Home Giuseppe Nativo

2006

Gennaio 2006

Archivio di Stato: mezzo secolo di attività (Dialogo, gennaio 2006)

Il ricordo di Nuccio Schininà al Centro Studi “F. Rossitto” (Insieme: 31/01/2006)

 

Febbraio 2006

Il Centro Studi "F. Rossitto" commemora Nuccio Schininà (Dialogo, febbraio 2006)

La Pietra Pece. La Pietra che ha fatto Ragusa (Insieme: 16/02/2006)

I tumori del colon retto (Insieme: 16/02/2006)

 

Marzo 2006

A Ragusa convegno su Giovanni Occhipinti (Dialogo, marzo 2006)

Sport e salute nel XXI secolo (Insieme: 01/03/2006)

Convegno di studi su G. Occhipinti promosso dal Centro Studi “F. Rossitto” (Insieme: 17/03/2006)

Contaminazione delle acque da fitofarmaci (Insieme: 31/03/2006)

  

Aprile 2006

Quando la poesia si traveste di allucinanti immagini di vita (Dialogo, aprile 2006)

“Letteratura e Vita” convegno su Giovanni Occhipinti (Insieme: 13/04/2006)

Pennellate barocche di Arte e Teatro danza (Insieme: 13/04/2006)

“La punizione” (Insieme: 28 aprile 2006)

Respir-Azione e Ben-Essere (Insieme: 28 aprile 2006)

 

Maggio 2006

Quell’infanzia spezzata sotto il cielo di primavera (Dialogo, maggio 2006)

Dal documento di archivio al libro (Insieme: 15/05/2006)

Tra letteratura e medianismo (Insieme: 15/05/2006)

 

Giugno 2006

Le tradizioni iblee a portata di clic (Dialogo, giugno 2006)

2 giugno 1946 – Modica vota per la Repubblica (Dialogo, giugno 2006)

“Insieme” con Salvatore Scalia a Ragusa (Insieme: 01/06/2006)

Il “San Giuseppe” di Giompaolo (Insieme: 16/06/2006)

2 giugno 1946: dal Referendum alla Costituzione (Insieme: 16/06/2006)

 

Luglio 2006

Passata di pomodoro doc (Insieme: 01/07/2006)

A Ragusa - Festa europea della Musica (Insieme: 01/07/2006)

Archeologia subacquea: un tesoro sommerso (Insieme: 20/07/2006)

 

Settembre 2006

La calura estiva si combatte con il limone (Insieme: 15/09/2006)

Castelli iblei… di sabbia (Insieme: 15/09/2006)

32° edizione della Fiera Agricola Mediterranea (Insieme: 30/09/2006)

Progetto SMART. Ragusa-Malta radici culturali a confronto (Insieme: 30/09/2006)

 

 Ottobre 2006

-A Scicli “Giornate Europee per il Patrimonio 2006” (Dialogo, ottobre 2006)

-Cave iblee. Natura da vivere. (Insieme: 17/10/2006)

-Giovane e alcol: moderna piaga sociale (Insieme: 17/10/2006)

 

Novembre 2006

-Quel mistero dell’affresco cosmico (Dialogo, novembre 2006)

-Il Centro Studi “F. Rossitto” si arricchisce di memorie storiche e letterarie (Insieme: 16/11/2006)

-Firmato protocollo d’intesa per sistema informativo museale degli iblei (Insieme: 16/11/2006)

 

Dicembre 2006

- “Re Lear” nella traduzione di Giorgio Sparacino (Dialogo, dicembre 2006)

- Carmelo Cappello, scultore “d’acciaio” (Insieme, 01/12/2006)

- “Quannu era Natali” (Insieme, 22/12/2006)

 

 

 

GENNAIO 2006

 

 

Archivio di Stato: mezzo secolo di attività

 

Impegno, responsabilità e sinergia. Queste le tre principali peculiarità che hanno caratterizzato i cinquant’anni di attività dell’Archivio di Stato sempre più aperto e vicino alle esigenze della variegata utenza. E’ proprio su questa caratteristica che la dott.ssa Anna Maria Iozzia, direttore della struttura archivistica iblea, ha incentrato la sua relazione introduttiva nel corso dell’apertura dei lavori congressuali nell’ambito delle recenti manifestazioni tenutesi in occasione del cinquantesimo anniversario (1955-2005) dell’istituzione dell’Archivio di Stato di Ragusa e della Sezione di Modica.

L’intera iniziativa, in sinergia con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Dipartimento per i Beni Archivistici e Librari congiuntamente alla Direzione Generale per gli Archivi, su proposta della stessa struttura iblea, si è articolata su tre momenti fondamentali: Mostra documentaria, Convegno e Presentazione del volume (in due tomi) avente per oggetto “Archivio di Stato di Ragusa e Sezione di Modica. 1955-2005. Cinquant’anni di Archivio. Sette secoli di storia”, curato dalla dott.ssa Anna Maria Iozzia (Argo Edizioni, Ragusa 2005).

La Mostra documentaria, tenutasi dal 12 al 31 dicembre scorso, ha dato la possibilità di percorrere, attraverso elaborati, articoli, riviste e recensioni varie, le tappe operative di mezzo secolo di attività documentaria e culturale realizzata dall’Archivio ibleo attraverso molteplici attività promozionali, rappresentate da mostre e da numerose partecipazioni a convegni e seminari. All’inaugurazione, presieduta da S.E. Mons. Paolo Urso, Vescovo di Ragusa, nonché dai massimi vertici politico-istituzionali del capoluogo ibleo, sono seguiti i lavori congressuali tenutisi presso la Sala convegni del Palazzo della Provincia di Ragusa. La relazione introduttiva è stata affidata alla dott.ssa Anna Maria Iozzia che, dopo aver descritto in maniera sintetica ma puntuale le molteplici attività portate a termine - tanto da un punto di vista documentario quanto da quello divulgativo – dal dott. Giovanni Morana, già alla guida della struttura iblea (dal 1966 fino a gennaio 2005), ha tracciato un accurato excursus storico riguardante la vita istituzionale della struttura archivistica iblea. “L’Archivio di Stato di Ragusa, istituito come Sezione di Archivio di Stato con d. m. 21/06/1955, in esecuzione della l. 22/12/1939, n. 2006, divenne Archivio di Stato in seguito al d.p.r. 30/09/1963, n. 1409ha così specificato la dott.ssa Iozzia, aggiungendo che “…fu creato trasferendo dall’Archivio di Stato di Siracusa i fondi archivistici dei secc. XIX-XX provenienti dagli uffici amministrativi e giudiziari del territorio che oggi è compreso nella provincia di Ragusa, sorta nel 1927. La Sezione di Archivio di Stato di Modica, istituita nel 1955 come Sottosezione, fu trasformata in Sezione a decorrere dal 1° settembre 1965. Essa conserva documenti relativi alla storia più antica del territorio che attualmente è compreso nella circoscrizione provinciale di Ragusa. Tali fondi archivistici furono riuniti a Modica in considerazione del ruolo svolto dalla città come centro della Contea e poi come capoluogo distrettuale.

La serata inaugurale è stata ulteriormente arricchita dagli interventi della dott.ssa Giuseppina Giordano, Soprintendente archivistico per la Sicilia, dell’On. Nicola Bono, Sottosegretario di Stato per i Beni e le Attività Culturali, nonché del contributo storico del prof. Giuseppe Barone, Ordinario di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania a cui è stato affidato il compito di presentare il sopra citato volume che comprende numerosi contributi documentari di alta rilevanza storica (rivenienti da studi e ricerche effettuate da G. Morana, A.M. Iozzia, P. Nifosì, C. Assenza e M. Assenza; appendici documentarie curate da L. Scribano) nonché notizie dettagliate sul patrimonio cartaceo conservato nell’Archivio ibleo che dal momento dell’istituzione ad oggi è passato da circa 16.500 ad oltre 45.000 unità archivistiche.

 

 

 

 

Il ricordo di Nuccio Schininà al Centro Studi “F. Rossitto”

 

“La presenza di tante persone in sala conferma che Nuccio Schininà è nel cuore di tanti”. Questo l’incipit della relazione introduttiva con cui l’On. Giorgio Chessari, Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”, ha aperto i lavori congressuali, aventi per tema “Nuccio Schininà: l’uomo e il suo impegno politico e culturale”, presso la sala convegni dello stesso Centro. A relazionare sulla figura del compianto Schininà, figlio degli iblei, alla presenza di un numerosissimo ed attento pubblico, si sono alternati il dott. Bruno Marziano (Presidente della Provincia Regionale di Siracusa), l’On. Giovanni Barbera (già deputato del PSI all’Assemblea Regionale Siciliana), il sen. Gianni Battaglia (Senatore della Repubblica), la dott.ssa Franca Carpinteri (già Responsabile femminile della Federazione del PCI), il giornalista e scrittore Emanuele Schembari (Vice Presidente del Centro Servizi Culturali di Ragusa) e l’On. Salvo Zago (Deputato all’Assemblea Regionale Siciliana). L’attività professionale e politica dello Schininà si intreccia con la storia del territorio ibleo a partire dagli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, durante i quali la ripresa economica si rivela abbastanza lenta. La lotta politica e sindacale risente molto del clima suscitato in ambito nazionale dai riflessi della “guerra fredda” per la divisione del mondo in due grandi blocchi militari e ideologici, che stimolano le varie forze a rinchiudersi in schieramenti nettamente contrapposti. Sono anni caratterizzati da quella effervescenza sociale ed economica che si estende anche alle forze politiche. La volontà di partecipare ad un più fattivo impegno politico diviene sempre più palpabile nella gente iblea, segno, questo, di una crescente maturità nella popolazione che cerca di essere in sintonia con le altre realtà territoriali. Notevole si rivela la mobilitazione dei contadini e degli operai che si realizza tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’60 per la rinascita del Paese. Ragusa è tra le province più impegnate nello sforzo economico, sociale e politico che mira a dare un volto nuovo ai comuni iblei (cfr. G. Miccichè, “Lotte politiche e sociali”, in “La provincia iblea dall’Unità al secondo dopoguerra”, C.S.F.R., Rg 1996, pagg. 26-27). Tra gli anni ’40 e ’50 l’economia della provincia, imperniata ab antiquo sull’agricoltura, inizia a svilupparsi per raggiungere nuovi obiettivi. Il ritrovamento di giacimenti petroliferi ed il conseguente sfruttamento introducono certamente delle basi per il rinnovamento nonché buone prospettive lavorative per la popolazione iblea (cfr. G. Miccichè, “L’economia”, in “La provincia iblea…”, op. cit., pagg. 56-57). L’instancabile impegno profuso dalle formazioni politiche e sindacali per strappare i comuni iblei dal loro isolamento al fine di collocarli tra le aree più avanzate sotto l’aspetto economico, politico e culturale dà i suoi frutti intorno agli anni ’70, ponendo delle solide basi per lo sviluppo degli anni successivi.

Sulla scia di questi fermenti ben si colloca la figura di Nuccio Schininà. I ricordi, le esperienze, le frequentazioni, ma, soprattutto, il lavorare fianco a fianco con Nuccio hanno portato gli illustri relatori a sfornare pensieri, vicende e testimonianze che non solo si rifanno a trascorsi decenni, ma contribuiscono anche a far emergere le molteplici qualità dello stesso Schininà. Fatti, personaggi, date, aneddoti che, talvolta, fanno sorridere e quasi rimpiangere i tempi passati. Ogni relatore ha presentato la figura di Nuccio tenendo conto dell’arco temporale in cui è venuto a contatto con tale personalità, fiore all’occhiello della provincia iblea ma anche di quella aretusea come ha fortemente sottolineato il dott. Marziano, nel corso del suo puntuale intervento, soffermandosi sulla spasmodica ed attenta attività politica svolta in territorio siracusano dallo stesso Schininà. Gli intervenuti, con le loro testimonianze, hanno coperto un intervallo di tempo che va dagli anni ‘50 agli anni ’90 del secolo scorso. Proprio gli anni ’50 sono quelli che vengono ricordati, dai ragusani di una certa generazione, non senza un pizzico di nostalgia, in quanto convergono immancabilmente sulle vicende che ruotano attorno al Circolo Universitario di sinistra intitolato a Filippo Turati. Circolo che, fin dai suoi primi vagiti, si rivela come il più amato e, nel contempo, il più discusso della Ragusa del dopoguerra. “Circolo di rottura” degli schemi tradizionali, come qualcuno lo definisce, ma anche circolo al cui interno hanno modo di crescere, tanto culturalmente quanto politicamente, decine di giovani ragusani. La storia del “Turati” e dei “turatini” rappresenta una ventata nuova su un clima quasi “stagnante” che caratterizza la città di Ragusa in quegli anni. Le iniziative, talora un po’ “bizzarre”, di questo circolo sono frequentemente contestate e discusse per la loro modernità e sfrontatezza (almeno per quei tempi!). Tra il cospicuo gruppo di Soci (rappresentato, in gran parte, da universitari) si annoverano diversi giovani ragusani, poi affermatisi in vari settori professionali, tra i quali spicca la figura di Nuccio Schininà a cui è legata, in quel periodo, tutta l’attività organizzativa del “Circolo Turati”. Nuccio, eccellente promotore di variegate iniziative dei “turatini”, nel corso dei decenni successivi acquisisce una tale maturità politica e perizia professionale da farlo ricordare come un tipo preciso, puntuale e rigoroso per le sue qualità morali, politiche e, non ultime, umane. La sua particolare personalità, ferma ma adattabile a qualunque evenienza, in talune occasioni, lo portava a divenire imperterrito “dissacratore” e a considerare le molteplici problematiche da un punto di vista laico e non clericale senza mai cadere in torbidi anticlericalismi. Il considerare la vita con quella sua sensibile filosofia lo portava a risolvere o, comunque, a fronteggiare con fredda ed intelligente lucidità – senza mai tralasciare il lato umano – le difficoltà che man mano si frapponevano sul suo cammino politico. La personalità di Nuccio è stata anche ricordata, tra gli altri, dal sen. Gianni Battaglia che ha tratteggiato le tappe iniziali del proprio percorso politico reso più praticabile attraverso i preziosi consigli dello Schininà che con i suoi insegnamenti rappresenta sicuramente una solida base e punto di riferimento per molti figli della terra iblea e non solo. Ha chiuso la serata l’intervento spontaneo del figlio che ha completato il panorama descrittivo offrendo spunti per ulteriori, preziosi ed interessanti dibattiti sulla storia socio-politica iblea di quest’ultimo quarantennio.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

FEBBRAIO 2006

 

 

Il Centro Studi “F. Rossitto” commemora Nuccio Schininà

 

“Nuccio Schininà: l’uomo e il suo impegno politico e culturale” è stato il tema centrale della serata commemorativa organizzata presso la sala convegni del Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa. A relazionare sulla figura e circa la loro esperienza politica affrontata con Nuccio Schininà, per un arco temporale che va dagli anni ’50 agli ’90 del secolo scorso, sono stati chiamati: il dott. Bruno Marziano (Presidente della Provincia Regionale di Siracusa), l’On. Giovanni Barbera (già deputato del PSI all’Assemblea Regionale Siciliana), il sen. Gianni Battaglia (Senatore della Repubblica), la dott.ssa Franca Carpinteri (già Responsabile femminile della Federazione del PCI), il giornalista e scrittore Emanuele Schembari (Vice Presidente del Centro Servizi Culturali di Ragusa) e l’On. Salvo Zago (Deputato all’Assemblea Regionale Siciliana). Ad introdurre i lavori è stato l’On. Giorgio Chessari che ha posto l’accento sulle qualità umane, morali e politiche del compianto Schininà, figlio degli iblei. La sua pluriennale attività si intreccia con la storia del territorio ibleo a partire dagli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, durante i quali la ripresa economica si rivela abbastanza lenta. Sono anni difficili ma caratterizzati da quella effervescenza sociale ed economica che si estende anche alle forze politiche, ponendo la popolazione iblea in una crescente maturità politica in sintonia con le altre realtà territoriali del Paese. Ragusa è tra le province più impegnate nello sforzo economico, sociale e politico che mira a dare un volto nuovo ai comuni iblei. Negli anni ’50 sopraggiungono nuovi obiettivi. Il ritrovamento di giacimenti petroliferi ed il conseguente sfruttamento apportano alla popolazione iblea i primi germogli per il rinnovamento e miglioramento delle opportunità lavorative. L’instancabile impegno profuso dalle formazioni politiche e sindacali per strappare i comuni iblei dal loro isolamento, al fine di collocarli tra le aree più avanzate sotto l’aspetto economico, politico e culturale, inizia a dare i suoi frutti intorno agli anni ’70, ponendo solide fondamenta per lo sviluppo degli anni a seguire.

Sulla scia di questi fermenti ben si colloca la figura di Nuccio Schininà. I ricordi, le esperienze, le frequentazioni, ma, soprattutto, il lavorare fianco a fianco con Nuccio hanno portato gli illustri relatori a sfornare pensieri, vicende e testimonianze che non solo si rifanno a trascorsi decenni, ma contribuiscono anche a far emergere le molteplici qualità dello stesso Schininà, apprezzate anche in terra aretusea come ha più volte puntualizzato il dott. Marziano, nel corso del suo puntuale intervento, soffermandosi sulla perseverante ed attenta attività politica colà svolta da Nuccio sul solco dell’esperienza maturata negli anni ’50 nel capoluogo ibleo. Proprio quegli anni sono quelli che vengono ricordati, dai ragusani di una certa generazione, non senza un pizzico di nostalgia, in quanto convergono immancabilmente sulle vicende che ruotano attorno al Circolo Universitario di sinistra intitolato a Filippo Turati. Circolo che, fin dai suoi primi vagiti, si rivela come il più amato e, nel contempo, il più discusso della Ragusa del dopoguerra. Circolo che spezza gli schemi tradizionali, per l’effervescenza e dinamicità operativa mostrata dai “turatini” promotori di iniziative talora “bizzarre” (almeno per quei tempi!), ma anche circolo al cui interno hanno modo di germogliare, tanto culturalmente quanto politicamente, decine di giovani ragusani. La storia del “Turati” apporta aria nuova e frizzantina su un clima quasi “stagnante” che caratterizza la città di Ragusa in quegli anni. Tra il cospicuo gruppo di Soci - rappresentato, in gran parte, da giovani universitari, che poi si affermano in vari settori professionali - spicca la figura di Nuccio Schininà a cui è legata, in quel periodo, tutta l’attività organizzativa del “Circolo Turati”. Nuccio, eccellente promotore di variegate iniziative dei “turatini”, nel corso dei decenni successivi acquisisce una tale maturità politica e perizia professionale da farlo ricordare come un tipo serio, preciso, puntuale e rigoroso. La sua personalità, ferma ma adattabile a qualunque evenienza, lo porta a risolvere o, comunque, a fronteggiare con fredda ma intelligente lucidità – senza mai tralasciare il lato umano – le difficoltà che man mano si frappongono sul suo cammino politico.

La serata è stata chiusa dall’intervento spontaneo del figlio di Nuccio Schininà che ha completato il panorama descrittivo offrendo spunti per ulteriori, preziosi ed interessanti dibattiti sulla storia socio-politica iblea di quest’ultimo quarantennio.

 

 

 

Al Centro Servizi Culturali “La Pietra Pece. La pietra che ha fatto Ragusa”.

