vari popoli come strumento indicatore per distinguere il giorno (le ore di luce) dalla notte (le tenebre) e dividendo ciascuno di questi due periodi (disuguali a seconda delle stagioni) in 12 ore. Il sistema di computazione “italico”, che rimane in vigore in Italia dal Medioevo al Settecento per scomparire definitivamente solo nella prima metà del XIX secolo, ad esempio, divide il giorno in 24 ore uguali facendolo iniziare e finire al tramonto del Sole; mentre il sistema “babilonese”, sebbene identico a quello “italico”, fa iniziare e finire la giornata al sorgere del Sole.

Tra i vari tipi di orologi solari (orizzontali, verticali, etc.) quelli più in uso sono del tipo verticale che si vedono tracciati sulle pareti di diversi edifici nobiliari e di culto di Modica. E’ proprio in questa città barocca, dall’antico sapore medievale, che il prof. Bellina ha organizzato una visita guidata per poter “assaggiare” visivamente la fattura di alcuni orologi solari e meccanici. Tra tutti spiccano gli orologi solari delle “Case Grimaldi”, una delle grandi famiglie storiche modicane, i cui componenti si adoperarono molto per dotare i propri palazzi di numerosi orologi solari. Non si posseggono documenti dettagliati riguardo al periodo e agli artefici di siffatte strumentazioni, ma si può ragionevolmente ipotizzare che costruttori ne furono Enrico Grimaldi, il figlio Giovan Pietro (1860 – 1918) – che all’epoca rappresentò una delle punte della cultura modicana – nonché l’altro figlio, Clemente (1862 – 1915), pioniere dell’elettrificazione della città di Modica. Nella biblioteca della famiglia, ma anche in loro carteggi conservati presso l’Archivio di Stato, si trovano notizie riguardanti orologi solari e meccanici con annotazione a margine. Cosa abbastanza curiosa è che nelle abitazioni della famiglia Grimaldi si contano ben 14 orologi solari!

 

 

 

 

La scrittrice Beatrice Monroy incontra i ragusani

 

La polvere si solleva a spruzzi come onde di un mare agitato che sbattono sugli scogli. Il vento fa svolazzare gli abiti, mentre gli scialli delle donne ed i loro grembiuli si attorcigliano sotto l’impeto del soffio che volteggia cingendo in una vorticosa danza le loro sagome. C’è gente che, con gli occhi rivolti verso l’infinito, verso un perché senza risposta, cade, in silenzio, colpita da mille proiettili, senza alzarsi più. Altri cercano di scappare. Urla, imprecazioni. Grida senza suono. Nello spazio di un miserere si sparge quel pizzicante odore di polvere da sparo. Tutto dura un paio di secolari minuti. Alla fine, un silenzio gravido di paura piomba sulla piccola vallata. In lontananza il fiume, testimone silenzioso, riprende a far udire il suo scroscio, il suo fluire liquido e leggero, mentre le due alture gialle di ginestre emergono tra la polvere come angeli custodi che proiettano sulla piana la loro silente ombra scura in su calar del sole. Così si consuma l’eccidio di Portella delle Ginestra, il 1° maggio 1947, prima strage dell’Italia repubblicana.

Storie, brandelli di storie. Frammenti di voci e di volti, ritratti di donne, uomini, bambini, fiori e piante di Sicilia. Sentimenti umani che cozzano scontrandosi con la cruda realtà. Lotta di poteri nel potere. I perché dolorosi della storia di gente comune. Questo il cocktail esplosivo proposto dalla verve artistico-narrativa della scrittrice palermitana Beatrice Monroy, invitata a Ragusa per un’operazione culturale tenuta a battesimo, il 28 ottobre scorso, dal Teatro Club “Salvy D’Albergo” in sinergica cooperazione con la Biblioteca “A. Manzoni” di Ragusa. La brillante iniziativa, tenutasi presso il rinnovato auditorium della Camera di Commercio, prende spunto dall’ultima fatica letteraria della Monroy dal titolo “Portella della Ginestra - indice dei nomi proibiti”.