 

La storia della vecchia Ragusa, ma anche quella di qualche secolo addietro, si intreccia con la micro-storia di gente comune, umile, attaccata alla famiglia e al lavoro. Ricordi, storia e poesia riaffiorano dirompenti per confermare quanto semplice e suggestiva sia Ragusa in ogni suo angolo e in ogni suo aspetto. “Chiunque, visitata la città, desidera vederne il territorio per formarsi un’idea delle specialità di esso, …dei siti più pittoreschi, che vi si rinvengono, dovrebbe prima recarsi alle miniere di pietra pece…”. Così si legge sulla “Piccola guida del Viaggiatore” (di Anonimo del 1898, rist. Ed. Libr. Paolino, con prefazione del prof. G. Cosentini, pag. 60) pubblicata nel 1973. Poco distante dalla Stazione Ferroviaria di Ragusa superiore, imboccando la via M. Spadola (già via delle Miniere), che si diparte dalla Piazza Vann’Antò, e girando l’angolo ci si immerge in un paesaggio in cui il tempo sembra essersi fermato a parecchi decenni or sono. Sembra essere catapultati in una dimensione in cui passato e presente sembrano compenetrarsi a vicenda. A testimoniare un lavoro non più esistente, si palesano agli occhi del curioso le bocche di antiche miniere, ormai inattive, dove nelle giornate di vento si sentono ancora – quasi ovattati e miscelati al frenetico rumore della vita moderna – i rumori dei picconi, delle seghe dei “pirriatura” (da “pirrera” = cava), il vocio dei “picialuori” (coloro i quali estraevano la “pietra pece”) ed il lento rumore dei carretti. Strumenti e professionalità d’altri tempi. Particolari, questi, che riaffiorano con vigoria e sensibilità dall’animo delle vecchie generazioni, ma che suscitano, forse, vaga curiosità in quelle odierne. A cercare di stimolare i più giovani ed a rinsaldare i ricordi dei più avanti negli anni, è stata la F.I.D.A.P.A. di Ragusa che - nell’ambito di un più ampio progetto volto a considerare le delicate tematiche sulla donna, territorio ed ambiente – ha promosso una serata di studio sul tema “La Pece. La pietra che ha fatto Ragusa”. Ad argomentare sulla delicata problematica, tenutasi presso la sala conferenze del Centro Servizi Culturali-Rg, si sono alternati il rag. Gino Ancione (cultore di tradizioni locali) ed il giornalista dott. Saro Distefano, i quali, attraverso il loro puntuale excursus storico, hanno fatto rivivere i momenti e le fasi iniziali della non poco travagliata storia della “pietra pece” ragusana. Questa pietra, proprio per la sua determinante presenza ultrasecolare, ha fatto la storia della Ragusa antica e moderna. “L’asfalto” – così esordisce il dott. Distefano in un suo interessante contributo recentemente pubblicato sul web-site del Comune di Ragusa - “è una pietra bagnata di petrolio. La roccia asfaltica è infatti un calcare tenero impregnato – secondo percentuali diverse – di bitume. Il bitume è, sostanzialmente, un idrocarburo, cioè petrolio. Tutto questo a Ragusa si chiama, da sempre, pietra pece”. Utilizzata sin da epoche antichissime, ha lasciato tangibili tracce non solo nel capoluogo ibleo ma anche in tutte le città dell’antica Contea rendendo effervescente ed operosa l’intera attività economica e culturale del nostro territorio: basti pensare, ad esempio, alla cinquecentesca fonte battesimale conservata nella Chiesa di San Tommaso Apostolo o all’altra testimonianza della lavorazione artistico-artigianale della roccia asfaltica, ovvero la lastra tombale di un anonimo nobiluomo (recante la data 1577), presso la Chiesa di San Francesco all’Immacolata ad Ibla. Gran parte della “nuova” Ragusa è stata costruita utilizzando tale pietra. La citata attività mineraria, che dalla seconda metà dell’Ottocento diventa industriale richiamando interessi internazionali, è caratterizzata dall’utilizzo di sistemi di escavazione e lavorazione della roccia ragusana che sono affidati alla ingegnosità della manodopera preposta alla produzione dei variegati manufatti finiti (sculture, pavimentazioni, combustibili, etc.).

La breve, ma esauriente, discettazione del rag. Gino Ancione ha posto l’accento su un aspetto delle attività minerarie, talora poco approfondito, rappresentato dalla necessaria presenza umana (minatori, “pirriatura” e “picialuori”) correlata alla realtà produttiva dell’epoca (XIX secolo). “Non ci si può chiamare Ancione senza portarsi dietro un mondo fatto di miniere, asfalto, pirriatura…”, così scrive il prof. Salvatore Assenza nella prefazione al libro “Pirriatura, Picialuori e…” (di G. Ancione – E. Varani, Libroitaliano Editrice, Rg 2002, pag. 11). E proprio al rag. Gino è stato affidato il compito di argomentare sul lavoro della miniera, sui carretti e carrettieri per mezzo dei quali è espletato il servizio di carico e trasporto di pietra nera verso la frazione marinara Mazzarelli (oggi Marina di Ragusa) dove la preziosa merce è imbarcata. Date, aneddoti, vicende che ricordano anche i vecchi “picialuori” protagonisti e testimoni di quella avventura umana resa più reale e carica di tensione emotiva per la naturale spontaneità che traspare dalla pacata voce di Gino Ancione. La serata è stata ulteriormente arricchita dalla presenza della prof.ssa Carmela Sgarioto (prima classificata nella sezione di “poesie in vernacolo” al recente Premio Letterario Nazionale “Ninfa Camarina 2005”) che ha recitato una sua poesia – facente parte di una raccolta di sue liriche di prossima pubblicazione - dal titolo “U picialuoru” (Il peciaiuolo), di cui si riportano – per gentile concessione – i primi versi per delinearne la figura:

“Stati e mmiernu ittatu all’acqua e ô vientu / carni linziati, manu cini ’i cadhi, / â scurata turnava stancu muortu / nn-avìa mancu a valìa ri salutari…”. (Traduz.: “Estate ed inverno buttato all’acqua e al vento / carni lacerate, mani piene di calli, / sull’imbrunire tornava stanco sfinito / non aveva nemmeno la forza di salutare…”).

 

 

 

 

 

I tumori del colon retto

 

Importante convegno sulla prevenzione e terapia dei tumori del colon-retto si è recentemente svolto presso la sala conferenze dell’Hotel Mediterraneo Palace a Ragusa. L’interessante iniziativa è stata organizzata dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e patrocinata dall’Azienda Ospedaliera di Ragusa. Diversi gli interventi programmati che sono stati seguiti da un numeroso ed attento pubblico. La delicata problematica è stata introdotta dal dott. Carmelo Iacono (Direttore dipartimento oncologico “Sebastiano Ferrera” Azienda Ospedaliera Ragusa), che ha relazionato su “I progressi nella diagnosi e nella cura del tumore del colon”, mentre il dott. Giuseppe Colandonio (Medico di medicina generale FIMMG Ragusa) ha trattato “La prevenzione primaria e la gestione del paziente in trattamento: il ruolo del medico di famiglia”.

Sul carcinoma colorettale è diretta un’intensa attività di ricerca. Si calcola che nel corso della loro vita 1 donna su 40 (2,5%) e 1 uomo su 26 (3,9%) soffrono di tale patologia. I tumori invasivi (detti “adenocarcinomi”) che interessano il colon-retto sono dovuti alla crescita anomala delle cellule della mucosa colica, cioè del rivestimento interno dell’organo. Il colon ed il retto fanno parte dell’apparato digerente che trattiene le sostanze nutritive contenute negli alimenti occupandosi del trattamento dei residui sino al momento in cui sono eliminati dall’organismo. Insieme, il colon ed il retto costituiscono un lungo tubo muscolare chiamato intestino crasso, di cui il colon rappresenta i primi 2 metri mentre il retto gli ultimi 25 centimetri. La diagnosi di cancro del colon-retto può generare nei pazienti numerosi dubbi. Il compito iniziale del medico di famiglia e dello specialista, in un momento immediatamente successivo, è quello di cercare di fornire informazioni e consigli in base alla storia clinica e familiare di ogni paziente, nonché risposte chiare e comprensibili. L’indagine, dunque, deve essere condotta con il massimo scrupolo e rigore scientifico in maniera tale da indirizzare il soggetto verso una specifica terapia. Le cause dell’insediamento del carcinoma colorettale sono tuttora sconosciute. Tuttavia, secondo alcuni orientamenti, sulla scorta di studi scientifici sull’argomento, esisterebbero dei “fattori di rischio” che andrebbero ad incrementare la possibilità che in una persona si sviluppi questa forma tumorale: età (i soggetti più colpiti sarebbero, in gran parte, quelli di età superiore ai 50 anni); dieta (la comparsa del carcinoma sembra essere associata a diete ricche di grassi e calorie nonché povere di fibre); polipi (i polipi sono tumori “benigni” che si formano sulle pareti interne del colon e del retto; se non adeguatamente curati conducono quasi certamente allo sviluppo del cancro del colon-retto); anamnesi (i soggetti di sesso femminile già affette da patologie neoplastiche sarebbero soggette ad un rischio più elevato di sviluppare il cancro colorettale); storia familiare (si riconduce alla teoria sulla ereditarietà di questa forma tumorale); colite ulcerosa (trattasi di un’infiammazione del rivestimento del colon che può aumentare il rischio di essere colpiti da cancro del colon-retto). I sintomi essendo molteplici (cambiamento delle abitudini intestinali; sensazione che l’intestino non si svuoti totalmente; presenza di tracce ematiche nelle feci che iniziano ad assumere delle dimensione e forme diverse dalle consuete; malessere generale dell’addome; perdita di peso senza un motivo apparente; costante senso di affaticamento) devono essere scrupolosamente indagati attraverso un esteso programma di screening della zona soggetta alla patologia riscontrata. Oltre agli esami classici (esame digitale rettale; test per verificare la presenza di sangue nelle feci; coloscopia, ovvero visione interna della zona colpita dal carcinoma attraverso uno strumento dotato di apparato illuminante chiamato coloscopio), la recente ricerca medica ne ha perfezionato un ulteriore che si presenta meno “doloroso” per il paziente rispetto a quelli praticati normalmente. Si tratta di una sorta di apparecchio che va ad esaminare il retto e l’intero colon attraverso dei segnali che, decodificati da un idoneo software applicativo, consentono di mappare e fornire un’immagine virtuale della zona colpita dalla neoplasia. Su tale “visione virtuale” lo specialista può condurre la sua indagine. Il tipo di trattamento dipende principalmente dalle dimensioni, dalla localizzazione e dall’estensione del tumore, nonché dalle condizioni generali del paziente. Il trattamento è, di solito, “multidisciplinare” in quanto è pianificato da una equipe di specialisti che può comprendere un gastroenterologo, un chirurgo, un oncologo medico ed un oncologo radioterapista, talora con combinazioni di trattamenti diversi. In tale ambito ben si collocano le varie associazioni di volontariato il cui compito è anche quello di essere presenti accanto ai soggetti nei momenti di sofferenza. Su tale specifica argomentazione si sono soffermati il Presidente Provinciale AVO, la Delegata Regionale AIRC nonché il Presidente Regionale Pazienti stomizzati ASI-FAIS.

A conclusione della serata - relatori il Direttore generale dell’A.O.-Ragusa e il Vice Presidente della Provincia Regionale di Ragusa - sono state poste all’attenzione le tematiche relative al compito delle istituzioni nella salvaguardia della salute pubblica, le quali devono essere validamente supportate dalle aziende sanitarie la cui mission è quella di garantire la “cura” e la piena soddisfazione del soggetto sofferente.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

MARZO 2006

 

 

 

A Ragusa convegno su Giovanni Occhipinti

 

 “…Poema fluente come acqua di fiume… in gioco pirotecnico in alto andante verso il cielo… ventagli generatori…” si fondono nel “filosofico, il colto, il mitologico,, l’affabulato, il siciliano, tutti mossi e sommossi da memorie emergenti, continue, ossessive…” (G. Bonaviri, “Prefazione”, in G. Occhipinti, “Sinfonia per conchiglia – 1999-2000”, Noubs, Chieti, 2002, p. 5).

Uno dei motivi della crisi della cultura contemporanea è la perdita, sempre più diffusa, del sapere unitario, cioè della conoscenza totale. Ma Giovanni Occhipinti, scrittore dalla poliedrica personalità, che gli ha permesso di raggiungere ottimi risultati in poesia, in narrativa e in critica… mostra… la sua cultura a largo raggio” (recensione critico letteraria del giornalista e scrittore E. Schembari per “Le confuse utopie” di G. Occhipinti, in “Pagine dal Sud”, ottobre 2003, pag. 28).

Inspirare a fondo. Inglobare e trattenere tutto il respiro di cui siamo capaci. Per accostarsi alla poesia di Giovanni Occhipinti, ciò è non solo consono, ma indispensabile” (M. Morbiducci, “Postfazione”, in G. Occhipinti, “Dialogo con le comete”, Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma, 2005, p. 115).

Questa, in estrema sintesi, la summa dell’opera letteraria del prof. Giovanni Occhipinti, figlio degli iblei, narratore, saggista e poeta. Autore di molteplici pubblicazioni, si distingue per la ricerca di uno sviluppo narrativo “limpido e coinvolgente” in cui la “magia” della parola, del sentimento e delle emozioni, fanno leva sulle potenze dell’anima. Sulla base di queste istanze il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, nell’ambito delle iniziative culturali volte a far conoscere le opere letterarie di scrittori che hanno dato lustro al territorio ibleo, ha promosso due giornate di studio, programmate per il 27 e 28 marzo (presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria, Ragusa-Ibla), sull’attività creativa del prof. Giovanni Occhipinti incuneandosi nella esplorazione delle sue molteplici pubblicazioni. All’iniziativa hanno aderito, in sinergica cooperazione, il Centro Servizi Culturali e l’Università di Catania-Sede di Ragusa. Immancabile la presenza del Comune di Santa Croce Camerina che ha dato i natali al Poeta Giovanni Occhipinti. A relazionare sono stati chiamati illustri personaggi di critica letteraria nonché docenti universitari che hanno seguito, sin dal suo sorgere, la frenetica ed intensa vivacità letteraria del nostro scrittore nei suoi molteplici aspetti. Tra i tanti interventi programmati, oltre quindici, è prevista anche una testimonianza del decano degli storici di letteratura italiana, già docente a “La Sapienza” di Roma, prof. G. Manacorda.

“Il Convegno di studi su Giovanni Occhipinti, dal titolo Letteratura e Vita” – ci informa l’On. Giorgio Chessari, Presidente del Centro Studi “F. Rossitto” – “è un omaggio al Poeta, allo Scrittore e al Critico letterario in occasione del suo settantesimo compleanno e a quanti hanno dedicato la loro esistenza alla poesia, alla letteratura, alla ricerca e alla riflessione sul destino dell’uomo e del cosmo”. “La particolarità delle due giornate dedicate alla figura ed alle opere di Giovanni Occhipinti” – aggiunge con emozione – “è data dal fatto che esse riguardano un autore vivente, ma proprio in ciò consiste, a mio parere, il suo interesse e la sua novità, in quanto sarà possibile sviluppare un dialogo alla pari tra poeti, romanzieri, critici letterari e studiosi. Non sarà un Convegno facile, certamente, perché “Sui vivi, in letteratura, si lavora male” – come ricorda Maria Corti nella sua introduzione al volume delle “Opere di Gesualdo Bufalino” edito da Bompiani – citando una lettera di Italiano Calvino a Giancarlo Ferretti del 1965. Il Centro Studi intende comunque procurare un’occasione di sereno e civile confronto su “Letteratura e vita”, muovendo dall’Opera di Giovanni Occhipinti e si considererà pago se essa riuscirà a portare nella nostra città studiosi provenienti da ogni parte d’Italia e a fare conoscere meglio un autore, notissimo, che ha al suo attivo una vastissima produzione, come è testimoniato dai suoi venti volumi di poesia, dai suoi otto romanzi, dalle undici pubblicazioni di prose e racconti e dai suoi sette volumi di saggi critici”.

Grande fermento si registra, dunque, negli ambienti culturali che hanno accolto con vivo interesse tale iniziativa.

 

 

 

 

Sport e salute nel XXI secolo

 

Alimentazione, movimento e stile di vita rappresentano il triangolo della salute. Questi i tre punti cardine su cui è ruotata l’interessante conferenza sul tema “Sport e salute nel XXI° secolo”, tenutasi presso il Centro Servizi Culturali di Ragusa e promossa dal Club Unesco - Ragusa. A relazionare sulla cocente problematica è stato il dott. Gaetano Iachelli, esperto in Medicina dello Sport presso l’U.S.L. n. 7 di Ragusa, a cui il Presidente del Club Unesco, sig.ra Diquattro, ha dato un caloroso saluto leggendo il lungo e brillante curriculum vitae dello studioso.

L’intervento introduttivo è stato affidato al prof. Nino Cirnigliaro, Presidente del Centro Servizi Culturali, il quale, nella sua breve ma efficace analisi, ha posto l’accento sulle “buone abitudini perdute”, quali ad esempio l’attività motoria, ricordando, con un pizzico di nostalgia, i tempi in cui si percorreva molta strada senza l’ausilio di mezzi di locomozione. Sono proprio il movimento, l’attività fisica e le abitudini alimentari equilibrate ad essere considerati i mezzi più efficaci per promuovere un sano e corretto stile di vita. “Tra i problemi che è necessario affrontare” – ha sottolineato il dott. Iachelli – “c’è quello dell’obesità, che sta assumendo proporzioni preoccupanti, per l’aumento del numero di soggetti interessati e per l’accentuazione della gravità di quei quadri clinici per i quali l’obesità rappresenta un fattore di rischio”. La comunità scientifica internazionale è concorde nel ritenere che molteplici e complessi sono i fattori che determinano questo incremento del fenomeno. Alcuni di questi sono strettamente correlati alle condizioni socio-economiche, ambientali e culturali, agli stili di vita “non salutari” in quanto caratterizzati da abitudini alimentari scorrette accompagnate, purtroppo, da una progressiva e marcata riduzione dell’attività fisica. In tale contesto lo sport svolge un ruolo importante che aiuta ad attivare le varie funzioni dell’organismo umano. “Il movimento salva la vita”, è l’obiettivo che quotidianamente deve essere perseguito. I meccanismi che vengono innescati dalla pratica regolare di un’attività sportiva aiutano anche a prevenire alcune patologie del mondo moderno. L’azione calmante dell’attività sportiva, specie se praticata in maniera lunga e lenta, contribuisce a sconfiggere lo stress. Fare sport, infatti, permette di “staccare la spina” dai problemi quotidiani e, nel contempo, di ricaricarsi. È noto che durante l’attività fisica sono secrete delle sostanze (endorfine) che agiscono come vere e proprie “droghe” naturali che aiutano l’organismo a reagire positivamente al logorio della vita moderna. È necessario, però, tenere sempre presente che “il limite alla pratica di una o più attività motorie deve essere costituito dallo sforzo psico-fisico che tali pratiche rappresentano per ciascun soggetto e non tanto dal numero di sport praticati”. Occorre, inoltre, tenere in debita considerazione non solo un’alimentazione equilibrata ma anche le richieste energetiche di ciascun organismo in relazione all’attività svolta dal singolo soggetto. Il contesto ambientale in cui si vive nelle società ricche e opulente incoraggia uno stile di vita assolutamente contrario ai criteri di salute e benessere cui tende il corpo umano. L’attività fisica, pertanto, deve essere continuativa, cioè senza interruzioni, di durata non inferiore ai 30 minuti, di intensità moderata e mai troppo intensa, ciò al fine di consentire all’organismo di rispondere in maniera adeguata a stimoli progressivamente crescenti derivanti, appunto, da una regolare attività ginnica. Quest’ultima favorisce una non trascurabile efficienza muscolo-scheletrica prevenendo il declino muscolare e quello osseo. Il movimento contribuisce pure ad ottenere una migliore efficienza cardiaca rispetto ad un soggetto sedentario. Occorre, infine, ricordare che la stanchezza lamentata al termine di una giornata lavorativa è di tipo mentale e non fisico e che, pertanto, non risulta di alcun impedimento il fatto di svolgere un esercizio sportivo. L’attività atletica serve anche alla “stimolazione ormonale”. La presenza dell’ormone della crescita l’HGH (Human Growth Hormone) inizia a diminuire dopo i vent’anni, riducendosi in maniera significativa dai quaranta in su (cfr. www.sportmedicina.com), confluendo in quella fase denominata “vecchiaia”. Ebbene, sembra che l’unico modo attualmente sicuro di incrementare l’HGH è fare sport. In buona sostanza, è necessario muoversi di più per essere e mantenersi giovani!

 

 

 

Il Centro Studi “F. Rossitto” promuove convegno su Giovanni Occhipinti.

 

 

Occhipinti non cede mai alla nota liricizzante o dolciastra; la sua severità di uomo e di poeta, la ricchezza del suo lessico gli permettono di non impigliarsi nella tenerezza dei pensieri leggeri […]” (G. Manacorda, “Introduzione” a G. Occhipinti, “L’acqua e il sogno”, Nuova Ipsa, 2000, pp. 8-9).

 

“…squarci di vita vissuta, fantasie, giochi letterari, tutti ricchi di spunti e di riflessioni. E’ una narrativa in perenne movimento… Il passaggio dal tono divertito a quello affabulante e… a quello drammatico… dimostra la duttilità tematica e formale di Occhipinti…” (scheda critica a cura di E. Schembari per “Un plurimo brillare” di G. Occhipinti, in “Pagine dal Sud”, ottobre 2004, p. 32).

 

Un insieme inserito in una tessitura raffinata… e che è… il coinvolgente, misterioso e a tratti struggente racconto che la maturità letteraria e narrativa di G. Occhipinti ha voluto dare… viva di cultura… e… cibo per l’animo e per la mente…” (commento critico di N. Ventura, “Mille onze per il convento”, in “Ragusa Sottosopra”, maggio-giugno 2005, p. 25).

 

Questa, in estrema sintesi, la summa dell’opera letteraria del prof. Giovanni Occhipinti, figlio degli iblei, narratore, saggista e poeta. Autore di molteplici pubblicazioni, si distingue per la ricerca di uno sviluppo narrativo “limpido e coinvolgente” in cui i suoi racconti, “sfiziosi per certa tipologia umana dei personaggi, ma dolenti nella ricerca di Dio e nel dolore, nella sopportazione della vita, possono essere letti come tracciati di un diagramma che indicano la maturità di uno stile letterario che è al tempo stesso stile di vita”. La letteratura “è una strada, e forse la strada più completa per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra coscienza”, afferma Carlo Bo; “E’ un’esplorazione dell’abisso: quello dell’autore e anche il nostro” incalza p. André Blanchet. La scrittrice statunitense Flannery O’Connor sostiene che “compito della narrativa è incarnare il mistero attraverso le maniere (i generi letterari, lo stile), il mistero della nostra posizione terrena e le maniere che sono quelle convenzioni che… rivelano quel mistero”. Con la “magia” della parola, del sentimento e delle emozioni, facendo leva sulle potenze dell’anima, la letteratura fissa lo sguardo sull’uomo nel tentativo di comprenderne la struttura, i turbamenti, le malinconie, le necessità, la storia.

Partendo da queste istanze il Centro Studi “F. Rossitto”, in sinergica cooperazione con il Centro Servizi Culturali e l’Università di Catania - Sede di Ragusa, ha promosso due intere giornate di studio, programmate per il 27 e 28 marzo (presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria, Piazza Dott. Solarino, Ragusa-Ibla), dal titolo “Letteratura e Vita”, sull’attività letteraria del prof. Giovanni Occhipinti incuneandosi nella esplorazione delle sue molteplici pubblicazioni. A tale compito sono stati chiamati a relazionare illustri personaggi di critica letteraria nonché docenti universitari che hanno seguito, sin dal suo sorgere, la frenetica ed intensa vivacità creativa di Giovanni Occhipinti nei suoi molteplici aspetti. E’ prevista anche una testimonianza del decano degli storici di letteratura italiana, già docente a “La Sapienza” di Roma, prof. G. Manacorda.

La particolarità delle due giornate dedicate a Giovanni Occhipinti è data dal fatto che esse riguardano un autore vivente, ma proprio in ciò consiste il suo interesse e la sua novità, in quanto sarà possibile sviluppare un dialogo alla pari tra poeti, romanzieri, critici letterari e studiosi.

Grande fermento, dunque, negli ambienti culturali che hanno accolto con vivo interesse tale iniziativa, alla quale ha aderito anche il Comune di Santa Croce Camerina che ha dato i natali all’illustre scrittore. Sono previste oltre quindici relazioni, la partecipazione di alcuni gruppi di studenti che cureranno la lettura di alcuni brani tratti dalle pubblicazioni di Occhipinti, nonché la presenza di numerosi critici a carattere nazionale. Momenti dedicati all’ascolto di musica classica (in prima serata è previsto un concerto diretto dal Maestro C. Mezzasalma) faranno da delicato contorno al panorama letterario che ruoterà attorno all’interessante simposio.

 

L’intervista

 

In occasione della programmazione dell’intera iniziativa culturale, la Redazione di “Insieme” ha avuto modo di intavolare una piacevole conversazione con il prof. Giovanni Occhipinti. La chiacchierata ha luogo in uno studio ricco di libri, dove quei meravigliosi odori di carta stampata fanno da bosco incantato ai dialoghi e la luce, diffusa da una lampada da tavolo dei primi del Novecento, proietta su una parete delle ombre confuse che sembrano evocare figure lontane. Il profumo intenso del legno bruciato proveniente dal vicino caminetto riempie la stanza, quasi volteggiando in una danza sinuosa. Il crepitio del fuoco sembra narrare storie dal sapore antico, mentre le zone in penombra si prestano a fare spazio all’intervista.

 

Prof. Occhipinti, quali sono i motivi che la spingono a scrivere?

E’ difficile dirlo. Si scrive perché qualcosa “dentro” ci spinge a esprimerci nella parola scritta, a esprimere un pensiero inciso nella parola, nato dunque per non essere disperso nell’effimero dell’oralità. Ma il discorso meriterebbe altre e ampie articolazioni.

 

Qual è il genere letterario che predilige?

Se dovessi scegliere fra i tre generi letterari che “frequento” sceglierei certamente la poesia; ma sono attratto anche dalla narrativa e dalla saggistica letteraria.

 

Quando ha iniziato a scrivere?

I miei primi scritti risalgono al 1965, poi passati in parte nella mia opera d’esordio “L’Arco maggiore”, edita nel 1967. Ricordo che la prima spinta la ebbi, nel corso di un incontro, da Valerio Volpini, poi direttore de “L’Osservatore Romano”.

 

Scheda bibliografica di Giovanni Occhipinti

 

Giovanni Occhipinti è nato a Santa Croce Camerina nel 1936. Vive a Ragusa, dove ha insegnato per oltre un trentennio. Attualmente è docente di scrittura creativa negli Istituti medi e superiori.

Ha collaborato alle pagine letterarie dei quotidiani “La Sicilia”, “Il Messaggero Veneto”, “La Gazzetta del Sud”, “Sicilia oggi”, “ La Voce Repubblicana”, “Il Progresso italo-americano” e al periodico “Cronache Parlamentari Siciliane”. Collabora alle seguenti riviste: “Galleria”, “Vernice”, “Nuova Europa”, “Gradiva”, “Colapesce”, “Lunare”, “Canadian Journal of Italian Studies”, “Feeria”, “Dubrovnik”, “Cultura e libri”, “Astolfo”, “Pagine dal Sud”. Ha diretto con Emanuele Schembari e Giorgio Bàrberi Squarotti la rivista letteraria “Cronorama”. Ha fondato e condirige, per Libroitaliano, le collane letterarie “Testimonianze in Biblioteca” e “Zèphir”.

Ha pubblicato le seguenti opere di poesia: L’Arco maggiore (1967); L’Agave spinosa (1970); Occasioni per un poemetto intorno a ipotesi di distruzione (1972); Il giuoco demente (1975; premio “Alte Ceccato-Montecchio Maggiore”, 1975); Poema ultimo (1977); Agl’Inferi all’Averno (1980); Il giorno che ci vive (1983); Il cantastorie dell’apocalissi (1985; selezione al premio “Viareggio”, 1985); Come una maranta (Edizioni della Pergola, con cinque incisioni di P. G. Spallacci, 1985); Giro di boa (Le Ducat, con traduzione francese a fronte di Pierre Roller, 1985); Lo stigma del verso (1990); Rime nel museo delle cere (1991); Un’ombra di dialogo (1997), L’acqua e il sogno (2000); Dalla placenta del mare (2000); Da antichi percorsi (Editura Europa, Craiova 2002, con traduzione a fronte di E. Pîrvu); Sinfonia per conchiglia (2002); Sicilian asterisk (Gradiva, translated by E. Di Pasquale, New York, 2003); Le occasioni del verso (2003); Lapsus d’autore (2004); La veggenza del verso (2004).

Vincitore, tra i tantissimi riconoscimenti conseguiti, del Premio Internazionale per la narrativa “Giuseppe Giusti”, Monsummano Terme (Pistoia), 1995; del Premio Internazionale di poesia “I Pensieri del Poeta”, promosso dall’Associazione culturale “Attilio di Paolo” di San Martino sulla Marrucina (Ch), edizione 2004, a cui hanno partecipato oltre 600 componimenti. Il poeta ragusano Giovanni Occhipinti è stato premiato per il suo “Trittico”.

E’ narratore e saggista. Ha scritto racconti per ragazzi. E’ autore, con i suoi allievi, dei libri: Il gioco delle cose inventate (Edizioni Scuola media “F. Crispi”, Ragusa 1995); La parla esplorata (ivi, 1997); Scrittura in laboratorio (ivi, 2001).

Occhipinti è stato componente di giuria in concorsi di narrativa e poesia per ragazzi, con F. Albertazzi, M. Argilli, C. Dei, A. Scemma. Alla fine degli anni ’70, suoi contributi sono apparsi su “Scuola Italiana Moderna”.

Per la “Saggistica” ha pubblicato: Uno splendido medioevo - Poesia degli anni Sessanta (1978); La poesia in Sícilia; P(r)o(f)eti dell'Isolamondo; L'ultimo Novecento; Davanti a uno specchio -Conversazione di anonimo; Le confuse utopie; La voce della poesia (2004).

Per la “Narrativa”: Favola di una emarginazione volontaria (1978); Un rapporto postumo; Lo scarabeo d'avorio; Delirio di un vagabondo; Giustificati nel suo sangue; Un plurimo brillare; Mille onze per il Convento (2005). Narrativa per l’infanzia: Parfiabole per tutti (1985); Il naso lungo (1997).

 

 

 

 

Contaminazione delle acque da fitofarmaci

 

La tematica riguardante la contaminazione da sostanze chimiche nel territorio in cui si vive è un’annosa problematica che tiene impegnati gli Enti pubblici preposti alla difesa della salute pubblica. Per combattere tale emergenza, ma soprattutto per prevenirla, nel maggio 2001 (Legge n. 6 – 3/5/2001) è stata istituita l’A.R.P.A. (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente), ente strumentale della Regione Siciliana. L’A.R.P.A. Sicilia offre servizi di controllo, informazione, ricerca e consulenza sia alle strutture pubbliche che private, attraverso una rete di laboratori ed uffici presenti in tutta l’isola (organismi denominati D.A.P.), compreso il territorio afferente al capoluogo ibleo. La missione dell’A.R.P.A. è garantire un valido supporto al sistema di protezione ambientale, in maniera efficiente ed integrato. Le attività previste sono: il monitoraggio ambientale tramite la rilevazione di fattori fisici, geologici, chimici e biologici; le analisi di laboratorio, di rilievo ambientale e di prevenzione sanitaria della collettività; vigilanza sul rispetto della normativa vigente in materia; informazione, formazione ed educazione ambientale, attuando campagne informative che diffondano nel territorio nuove realtà e soprattutto nuova coscienza e cultura dell’ambiente, con particolare riferimento ai giovani in età scolastica.

In tale contesto, di approccio multidisciplinare, si inserisce la conferenza, tenutasi presso la sala convegni del Centro Servizi Culturali, organizzata dal “Soroptimist International d’Italia Club di Ragusa”, avente per tema la “Contaminazione delle acque superficiali e profonde da residui di fitofarmaci”. La relazione introduttiva è stata affidata alla sig.ra Salvina Blandino Bruno, Presidente dell’ente promotore dell’incontro, la quale ha posto l’accento sulla necessità di toccare una così interessante problematica correlandola con l’esigenza di acquisire più consapevolezza e certezze in ordine ai prodotti chimici usati in agricoltura. Ad argomentare sulla cocente e quanto mai delicata questione è stato il dott. Andrea Ottaviano, Direttore del Dipartimento di Ragusa dell’A.R.P.A. Sicilia.

I fitofarmaci sono delle sostanze chimiche che, intervenendo nel ciclo biologico di una pianta, vengono impiegate per apportarvi modificazioni atte a migliorare la produzione o come veri e propri farmaci per la cura di alcune malattie. Tali sostanze, essendo utilizzate molto spesso in agricoltura, rappresentano una possibile sorgente di contaminazione diffusa dell’ambiente. Ciò avviene poiché le loro caratteristiche di persistenza nelle varie componenti fisiche e biotiche, interagendo con le condizioni idrogeologiche del territorio, influenzano il suolo ponendolo a rischio di contaminazione. In tal modo tutti i comparti ambientali sono esposti a questo rischio anche se le acque (superficiali e sotterranee) ed il suolo sono quelli più direttamente coinvolti. Stante l’elevata tossicità contenuta nei prodotti fitosanitari, molti organismi viventi, incluso l’uomo, possono essere colpiti da tale rischio. L’attenzione resta sempre focalizzata verso la contaminazione degli alimenti e verso le acque “potabilizzate” e da “potabilizzare”, al fine di valutare il superamento dei valori soglia. Le attività di vigilanza in questo settore sono regolate da numerose norme che stabiliscono non solo le frequenze degli esami da effettuare, ma anche i parametri analitici e limiti di concentrazione. Le attività di controllo qualitativo delle acque hanno consentito di classificare i corpi idrici dal punto di vista chimico secondo le indicazioni del D. Lgs. 152/99. I risultati delle campagne di monitoraggio recentemente realizzate nel nostro territorio hanno posto in evidenza una situazione sicuramente non brillante per i fiumi che percorrono la zona iblea e che presentano, in alcuni punti, un alto indice di inquinamento da pesticidi o comunque sostanze nocive provenienti da fonti agricole.

In armonia con il menzionato decreto, che definisce la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee, si rende, pertanto, necessario perseguire i seguenti obiettivi: a) prevenire e ridurre l’inquinamento attuando il risanamento dei corpi idrici inquinati; b) conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi; c) tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun bacino idrografico ed un appropriato sistema di controlli e di sanzioni. Per tali obiettivi è necessario non solo un costante ed esteso monitoraggio tecnico - adempimento peraltro già attuato, con molta perizia, dal dipartimento ARPA di Ragusa - ma soprattutto la volontà di inseguire comuni finalità da parte dei decisori delle scelte politiche in materia di ambiente e sviluppo sostenibile.

 

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

APRILE 2006

 

 

Grande partecipazione al convegno ragusano su Giovanni Occhipinti

organizzato dal Centro Studi “F. Rossitto”

 

Quando la poesia si traveste di allucinanti immagini di vita

 

Nello splendido spazio che occupa quella sommità del colle, oggi sede ragusana dell’Università, in cui un tempo, quasi in un arcano abbraccio tra cielo e terra, rifulgeva di vetusto splendore il Castello dei Chiaramonte - da dove si ha una visione quasi totale di Ibla con la sua danza di campanili, di palazzi settecenteschi e di modeste case da cui prende corpo una sinuosa e fitta teoria di viuzze dal sapore medievale – si è svolto il convegno di studi sull’attività creativa del prof. Giovanni Occhipinti, poeta, narratore e saggista, figlio degli iblei. Crogiolo di incontro ricercato, “Letteratura e vita”, questo il titolo dell’iniziativa, tenutasi a fine marzo, promossa ed organizzata dal Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, in sinergica cooperazione con il Centro Servizi Culturali e l’Università di Catania - Sede di Ragusa, ha dato modo di sviluppare un dialogo di grande partecipazione (due le giornate di studio; 19 i relatori; ) tra poeti, critici letterari e studiosi, intervenuti da diverse università italiane. “La poesia è… una realtà indispensabile se può aiutare a prevenire il naufragio in quel paradosso ossimorico che è la solitudine affollata del mondo…”, così si esprime Giovanni Occhipinti. Raccolto nel suo angolo ibleo, nel suo studio, da cui si può ammirare uno dei più bei paesaggi siciliani, in un punto che fa da parete divisoria tra Ragusa moderna e quella barocca, su cui l’occhio si posa accarezzando le verdi colline, Occhipinti ha attraversato, lasciando un solco abbastanza profondo, il frastagliato e contraddittorio panorama letterario del secondo Novecento. Di tali esperienze ha saputo cogliere fermenti nuovi con la sua calda passione della scrittura che si rivela ardente e, allo stesso tempo, dolente. Per lui la poesia ha rappresentato quel quotidiano alimento che gli ha permesso non solo di crescere ma di scoprire che esiste una realtà sfuggente dietro la realtà apparente. Sullo sfondo però c’è sempre il peso di una Sicilia a cui si sente istintivamente legato, di una Sicilia che è madre e matrigna, che si offre e, nel contempo, si nega. La natura del poeta, raziocinante e appassionata, tende a risolvere il conflitto intellettuale e sensuale che la domina in un discorso sempre in bilico tra epos e durezza epigrammatica. Il Poeta non è solo poeta, ma è anche “padre-uomo”, che s’interroga spesso sull’assoluto e il relativo, ed in quanto tale sente il pesante fardello della vita e delle cocenti problematiche familiari che si riflettono sui suoi scritti. E’ per questo che il verso si rivela, in maniera non infrequente, ritmato, quasi frenetico, interrotto da a capo. Talora è caratterizzato da rotture, stacchi e isolamenti di parole, seguendo moti ora bruschi ora oscillanti del pensiero, in una sorta di contrappunto interno. L’instancabile rincorsa di metafore sfavillanti, che assegnano alla realtà connotazioni inaspettate ed imprevedibili, si rivelano come l’impronta che Occhipinti dà a tutta la sua poetica. “Il rovello avvilente e inquietante del dubbio” rappresenta il tormento del poeta che si rileva anche nella sua narrativa. I personaggi di Occhipinti, “spesso incatenati da una forza totalitaria che non ammette possibilità di fuga”, sono in buona parte “figure di solitudini, incerte, nei percorsi della vita, tra la parte dell’abisso e quella della luce” immerse in “storie di acquisti e di perdite che li pongono sempre in conflitto con qualcosa”.

All’interno del convegno, di prezioso ausilio si è rivelata la sezione “Antologica” curata dall’attore Giorgio Sparacino a cui è stata affidata la lettura di alcune pagine tratte dalle prose e dalle poesie dell’Occhipinti.

Il seminario di studi, svoltosi in occasione dei settant'anni del poeta, si propone di conferire a questa figura il ruolo, peraltro già conquistato attraverso un’attività letteraria ultra quarantennale, che le spetta nel panorama variegato della letteratura novecentesca.

 

 

 

 

“Letteratura e vita” convegno su Giovanni Occhipinti

 

In quella splendida sommità del colle, oggi sede ragusana dell’Università, in cui un tempo rifulgeva di vetusto splendore il Castello dei Chiaramonte – laddove l’aerea leggerezza delle rondini, nelle giornate di vento, è spezzata dalle grida dei cavalieri normanni intessute dalle flebili voci delle Muse ispiratrici della lirica - si è svolto il convegno di studi sull’attività creativa del prof. Giovanni Occhipinti, poeta, narratore e saggista, figlio degli iblei. L’iniziativa culturale, dal titolo “Letteratura e vita”, tenutasi il 27 e 28 marzo, promossa ed organizzata dal Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa, in sinergia con il Centro Servizi Culturali e l’Università di Catania - Sede di Ragusa, ha dato modo di trattare diffusamente le opere letterarie di Occhipinti in un dialogo tra poeti, critici letterari e studiosi, intervenuti da diverse università italiane. “La poesia è… una realtà indispensabile se può aiutare a prevenire il naufragio in quel paradosso ossimorico che è la solitudine affollata del mondo…”, così si esprime Giovanni Occhipinti. Per lui la poesia ha rappresentato quel quotidiano alimento che gli ha permesso non solo di crescere ma di scoprire che esiste una realtà sfuggente dietro la realtà apparente. Sullo sfondo però c’è sempre il peso di una Sicilia a cui si sente istintivamente legato, di una Sicilia che è madre e matrigna, che si offre e, nel contempo, si nega. La natura del poeta, raziocinante e appassionata, tende a risolvere il conflitto intellettuale e sensuale che la domina in un discorso sempre in bilico tra epos e durezza epigrammatica. Il verso si rivela, in maniera non infrequente, ritmato, quasi frenetico, interrotto da a capo. Talora è caratterizzato da rotture, stacchi e isolamenti di parole, seguendo moti ora bruschi ora oscillanti del pensiero, in una sorta di contrappunto interno. L’instancabile rincorsa di metafore sfavillanti, che assegnano alla realtà connotazioni inaspettate ed imprevedibili, si rivelano come l’impronta digitale che Occhipinti dà a tutta la sua poetica. Il Poeta non è solo poeta, ma è anche “padre-uomo”, che s’interroga spesso sull’assoluto e il relativo, ed in quanto tale sente il pesante fardello della vita e delle cocenti problematiche familiari che si riflettono sui suoi scritti. La forma interrogativa, a volte presente nel tessuto delle poesie, diretta o indiretta, non nasconde queste angosce che, anzi, rendono più impegnative la ricerca poetica ed interiore “dove immagini, stridori e ridondanze posseggono la grazia e la profondità delle intuizioni nate dal dolore e dalla malinconia”. Il ricordo del figlio che non è più in questa realtà è come “un’erba magica che corrode la memoria…”. Il poeta, stabilendo un punto di convergenza, metaforico e virtuale, fra la scrittura e la vita, contraddittoria in se stessa perché legata alla morte, elabora una propria visione dialogica, incentrata sulla dialettica fra contemplazione e denuncia, fede e sofferta chiusura. Tali aspetti, a volte cupi, rappresentano un tentativo di rapportarsi all’abisso del dolore, senza negarlo o superarlo, che lo spingono in quel “grido disperato dell’uomo che non vuole e non deve soccombere, nonostante il dolore e l’afflizione…”. E’ proprio in tale “grido”, con l’animo trafitto dall’immane dolore per la prematura dipartita del figlio, che il “sismografo” di quell’intima temperie familiare raggiunge ritmi elevati. “Oggi che mi ritrovo a vagheggiarti / sul lido che definisti marevita, / mi avvinghia il ricordo / mi stringe il nodo di non più averti”. Di qui l’esigenza di tuffarsi verso l’inconoscibile ed inafferrabile “altrove” in una “preghiera-elegia”, rivolta al figlio, sublimata in quel “…abbracciarti… / Ad abbracciarmi, credendomi te!”.

 

 

 

Pennellate barocche di Arte e Teatro danza

 

C’è Ragusa-Ibla nota e quella meno nota, quella perduta nelle pieghe delle sue vicende storiche e quella che incanta per l’anima segreta delle sue bellezze.