L’appuntamento ha avuto delle connotazioni al di fuori dei canoni tradizionali in quanto nella mise en scéne dell’opera della Monroy è stato previsto un innesto con voce recitante e musica. Le coreografie, di grande effetto, sono state curate dal gruppo teatro danza “Ludens” della prof.ssa Claudia Gafà che, con grazia ed abile perizia, ha introdotto la tematica della serata attirando non poca attenzione del folto ed attento pubblico intervenuto.

Promotrice ed organizzatrice dell’intera manifestazione è stata la prof.ssa Rosanna Bocchieri, attenta operatrice culturale del comparto narrativo e teatrale, già direttore artistico di brillanti iniziative.

Raccontare la triste vicenda, occorsa quasi sessanta anni fa, di Portella della Ginestra – attraverso l’ausilio della voce recitante della bravissima Federica Bisegna, coadiuvata da Maurizio Burzillà alla fisarmonica – si è rivelato compito assai arduo in quanto ha richiesto non poche riflessioni su quei fatti di cui la Monroy si è fatta portavoce ed interprete attraverso la sua narrazione, ha puntualizzato il dott. Carmelo Arezzo, Presidente del Teatro Club, nel corso della sua riflessione finale. “Il mio sogno è di scrivere una sorta di epopea del popolo siciliano a partire dai suoi sogni, dai suoi desideri e speranze. Un’epopea che dà forza ad un progetto di terra libera dai poteri che ci asserviscono. Per questo mi sento più vicina a storie siciliane: è mia convinzione che la nostra storia venga continuamente deformata e adattata ad esigenze di potere. Vorrei provare a dare voce ai silenzi, permettendo a tutti i racconti sommersi, alle voci troppo deboli di raccontare il proprio percorso e le magie dell’Isola”, questa l’accorata introduzione della Monroy. Si tratta di un’opera che ci racconta l’infanzia, la morte e la natura, nella sua semplice bellezza, violate dalla violenza. “E’ stata impresa non facile” – ha precisato la prof.ssa Gafà, raggiunta nella postazione di regia – “in quanto la storia di quelle vicende implica dei riferimenti storici e di pensiero la cui trasposizione in danza necessita anche di un’intima partecipazione dei ballerini”. E’ stato proprio nella gestualità della danza - a volte semplice, a volte violenta, altre ritmata o interrotta di scatto come se tutto fosse rivisto in moviola - che il testo narrativo della Monroy ha preso una consistenza quasi reale sublimata nella voce recitante della Bisegna quando, in maniera quasi ossessiva e martellante, ha iniziato a contare le numerose vittime di quella triste giornata, chiamandole ad una ad una per nome, la cui memoria è ancora scolpita, in maniera indelebile, in quel luogo divenuto “luogo della storia”; luogo senza tempo in cui, nelle giornate di vento, si odono ancora quelle grida di gente innocente. Forse è il loro sangue senza macchia che chiede la verità, quella verità che non ha tempo, “un dolore inspiegabile ancora, un dolore che solo la memoria non è capace di lavare”.

 

 

La “Divina Commedia” al Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa

 

Nell’ambito delle iniziative culturali promosse dal Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa, una, in particolare, sta riscuotendo grande interesse letterario correlato a risvolti storici, sociologici, politici e filologici. Si tratta della rilettura di alcuni tra i canti più noti e più significativi della “Divina Commedia” nel corso di quattro serate, ciascuna a cadenza settimanale. Promotore di tali interessanti incontri è stato il “Teatro Utopia” - nella persona di Giorgio Sparacino, già da anni impegnato nel comparto teatrale - che, in sinergia con il Centro Studi “F. Rossitto”, ha coinvolto un numeroso ed attento pubblico presso la sala convegni dello stesso Centro. La voce di Giorgio Sparacino unitamente alla guida all’ascolto rappresentata dai puntuali e preziosi commenti del prof. Giovanni Occhipinti hanno dato la possibilità di assaporare non solo l’intramontabile lirica dantesca, ma di riflettere sulla straordinaria attualità della parola del sommo Poeta, di rivivere sentimenti ed emozioni che si proiettano sullo schermo dell’animo di ciascun lettore attraverso gli episodi e i personaggi descritti nella sua Opera. “Portare Dante Alighieri tra il pubblico è una iniziativa coraggiosa del Centro Studi F. Rossitto e assolutamente nuova a Ragusa”, ha così puntualizzato il prof. Occhipinti nel corso della sua relazione introduttiva che ha fatto da prologo alle quattro serate dantesche dal titolo “Sparacino legge Dante”. E’ proprio la voce di Giorgio Sparacino che, con le sue molteplici sfumature timbriche e vocali, attraverso quelle sapienti pause e la puntigliosa assimilazione metrica dell’endecasillabo, ha saputo tradurre quelle particolari atmosfere con cui il sommo Poeta ha voluto far emergere pensieri, turbamenti ed emozioni proprie di un’epoca tanto lontana nel tempo quanto vicina per le delicate e cogenti problematiche socio-politiche del nostro tempo.