Giorno 25 e 26 marzo il FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano), Delegazione di Ragusa (Presidente dott. Francesco Arezzo), con il patrocinio della Città di Ragusa, nell’ambito della 14° Giornata FAI di Primavera, ha risvegliato le meraviglie barocche attraverso la visita guidata – grazie alla collaborazione di Insegnanti e ragazzi delle Scuole ragusane – di Beni di interesse artistico-culturale, spesso inaccessibili ed eccezionalmente a disposizione del pubblico, tra i 410 scelti in 190 città italiane. Protagonisti di quest’anno sono gli androni delle vetuste case nobiliari del centro storico di Ibla. Proprio dietro il Duomo, da dove sporgono le strutture absidali, emerge il settecentesco palazzo nobiliare della famiglia La Rocca. La bella facciata, chiusa da due paraste cantonali, fa da preambolo all’elegante androne. Una vera “foto di pietra”, che si contraddistingue nell’impaginazione architettonica di uno dei balconi, è quella raffigurante una donna che cura il bambino e che, per l’espressione del volto nonché per il movimento del pargolo, sembra un fotogramma di vita eternato nella pietra. In tale contesto, tra luci e ombre che si rincorrono confluendo in una dimensione onirica, all’interno dell’antico salone, è stata presentata una performance di teatro danza, a cura del Centro Ludens di Ragusa, coreografie della prof.ssa Claudia Gafà, testi del giovane sceneggiatore sciclitano Massimo Giardina, dal titolo “Portella della Ginestra”. La plasticità somatica delle ballerine, unitamente alla perfezione di stile e di movimento, evoca storie, brandelli di storie. Frammenti di voci e di volti, ritratti di donne, uomini, bambini, fiori e piante di Sicilia. Sentimenti umani che cozzano scontrandosi con la cruda realtà. Lotta di poteri nel potere. I perché dolorosi della storia di gente comune, attraverso il riaffiorare di pallide figure, vittime di quell’eccidio occorso quasi 60 anni fa in quel luogo divenuto “luogo della storia”; luogo senza tempo in cui, nelle giornate di vento, si odono ancora quelle grida di gente innocente. Corpi carichi di energia solare che disegnano i movimenti mentre i versi – mirabilmente letti da Massimo Giardina – plasmano la scena che avvolge, in un intimo abbraccio, lo spettatore. Pensieri, ricordi, grida, parole che si amalgamano in una miscellanea di segni e di corpi reinventati con il linguaggio eterno della danza.

Un grande spettacolo, dunque, di arte e bellezza rivolto a tutti coloro che hanno a cuore il patrimonio artistico della nostra terra, perla del mediterraneo.

 

 

 

 

Respir-Azione e Ben-Essere

 

Dimmi come respiri e ti dirò chi sei! Questo, in estrema sintesi, il filo conduttore della conferenza recentemente tenutasi presso la sala convegni del Centro Servizi Culturali di Ragusa avente per argomento principe “La respirazione: ovvia ma potente. Come farne buon uso?”. Ad introdurre i lavori è stato il prof. Pippo Palazzolo, presidente di “A.s.tr.um.” (Ass. per gli Studi Tradizionali e Umanistici), nonché direttore della rivista telematica “Le Ali di Ermes”, da anni impegnato sul fronte dello studio serio ed appassionato delle “discipline astrologiche” e del “benessere olistico”. A relazionare sulla delicata e quanto mai intrigante tematica la dott.ssa Pina Pittari, italo-venezuelana, ricercatrice e studiosa in tecniche di sviluppo personale con particolare riferimento all’applicazione di discipline per il benessere psico-fisico e correlata integrazione corpo-mente.

Un incontro culturale, quindi, al di là dei canoni tradizionali non solo per le argomentazioni discettate ma anche per il coinvolgimento del pubblico, intervenuto numeroso in sala, spettatore/attore/fruitore dell’esperienza afferente alla cosiddetta “Rebirthing” basata sulla “respirazione circolare”. La “rebirthing” (cioè “rinascita”) è una metodologia di respirazione sviluppata e codificata da Leonard Orr, ricercatore in medicina olistica, intorno agli anni ’70 del secolo scorso. Con le “rebirthing” ci si libera delle tensioni emotive accumulate attraverso un percorso di consapevolezza di se stessi per mezzo della tecnica che sfrutta il respiro. Che cos’è la respirazione? In che modo si respira? Cosa c’è dietro la respirazione? Domande che a prima vista sembrano molto banali, ma che invece nascondono un microcosmo di aspetti psicologici di estrema rilevanza. La respirazione è costituita da un ciclo continuo di inspirazione ed espirazione. Il modo in cui si respira è strettamente correlato allo stato emozionale, mentale e fisico in cui ci si trova. Da ciò discende che ritrovando una respirazione più libera e rilassata si è in grado di aumentare l’ossigenazione. Quest’ultima, portando più energia ad ogni cellula del corpo, sblocca le memorie emotive permettendo non solo di riconoscerle e capirle, ma anche di raggiungere un benessere psico-fisico o addirittura favorire la risoluzione di traumi sofferti durante il periodo perinatale e dell’infanzia. La tecnica detta di “respirazione circolare” sfrutta le stesse modalità di respirazione adottate inconsciamente dai neonati. La respirazione “connessa e consapevole” cerca di instaurare un ponte tra il visibile e l’invisibile, mettendoci in comunicazione con l’inconscio. Le sedute di “rebirthing” rappresentano, dunque, un momento “sacro” in cui ricercare e ritrovare l’energia nonchè le potenzialità di ciascuno, libere da ogni condizionamento. Attraverso un respiro “consapevole” si ottiene una “rinascita interiore”. A tale scopo la prof.ssa Pittari è stata recentemente promotrice dell’istituenda Associazione Centro di Rebirthing Respirazione & Benessere, con sede nel capoluogo ibleo.

La tematica affrontata fa parte di un ciclo di conferenze - promosse dal prof. Palazzolo, in sinergica cooperazione con “A.s.tr.um”, “Le Ali di Ermes” ed il citato Centro di Rebirthing di Ragusa- avente come obiettivo primario quello di proporre al grande pubblico argomentazioni di particolare interesse che necessitano di ulteriori riflessioni anche in ambito sociale.

 

Giuseppe Nativo

 

 

MAGGIO 2006

 

 

“La punizione” di Salvatore Scalia al Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa

Quell’infanzia spezzata sotto il cielo di primavera

 

Un’infanzia spezzata a seguito di uno scippo “irrispettoso”. La speranza di vita di quattro ragazzini soffocata nel nulla. La sofferenza delle madri che urlano senza gridare. Occhi senza lacrime che guardano nel vuoto. L’atroce silenzio che pervade l’anima bussando alle porte sbarrate della mafia. Una storia vera che sembra fiction. Questi, in estrema sintesi, gli ingredienti dell’ultima fatica letteraria di Salvatore Scalia, giornalista (dirige le pagine culturali del quotidiano “La Sicilia” di Catania) e scrittore etneo, recentemente presentata al Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa. L’iniziativa culturale, promossa ed organizzata dal Centro, si inserisce nell’ambito delle iniziative volte a far conoscere l’attività creativa degli scrittori siciliani. Scalia è autore di lavori teatrali (quali “Teatro. Trilogia del malessere”, pubblicato nel 2002; ma anche i primi “L’estorsione”, “Confessione di un pentito”), andati in scena alla rassegna internazionale Taormina arte e allo Stabile di Catania. E’ anche autore di saggi storici (“Il processo a Bixio”, pubblicato nel 1991). Il titolo del libro “La punizione. Catania 1976: quattro ragazzi spariti nel nulla” (Editori Marsilio, pp. 135) e l’immagine di copertina – poco chiara come di una foto messa fuori fuoco – di uno scippo già sintetizza in sé l’intero svolgersi dell’avvincente trama che sta in mezzo tra racconto e inchiesta. Non è racconto perché si basa su una storia vera. Non è inchiesta perché porta con sé l’anima dello scrittore che, traendo spunto dalle fredde notizie delle carte processuali dell’epoca, riesce a riesumare una vicenda sospesa nell’oblio. Una storia non dimenticata ma “congelata” nel tempo e nel cuore della gente. E’ una memoria fossile nella quale si crea un varco e da cui emergono dirompenti quattro ombre che, grazie all’abile penna di Scalia, prendono man mano consistenza dando vita al palcoscenico della vita. Un’esistenza spietata, dura, crudele, gravida di emarginazione, in cui sono immersi i quattro protagonisti della vicenda. Quattro adolescenti, tra i dodici e i tredici anni, aggirandosi nei pressi di un mercatino rionale di un quartiere popolare del capoluogo etneo, compiono l’insano gesto dello scippo perpetrato ai danni di un’anziana donna. Nella loro ingenua inconsapevolezza non sanno che hanno colpito la madre di un noto capo mafia. I ragazzini da predatori diventano preda. Spariranno nel nulla. Testimoni silenziosi gli sfavillanti astri di un cielo primaverile. Una vicenda che scuote e fa riflettere, così ha commentato il prof. Nunzio Zago (Università di Catania-Sede di Ragusa), a cui è stata affidata la presentazione del libro che ha esplicitato con estrema puntualità e rigore letterario. Una storia, in apparenza, come le altre ma dai risvolti tragici e grotteschi sgorgati dalla confessione di un pentito, in preda a “deliri con pulsioni autodistruttive”, ed in cui “l’immaginazione dà corpo, sostanza psicologica e drammatica alla scarna trama del pentito, ai destini incrociati di quattro adolescenti e dei loro persecutori”. “Uno dei tanti aspetti interessanti della trama”, ha sottolineato il prof. Zago, “trattato dall’autore con grande finezza psicologica e sapienza, al di là della sua capacità di caratterizzare i personaggi, è quello dei turbamenti dell’adolescenza, quale ad esempio il complesso edipico di uno dei ragazzi, Pinuccio, nei confronti della madre o le sue titubanze nei confronti della sorella del suo compagno”. Il motivo degli eccessi goffi e contraddittori dell’adolescenza, tratteggiato dalla mirabile tecnica narrativa dell’autore, rappresenta l’elemento tragico che va a permeare l’intera vicenda. Ne scaturisce un quadro assai convincente caratterizzato dal registro ironico e grottesco del romanzo con il quale Scalia affronta la tematica del sottosviluppo isolano e della cronica arretratezza meridionale in sintonia con la migliore eredità letteraria siciliana. Una narrazione che, in buona sostanza, svolge anche il ruolo di campanello d’allarme sociale, come ha puntualizzato il Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”, On. Giorgio Chessari, nel corso del suo intervento introduttivo.

La lettura dei brani tratti dal libro di Scalia, affidata alle cure del bravissimo attore Giorgio Sparacino, ha fatto da preziosa cornice alla serata.

 

 

 

Dal documento di archivio al libro

 

Nell’ambito delle iniziative promosse ed organizzate dall’Archivio di Stato di Ragusa, recentemente sono state inserite variegate manifestazioni (incontri culturali e mostre) volte a far conoscere il materiale documentario in possesso delle due strutture archivistiche iblee (Ragusa e Sezione di Modica). La ricerca e lo studio del passato, attraverso i vetusti carteggi rivenienti dall’antica Contea, necessitano sempre più di nuove fonti attraverso cui poter approfondire le vicende che hanno caratterizzato il territorio ibleo nel suo evolversi in campo economico, politico e culturale. Sulla base di tali istanze si è svolta la conferenza dal titolo “Dal documento di archivio al libro”, tenutasi presso la sala convegni del Palazzo della Provincia di Ragusa. A relazionare sull’interessante tematica è stato il prof. Giorgio Flaccavento, storico dell’arte.

Dopo gli indirizzi di saluto da parte dell’ing. Franco Antoci (Presidente della Provincia Regionale di Ragusa) e dr. Enzo Pelligra (Assessore provinciale ai BB. e AA. CC.), la relazione introduttiva è stata curata dalla dott.ssa Anna Maria Iozzia, Direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa, la quale ha posto l’attenzione su come la conservazione e fruizione della documentazione archivistica sia di vitale importanza per la ricostruzione storica di una città e, quindi, del territorio in cui essa opera culturalmente e socialmente. A tale riguardo la dott.ssa Iozzia ha ricordato che presso l’Archivio di Stato di Ragusa è stato trasferito, proveniente dalla struttura aretusea, numeroso materiale documentario, definendolo il “ritorno della memoria”, costituito da alcune centinaia di volumi riguardanti le attività istituzionali – in un arco temporale che va dal XVI al XIX secolo – delle città di Ragusa, Modica, Scicli, Ispica e Vittoria. Carte, queste, che attendono di essere “scoperte” e “riscoperte” dagli studiosi, ha così specificato la dott.ssa Iozzia puntualizzando che “… la storia non e’ modificabile per quella che è stata, ma è modificabile per la conoscenza che ne abbiamo”.

Quest’ultima considerazione è stata il punto di partenza delle argomentazioni discettate dal prof. Flaccavento sul tema “Ragusa nel libro”, ripercorrendo, in maniera sintetica, la storia urbana della città di Ragusa fatta di uomini immersi in “realtà stratificate e rifondate che la rendono irripetibile”. Una città che risorge dal disastroso evento tellurico del 1693 mostrando un’energica capacità di innovazione con l’offrire nuove e diverse prospettive di vita e di abitazione traendo preziosa linfa vitale dalle memorie delle esperienze sedimentate nel tempo. Un continuo lavorio di maestranze contribuiscono a dare un volto nuovo alla città che, frattanto, si “sdoppia” in due strutture. I fatti che influenzano la forma urbana offrono occasione di lettura, quasi come un libro aperto, sulle vicende socio-politiche di quel tempo. Tutto ciò lo si evince dallo studio dei documenti archivistici che contribuiscono a dare al ricercatore un’idea della struttura topografica dell’antica città di Ragusa. Tuttavia necessita un ulteriore impegno per l’approfondimento di determinate tematiche che tengano conto non solo dell’identità formale e culturale di una città, ma anche della “coscienza e conoscenza” del territorio inteso come insieme collettivo di pensiero.

 

 

 

 

 

Tra letteratura e medianismo

 

Fra la seconda metà dell’ 800 e i primi del ‘900 lo studio dei cosiddetti fenomeni “medianici” riscuotono l’attenzione di numerosi scienziati. Molti di essi si dedicano con entusiasmo a tali ricerche i cui risultati, in non poche occasioni, si rivelano deludenti. Rimangono dubbi, perplessità, incertezze. Già dalla metà del XIX secolo lo “spiritismo” ha già contagiato l’Europa, specialmente grazie alle imprese di “medium” ovvero di particolari soggetti che fungono da tramite con l'aldilà e che, instaurando un certo tipo di “comunicazione” con gli spiriti dei trapassati, fanno da “ponte” con il mondo dei viventi. E’ facilmente intuibile come il fenomeno diviene un elemento di portata sociale non indifferente. Ai diversi aspetti che caratterizzano le cosiddette “sedute spiritiche” (presunte levitazioni dei tavolini; strumenti musicali che suonano da soli, etc.) si interessano molto gli psichiatri italiani. Nell’intervallo di tempo che va dalla fine dell'Ottocento ai primi anni del Novecento, i più bei nomi della psichiatria italiana si occupano della problematica (Lombroso, Morselli, Bianchi) nonché un folto numero di ricercatori dediti ad altri campi della medicina e della fisica. Ma l'elenco degli intellettuali interessati alla spiegazione dei fenomeni legati allo “spiritismo” è destinato ad estendersi. Scrittori come Conan Doyle (il creatore di Sherlock Holmes), come Alexandre Dumas, o, in Italia, Antonio Fogazzaro e Luigi Capuana danno credito a questi fenomeni, e rappresentano il nocciolo duro di un movimento d'opinione dalle dimensioni davvero imponenti che orbita, inevitabilmente, intorno ad alcune figure di medium in grado di produrre fenomeni ritenuti prova indiscutibile dell'esistenza di altre forme di realtà. Questa l’intrigante ed affascinante tematica – promossa dall’Associazione Pedagogica Italiana, l’Associazione Culturale Docenti “G.B. Hodierna”, l’Associazione Italiana Maestri Cattolici, l’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi, Centro Servizi Culturali - recentemente discettata presso la sala convegni del Centro Servizi Culturali di Ragusa ed avente come oggetto “Lo spiritismo di fine ‘800 e Luigi Capuana”. A relazionare, dopo la breve ma puntuale introduzione del prof. Nino Cirnigliaro (Presidente del Centro Servizi Culturali), è stato il prof. Giovanni Bellina, già docente presso l’Istituto Scolastico “P. Vetri” di Ragusa nonché esperto di gnomonica.

Luigi Capuana (1839-1915) nasce a Mineo (Ct). Ancora giovanissimo, mostra notevole interesse per la letteratura e la lingua italiana. A diciotto anni, per volere della famiglia, studia Giurisprudenza presso il Siculorum Gymnasium di Catania. Successivamente abbandona l’università per dedicarsi allo studio degli scrittori classici. Attraverso le ricche esperienze di vita, sociale e letteraria, fatte fuori Sicilia (Firenze, Milano, Roma), intensifica le sue attività di scrittore divenendo uno dei più noti e significativi autori del realismo italiano del Secondo Ottocento. Assai sensibile alle tematiche dell’occulto, comincia a sviluppare una viva curiosità per molti campi del sapere, in particolare modo per la magia e le superstizioni della sua terra. Nei diversi testi che trattano tali argomentazioni (quali ad esempio “La medianità”, “Mondo occulto”, pubblicati dal novelliere siciliano tra il 1884 e il 1906) - caratterizzati da un impianto saggistico ma dal tono familiarmente colloquiale, talora arricchiti da frequenti divagazioni narrative di carattere squisitamente autobiografico - Capuana racconta le proprie scoperte sulla via dello “spiritismo” e delle cosiddette “pratiche magiche”. Un percorso, questo, che lo condurrà “dal vanitoso ateismo giovanile” alla fede nel mondo “di là”. Attraverso le sue esperienze (sperimenta assiduamente fatti ipnotici e medianici), si realizza uno “strano connubio” tra positivismo e spiritualismo. Capuana segue con attenzione quanto man mano è pubblicato intorno allo “spiritismo” vantandosi di essere il primo letterato a scrivere un libro sull'argomento (“Spiritismo”, 1884). In quegli anni Lombroso, che ha già pubblicato un articolo sul “Fanfulla della Domenica” (giornale letterario romano), di cui Capuana è in quel tempo (1882) direttore, gli scrive una lettera di approvazione e di consenso. La lettera è interessante perché rivela il punto dell'incontro tematico. “Ho finalmente letto e studiato il suo Spiritismo come meritava. E son perfettamente d'accordo con lei che il momento delle ispirazioni è assolutamente analogo a quello dell'ipnosi”. Per Capuana, infatti, il “demone” della scrittura trasforma chi scrive in una sorta di “medium”, l'artista entra in una sua “particolare allucinazione” e l'arte apre alla conoscenza più della scienza.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

GIUGNO 2006

 

 

Le tradizioni iblee a portata di clic.

 

Dal versante occidentale a quello orientale, dai piccoli centri alle città capoluogo, in Sicilia, e quindi anche nel territorio ibleo, non c’è posto in cui la festività in onore del padre putativo di Gesù non si traduca in un fiorire di processioni, riti e manifestazioni che affondano le radici nelle più antiche tradizioni popolari. Quest’ultime coinvolgono in chiave comunitaria la collettività in quanto momenti di massima espressione del sentimento religioso.

Giochi di ombre e chiaroscuri. Colori caldi. Scatti in bianco e nero che colgono la suggestione di un attimo o di un particolare della realtà esteriore. Grigie sfumature che raccontano le sensazioni e le emozioni che un luogo e un determinato momento suscitano nell’animo umano. Tutto ciò si realizza nell’ultima fatica creativa di Vincenzo Giompaolo (da oltre trent’anni fotoamatore e studioso di tradizioni popolari), dal titolo “San Giuseppe in Sicilia. Altari, cene, tavolate” (Utopia Edizioni, 2006, pp. 221), dove fotografia e testo espositivo si intrecciano in un abbraccio poetico dal sapore etnografico. Le stampe (circa 200) garantiscono la fervida immagine del “momento festivo” vissuto in maniera popolare ma che dietro la macchina fotografica di Giompaolo, attraverso una particolare angolatura, assume un notevole spessore culturale e visivo da cui emerge quella “memoria fossile”, quella stratificazione di esperienze di stampo folcloristico. La fotografia è per Giompaolo una nuova pelle dell’immagine. Essa garantisce un linguaggio che pur nascendo dallo sguardo reale possiede un’alchimia in cui si intrecciano presente e passato dando forma ad una propria autonoma identità simbolica. Attraverso le immagini Giompaolo è in grado di creare emozioni molto più profonde di quanto si possa ottenere con le più accurate descrizioni. Ne emerge un quadro esauriente e chiaro di gran parte degli aspetti folcloristici connessi alla festa di San Giuseppe, presente in numerosissimi comuni dei circa 400 che compongono la Trinacria. In alcune contrade di Modica la festa del Patriarca è salutata con la “vampata”: falò con significato purificatorio. Una delle pietanze tipiche da gustare in occasione della ricorrenza è il “maccu”. Questo si distingue in “maccu virdi, maccu siccu e maccu lurdu”. Del primo si conserva una brevissima descrizione del Pitrè: “… ministra virdi di S. Giuseppi, altrimenti detta maccu composta di ogni sorta di legumi… cavoli, borragine, finocchi, sedano, indivia…”. I finocchi, ad esempio, si notano in quelle tavole che, ricche di pietanze, a volte a più ripiani, trasformate in una sorta di “cappelle”, prendono il nome di “banchetti di San Giuseppe”. Quest’ultimi, in base all’uso locale prendono il nome di “altari” (Acate, Giarratana, Monterosso Almo), “cene” (Marina di Ragusa, Santa Croce Camerina, Scoglitti) o “tavolate”. Visitare tali “banchetti” significa scoprire e, nel contempo, ammirare la magnificenza dell’arte popolare che è mirabilmente rappresentata nelle foto proposte da Giompaolo, dalle quali filtra l’antico alito delle tradizioni popolari legate al culto di San Giuseppe. E’ dalla “lettura dei banchetti” che emerge in maniera dirompente il carattere antropologico e religioso del giorno festivo. “Nelle feste” – precisa Giompaolo – “si osservano comportamenti che vanno a pescare dentro forme di cultura molto arcaiche, a volte anche precristiane”. A metà strada tra il sentimento religioso e la festa folcloristica, i “banchetti di San Giuseppe” rappresentano un alto concentrato di espressioni con valore simbolico. La presenza di primizie poste al centro della tavola ricordano le offerte dei primi frutti della terra a Cerere, dea delle messi. Anche il pane, con le sue variegate forme, porta con sé il suo simbolismo: “a spera” (u pani pulitu) ricorda le origini regali di San Giuseppe; “u lauri” (il grano) ed il pane rappresentano il lavoro umano; “i G”, pane a forma di lettera G che vuol ricordare i nomi di Gesù e Giuseppe; le arance amare ed i limoni, anch’essi presenti, rappresentano i dolori e le amarezze.