Una cospicua presenza di simboli si snoda da un capo all’altro della Divina Commedia, sin dal momento in cui, nella “selva oscura”, il Poeta si imbatte nelle tre belve che rappresentano lo smarrimento spirituale di Dante o, se si vuole, dell’umanità. L’intera Opera può essere letta anche in chiave allegorica. E’ l’umanità che, con mille difficoltà, percorre quel tortuoso sentiero verso la beatitudine. Versi costruiti con sapiente perizia allo scopo di fornire una ricchezza di immagini che traggono origine dalla vocazione educativa e divulgativa del Poeta. Dante, uomo del Medioevo, si avvale di simboli più o meno velati per rendere più accessibili al lettore del suo tempo i concetti astratti di giustizia, pace e redenzione. Così, alla selva oscura si contrappone l’altra foresta, quella del Paradiso Terrestre, che si trova in cima al monte dell’espiazione.

Dante è tutto nella Commedia, definita “Divina” dal Boccaccio. Dante è la Commedia. E’ in quest’opera che si riversa il suo genio, da collocarsi accanto alle massime affermazioni dello spirito umano. Ogni generazione che viene è destinata a fare i conti con la lirica di Dante, a sentirne la presenza vigorosa non solo da un punto di vista letterario ma anche su quello morale. “Ancora oggi il suo libro è a volte nel povero fagotto dell’emigrante, come un documento di nobiltà. E nelle ore gravi della sua storia, l’Italia sempre ha ricercato e ritrovato il suo Poeta”.

 

 

“Lu scavittu” a Ragusa

 

Sulla parte alta della città, dove fino a pochi decenni or sono si poteva osservare una campagna desolata e periferica il cui silenzio era talora interrotto dai belati di sparuti ovini, ora sono allogate numerose strutture edilizie in cui svolgono la loro attività diversi operatori commerciali. Tra questi, si distingue per il suo prospetto ma anche per il suo contenuto la “Nuova Libreria Iblea” (ex “Libreria Ecumenica”). Opuscoli, volumi, libri di ogni sorta cercano di arginare quel fiume di inchiostro che trapela da tutto quel cospicuo quantitativo di carta stampata. Una libreria come le altre, forse, ma che, togliendo qua e là qualche libro e spostando due o tre scaffali espositivi, si trasforma in una sala convegni di tutto rispetto. Larga quanto basta, dall’area familiare ma, nel contempo, austera da “caffè letterario”, è possibile gustare quell’atmosfera di circolo culturale d’altri tempi. In tale angolo, in tal guisa ricreato, si svolgono, di tanto in tanto, cenacoli di letterati e filosofi.

Recentemente si è avuto modo di “gustare”la presentazione del libro di Filippo Marotta Rizzo dal titolo “Lu scavittu e altre novelle”, esitato a stampa per i tipi della Casa Editrice Maimone. L’autore, messinese, “innamorato” delle bellezze architettoniche iblee e “povero bancario” come ama definirsi, da oltre quattro lustri è impegnato nel campo letterario con particolare predilezione per la poesia e la narrazione di novelle mantenendo, a volte in maniera “velata”, altre in maniera “spudorata”, quel “linguaggio dialettale” che si avvicina molto a quello dei nostri nonni e, per tale motivo, caro a tutti. La relazione introduttiva della serata è stata affidata allo storico ragusano Avv. Francesco Garofalo, di cui si ricorda, tra le molteplici pubblicazioni, la “Storia illustrata” (per le Edizioni Mondadori), socio fondatore della “Società ragusana di Storia Patria” a cui collabora con pregevoli saggi sulla rivista “Archivio Storico Ibleo”.

Nei XII capitoli in cui è suddivisa la narrazione di altrettante novelle, l’autore mostra tutte le sfaccettature della società siciliana nel suo difficile passaggio al mondo moderno. I personaggi e le vicende ad essi intrecciate richiamano alla memoria un’isola in cui i cambiamenti politici non impediscono il permanere degli elementi tipici del mondo siciliano pre-risorgimentale, cui l’anima dell’autore sembra strettamente legata. E’ la Sicilia di sempre. E’ la storia quotidiana di ognuno di noi, dei nostri avi. E’ la Sicilia dei “Don”, dei “Sabbinirica Baruneddu”, dei “notabili” e dei “nobil uomini”. Ma è anche la Sicilia della gente comune, contadini e “iurnatari”, che contribuisce ogni giorno ad incrementare quella micro-storia che superficialmente può apparire insignificante ma che in realtà è gravida di quotidiane privazioni, di sofferenze, di sopportazione alle soverchierie dei ricchi. Due mondi, forse, che sembrano camminare su binari paralleli ma che convergono in unico ideale rappresentato da dignità, fierezza ed amor patrio. “Lu scavittu” è colui che scava “ntra la terra, ntra li rutti” alla ricerca di un tesoro nascosto che non può trovare mai. E’ la metafora della vita. Grandi sforzi, enormi sacrifici per cercare di emergere dagli stenti quotidiani senza però riuscirvi. Affreschi di vita ottocentesca, spaccati di vita, tracce di memorie in parte dimenticate e legate alle terre del Valdemone, ma che con la loro genuina ed ingenua freschezza ben si addicono anche agli usi della Val di Noto. A tale riguardo emblematico risulta il lamento-preghiera del pescatore che intona al cielo: “cu la varca vaiu pri mari, mi susu quannu ancora c’è scuru, tuttu u iornu m’ammazzu a piscari, pri un pezzu di pani duru”, la cui lettura lenta dei versi dà la misura di quanta tristezza è intriso il cuore di un lavoratore che quotidianamente si misura con l’incommensurabile ed imprevedibile forza del mare che è, nel contempo, unico elemento a cui aggrapparsi per il sostentamento dei propri familiari. Dalle pagine di Marotta Rizzo si erge, quasi gigantesca, la figura della donna del pescatore che attende con ansia il ritorno del suo uomo. Dinanzi ai figliuoli finge una serena tranquillità, ma in cuor suo versa già lacrime disperate per il mancato ritorno del padre dei suoi bimbi. Quando la conferma della tragedia non offre più quella speranza tanto ardentemente invocata, “accetta il divenire degli eventi” con quello stato d’animo che richiama i personaggi verghiani. In quella donna, però, si trova un cuore ed un affetto oltremodo grande per i suoi tre piccoli. E’ un cuore di mamma, di ogni mamma che malgrado le intemperie della vita volge i suoi grandi occhi lucidi al cielo per intonare un’accorata preghiera, mentre affettuosamente e delicatamente accarezza “u cacaniru”, il figlio più piccolo di appena tre anni: “Iò mi curcu nta stu lettu / cu Maria supra lu pettu, / iò dormu e idda vigghia, / si c’è cosa m’arrisvigghia”.

 

 

 

 

 

Quegli “SpaziAntichi” al Castello di Donnafugata

 

Il Castello di Donnafugata - immerso fra i carrubi e circondato da un immenso parco, arricchito da belle sculture, che ricordano motivi del bestiario romanico, alternate a figure femminili – conserva ancora nicchie, spazi antichi dove si sentono ancora, nelle giornate di vento, rumori ovattati di zoccoli e di eteree presenze di un tempo che fu. In questa splendida cornice architettonica ed agreste, anche quest’anno si è rinnovato l’appuntamento con l’antiquariato.