La festa di San Giuseppe, che nel 1870 papa Pio IX ha proclamato patrono della Chiesa, segna l’inizio della primavera e, per i suoi aspetti religiosi e folcloristici, richiama una copiosa ed accorata partecipazione di gente.

Un grazie, dunque, a Vincenzo Giompaolo per aver racchiuso nelle sue foto il sapore antico delle tradizioni popolari, poco conosciute dalle nuove generazioni, cogliendo, straordinariamente, quelle sensazioni ed emozioni mirabilmente raccolte con un clic.

 

 

 

2 giugno 1946: Modica vota per la Repubblica

 

“Dal Referendum alla Costituzione” è il tema affrontato in questi giorni attraverso una mostra di materiale bibliografico e documentario incentrato sul periodo storico riguardante il Referendum del 1946, che grande fermento portò anche nel territorio ibleo. A proporlo è la dott.ssa Anna Maria Iozzia, direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa, in sinergia con il Ministero per i BB. e AA. CC. Il giudizio popolare del 2 giugno 1946 rappresenta un controverso momento della storia nazionale così carico di accadimenti da essere considerato come una “rivoluzione pacifica”.

Un interessante ed articolato percorso espositivo, allestito nei locali della struttura archivistica iblea, ricco di carteggi provenienti dal fondo Prefettura, contribuisce a far luce su alcuni aspetti poco conosciuti del nostro territorio. Il quesito referendario da sottoporre al voto fu: Repubblica o Monarchia. La mattina del 2 giugno 1946, giorno in cui cadeva l’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, si tenne il referendum istituzionale. Si votava la domenica ed il mattino del lunedì, con la chiusura dei seggi alle ore 12. Numerose le sezioni in cui le operazioni di voto si svolsero senza fare registrare incidenti di rilievo, eccetto per le città di Vittoria e Modica (le sezioni messe a disposizione della cittadinanza furono 28; tra di esse la Curia Vescovile di Piazza Carmine, il Piccolo Seminario di Via Carlo Papa, l’Aula Tribunale-Palazzo di Giustizia di Corso Umberto I°) dove emersero delle presunte irregolarità. Per Modica, all’epoca rientrante nel Collegio elettorale di Catania, il verbale (costituito da quattro facciate, ma solo tre occupate da notizie dattiloscritte), recante la data del 18/07/1946 (fonte Archivio di Stato di Ragusa, Prefettura, Gabinetto, busta 2206), presenta una nota sul recto della prima facciata (in alto a destra): “Dati incompleti perché mancano i risultati relativi alla Sezione n. 18 (n.d.r. quella allogata in Via S. Teresa) i cui verbali furono sequestrati d’ordine del Presidente della Corte d’Appello di Catania”.

Le risultanze provenienti dalla città di Modica registrarono una percentuale di votanti pari al 48,99% per la “Repubblica” contro il 42,90% ottenuto dai sostenitori della “Monarchia”. Una decina di voti nulli, schede nulle 737, bianche 928.

I dati a carattere nazionale confermarono la vittoria della Repubblica. La “Gazzetta Ufficiale” n. 298 del 27/12/1947, “vista la deliberazione dell’Assemblea Costituente, che nella seduta del 22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana”, promulga i “Principi fondamentali” ed i “Diritti e Doveri dei cittadini”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Insieme” con Salvatore Scalia a Ragusa

 

La Redazione di “Insieme”, in occasione della presentazione del libro “La punizione” (Marsilio, 2006, pp. 135) di Salvatore Scalia (giornalista e scrittore etneo), tenutasi presso il Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa – ente promotore ed organizzatore dell’incontro culturale – ha avuto modo di intrattenersi con lo scrittore intavolando una piacevole chiacchierata. Scalia, caposervizio della pagina culturale del quotidiano “La Sicilia” di Catania, è già autore di lavori teatrali (“Teatro. Trilogia del malessere”, La Cantinella, 2002), andati in scena alla rassegna internazionale Taormina arte e allo Stabile di Catania, e saggi (“Il processo a Bixio”, Maimone, 1991; “Il vulcano e la sua anima”, presentato a Ragusa nel 1990; “Appunti”, Sciascia, 2004). Di recente è stato insignito del premio “Opera Prima” nell’ambito dell’XI edizione del “Premio Vittorini” organizzato dalla Provincia Regionale di Siracusa. A febbraio del corrente anno, Ragusa è stata al centro dell’attenzione in occasione del primo “Salone del libro di viaggio”, tenutosi a Catania (presso “Le Ciminiere”), con il libro “Viaggio a Ragusa” (uno dei curatori è appunto Salvatore Scalia). La sua ultima fatica letteraria, “La punizione”, che segna il suo esordio nel campo della narrativa, racconta una storia di dolore e di precoce iniziazione alla vita. Quattro giovani anime, tra i 12 e i 13 anni, per un crudele destino si trasformano in quattro scippatori. E’ il maggio del 1976. L’insano gesto, consumato ai margini del mercatino rionale di un quartiere popolare del capoluogo etneo, è perpetrato in danno di un’anziana signora. Per una triste fatalità non sanno che quella donna è la madre di un noto capo mafia. Identificati dai malavitosi, sono rinchiusi in una stalla di un lontano casolare e fatti sparire nel nulla. Solo dieci anni dopo, dalle rivelazioni di un pentito, si apprende quella triste vicenda. Ci sarà anche un processo che non approderà a nulla.

 

-Dott. Scalia si è ispirato a qualcuno per lo stile che ha adottato ne “La punizione”? Leggendo il libro si sente un’atmosfera pasoliniana per la descrizione del quartiere ma anche una nota di malinconia verghiana-siciliana…

Di ispirazioni ne potrei contare molte: per lo stile Verga e Vittorini, per la teoria del fuoco Bacherlard, per lo spaesamento del viaggio Eric Leed, per il rapporto ambiguo con Sant'Agata Consolo. Poi ci sono la parodia del leit motiv e una parodia gattopardiana.

 

-Una storia siciliana, ma soprattutto una storia dura, di povertà di valori, di onore male inteso, di triste realtà sociale, di emarginazione… Cosa dice ai non siciliani?

Dice che la Sicilia è universale e che una storia simile può accadere dovunque. Il gioco perverso vittima carnefice non conosce confini. E ogni universo di benessere ha i suoi ghetti, i suoi emarginati e i suoi vinti, dove domina la violenza più spietata.

 

-La mafia: oggi si parla di crisi di “vocazioni giovanili”, mentre i protagonisti del romanzo, probabilmente, se non avessero “sbagliato” la vittima dell’ultimo scippo, avrebbero avuto come destino quello di diventare manodopera mafiosa…

Certo sarebbero divenuti mafiosi, avrebbero ricostituito le gerarchie che esistono tra i grandi. Il mio libro è costruito per rispecchiamenti. I giovani si riflettono negli adulti e viceversa. Il destino in ogni caso è segnato. E' difficile sfuggirgli, occorre uno choc tremendo per cambiare vita, come succede a Mario il fratello di una delle vittime. E' lui il simbolo della speranza.

 

Il thriller è oggi il genere più letto. La realtà, però, è molto spesso più drammatica dell’immaginazione. Per questo la sua scelta di romanzare un fatto autentico?

La realtà è già fantastica. Il problema è di stile e linguaggio. Questi due elementi segnano la differenza tra cronaca e letteratura.

 

Ha uno scritto al quale lavora da tempo e che rivede, oppure un argomento che vorrebbe da sempre affrontare?

Sì una storia dell'Etna e del vulcanesimo che scorre come lava infuocata o rappresa nelle nostre vene e nelle nostre coscienze. Ci giro intorno da molti anni.

 

 

 

 

 

Il “San Giuseppe” di Giompaolo

 

Da qualche settimana è apparso in libreria un volume che arricchisce non solo la nostra conoscenza del rito religioso del santo protettore dei falegnami, San Giuseppe, ma soprattutto quel sapere folcloristico di stampo etnografico che ancora una volta propone al grande pubblico il dott. Vincenzo Giompaolo, studioso di tradizioni popolari siciliane e fotoamatore da oltre sei lustri. Autore di precedenti pubblicazioni (“Feste del Popolo Siciliano”, II voll. , 1995-’98; “Una Festa sui Prati – Santa Rosalia”, 1996; CD-Rom “Natale in Sicilia”, 2004), Giompaolo, con la sua recente fatica creativa, tra testo e foto, “San Giuseppe in Sicilia. Altari, cene, tavolate” (Utopia Edizioni, 2006, pp. 221), introduce allo studio del “momento festivo” dedicato al padre putativo di Gesù nei diversi comuni siciliani (in ben 15 lo hanno eletto a loro patrono, mentre il suo culto è presente in oltre 80 comuni dei circa 400 che compongono la nostra isola) dove affonda radici abbastanza solide che si esplicitano attraverso i cosiddetti “banchetti di San Giuseppe”. La festa popolare rappresenta non solo un momento di aggregazione ma si rivela di particolare rilevanza perché è il momento più importante di ritrovo per tutta la comunità, nella quale ciascun individuo si riconosce parte integrante. Il tutto è colto dalla sapiente angolatura che Giompaolo sa dare alla sua inseparabile macchina fotografica. E’ attraverso le foto (nel libro se ne contano circa 200), piccoli “ritagli” di memoria nel grande mosaico delle tradizioni popolari, che l’occhio del lettore può cogliere i variegati aspetti e momenti di fede popolare, unitamente alle intrinseche simbologie, legati alla festa di San Giuseppe. La fotografia è anche meditazione che fa pensare e raccoglie in immagini tutta la sua poetica, tutta la sua immensa ed intricata semplicità. “Ogni immagine è una storia”, afferma Giompaolo. Per lui la foto è un linguaggio con una propria grammatica ed una sorta di sintassi che nel suo “San Giuseppe” emerge dirompente per coinvolgere il lettore/osservatore in un messaggio che è visivo e, nel contempo, testo narrativo. Attraverso le foto si può cogliere la trasmissione di antichi saperi religiosi e folcloristici, ma anche un viaggio nel tempo alla ricerca di antichi sapori. E’ così che “altari, cene, tavolate” prendono vita nel territorio ibleo come in ogni altra località siciliana. Si tratta di tavole, coperte da tovaglie di lino ricamate, predisposte in occasione della festa di San Giuseppe, spesso a più ripiani, su cui trova collocazione un’immensa varietà di pietanze e molteplici forme di pane. Particolare interessante è che, in questa provincia, le “cene” di Acate sono molto simili a quelle di Gela (Cl), i cui rituali di stampo folcloristico ricordano la “nestéia” nel corso delle tesmoforie in onore di Demetra. Visitare le “cene”, come quelle in uso a Santa Croce Camerina (Rg), rappresenta non solo un’emozione visiva – che subito si coglie attraverso le foto di Giompaolo – ma anche una “memoria fossile”, uno squarcio nel tempo, da cui si può estrapolare una rilevante simbologia. Conoscere il significato degli elementi costituenti la cena è ciò che si definisce “lettura della cena”. E’ in tale direzione che la perizia fotografica ed espositiva di Giompaolo è rivolta. Tra le tantissime forme di pane che si possono osservare nelle “cene” di Santa Croce Camerina (Rg) sono da segnalare: “a Sacra Famigghia”, pane che riproduce la Sacra Famiglia secondo la classica iconografia cristiana; “i pira” o “piridda”, simboleggiano i doni della natura; “u gigliu”, rappresenta la purezza di S. Giuseppe; “u pisci”, il pesce simbolo arcaico del cristianesimo; “a racina”, il grappolo d’uva che, come la spiga, è simbolo dell’Eucaristia. In buona sostanza, il pane – simbolo della millenaria tradizione agricola siciliana – assume un ruolo preponderante nella tavola siciliana dove riveste anche un ruolo votivo.

La festa di San Giuseppe, che nel 1870 papa Pio IX ha proclamato patrono della Chiesa, segna l’inizio della primavera e, per i suoi aspetti religiosi e folcloristici, richiama una grandissima ed accorata partecipazione di gente.

Un grazie, dunque, a Vincenzo Giompaolo per aver racchiuso nelle sue foto il sapore antico delle tradizioni popolari, poco conosciute dalle nuove generazioni, cogliendo mirabilmente quelle sensazioni ed emozioni che un luogo e un determinato momento suscitano.

 

 

 

 

2 giugno 1946: dal Referendum alla Costituzione

 

“Nella Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia: tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie…” (P. Calamandrei, “Discorso agli studenti milanesi”, 1955).

Sulla base di tali istanze ed in occasione delle celebrazioni del 60° Anniversario della nascita della Repubblica Italiana, l’Archivio di Stato di Ragusa, in sinergica cooperazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ha organizzato una mostra di materiale bibliografico e documentario (dal 3 al 24 giugno) - avente per tema “Dal Referendum alla Costituzione” - incentrato sul periodo storico riguardante il Referendum del 1946 che grande fermento portò nella città di Ragusa e nei comuni afferenti alla provincia iblea. La giornata inaugurale, contraddistinta dalla presenza degli alti vertici istituzionali del territorio nonché del Vescovo di Ragusa, S.E. mons. Paolo Urso, è stata aperta da S.E. il Prefetto di Ragusa, dott. Marcello Ciliberti. La relazione introduttiva è stata curata dalla dott.ssa Iozzia, direttore dell’Archivio di Stato di Ragusa, che, nel corso del suo intervento introduttivo, ha posto l’accento sulla rilevanza della giornata commemorativa in relazione agli eventi che hanno caratterizzato quell’arco di tempo che va dal 12 marzo 1946 – momento in cui il Consiglio dei Ministri decide la giornata per il referendum sulla forma istituzionale dello Stato (rif. comunicato Ansa, 12/03/1946, ore 20,00) - sino alle giornate immediatamente successive al 2 giugno di sessant’anni or sono, quando il popolo cinse la corona che era appartenuta ai Savoia.

Per rievocare quei giorni è stato allestito, presso i locali dell’Archivio di Stato di Ragusa - grazie all’impegno del direttore, la dott.ssa Iozzia, brillantemente coadiuvato dai suoi collaboratori - un interessante ed articolato percorso espositivo ricco di documenti (gran parte dei quali provenienti dal fondo Prefettura) dattiloscritti e stampati, manifesti elettorali, dispositivi emanati dal Ministero dell’Interno dell’epoca, verbali di rilevazione elettorale, simboli dei partiti presenti alla vigilia elettorale ed articoli tratti dalla stampa di quel tempo.

Il referendum del 2 giugno 1946 rappresenta un passaggio di rilevante importanza per la storia dell’Italia contemporanea, dopo il ventennio fascista ed il coinvolgimento in una guerra svoltasi in un clima di esasperata tensione. E’ anche un controverso momento della storia nazionale così carico di eventi, cause, effetti e conseguenze da essere considerato coma una “rivoluzione pacifica”.

L’Italia era una monarchia ascritta ai Re di Casa Savoia cui spettava il titolo di Re d’Italia. Nel 1946, diventando una repubblica per effetto del citato referendum istituzionale, è dotata di una “Assemblea Costituente” allo scopo di munirla di una “Carta” avente valore di suprema legge dello stato repubblicano, onde sostituirne lo “Statuto Albertino” sino ad allora vigente. Prima del cambiamento esisteva una “monarchia costituzionale” fondata sullo “Statuto”. Sulla base di nuovi fermenti politico-sociali, unitamente all’allargamento della base elettorale (inizialmente élitaria, poi gradualmente allargata sino alla soppressione del requisito del censo, anche se solo al maschile sino al referendum), la nostra penisola si avviò verso un percorso di “democratizzazione” ponendo così la corona in discussione. Fu così che con “decreto luogotenenziale” n. 151 del 25/06/1944, emanato durante il governo Bonomi, si tradusse in norma l’accordo che al termine della guerra fosse indetta una consultazione estesa all’intera popolazione allo scopo di scegliere la forma dello stato ed eleggere un organo, detto “Assemblea Costituente”, che avrebbe avuto il compito di redigere una nuova carta costituzionale. Era il 1945 (fine della guerra) e l’Italia era un paese sconfitto, diviso e occupato da truppe straniere. A fine gennaio di quell’anno, il Consiglio dei Ministri emanò un decreto che riconosceva il diritto di voto alle donne (dopo i molteplici tentativi fatti nel lontano 1881 e nel 1907 dal movimento femminista ispirato dalla Montessori, prima donna laureata in medicina in Italia). Il menzionato decreto trovò però piena attuazione solo nella primavera dell’anno successivo, momento in cui fu possibile accelerarne gli effetti con lo storico referendum. Il 1° marzo 1946 segnò l’inizio del dibattito politico sul tema istituzionale. Il governo presieduto da Alcide De Gasperi avviò le procedure per la realizzazione del referendum, perfezionando il relativo disegno di legge, nel quale si stabilì il quesito da sottoporre al voto: Repubblica o Monarchia (rif. Comunicato Ansa, 01/03/1946, ore 17,20). La campagna elettorale fu contrassegnata da incidenti e polemiche. La mattina del 2 giugno 1946, giorno in cui cadeva l’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, si tenne il referendum istituzionale. Quel dì, il Paese intero si destò con la sensazione di dover vivere una grande giornata. Si votava la domenica ed il mattino del lunedì, con la chiusura dei seggi alle ore 12. Numerose le sezioni in cui si svolsero le operazioni di voto che fecero registrare delle presunte irregolarità a Vittoria e Modica. Le sezioni messe a disposizione della cittadinanza ragusana furono 29 (tra di esse la “Scuola d’Arte” di Via S. Schininà; la “Casa del Soldato” in Via Traspontino; i locali della Croce Rossa Italiana di Via V. Emanuele; locale Poste in Via Ecce Homo), di cui 23 a Ragusa superiore, 5 nel “Quartiere di Ibla”, 1 a Marina di Ragusa.

I risultati ottenuti nella città di Ragusa, all’epoca rientrante nel Collegio elettorale di Catania, rispecchiarono, in gran parte, quelli a livello regionale. Dal verbale recante la data del 13/06/1946 (Archivio di Stato di Ragusa, fondo Prefettura, Gabinetto, busta 2206) si rileva che i votanti nel capoluogo ibleo sono 26.876, di cui il 53,92% rappresentato dalle donne ed il 46,08% dagli uomini. I risultati ufficiali del referendum furono: “Repubblica” voti 11.641 pari al 43,31%, “Monarchia” voti 13.718 pari al 51,04%; voti nulli 15, schede nulle 656, bianche 844.

Analizzando i dati per regione, si nota come l’Italia si fosse praticamente divisa in due: il nord dove la “Repubblica” aveva vinto con il 66,2% ed il sud dove la “Monarchia” aveva vinto con il 63,8% (la Sicilia si era espressa in favore della “Monarchia”, facendo così registrare il 64,7% dei consensi). Per cercare di spiegare le cause di questa netta dicotomia sono state proposte interpretazioni di carattere sociologico correlate a quelle di statistica del voto, a tuttora in fase di studio da parte degli studiosi. La nascita della Repubblica fu accompagnata da polemiche abbastanza accese circa la regolarità del referendum che la convalidò. Sospetti di brogli elettorali e di altre azioni “di disturbo” della consultazione popolare non sono stati ancora completamente fugati dagli storici, costituendo così oggetto di recriminazione da parte dei sostenitori della causa monarchica.

 

Giuseppe Nativo

 

 

LUGLIO 2006

 

 

 

Passata di pomodoro doc

 

Nuove norme in arrivo riguardanti l’etichettatura di origine della passata di pomodoro a far tempo dal 15 giugno scorso. Da tale data – secondo quanto disposto dal decreto interministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 57 del 9 marzo 2006 – è possibile riconoscere la vera passata prodotta in Italia grazie all’entrata in vigore dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del pomodoro utilizzato, unitamente alla specifica della “zona di coltivazione del pomodoro fresco utilizzato” (ANSA notizie del 12 e 14/06/2006).