Oltre 25 gli espositori, di cui 14 siciliani e 5 del territorio afferente alla provincia di Ragusa; oltre a quelli provenienti da L’Aquila, Frosinone, Fiuggi, Roma e Viterbo. Diverse centinaia di visitatori hanno riempito le sale espositive del maniero durante le 4 giornate (dall’11 al 14 novembre) dedicate all’appuntamento annuale della mostra mercato dell’antiquariato dall’affascinante titolo “SpaziAntichi”.

L’evento, giunto alla seconda edizione, propone l’esposizione di oggetti di notevole eleganza e valore artistico che richiamano linee e colori di mobili dei secoli scorsi. Suppellettili, quadri, argenti, pianoforti richiamano l’attenzione del grande pubblico ma anche degli intenditori del settore. “SpaziAntichi”, in un connubio tra antiquariato e barocco, si intreccia perfettamente con l’impaginazione architettonica del Castello di Donnafugata.

Fra la moltitudine di oggetti rari esposti, si segnalano consolle in legno, tavoli in noce, una stupenda specchiera e cassettoni in stile Luigi XIV siciliani. L’arte del mobile riesce a farsi apprezzare richiamando talora quelle forme di “classicismo barocco” proprie dei primi decenni del XVIII secolo caratterizzate da un singolare miscuglio di decoro e grandiosità, nonché di rigore formale e di sfoggio di pompa e fasto. Non mancano mobili in stile “impero”, con la loro austerità ed eleganza. Lo stile “impero”, così come ogni altra espressione umana dalla musica alla letteratura, dall'arte alle ideologie di quel tempo, affonda le sue radici nelle vicende storiche e politiche dei primi anni del XIX secolo (periodo caratterizzato dall'incoronazione di Napoleone imperatore fino alla caduta del suo regno). La mobilia italiana del primo Ottocento, presenta uno sviluppo stilistico che corre, per così dire, lungo due binari paralleli. Il primo riecheggia direttamente il gusto Impero imposto da Parigi, mentre il secondo, più originale, anche se non di altissimo livello, elabora i modelli francesi secondo le tradizioni locali. Il mobile “impero” obbedisce ad un rigoroso senso della misura e severità di forme. E’ solido ma non opprimente, proporzionato e mai volgare con carattere sempre aristocratico. Di particolare interesse si riscontrano i mobili in stile “liberty” tipici del tardo ‘800. Si tratta di mobilia che nasce da una nuova tendenza estetica volta alla creazione di oggetti semplici e funzionali, in rapporto tra funzione ed estetica, la cui originalità è strettamente legata ad un'accurata esecuzione tecnica. Gli arredi sono leggeri, le linee tendenzialmente curve. L’uso di vetri e di incrostazioni metalliche, di madreperla e avorio costituisce una tecnica decorativa tratta dal mondo vegetale: fiori e foglie spesso desunti dall'iconografia orientaleggiante. All’appuntamento espositivo non sono mancate le “Porcellane Florio”, risalenti a fine ‘800 primi del ‘900: piatti in porcellana tenera prodotta dall'antica fabbrica Siciliana e provvisti di una bella decorazione floreale. E ancora candelieri, applique d’ottone e incensieri risalenti al secolo XVII, tutti rivenienti dalla collezione palermitana di “Moda della Nonna”.

Insomma, un vasto panorama di oggetti d’antiquariato e di collezionismo che ripropongono quanto di bello, raffinato e particolare fu creato ieri.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

DICEMBRE 2005

 

 

La Fiamma Olimpica passa da Ragusa

 

E’ stato recentemente presentato a Roma, presso il CONI, il percorso ufficiale del lungo e magico viaggio della Fiamma Olimpica di Torino 2006, che ha toccato, nel corso del suo avvincente itinerario, anche la città di Ragusa.

Il capoluogo ibleo è stato scelto per essere coinvolto dallo spirito olimpico che, il prossimo febbraio, giungerà in Piemonte grazie ai Giochi Olimpici Invernali. L’8 dicembre rappresenta la data in cui ha avuto inizio il percorso ufficiale dell’evento che man mano sarà esteso a circa 600 comuni di tutte le regioni d’Italia, toccando, in 64 giorni, diverse città per concludersi a Torino il 10 febbraio 2006, giorno in cui l’ultimo tedoforo, con la sua fiamma, si accingerà a dichiarare aperti i XX Giochi Invernali. Il viaggio della Fiamma Olimpica rappresenta uno dei più grandi eventi itineranti mai realizzati in Italia, una grande festa dello sport e per lo sport che vede il nostro Paese inserito in uno straordinario circuito sportivo attraverso cui sarà possibile ammirare ed apprezzare le bellezze naturali, artistiche e culturali di ciascuna città inserita in tale iniziativa. Il viaggio itinerante della Torcia è l’evento che porterà l’intera Penisola verso i Giochi Olimpici, trasmettendo i valori rappresentati dalla Fiamma Olimpica a tutti gli italiani, grazie anche ai 10.001 tedofori coinvolti. Un percorso ricco di eventi spettacolari e momenti suggestivi che rimarranno nell’immaginario collettivo del Paese, in un ideale abbraccio a tutto il Mediterraneo.

Mercoledì 21 dicembre, quindi, il viaggio della Fiamma Olimpica – proveniente da Cagliari - ha fatto tappa in città, dalle 18 alle 20, per promuovere e diffondere i valori legati al simbolo per eccellenza dei Giochi. Viva soddisfazione è stata espressa dai vari Enti che rappresentano il settore sportivo di Ragusa, affermando che “nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza la piena collaborazione di tutti i Comuni, le Province, le Regioni, ma soprattutto dei Comitati Territoriali del CONI che, lavorando in sinergica cooperazione, continueranno a dare un contribuito non indifferente all’ottima riuscita dell’intera manifestazione”. L’itinerario ibleo - salutato non solo da appassionati ma anche da numerose persone che hanno voluto manifestare, con la propria presenza, il benvenuto affettuoso ad un evento così importante - è caratterizzato dalla percorrenza di strade ubicate tanto al centro storico di Ragusa-Ibla quanto a quello di Ragusa centro. Tragitto tortuoso che ripercorre il tracciato che porta da Corso XXV Aprile - nel cuore antico di un’affascinante Ibla barocca ed ammaliante, con i suoi mascheroni e vetusti palazzi che manifestano un fasto nobiliare di un tempo che fu – a Corso Italia con la sua centralissima Piazza San Giovanni – una volta luogo di incontro dei “massari” – da Viale Europa – che lambisce la parte alta della città con le sue nuove palazzine – a Via Archimede – che attraversa l’intera città – per poi concludersi in Piazza della Libertà e quindi proseguire per il territorio agrigentino. Protagonista indiscussa della serata iblea è stata la Torcia che ha portato una grande emozione in strada ed in piazza. La Fiamma èl'immagine stessa delle Olimpiadi fin dai tempi dei Giochi dell'antichità quando gli atleti gareggiavano in una staffetta passandosi tra di loro la Torcia. Secondo la mitologia greca la sacra scintilla del Fuoco è stata rubata agli Dei e portata sulla terra da Prometeo per divenire rapidamente il simbolo della ragione, della libertà e della creatività umana. Il tedoforo, cioè colui che porta la Fiamma Olimpica, il più alto e riconosciuto simbolo dei Giochi, ne annuncia il messaggio, ne incarna e diffonde gli ideali verso un obiettivo comune: l’unione e la pace tra i popoli, la lealtà, il coraggio, la fratellanza e, non ultima, la solidarietà.

A testimonianza dell'orgoglio e della responsabilità di cui l'Italia tutta è investita, il viaggio della Fiamma Olimpica di Torino 2006 ha ottenuto il coinvolgimento attivo delle più alte Autorità e Istituzioni nazionali.