“Si tratta di una vera rivoluzione per il condimento più presente sulle tavole degli italiani che è anche una delle componenti fondamentali della dieta mediterranea alla quale conferisce determinanti proprietà salutari grazie alla funzione antiossidante”, informa la Coldiretti (www.coldiretti.it).

L’Italia è il secondo produttore mondiale (circa 5 milioni di tonnellate – fonte Coldiretti) dopo gli USA (9 milioni di tonnellate). Il settore del pomodoro da industria in provincia di Ragusa riguarda mediamente 300 ha di superficie con una produzione di circa 350 quintali per ettaro con un raccolto di pomodoro per l’industria di trasformazione che si attesta attorno ai 70.000 quintali (fonte ISTAT – coltivazione 2005 – aggiornamento riferito al mese di aprile 2006).

Il nostro Paese, in questi ultimi anni, ha subito una trasformazione in ordine all’apporto dato alla commercializzazione del pomodoro. Da esportatore è divenuto importatore di variegati prodotti (frutta e verdura), pomodori compresi. Sebbene i produttori stranieri abbiano posto in essere idonei accorgimenti allo scopo di migliorare le qualità gustative dei pomodori coltivati in serra, quelli italiani ed in particolare quelli siciliani – a prescindere dalla tipologia di coltivazione – risultano più saporiti. Il sapore dei pomodori è dato da un insieme di aromi che si formano nella pianta attraverso il metabolismo secondario. In estrema sintesi, si può affermare che tanto più la pianta è coltivata mediante concimazioni, illuminazione e riscaldamento artificiale (agenti che contribuiscono al cosiddetto metabolismo primario, cioè quello con funzione di crescita) tanto più debole è il metabolismo secondario. La ricerca varietale in Italia si concentra, dunque, sulla riscoperta di specifiche varietà che tendono a migliorarne il sapore. Proprio in questi ultimi decenni si sono sviluppate numerose zone che, avuto riguardo alle loro ottimali condizioni climatiche, si sono specializzate verso una produzione di qualità. L’espansione della coltura del pomodoro di qualità va dalle classiche aree della Sicilia – ed in questo il territorio della fascia iblea è altamente vocato a tale produzione – e della Sardegna fino ai litorali sabbiosi della laguna veneta, oltre che nel Lazio per i pomodori ottenuti in serra nei mesi più rigidi da un punto di vista climatico (fonte www.pomodoroitaliano.it).

E’, pertanto, necessario che il prodotto made in Italy sia salvaguardato con appropriate normative che diano più garanzia al consumatore e contrastino la concorrenza sleale. La garanzia sarà data dalla trasparenza informativa che ha per oggetto l’etichetta apposta sulla confezione. Ciò sarà valido per le passate di nuova produzione. Alle industrie è stata concessa la possibilità di immettere sul mercato la produzione precedente, priva della specifica di origine, entro il tempo massimo del 31 dicembre 2007 (fonte www.campagnaamica.it).

La normativa è stata accolta con molta soddisfazione tanto dal comparto agricolo quanto da quello dei consumatori, sebbene desti non poca preoccupazione il fatto che il considerevole import da paesi esteri finisce per miscelarsi alla produzione nazionale.

 

 

 

 

A Ragusa Festa europea della Musica

 

Una data. Uno slogan. Un evento a carattere europeo. Due le città siciliane scelte. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con lo slogan “MusicArte”, aderisce da quest’anno alla “Festa europea della Musica” coinvolgendo i propri Istituti Territoriali nella realizzazione di eventi musicali gratuiti nei propri luoghi d’arte. A tale iniziativa aderisce, oltre Palermo, anche la città di Ragusa partecipando ad uno degli appuntamenti annuali più importanti di cultura e spettacolo in Europa. La “Festa della Musica”, nata in Francia nel 1982, ha assunto dal 1995 un carattere internazionale svolgendosi contemporaneamente in tutte le principali città europee. Dal 1999 la Presidenza del Consiglio ha concesso l’alto patrocinio alla manifestazione riconoscendone ufficialmente l’interesse pubblico e la valenza culturale. Data simbolica scelta per l’evento è quella del 21 giugno, giorno del solstizio d’estate che è il più lungo dell'anno e segna il passaggio dalla primavera all'estate.

La musica è un linguaggio universale che riesce a veicolare messaggi e contenuti di altissimo significato e rappresenta un’espressione artistica di rilevante importanza poiché comunicare con la musica significa superare barriere culturali, politiche ed economiche. Rispetto alle arti visive, la musica ha la particolarità di produrre negli ascoltatori sensazioni fisiche precise: le onde sonore è come se riuscissero ad “entrare” nel corpo. Presenze eteree vengono evocate per irradiare calore. Le stesse presenze emergono dirompenti dalle carte d’archivio che, con il loro carattere fabulatorio, ci parlano, ci offrono una miriade di notizie sui mille problemi e accadimenti della vita di una città, di un territorio. L’iniziativa, che vede la partecipazione delle strutture archivistiche, è diffusa tramite il web site del Ministero (MiBAC) dove è stata predisposta una web page dedicata. L’Archivio di Stato di Ragusa, attraverso l’impegno profuso della direttrice, dott.ssa Anna Maria Iozzia, si è fatto portavoce di tali istanze organizzando, presso i propri locali, un concerto di musica classica affidato al duo Di Pasquale (violino) - Martines (chitarra).

“L’evento, in contemporanea con le altre manifestazioni in numerose città europee, colloca il capoluogo ibleo in un circuito privilegiato tra arte e cultura” – specifica la dott.ssa Iozzia aggiungendo che –“la Festa si rivela come una preziosa occasione per offrire al pubblico momenti di partecipazione e di coinvolgimento, ove le varie espressioni dell’arte troveranno un luogo d’incontro”.

 

 

 

 

 

Archeologia subacquea: un tesoro sommerso

 

Il settore della ricerca subacquea, in particolare archeologica, è sempre più di attualità e di estremo interesse.

La possibilità di reperire interessanti dati archeologici, la notevole diffusione della pratica dell’immersione e l’importanza assunta dall’impiego di tecniche ed attrezzature particolari hanno contribuito a fare assurgere tale comparto a ramo nuovo ed autonomo dell’archeologia classica.

I fondali della zona iblea offrono, a tale riguardo, una ricchezza non indifferente ancora sommersa che merita di essere studiata e custodita. Le testimonianze rappresentate dai relitti hanno arricchito, negli ultimi anni, i dati scientifici e storiografici sugli antichi insediamenti urbani e marittimi della nostra zona costiera ricca di scambi commerciali con altri territori dell’area mediterranea.

Nell’ambito della problematica posta dalla cosiddetta “archeologia delle acque” è necessario incrementare e perfezionare mezzi, strumenti e tecniche al fine di pervenire ad un’opera di ricognizione, rilevamento e scavo delle presenze sommerse che dia massimi risultati. A tale scopo ha già preso il via a Scoglitti l’attività inerente il corso di formazione per l’archeologia subacquea. L’azione formativa è nata dalla sinergia tra la Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia, Museo Archeologico Regionale di Camarina, Soprintendenza AA. BB. CC. del capoluogo ibleo e la UISP, la Lega Nazionale per le Attività Subacquee, con la collaborazione della UISP Lega Sub Sicilia e del “Centro Subacqueo Ibleo” con sede in Ragusa. Il corso ha inizio con una fase teorica – presso la sala conferenze dell'Ufficio Locale Marittimo, Guardia Costiera di Scoglitti (l’iniziativa prevede anche una visita al museo Archeologico di Camarina alla sezione subacquea) - che funge da propedeutica alle prove tecniche previste per un momento successivo all’erogazione del corso. Saranno, quindi, effettuate delle prove di immersione, a mare aperto, attraverso l’utilizzo di idonee apparecchiature per il monitoraggio e la ricerca di un relitto nelle acque antistanti le coste di Scoglitti. Sono così confermate le grandi linee di politica culturale della Lega, mediante la costruzione di proposte che rapportino l’attività subacquea con lo studio degli interventi sui beni, culturali e ambientali sommersi, tanto in campo didattico e operativo quanto su quello divulgativo, e proseguire il lavoro sugli aspetti strettamente connessi alla prevenzione e sicurezza. Uno degli obiettivi perseguiti dalla UISP è quello di dare forte impulso al settore delle Guide subacquee.

A tale riguardo risulta necessario rimodulare la struttura didattica allo scopo di metterla in grado di supportare da un lato le esigenze tradizionali delle scuole, dall’altro quella serie di esperienze imprenditoriali, peraltro già presenti, a cui è necessario dare opportune risposte (fonte www.legasub.it). La formazione – che rappresenta un punto di rilevante importanza su cui la Lega rivolge la massima attenzione – prevede, da parte della UISP, variegati livelli di preparazione rivolti al conseguimento di attività specialistiche che vanno dal sommozzatore sportivo, all’istruttore di tecnica subacquea, a quello di salvamento, alla ricerca e studio dei fondali non solo da un punto di vista della fauna marina ma anche da quello archeologico, patrimonio sommerso da difendere in sinergia con le strutture preposte.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

SETTEMBRE 2006

 

 

La calura estiva si combatte con il limone

 

Quando arrivano i mesi estivi e l’aria diventa sempre più calda, mentre l’afa contribuisce a rendere la temperatura sempre più torrida, si è alla ricerca di luoghi freschi per cercare refrigerio. Ciò però non basta in quanto è necessario reintegrare i liquidi persi con il sudore attraverso l’assunzione di bevande che possano togliere quell’arsura che attanaglia la gola. Tra le tante bibite consigliate è annoverata anche quella a base di limone che, per le sue innumerevoli proprietà, è da considerarsi più un farmaco che un alimento. Innanzi tutto è molto ricco di vitamina C.

Non era infrequente che nel Medioevo le navi imbarcassero una certa quantità di limone al fine di evitare decessi per scorbuto (malattia che colpiva le persone che non assumevano vitamina C).

La coltivazione del limone nella storia è testimoniata da citazioni in opere di alcuni scrittori quali Teofrasto di Bleso di Lesbo (372-287 a.C.), Publio Virgilio Marone (nel 2° libro delle Georgiche).

Il limone è una pianta che possiede la proprietà di fiorire in continuazione. Per tale caratteristica può portare contemporaneamente fiori, frutti immaturi e frutti maturi. Il “citrus limon” è un albero di media statura; le foglie sono perenni, alterne e ovate.

Numerose sono le proprietà del limone: antibiotiche, battericide, vitaminizzanti, anticolesterolo. Il succo di limone è un ottimo presidio terapeutico contro le malattie da raffreddamento, le bronchiti, l'asma. I “flavonoidi” del limone (cioè i fattori vitaminici P) agiscono sulla microcircolazione diminuendo la permeabilità dei capillari e aumentandone la resistenza. Il decotto ottenuto facendo bollire un pezzetto di buccia (la cosiddetta “acqua canarino”) mostra un azione digestiva non indifferente, in special modo dopo un’abbuffata! Un etto di polpa di limone contiene, oltre ad un’alta percentuale di acqua (84-90 g.), il 71% del fabbisogno quotidiano di vitamina C per una persona adulta, il 7% del fabbisogno di potassio, l’1% di calcio ed il 9% di magnesio.

I flussi principali di fioritura sono in primavera, con la produzione dei limoni invernali, e in settembre, da cui derivano i cosiddetti verdelli (che maturano nell’estate seguente). Per favorire la produzione di quest’ultimi – che ottengono prezzi migliori sul mercato – sono utilizzate particolari tecniche come l’interruzione delle irrigazioni per un determinato periodo. Il limone è piuttosto sensibile alle temperature rigide. Ne consegue che in Sicilia – per il clima favorevole – la pianta trova il suo habitat naturale.

I dati rivenienti dall’area coltivata ad alberi di limone nel territorio della provincia di Ragusa (fonte Istat – coltivazione 2005, aggiornamento riferito a maggio 2006) indicano che su una superficie di 600 ettari vengono raccolti 240 quintali per ha con una produzione totale di 144.000 quintali. Notizie incoraggianti sebbene i valori relativi all’evoluzione della produzione di limone in Sicilia, disaggregati per provincia, nel periodo 1993/96 e 2001/04 (elaborazioni su dati Istat), indicano per il capoluogo ibleo una flessione dell’8,6%.

Una curiosità. In diverse zone della Sicilia, a seguito dell’annosa problematica riguardante l’acqua potabile, era da sempre in voga l’uso di immettere nelle riserve d'acqua vari limoni tagliati a metà. La gente sapeva, per esperienza, che i limoni disinfettano l'acqua e la ricerca moderna, in tal senso, ha dato ragione a questa saggezza antica. Forse è proprio da questi usi antichissimi che scaturisce il motivo per cui ancora oggi si offre un bicchiere d’acqua con una fettina di limone.

 

 

 

Castelli iblei… di sabbia

 

Creatività e manipolazione meccanica sono i principali ingredienti che vanno a braccetto con secchielli e palette. Elemento fondamentale è la sabbia, mentre il rumore del mare fa da contorno musicale. Se a tutto questo si aggiunge l’ispirazione, dettata dallo stato d’animo del momento, il gioco è fatto: il castello di sabbia è pronto. Quante volte da piccoli, sulle splendide e dorate spiagge della costa iblea, si è dato sfogo al libero ingegno per la costruzione di roccaforti medievali con cintura muraria merlata e profondi fossati pieni d’acqua a difesa dell’intero impianto scenico di cui la sabbia è protagonista assoluta! Un sano svago che occupava i bambini per l’intera mattinata ma anche i grandi che aggiungevano, al costruendo fortilizio, un pizzico di fantasia in più rispetto a quella già fervida dei piccoli. Le nostre spiagge, da Scoglitti a Marina di Ragusa, da Donnalucata a Pozzallo, erano popolate anche da altri manufatti quali forme di polpi giganti, affascinanti sirene dagli occhi languidi e, non ultimi, montagne, messe su con impasto di sabbia umida, provviste di spaventose bocche sul cocuzzolo, simulanti minacciosi vulcani dell’era preistorica. Le formine colorate fornivano la graziosa e delicata decorazione dei citati capolavori. Gli appassionati, che partecipano anche a concorsi in grande stile, suggeriscono di miscelare la sabbia con della farina per rendere l’impasto più corposo o aggiungere in questo un po’ di colla. Piccoli accorgimenti che contribuiscono a rendere il sogno della creazione un po’ più longevo. Oggi, di là dalle specifiche gare, che talora rientrano nel campo artistico, purtroppo è un po’ difficile trovare sulle nostre spiagge i castelli di sabbia che aiutavano a sognare e nutrire una viva immaginazione poetica. L’attenzione è tutta rivolta ai video-telefonini, imperterriti e onnipresenti compagni trillanti, all’ascolto in auricolare dei brani musicali più in auge nonché ai giochi elettronici su piccoli palmari. La tecnologia migliora, forse, lo stile di vita ma sicuramente va a smorzare quella creatività e fantasia che stimolano i rapporti interpersonali e di aggregazione sociale.

 

 

 

 

 

32° edizione della Fiera Agricola Mediterranea

 

Giunge ormai alla 32° edizione la “Fiera Agricola del Mediterraneo”, edizione 2006, che si tiene – dal 29 settembre al 1° ottobre - presso il Foro Boario di C.da Annunziata a Ragusa. Tre giornate di confronto tra gli allevatori e gli operatori del settore agricolo della provincia per fare il punto sulla situazione della zootecnia siciliana. A promuovere ed organizzare l’evento è la Camera di Commercio di Ragusa in sinergica cooperazione con il Comune di Ragusa e la Provincia Regionale unitamente all’apporto dell’Assessorato regionale all’Agricoltura, dell’Ispettorato Provinciale Agricoltori, delle organizzazioni di categoria del mondo agricolo e del Consorzio Provinciale Allevatori di Ragusa, quest’ultimo sotto l’egida dell’A.R.A.S. (“Associazione Regionale Allevatori di Sicilia”). Anche quest’anno la manifestazione si propone di valorizzare il comparto della produzione zootecnica, meccanica, chimica ed agro-alimentare offrendo spunti tecno-scientifici, che sono strumenti di promozione e di efficace vetrina commerciale per gli operatori del settore agricolo.

Per il settore zootecnico, quest’anno, è prevista la partecipazione di prodotti degli allevamenti che saranno presentati alle Mostre Regionali del Libro Genealogico della Razza Modicana, Frisona Italiana, Bruna Italiana e Pezzata Rossa. Gli appuntamenti tradizionali sono come sempre il “Mercato Concorso Zootecnico” (dedicato ai bovini, equini, suini, asini, ovini, animali di bassa corte e conigli) e la “Mostra della Meccanizzazione”, arrivati rispettivamente alla 50^ e 47^ edizione. Infine, sulla scorta della positiva esperienza maturata e posta in atto dalle aziende partecipanti nella precedente edizione, si ripropone l’esposizione per il settore Agroalimentare e per quello della Floricoltura.

Si tratta di un’occasione unica ed irripetibile per discutere sulle problematiche delle imprese, cercando quelle sinergie appropriate per affrontare le cocenti problematiche riguardanti il modo di porsi su un mercato che risulta sempre più tecnologico e competitivo. Tema nodale dedicato alle tre giornate è quello delle azioni da intraprendere per cercare di dare uno slancio alla qualità ed all’innovazione del patrimonio zootecnico del territorio ibleo basato, fra l’altro, sull’allevamento della cosiddetta “razza bovina modicana”. Quest’ultima è la più importante razza bovina della Sicilia inserita nel “Libro Genealogico” sin dal 1952. In questi ultimi anni si è diffusa in tutto il territorio regionale adattandosi alle diverse situazioni pedoclimatiche. Con il latte della “Modicana”, il cui quantitativo oscilla dai 18 ai 22 kg al giorno in una lattazione di 200-220 giorni ed una percentuale di grasso intorno al 4%, si producono alcuni formaggi tipici come il “Caciocavallo” ed il “Ragusano” rinomati in tutta l’isola e oltre. Fin dal 1994 l’Istituto Sperimentale Zootecnico per la Sicilia ha attuato idonei accorgimenti al fine di conservare e studiare il germoplasma della razza “Modicana”, attraverso il prelievo di 12.000 dosi di seme custodite presso il Centro Italiano Zootecnico (fonte: www.agraria.org). Tali dosi sono messe a disposizione degli allevatori tramite la sopra citata ARAS, che è tra gli enti promotori della Fiera.

 

 

 

 

Progetto SMART

Ragusa - Malta radici culturali a confronto

 

“Rafforzamento e valorizzazione delle identità culturali dell’area transfrontaliera” Italia-Malta, con particolare riferimento al territorio della Sicilia sud-orientale, è il principale punto nodale su cui si basa il progetto “SMART”. Tale progetto, volto ad incentivare uno sviluppo armonioso ed equilibrato del territorio europeo, approvato con Decreto Assessoriale -Regione Sicilia- datato 21/12/2005 (pubblicato sulla G.U.R.S. n. 6 del 3/02/2006), indica il Comune di Ragusa come Ente “capofila” per la realizzazione di un programma di cooperazione transfrontaliera dal titolo “Sicilia del Sud-Est - Malta: radici comuni e tradizioni popolari e religiose” (SMART). Scopo principale del progetto, finanziato dall’Unione Europea, è quello di valorizzare le radici e le tradizioni storiche, comuni alle due sponde, quale elemento chiave e strategico di sviluppo socio-economico volto a far decollare le ricche potenzialità nei settori dell’agricoltura, dell’artigianato locale e, non ultimo, del turismo. Il progetto SMART si prefigge, pertanto, di mettere a nudo le problematiche sulle identità locali, la diffusione della conoscenza reciproca delle radici e delle tradizioni distintive tra l’area sud-est della Sicilia, in particolare il territorio ibleo, e Malta. Per perseguire tali obiettivi, il Comune di Ragusa – in sinergia con il Comune di Mosta (Malta), il “Malta Council for Culture and the Arts”, il CESIS (“Centro Studi e Iniziative per lo Sviluppo Locale ed Integrato”) e con “Cinema Nuovo Italiano” – ha organizzato due giornate di studio con il coinvolgimento e l’adesione anche di un partenariato di supporto, composto da esperti – ragusani e maltesi – nell’ambito delle tradizioni popolari allo scopo di promuovere azioni di ricerca e consentire di impostare un proficuo confronto finalizzato a far emergere analogie e differenze tra i due patrimoni culturali. Il workshop, tenutosi nel pomeriggio del 21 settembre presso il Salone dei “Cenacolari dell’Antica Contea” (Discesa Mugnai, Ragusa Ibla) e nella mattinata del 22 nell’Aula Consiliare del Comune di Ragusa, ha fatto registrare la presenza di un folto pubblico che ha seguito i lavori con molta attenzione.

La prima giornata è stata dedicata - dopo i saluti delle Autorità e presentazione del progetto SMART, quest’ultima affidata al Dr. Arturo Mingardi - agli elementi che contraddistinguono la cucina iblea dal patrimonio gastronomico maltese (F. Tidona, “La cucina iblea nel tempo”; A. Campo, “Parentela tra pastizzu e pastiere”; Julian Zarb, “Il patrimonio gastronomico maltese”), alla specifica trattazione riguardo alla “Grecità nel Sud-Est Siciliano” (relatore G. Cosentini) ed infine a problematiche inerenti la danza folklorica e poesie popolari (M. Cremona, “La danza folklorica di Malta nella storia”; S. Vicari, “Sicilia d’amuri: poesie popolari e religiose”).