Gli oltre diecimila tedofori, che si alterneranno durante il lungo itinerario, rappresentano gli alfieri dello spirito olimpico, disegnando con la Fiamma un percorso (circa 11.000 chilometri) che simboleggia il filo rosso della passione sportiva ancora una volta emblema dell’Italia unita da un unico sentimento.

 

 

 

Il Natale: una tradizione nel cuore degli iblei

 

Passeggiando per Ibla, tra i “casuzzi vasci”, per quella fitta teoria di “stratuzzi” e “vanedda”, il cui tracciato talora ricalca l’originario impianto urbanistico medievale, si può ancora avere la possibilità di avvertire il profumo inebriante di antiche pietanze frammisto a quel penetrante odore di legna bruciata che un tempo accompagnava a casa le stanche membra del “massaro”. Se a tutto ciò si aggiunge la collocazione di rocce dirute, frastagliate e nude - rispecchianti una bellezza arcaica e, nel contempo, seducente da cui erge l’antico centro storico immerso una fantastica vegetazione, dove impera fecondo l’ulivo, il fico d’India ed il carrubo - il quadro barocco, naturalistico e traboccante di vitalità, è completato. In questo particolare e suggestivo ambiente, Ibla si trasforma in un pezzo, al naturale, di Presepe che richiama alla mente la fervida testimonianza natalizia. Il Natale, festa che unifica i cuori in un’unica capanna, ha di per sé un fascino singolarissimo.

“La Chiesa per il Natale lancia il suo grido di gioia ed invita tutti a rendere omaggio a Gesù Cristo, nato nella più grande povertà”, questo il sentimento, che si eleva dall’anima secolare degli iblei, quasi una preghiera innalzata al cielo, raccolto, in oltre 30 anni di ricerca, dallo studioso di tradizioni popolari siciliane V. Giompaolo (cfr. “Natale in Sicilia”, opera in CD, HGO Edizioni, Ragusa 2004, da cui sono tratte, per gentile concessione, le foto a corredo del presente articolo). Il Natale è una festa complessa poiché raccoglie in sé variegati richiami etno-antropologici rivenienti da esigenze religiose, pagane, folkloristiche, sociali e, non ultime, storiche. Un aspetto che colpisce particolarmente è la straordinaria vigoria e la disarmante bellezza di una tradizione che a volte, sopraffatta dal consumismo industriale e tecnologico, fa fatica a mantenere quel sapore e quella genuinità di un tempo che fu. Si tratta di una tradizione fortemente radicata nel cuore di ciascuno e che trae origine dall’interno degli insediamenti rurali. Gli usi, le consuetudini, ma anche gli alimenti e la loro preparazione, il rapporto con la terra, l’organizzazione del lavoro nei campi, rappresentano quella cultura contadina in cui possono essere individuate le nostre radici in un'ingenua commistione di sacro e profano. Proprio da quelle comunità, dall’anima di quella gente, da quella innocente e simpatica gestualità sono nati i proverbi, i modi di dire, le storie da cui trae nutrimento quella saggezza popolare che con grande difficoltà si cerca di preservare e tramandare alle nuove generazioni.