Il secondo appuntamento - dopo le relazioni introduttive del Sindaco di Mosta (Dr. Joseph De Martino), dell’Assessore alla Cultura (Geom. Francesco Barone) e del Parroco della Cattedrale di San Giovanni Battista (Padre Carmelo Tidona) - ha avuto riguardo agli elementi comuni delle feste maltesi e siciliane (V. Giompaolo, “San Giuseppe in Sicilia”, tematica che trae spunto dalla recente pubblicazione del volume omonimo dello stesso relatore; B. Bonnici, “I comuni elementi delle feste religiose maltesi e siciliane”), agli aspetti folkloristici della musica, poesie e racconti popolari (D. Adamo, “Musica popolare iblea nel Novecento”; G. Mifsud-Chircop, “I sotto-generi del canto folklorico maltese”; M. T. Verderame, P. Di Noto, A. Higgans, O. Friggieri, “Haiku: poeti Ragusani e Maltesi a confronto”; D. Arezzo, “Giufà: Figura comune alle due culture”), al vestiario (G. Portelli, “La copertura esterna del corpo nel territorio ibleo”), ai rapporti culturali e commerciali con l’isola di Malta nella storia (G. Dormiente, “Tra il litorale ibleo e l’isola dei Cavalieri: traffici, commerci e tradizioni”).

Piena soddisfazione è stata espressa dalle Autorità del Civico Consesso, presenti ai lavori, unitamente a quelle maltesi, le quali, auspicando una sempre più estesa e fattiva collaborazione tra le due sponde, hanno encomiato gli sforzi organizzativi espletati con perizia dal Responsabile del Progetto (Dr. Santi Distefano), dal Project Manager (Dr. Arturo Mingardi) nonché dal Responsabile Unico del Procedimento (Geom. Franco Cintolo) i quali hanno contribuito, in maniera non indifferente, all’ottima riuscita di un evento culturale che colloca la Sicilia, in particolare il capoluogo ibleo, e Malta al centro del Mediterraneo.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OTTOBRE 2006

 

 

Comunità ebraiche nella Contea di Modica

A Scicli “Giornate Europee per il Patrimonio 2006”

 

Il 23 e il 24 settembre 2006 si sono svolte le “Giornate Europee per il Patrimonio 2006” a cui ha aderito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Tali giornate rappresentano un momento di straordinario coinvolgimento dei cittadini nella fruizione aperta del patrimonio storico, artistico e culturale della propria città attraverso variegate iniziative culturali. Si tratta di riconsiderare quel patrimonio nella sua valenza più profonda. Il tema scelto per quest’anno, "Un patrimonio venuto da lontano", risponde all'esigenza, così come le manifestazioni organizzate, di far conoscere il patrimonio italiano nella consapevolezza dell’appartenenza a comuni radici culturali europee.

La Sicilia, per la sua speciale postazione, può essere considerata come un “museo a cielo aperto” col suo territorio disseminato di ogni forma di memoria che si intreccia con le tanto travagliate vicende storiche gravide di quella pluralità di espressioni scaturite dall'incontro tra civiltà e culture. Nel contesto delle “Giornate Europee del Patrimonio”, l’Archivio di Stato di Ragusa, attraverso l’azione divulgativa della sua direttrice, dr.ssa Anna Maria Iozzia, in sinergia con il Comune di Scicli, si è fatto promotore di una giornata di studio avente per oggetto una delicata e rilevante tematica: “Una società multiculturale? Comunità ebraiche nella Sicilia sud-orientale in età antica e medievale”. Si tratta sicuramente di una poliedrica problematica il cui approccio interdisciplinare deve tener conto delle ricerche storiche, epigrafiche, archeologiche e, non ultime, archivistiche svolte nel settore della ricerca.

Gli ultimi decenni hanno prodotto un grande numero di studi sugli ebrei siciliani che vanno ad ampliare in maniera considerevole il quadro fornito dai documenti ufficiali pubblicati dai fratelli Lagumina, che rappresentano la maggiore fonte di informazione disponibile agli studiosi fino ad oggi. Le notizie provenienti da nuove fonti, rivelano nuovi aspetti della vita ebraica: educazione, consuetudini matrimoniali, vita comunitaria e commercio. Tuttavia il passato ebraico della Sicilia rimane, per certi versi, ancora ambiguo per l’assenza o parziale presenza di idonea documentazione. Dove vivevano gli ebrei? Si è in grado oggi di creare una mappa del quartiere ebraico in una data città? Questi i punti nodali su cui è ruotato il tema centrale del seminario di studi recentemente tenutosi a Scicli (23 settembre 2006, presso Palazzo Spadaro) e su cui si sono confrontati – dopo l’indirizzo di saluto del Sindaco di Scicli, dott. Bartolomeo Falla - Anna Maria Iozzia (direttrice dell’Archivio di Stato di Ragusa), Giovanni Morana (Ispettore archivistico onorario), lo storico Giancarlo Poidomani (Università di Catania) ed Enza Cilia Platamone (Soprintendente per i BB. CC. e AA. - Ragusa) con Giovanni Di Stefano (archeologo), entrambi assistiti, per la parte tecnica, da Giorgio Battaglia (Soprintendenza di Ragusa).

Tracce di insediamenti che si possono ricondurre alla presenza ebraica nel territorio ibleo, sono state individuate, fra l’altro, nell’entroterra di Camarina attraverso ritrovamenti archeologici quali iscrizioni su frammenti di tomba (risalenti alla tarda antichità, IV–V secolo, in C/da Piombo di Camarina) o su una moneta ritrovata a Ispica (“moneta di piombo di Bar Kokbah”).

Nel corso del Medioevo i traffici dei porti siciliani (Messina e Siracusa) nonché i movimenti commerciali - resi possibili dalla presenza di mercanti, genovesi, veneziani, toscani, sardi, catalani e marsigliesi - risultano abbastanza attivi. La Sicilia rappresenta un’importante tappa soprattutto per il commercio internazionale di Barcellona con il Levante, rientrando nella cosiddetta diagonale insulare, che, attraverso le Baleari, la Sardegna e la Sicilia, congiungeva Barcellona ai porti del Levante. Le isole offrono i loro approdi che, a causa dell’autonomia molto limitata dei velieri, costituiscono dei punti di appoggio di rilevante importanza per le rotte mediterranee. Gli Ebrei, essendo coinvolti in queste attività, vanno a beneficiare del dinamismo di quelle rotte commerciali.

Essi, ab antiquo, erano in Sicilia numerosi e ricchi per commercio. Vivevano secondo i propri usi e leggi, avendo sinagoghe, rabbini, ministri. Erano sottoposti alla giurisdizione di magistrati ordinari, pagavano speciali tributi ed erano ammessi a godimento di diritti civili.

Nella seconda metà del XV secolo, in Sicilia, si contano ben 57 comunità giudaiche fortemente integrate e “spalmate” in quella eterogeneità socio-culturale siciliana. La presenza di comunità ebraiche, in particolare nel territorio afferente all’antica Contea di Modica, è attestata da vetusti documenti da cui si evince che esse erano economicamente fiorenti in quanto monopolizzavano l’industria molitoria ed il commercio dei cereali. La toponomastica ha conservato alcune antiche denominazioni giudaiche che ancora oggi indicano quei luoghi. A Modica quella collettività è concentrata nel quartiere chiamato “Cartidduni”. A Ragusa la tradizione ricorda la loro sinagoga (nel quartiere dell’attuale Chiesa dell’Annunziata a Ragusa-Ibla), mentre a Scicli la zona ebraica è ubicata nel quartiere della Meschita, dove si riscontrano toponimi del tipo “li putej di li judei” (per indicare l’area riservata alle botteghe artigiane), i nomi di località extra moenia come “puczu di li judei” o “cimitero di li judei”, quest’ultimo nel territorio motucano. A far luce sulla operatività di quelle collettività sono proprio i carteggi - conservati presso l’Archivio di Stato di Ragusa – Sezione di Modica redatti dal notaio Giuliano Stilo esercitante a Scicli, del quale sono rimasti gli atti rogati dal 2 gennaio 1475 al 10 febbraio 1477. Atti di compra-vendita nonché transazioni commerciali e dotali attestano un ambiente molto vivace da un punto di vista finanziario. Insomma un territorio, quello della Contea “de Mohac”, in cui anche la città di Scicli, anello di congiunzione fra l’hinterland e la costa, trova anch’essa un posto di rilievo per la fiorente economia del XV e XVI secolo, stimolata dalla produzione di frumento, esportato in Spagna dove risiedono i Conti, dall’allevamento di bestiame unitamente alle attività imprenditoriali svolte dalla borghesia locale. In tutto questo, la presenza di comunità ebraiche apporta, con l’industriosità che li contraddistingue, una ricchezza economica non indifferente. L’economia subisce poi un vero e proprio tracollo a seguito della cacciata degli ebrei (decreto di espulsione del 1492). Inizia così il periodo dell’estenuante e frenetica attività inquisitoriale operata sotto l’egida del Santo Uffizio spagnolo (XVI e XVIII sec.). Gli equilibri finanziari e commerciali vengono però compromessi, in modo quasi definitivo, dal decreto generale di espulsione del 1492. Nel mutato quadro mediterraneo la crisi economica, partita nella seconda metà del XV secolo con gli ormai tristemente famosi eccidi di ebrei verificatisi in gran parte delle città della Contea, è l’espressione dell’improvviso radicalizzarsi di un’identità cristiano-cattolica in funzione anti-islamica ed anti-ebraica. L’espulsione degli Ebrei chiude, pertanto, un ciclo plurisecolare. L’unica alternativa, per chi volesse evitare la via dell’esilio, era la conversione forzata. Contrariamente a quanto accade nella Sicilia occidentale, nella Contea di Modica si verifica il massiccio fenomeno dei “conversos”, contro i quali l’attività repressiva dell’Inquisizione siciliana di rito spagnolo trova terreno fertile nel corso dei primi decenni del secolo XVI.

 

 

 

Cave iblee. Natura da vivere.

 

Sono già iniziati i “percorsi suggestivi attraverso le colline iblee”. Un evento che dal 7 al 22 di ottobre fornirà un’occasione unica per appassionati ed esperti, ma anche per i semplici curiosi, di apprendere da vicino le caratteristiche intrinseche dell’altopiano ibleo attraverso un itinerario naturalistico volto a far conoscere, nel suo intimo, il territorio. Ciò è reso possibile per l’attuazione di un interessante progetto, denominato “Cave Iblee. Natura da vivere”, sviluppato nell’ambito del “PIT 2”. La concretizzazione del progetto scaturisce dalla sottoscrizione di una convenzione tra il Comune di Ragusa e “Consorzio Politec”. Associazioni naturalistiche sono state incaricate di guidare gli escursionisti che ne faranno richiesta attraverso percorsi appositamente studiati che vanno dalla Cava San Leonardo a Cava della Misericordia, da Cava Santa Domenica a Cava Volpe, da Cava Paradiso a Calaforno fino ad un percorso “ad anello” che interesserà il Monte Arcibessi in agro chiaramontano. Tali tappe sono state scelte per presentare i variegati aspetti paesaggistici del territorio ibleo in quanto ospitanti un’affascinante interconnessione botanico-zoologica di rilevante struttura e di immediata comprensione. Particolare morfologia assume la configurazione orografica della zona che si articola ora in rilievi collinari calcarei e arrotondati – che da lontano sembrano piccole gobbe – ora in altopiani a stratificazione orizzontale intimamente solcati da scoscesi e selvatici valloni. La diversa natura geologica dei terreni ha influenzato, nel corso del tempo, non solo l’aspetto morfologico del suolo ma ha anche favorito la separazione topica delle specie vegetali. Una serie di cave, profonde e, per certi aspetti, ancora selvagge, vanno alla Valle dell’Irminio (che presenta salti morfologici superiori ai 200 mt) dopo avere intarsiato in ogni senso tutto il tavolato carbonatico di Ragusa, caratterizzando, con diversificati elementi vegetazionali, l’ambiente circostante. Nel tratto sub-montano del bacino, le cave, che dai torrenti omonimi prendono il nome di Calaforno, Volpe e San Leonardo, risultano molto affascinanti per le loro formazioni rocciose. La flora è rappresentata da salici, pioppi e oleandri. Nelle pareti e sui pendii crescono le tipiche piante aromatiche come nepetella (“calamintha nepeta”, nome dialettale “nièpita”), cappero (“capparis rupestris”, detto “ciappiru”), menta d’acqua (“menta acquatica”, detta “mintastra”), origano (“origanum vulgare”, detto “arifunu”) e piante arbustive della macchia mediterranea come palma nana (“chamaerops humilis”), alaterno (“rhamnus alaternus”, detto “lantiernu”) e terebinto (“pistacia terebintus”). Riguardo alla fauna, le cave ospitano conigli selvatici ed uccelli anche rapaci. Ove le sterpaie e i cespugli si rendevano più folti ed intrecciati, un tempo si rinveniva - anche se molto raramente – qualche esemplare di colubro lacertino, grosso e vivace rettile, chiamato “culorva”, che per sua lunghezza (poteva arrivare anche a due metri), accendeva la fantasia del popolino. Qui il sapore della natura si intreccia con quello delle leggende popolari che un tempo albergavano nei cuori dei nostri nonni.

Il paesaggio, dunque, offre allo sguardo del visitatore uno scenario sicuramente pittoresco che in definitiva ammalia chi lo osserva e lo rende compartecipe delle molteplici meraviglie paesaggistiche. Gli unici consigli suggeriti agli escursionisti sono quelli di venire muniti di attrezzature ed abbigliamento appropriati quali le scarpe da trekking e, soprattutto, di avere l’animo votato all’ascolto della natura.

 

 

 

 

Giovani e alcol: moderna piaga sociale

 

“Sto uscendo!” “State attenti… Non rientrate tardi… mi raccomando!…”. Queste ultime sono le classiche frasi – qui estremamente sintetizzate – di affettuose, materne e quotidiane raccomandazioni. Uno dei tanti pensieri che si annida nell’animo dei genitori è quello legato al fenomeno dell’alcolismo giovanile, causa scatenante o comunque fortemente correlata agli ormai frequenti incidenti stradali che coinvolgono sempre di più persone di giovane età. L’abuso di alcol, prima di mettersi alla guida di auto e moto, ancorché di piccola cilindrata, si rivela, purtroppo, una delle odierne e cocenti problematiche. Il consumo di alcol risulta già disciplinato dall’art. 689 del codice penale che prevede sanzioni per chi somministra alcolici a persone di età inferiore ai 16 anni (la nuova Finanziaria prevede l’innalzamento dell’età fino ai 18 anni). Normativa che quotidianamente sembra essere disattesa da buona parte dei gestori dei bar. Facendo un giro – sia pur veloce – nei locali pubblici del territorio ibleo emerge un dato molto allarmante: la “trasgressione” appare evidente. Se una volta i giovani si avvicinavano all’alcol attraverso il consumo di vino, oggi fa trendy l’assunzione di bevande che all’apparenza sembrano analcoliche ma che, invece, presentano un tasso alcolico più alto di quello consentito. Emerge, dunque, un quadro abbastanza preoccupante avuto riguardo al fatto che i drink consumati non solo sono diretti ad un pubblico giovanile ma, in maniera non infrequente, sono spacciati come semplici bevande fresche e dissetanti e sono diffusi nei locali per i giovani. La problematica non è però legata solo al consumo delle bevande alcoliche o analcoliche. Sul campo fanno capolino, in maniera talvolta preponderante, le cosiddette “finte” bibite, in altre parole quelle bevande alcoliche travestite da innocue bibite che presentano una gradazione di 5-6 gradi (ben superiore a quella fissata per legge per essere considerate analcoliche) e che, molto spesso, rappresentano un cocktail “esplosivo” con l’aggiunta di altre bevande alcoliche. Tali misture non solo aumentano fortemente il grado alcolico delle bevande, ma provocano effetti nefasti all’organismo della vittima che, nei primi momenti, percepisce l’assunzione come un momento da “sballo” da “consigliare” a “quelli del gruppo”. L’abuso di alcol favorisce l’insorgenza di patologie alcol-correlate (quali la cirrosi epatica, le malattie croniche del fegato, le malattie cardiovascolari, alcune tipologie di tumori) oltre a notevoli danni indiretti (disagio sociale). Da recenti statistiche (indagine Istat, periodo di riferimento anno 2005, dati pubblicati nell’aprile 2006) è emerso che l’età a rischio è quella compresa in un intervallo oscillante tra i 14 e i 20 anni, anche se qualche dato sembra addirittura abbassare la soglia dei 14. Nel capoluogo ibleo e territori limitrofi la situazione non si discosta molto da quella che si registra a livello nazionale.

Uno degli obiettivi dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per il 2010 è quello di ridurre quanto più possibile la quota di ragazzi che consumano alcol, con particolare riferimento alla percentuale di consumatori di bevande alcoliche fuori dai pasti, al fine di arginare e prevenire alcuni comportamenti a rischio per la salute. La diffusione, negli ultimi anni, di modelli di consumo di alcol tipici dei Paesi dell’Europa settentrionale, in particolare tra i giovani, espone ad un rischio maggiore i minorenni poiché spesso non sono ancora in grado di metabolizzare l’alcol. Altri comportamenti a rischio sono gli episodi di ubriacatura concentrati in singole occasioni, contraddistinti col termine “binge drinking”. Con tale espressione si fa riferimento all’abitudine di consumare sproporzionate quantità di bevande alcoliche (convenzionalmente 6 o più bicchieri) durante una stessa serata. Questo comportamento, purtroppo, si sta radicando, con cadenza quasi giornaliera tra i giovani anche in Italia e nei paesi dell’Europa mediterranea.

Ci si chiede con insistenza quali siano gli interventi da porre in essere al fine di eliminare o quanto meno arginare l’avanzata del fenomeno legato all’alcolismo giovanile. La normativa in vigore – punto di riferimento legislativo – è importante anche se si avverte, da più parti, l’esigenza di potenziare, ad esempio, l’informazione circa i rischi connessi all’abuso dell’alcol. L’informazione va a braccetto con la prevenzione. Prevenire significa evitare che il giovane possa addentrarsi in quel tunnel vizioso dell’alcolismo verso cui è facile entrare ma da cui riesce molto difficoltoso e doloroso trovare la via d’uscita. La maleducazione di molti giovani che in “branco” urlano, sgommano, imprecano, litigano, imbrattano con rifiuti ed emissioni corporali le città debbono far riflettere sui nostri doveri di cittadini ma anche su quelli che rientrano nella nostra veste di genitori.

 

Giuseppe Nativo

 

 

NOVEMBRE 2006

 

 

A Sabaudia il “Dialogo con le comete” del poeta Giovanni Occhipinti

Quel mistero dell’affresco cosmico

 

C’è un’aura attorno alle parole. Non sempre è facile coglierla. La parola è comunicazione, ma anche embrione fluttuante del pensiero poetico. Apparentemente sembrerebbe che avvenga quanto Goethe lamenta in un verso del Faust: “Dar Wort erstirbt schon in der Feder”, cioè la parola muore già sotto la penna, l’incandescenza dei suoi significati parrebbe spegnersi nello stampo freddo dello scritto. In realtà, la parola proprio nel momento in cui è cristallizzata nella pagina, comincia a vivere, a presentare scenari del tutto inaspettati e sconosciuti. E’ questo il punto di partenza da cui trae linfa vitale l’opera letteraria di Giovanni Occhipinti, figlio degli iblei, narratore, saggista e poeta. Al suo attivo numerosissime pubblicazioni. E’ proprio con il suo “Dialogo con le comete” (Sciascia Editore, Caltanissetta 2005, pp. 139) che si inserisce nella terna dei finalisti vincitori dell’edizione 2006 del Premio Nazionale e Internazionale di Poesia “Circe-Sabaudia”, tenutosi lo scorso 20 ottobre in quell’armoniosa cittadina laziale da cui prende il nome. La prestigiosa rassegna culturale, che giunge alla XXVI edizione, rappresenta un punto di riferimento nel frastagliato universo letterario dell’ultimo Novecento. La giuria, quest’anno presieduta da Corrado Calabrò (scrittore e poeta, oltre che noto per i delicati e prestigiosi incarichi istituzionali), ha rilanciato una nuova stagione del Premio che ha puntato i riflettori sui poeti del Mediterraneo intesi “come alfieri di pace in un quadrante martoriato da interminabili conflitti”.