L’ultimo mese dell’anno, in quello spazio di tempo alla fine del quale è festeggiata la nascita del Bambin Gesù, è vissuto, all’epoca dei nostri nonni, cioè una decina di lustri or sono, in una dimensione religiosa correlata ad un intimo rapporto tra agricoltura e ritmi naturali. Il detto “a Natali, a jurnata crisci quantu ‘npassu ri cani” testimonia come le celebrazioni natalizie rappresentano il periodo in cui i giorni cominciano ad allungarsi e la potenza del sole aumenta. E’ anche il momento in cui, per ripararsi dal freddo e dalle intemperie, la gente cammina con i berretti ben calcati e indossando “supra i spaddi” (sopra le spalle) delle casacche pesanti, “i mantillini”, che servono a coprire anche collo e volto. Il giorno successivo a quello di S. Lucia, ovvero il 14 dicembre, rappresenta, per la cultura contadina dell’epoca, un momento di rilevante importanza poiché hanno inizio i cosiddetti “cariennili”: cioè quei dodici giorni che precedono la notte di Natale, ciascuno rappresentante un mese del futuro anno, nel corso dei quali il succedersi delle relative condizioni climatiche costituiscono un valido supporto per le previsioni meteorologiche riguardanti la successiva annata agraria. Sempre il 14 dicembre, giornata dedicata a S. Spiridione ed alle sue virtù taumaturgiche, la “massara” mette a “nnùciri i luppini” (addolcire i lupini), di produzione propria o acquistati, da gustare, come fine cena, il giorno di Natale. L’operazione consiste nel mettere i lupini a mollo per 24 ore - avendo, frattanto, cura di provvedere al ricambio dell’acqua – per poi farli bollire per circa mezzora. L’acqua della bollitura, peraltro amarissima, sarebbe servita per “spidocchiare cani e maiali”, mentre i lupini, in tal modo sbollentati, sono calati, posti all’interno di un sacco pulito, nell’acqua fredda della “sterna” (cisterna) dove si lasciano per qualche giorno, sino a quando acquistano un buon sapore (cfr. R. Antoci e N. Cirnigliaro, “Massari e Massarie”, Utopia Ediz., Chiaramonte Gulfi 1995, pagg. 62-77). Nel comparto dolciario, una vera leccornia, che trova d’accordo tanto i grandi quanto i piccini, oltre ai biscotti tipici degli iblei (quali, ad esempio, i “mucàtuli”, con la loro caratteristica forma a “S”, che in origine si dovettero chiamare “nucàtili”, per via dell’impiego delle noci, peculiarità culinaria oggi scomparsa), è costituita da un dolce tipico ragusano: la “ghigghiulena” (in altre zone della provincia iblea, è chiamata col nome di “cubaita”), che, talora, mette a dura prova i denti dei degustatori. Essa è a base di sesamo, cotto nel miele, unitamente ad un “pugno” di mandorle. Il composto, dopo essere stato mescolato continuamente e lentamente, è stirato su una lastra di marmo, curando prima di bagnarla per evitare che il composto si attacchi, e, quindi, tagliato a quadri bislunghi, romboidali (cfr. F. Tidona, “Le dosi, le feste, i dolci nella tradizione ragusana”, Ragusa 2002, pagg. 16-28). Quanta attenzione per prepararla e quanta gioia che si provava! La stessa che traspariva dagli occhi dei bambini quando, a partire dal 16 dicembre (data di inizio della “novena”, pratica cattolica, ancora oggi in vigore, consistente in un ciclo di preghiere e di pii esercizi per i nove giorni antecedenti al Natale), con gli occhi lucidi per il freddo ma anche per la grande gioia del momento, riempivano, con la loro numerosa presenza, le strade impolverate per ascoltare i “ciaramiddari” (zampognari): un gruppo di musicanti che, provvisti di zampogne (strumenti musicali simili alle cornamuse, tipici dei pastori dell’Italia centro-meridionale), andava girando per le vie della città per suonare nenie natalizie. Aria “frizzantina”, ma anche aria di festa completata dall’allestimento di presepi con variegate statuette o anche “viventi”, la cui luminosità raggiungeva il suo massimo splendore nella notte di Natale. In questi ultimi anni si è avuto modo di apprezzare in provincia alcuni “presepi viventi”, in cui le varie scene, impersonate tanto da bambini quanto da adulti, tutti con abiti del tempo di Gesù, sono predisposte negli ambienti più suggestivi del paesaggio ibleo, come i quartieri di San Rocco e San Paolo a Ragusa Ibla, a Vittoria, a Monterosso o a Giarratana (dove, a partire dal 1986, viene allestito nel vecchio centro storico denominato “Cuozzu” – ciglione - un grandioso presepe vivente che ha dato grande prestigio e notorietà alla cittadina).

Emblematica e gravida di significato risulta la frase che ancora oggi qualche anziano usa dire per rappresentare, iconograficamente e sinteticamente, quasi un mese ovvero il periodo che va dall’Immacolata (8 dicembre) all’Epifania (6 gennaio): “All’uottu Maria, o tririci Lucia, o vinticincu nasci u veru Messia!”.

 

Giuseppe Nativo

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