Giovanni Occhipinti è uno dei poeti più arditamente sperimentali della letteratura italiana contemporanea. La sua opera, spezzando il conformismo stilizzante di tanta poesia “del meridione”, si configura come un disegno poematico globale, perennemente in progress, che abbraccia in sé ogni sorta di avventura. La natura raziocinante e appassionata del poeta tende infatti a risolvere il conflitto intellettuale e sensuale che la domina in un discorso sempre in bilico tra epos e durezza epigrammatica, dove le citazioni letterarie e bibliche, le immagini mutuate da scienza, filosofia, natura e vita quotidiana si concentrano, secondo un procedimento fittamente analogico, in brevissimo spazio. Di qui la drammaticità della situazione e del ritmo (il verso, interrotto da a capo, rotture, stacchi e isolamenti di parole), gli incipit colloquiali, l’apparente disar-monia di un linguaggio volutamente aspro e allitterante. Di qui anche il dialogante cammino cosmico che si intravede nella raccolta poetica premiata. “Scendendo nelle sue molecolari scene” – scrive Giuseppe Amoroso – “Occhipinti delinea un canto sibillino, ora rettilineo, ora spiraliforme, da cui emerge una vicenda autobiografica”. Bagliori e improvvisi guizzi di luce costellano un percorso ridondante di “echi di epoche primordiali” e disegnato da “un’oscura geometria” difficile da discernere, ma di salvifico approdo. La penna di Occhipinti appena si posa sulla pagina, non preme, non viola: eppure dà vita ad un mondo di maschere che si anima, svelando e mostrando i suoi peccati in un vorticare di falsi trionfi. Ma vi è pure, remota, “la segreta preghiera che sale dal tempo, vola” dalla mente al cuore trasformandosi in un “cantico di tutte le creature”. Un ineffabile soffio tocca “l’umilitate del poeta, il suo disperato cercare la luce” che si tramuta in quell’esigenza di tuffarsi verso l’inconoscibile “altrove” in una “preghiera-elegia”, rivolta al figlio, prematuramente scomparso, sublimata in quel “…abbracciarti… / Ad abbracciarmi, credendomi te!”.

 

 

 

 

Il Centro Studi “F. Rossitto” si arricchisce di memorie storiche e letterarie

 

I libri sono frammenti di presente e di memoria, traccia fossile che “ci permette di far ritornare in vita un’immagine”, rievocare un accadimento storico, un pensiero.

Memoria storica e memoria letteraria sono i due comparti di cui si è ulteriormente arricchita la biblioteca del Centro Studi “F. Rossitto” di Ragusa. La struttura, sorta nel 1981 e successivamente riconosciuta tanto in ambito regionale quanto in quello nazionale, è provvista di una biblioteca - inserita nel circuito del Servizio Bibliotecario Nazionale e Regionale - dotata di oltre 10.000 volumi, raccolti nelle sezioni di storia contemporanea (con una sottosezione dedicata alla Sicilia ed alla provincia di Ragusa), Letteratura, Pedagogia e Didattica, Scienza, Economia, Etnologia. L’annessa sala di lettura, con relativa Emeroteca, è disponibile, oltre ai soci, agli insegnanti, studenti e a tutti i cittadini per ricerche e consultazioni.

Le donazioni riguardano il comparto della storia locale, relativamente ad una serie di libri che fanno parte della collezione del prof. Giuseppe Raniolo, attento ed accanito studioso dell’antica Contea, nonché il settore letterario rappresentato dalla raccolta di corrispondenza (epistolario 1967-2006) intrattenuta dal poeta Giovanni Occhipinti con i grandi della letteratura italiana.

Oltre duecento è il numero dei volumi – trattati di storia, letteratura italiana e latina, enciclopedia del “Novecento” nonché numerosi vocabolari – che rappresentano il peso culturale della donazione di Raniolo.

Altrettanto cospicua la mole del materiale cartaceo relativo all’epistolario del prof. Giovanni Occhipinti, narratore, saggista e poeta. Autore di numerosissime pubblicazioni, la sua attività si è distinta nel frastagliato panorama della letteratura novecentesca ottenendo non pochi riconoscimenti in ambito nazionale ed oltre. Diverse le lettere provenienti dall’estero (University College, Cardiff, datata 18/11/1975; University of London, Bedford College, del 4/01/1978). Numerose le comunicazioni riguardanti “premi” letterari conseguiti nel corso delle sua estenuante e brillante carriera letteraria. “Una indagine altamente qualificata sulla poetica italiana degli anni ’60 condotta con un rigore e un’attenzione al sociale scevri da dogmatismi o particolarismi culturali…” è l’incipit della motivazione per il conferimento del 1° premio, “Edicola 1976”, seconda edizione, per il saggio dal titolo “Uno splendido medioevo. Poesia degli anni Sessanta” (lettera di marzo 1976 firmata “Antonio Lalli Editore”; opere esaminate dalla commissione giudicatrice: 265). Diversi anche gli incarichi ottenuti anche in ambito comunale. Si esprime così la lettera, datata 11/08/1970, indirizzata a Giovanni Occhipinti e sottoscritta dall’allora Sindaco, dott. C. Pisana: “Ho il piacere di comunicarLe che questa Giunta Municipale, con deliberazione n. 456 del 25/03/1970, l’ha chiamata a far parte della Commissione di Vigilanza della Biblioteca Comunale della nostra città, quale rappresentante della cultura locale”.

“Ciò è quanto emerso dalle prime risultanze che meritano di essere approfondite anche attraverso un’adeguata inventariazione di tutto il materiale pervenuto”, ha così puntualizzato Pippo Antoci, responsabile del settore organizzativo del “F. Rossitto”.

“Si tratta di due importanti donazioni che rendono immediatamente fruibile un patrimonio culturale e territoriale di particolare rilevanza”, ha dichiarato l’On. Giorgio Chessari, Presidente del Centro Studi “F. Rossitto”, esprimendo viva soddisfazione in quanto tali donazioni renderanno un servizio utile a tutta la cittadinanza rappresentando un grosso bagaglio intellettuale le cui radici affondano nella tanto travagliata storia di questo lembo di Sicilia sud-orientale, culla del barocco e bene dell’umanità.

 

 

 

Firmato protocollo d’intesa per sistema informativo museale degli iblei

 

La città di Ragusa è al centro di rilevanti iniziative. Importante protocollo d’intesa è stato recentemente firmato tra il primo cittadino di Ragusa, Nello Dipasquale, intervenuto nella qualità di Sindaco del Comune “capofila” del “PIT2” e la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Ragusa (rappresentata dalla dott.ssa Enza Cilia Platamone), la Provincia Regionale di Ragusa (firmatario il Vice Presidente, dott. Salvatore Mallia), il Comune di Chiaramonte Gulfi (per questi l’Assessore Salvatore Nicosia), il Comune di Monterosso Almo (rappresentato dal Sindaco, dott. Vito Amato) nonché la Città di Giarratana (firmatario il Sindaco, dott. Rosario Burgio). Il documento - che si inserisce nell’ambito di un progetto approvato dall’Assessorato Regionale Beni Culturali e Ambientali, decretato in data 16/01/2006 e trasmesso all’Ufficio Unico del “PIT 2” con prot. nr. 32887 del 24/03/2006  – dà l’avvio ad una serie di attività inerenti il “Sistema Informativo e la Messa in Rete dei Musei delle Quattro Città”. Il progetto ha, infatti, lo scopo di creare una rete informativa – attraverso l’utilizzo di avanzate procedure telematiche – tra i musei delle quattro città che aderiscono all’iniziativa, rafforzando i circuiti fruitivi e coinvolgendo in maniera interattiva i visitatori che accederanno al data base (costituito da un cospicuo numero di dati e foto dei beni più importanti presenti nei musei iblei) mediante rete internet. La rete museale, che nascerà intorno ad un primo nucleo di “nodi museali” collegati alla struttura di riferimento (centro elaborazione dati), individuata presso l’Ufficio Unico del PIT, è così rappresentata: Ragusa (Museo Archeologico Ibleo, Museo Archeologico di Kamarina e Masseria Tumino dove sarà collocata una specifica apparecchiatura denominata “Totem”); Chiaramonte Gulfi (Museo Ornitologico, Museo dei cimeli storico militari, Museo dell’olio, Museo dello sfilato, Museo degli strumenti musicali e Pinacoteca De Vita); Giarratana (Museo Antropologico a cielo aperto); Monterosso Almo (Palazzo Cocuzza).

La finalità dell’intesa è che il capoluogo ibleo, la Soprintendenza, la Provincia Regionale di Ragusa e i menzionati Comuni, ferme restando le rispettive competenze istituzionali, si impegnano ad operare congiuntamente per utilizzare in modo sinergico i dati e le competenze degli Enti nel campo della divulgazione dei beni culturali relativamente ai musei presenti nel territorio delle quattro Città aderenti. Il citato protocollo è, dunque, indirizzato al conseguimento di obiettivi specifici che vanno dal censimento delle risorse culturali territoriali alla loro “infrastrutturazione” nonché dalla gestione in rete del patrimonio museale alla valorizzazione e fruizione dello stesso in tempo reale. La caratteristica intrinseca di tale strumento multimediale è rappresentata dalla suddivisione tematica per aree di interesse culturale raggiungibili a mezzo di un “Itinerario Museale Virtuale” accessibile dalla rete internet o in locale tramite punti multimediali di informazione posizionati non solo presso i singoli musei ma anche in punti ritenuti strategici per la diffusione al pubblico.

La direzione scientifica del web site è stata affidata alla Soprintendenza di Ragusa a cui è demandato il compito di provvedere, fra l’altro, alla produzione delle foto in formato digitale delle collezioni unitamente ai reperti presenti nei citati plessi museali.

Si tratta, insomma, di uno dei più importanti progetti (“Quattro Città e un Parco per vivere gli Iblei”) che puntano i riflettori su un piano integrato per lo sviluppo sostenibile del territorio montano del “sistema Ragusa” nell’area sud-orientale degli iblei, perla del barocco ed insostituibile bene dell’umanità.

 

Giuseppe Nativo

 

 

 

 

DICEMBRE 2006

 

 

In occasione del IV centenario della prima rappresentazione assoluta

“Re Lear” nella traduzione di Giorgio Sparacino

 

Il Teatro è la metafora stessa della vita oppure è la finzione teatrale che diventa vita di tutti i giorni?

Storia e tragedia si offrono come una creatura gravida di sensazioni, di sentimenti e di passioni. Allo spettatore il compito di trarne fuori quanto serve alle necessità della ragione. E’ questo, in estrema sintesi, il messaggio che emerge dirompente dallo shakesperiano “Re Lear” andato in scena a Ragusa il 29 novembre scorso al Teatro Duemila. La tela narrativa - che si sviluppa in un continuo inseguirsi di storie parallele, con le loro nascoste tenerezze e le agghiaccianti crudeltà - si rivela agente inconsapevole di una “armonia drammatica” attraverso cui l’animo dello spettatore viene introdotto nella “favola” in cui Shakespeare riesce a rappresentare quella misteriosa e povera cosa che è l’uomo. L’uomo che, pur nella sua caducità, è “illuminato” dalla follia per attingere la verità e comprendere la vita. E’ in questo contesto che si muove l’intero intreccio scenico proposto dalla compagnia “Teatro Utopia” di Ragusa, con il patrocinio del Centro Studi “F. Rossitto” che è tra gli Enti promotori dell’iniziativa, proprio nel IV centenario della prima rappresentazione assoluta. Nato nel 2002, il “Teatro Utopia” raccoglie l’esperienza di formazioni precedenti legate al nome dell’attore e regista teatrale Giorgio Sparacino, figlio degli iblei, con alle spalle la messa in scena di oltre 50 opere negli ultimi 40 anni. “Mettere in scena Re Lear” – puntualizza Sparacino, che ha curato la traduzione, l’impianto scenico e la regia – “… solo pensare di poter rendere appieno tutte le possibilità che il personaggio e l’intera vicenda offrono è come smarrirsi nella buia foresta dell’impossibile”. E’ la magia del palcoscenico a guidare lo spettatore verso quel coinvolgimento e suggestione affidati all’io narrante del grande bardo di Stratford-on-Avon. Una grande pedana disadorna, dove i personaggi si muovono come in uno spazio senza tempo, protagonisti e, nel contempo, vittime di una tragedia immortale, proprio perchè gli eventi e l’essenza stessa della grande metafora che essi intendono rappresentare sono immortali, è lo spazio immaginato dal regista. Per una vicenda senza tempo, qual è appunto la grande favola del Lear, anche i colori delle luci giocano un ruolo non indifferente. Dalla dominante rossa della corte del Re Lear, si passa agli azzurri cupi e all’arancio che caratterizzano rispettivamente le stanze dei palazzi di Gloucester e di Albany. Le musiche, volutamente decontestualizzate, accompagnano per mano lo spettatore fondendo la rigorosa professionalità degli attori a impetuose tensioni interpretative che hanno donato al pubblico grandi emozioni, mentre nell’aria riecheggia l’urlo di Lear: “… noi veniamo al mondo con un grido… un urlo di pianto e di dolore… perché siamo arrivati su questo grande palcoscenico di matti…”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Carmelo Cappello, scultore “d’acciaio”

 

“Ogni giorno appena tornavo con la bicicletta da Monza, accendevo la stufa e mi sedevo sul divano, dinanzi c’era lo specchio dove potevo osservare la mia immagine raccolta come in un timore tutto segreto, così riuscii a comunicare il freddo sulla materia …”, così esordisce Carmelo Cappello, in un’intervista rilasciata nel 1989, narrando i primi vagiti della sua prima scultura, all’età di ventisei anni, generata “d'improvviso in un garage di cemento con troppo freddo d'inverno e troppo caldo d'estate”.

Nato a Ragusa nel 1912, frequenta la Scuola d’Arte di Comiso nel 1928 e l’anno successivo si trasferisce a Roma dove frequenta la scuola di Ettore Colla. Inizia giovanissimo la sua attività di scultore, già nel 1930 è a Milano dove segue i corsi di A. Martini e M. Marini. La carriera artistica di Cappello conosce importanti partecipazioni ad eventi espositivi sia in Italia che all’estero. Alcune sue sculture sono esposte nei più importanti musei (Chicago, Belgrado, Bruxelles, Budapest, Los Angeles, Madrid, Parigi, Stoccarda). Ha partecipato alle Triennali di Milano ed alle Quadriennali di Roma, nonché alle Biennali di Venezia (a partire dal 1940). Ebbe una sala personale nella XXIX edizione del 1958, in occasione della quale gli fu assegnato il Premio Internazionale d’arte liturgica.

Mostre degne di menzione: Galene Hervè (Parigi, 1957), Museo Rodin (Parigi, 1960), Antologica (Ragusa 1964 e 1981), Premio Scultura (Comiso, 1977), Museo Bellomo (Siracusa, 1977), Castello Ursino (Catania, 1987), Convento del Carmine (Marsala, 1988).

Nelle sue opere traspare una preoccupazione costante “data dalla tensione al superamento definitivo della lezione plastica ottocentesca verso l’affermazione di valori che prospettano una nuova stagione della scultura”. Il primo Cappello, che debutta con il “Pescatore” e il “Freddoloso” (1938), è un figurativo che propone un immaginario che è metafora del quotidiano. Successivamente, conquistato dalla libertà dell’invenzione della composizione di Moore, il suo pensiero artistico intraprende un percorso la cui evoluzione – confrontandosi anche con le molteplici esperienze del “poema plastico” di Pevsner e Gabo – lo conduce all’interesse verso lo spazio ed il movimento, quest’ultimo inteso come forza dinamica nella quale si impone la linea curva legata nel cerchio o inarcata nell’ellissi. Il secondo Cappello si propone, dunque, come delineatore di volumi nello spazio. Questa tendenza “spazialista” pone la figura di Cappello tra quelle centrali nel panorama mondiale della scultura del Novecento. L’attenzione alla realtà e la forte interiorizzazione di essa stanno alla base della sua opera creativa, che affida ai materiali utilizzati (bronzo, ferro, acciaio, ottone) il compito di dare assolutezza alla forma. Si tratta di metalli lucenti e riflettenti da cui la luce rimbalza e si infrange. La scultura “Involuzione del cerchio” (1962), in acciaio e con movimento elettromeccanico, segna un periodo caratterizzato dall’interesse per l’uso di quel materiale e per la ricerca di forme in prevalenza circolari e rotatorio-dinamiche. Sue opere si possono ammirare a Ragusa: vasca con fontana rappresentante delfini stilizzati, al centro di Piazza Matteotti, e il gruppo in bronzo (“S. Giovanni battezza Gesù”, 1950) del Fonte Battesimale nella Cattedrale di San Giovanni Battista. “Di Cappello si hanno notizie biografiche e note dei maggiori critici internazionali, ma non bisogna trascurare il ricordo dell'uomo, straordinariamente discreto e semplice, che non somigliava molto alle sue opere, tendenti verso l'alto, geometriche e astratte, nello stesso tempo. La sua comunicatività, pur non nascondendone la profondità, svelava la semplicità tipica di un artigiano ragusano dell'epoca”, così si esprime una nota del critico E. Schembari.

 

 

 

“Quannu era Natali”

 

Quando “scurava prestu” (faceva buio prima) e davanti ad ogni porta si attizzava il fuoco nei “succetta” o nei “cufuna” (scaldamani in lamierino), appena illuminati dalla fioca luce diffusa dai pochissimi lampioni a petrolio, l’inverno era già vicino. Le strade, vie e “viuzze” erano frequentate da gente appiedata. Di tanto in tanto si notava la carrozza di don Peppino “u Davicu” che disimpegnava il servizio di trasporto pubblico da e per la stazione ferroviaria. I “massari” usavano il carretto per recarsi al duro lavoro dei campi, mentre il ceto abbiente usava “u sauta-fuossu” (il calesse, ovvero una carrozza leggera e ben molleggiata coperta da una signorile capote). Era questa la città di Ragusa, nella seconda metà degli anni Venti del secolo scorso, i cui confini erano delimitati dalla via Mariannina Schininà (che si raggiungeva salendo dalla “Strata Mastra”, ovvero Via Vittorio Emanuele, oggi Corso Italia), dalla vallata di Santa Domenica e da quella di San Leonardo. In fondo a quest’ultima, cioè “al fiume”, le prime ore mattutine erano riempite dal vocio proveniente dalle lavandaie che, professioniste del bucato (oggi diremmo!), rimediavano ai disagi di lavare la biancheria in casa stante l’assenza di impianto idrico nelle abitazioni dell’epoca. Armate di “truscie” (grossi fardelli in cui era “confezionata” la roba da lavare), sistemate sulla loro testa, scendevano a piedi sino al fiume. Numerosi artigiani, dall’arrotino al conciatore di pelli (che in quegli anni era rappresentato da “don Micienzu u piddaru”), dal venditore di bilance e stadere ai vari “mastri i carretta” (costruttori e, nel contempo, “meccanici” dei variegati carretti), dal fabbro (che si occupava anche di munire di appositi ferri gli zoccoli dei cavalli, essendo questi l’esclusivo mezzo di locomozione di quel tempo) ai “lanternari” (il cui compito era quello di produrre secchi per l’acqua, contenitori per l’olio, etc.) che erano molto ricercati per l’utensileria allora i uso, rinvigorivano, con la loro attività, i loro rumori ed i loro vocii, l’atmosfera cittadina ancora prettamente “campagnola”, povera di risorse economiche ma ricca sul versante dei principi sociali e religiosi. Con l’arrivo “ro misi i Natali” (del mese di Natale, ovvero dicembre) ci si immergeva in un periodo in cui si sentiva nell’aria il profumo della festa che congiungeva, accorciando le distanze, il cuore di tutti. Tutte le attività domestiche ed agricole si predisponevano per la festività. Dopo la novena dell’Immacolata, si attendeva con ansia la natività del “Bamminu” (del Bambino Gesù) che riempiva di calore l’animo di ciascuno sebbene il clima fosse più rigido di quello attuale. Se la sera si lasciava sul balcone una “vaggila” (bacinella) d’acqua, all’indomani all’alba la si trovava gelata per alcuni millimetri di spessore. Alla stessa stregua, d’inverno le pozzanghere d’acqua si gelavano per le strade (provocando quel fenomeno detto “a lumarra”). Con l’approssimarsi del periodo natalizio i macellai vendevano “u sancieli”: un salsicciotto, di sangue condito, cotto nell’acqua. Ma non mancava la “classica” salsiccia (“a sausizza”) a base di carne suina. In ogni famiglia la preparazione era intesa quasi come un rituale i cui adempimenti iniziali consistevano nell’affilare (“fari ammulari”) i coltelli. Circa una settimana prima di “Natali” si provvedeva a macellare il maiale. L’intervallo di tempo pre-natalizio serviva per sezionare e predisporre le carni dell’animale a seconda delle variegate esigenze della famiglia. Una parte (i cosiddetti “carnagghi”) era destinata al “cavaleri” (al proprietario del fondo terriero presso cui si lavorava), in base al contratto d’affitto a suo tempo stipulato, un’altra per la preparazione della gelatina e l’altra per la menzionata salsiccia. Per quest’ultima si rendeva necessario pulire e svelare le budella. Del maiale non si buttava quasi niente. Pure le vescica trovava la sua giusta collocazione: posta sotto salatura era usata come contenitore per lo strutto (“a saimi”) o data ai ragazzi, che, gonfiandola, l’adoperavano come palla con cui giocare. I ragazzi di città, non possedendo anch’essi una palla, erano, invece, costretti a rivolgersi al “pizzicagnolo” (macellaio) per ottenere una “ussica salata” (vescica salata) da adoperare come pallone. Altro sano passatempo dei giovanissimi di quei tempi era rappresentato da una gara di corsa fatta spingendo un cerchione di bicicletta. I più industriosi si costruivano “u calacipitu”, una sorta di triciclo in legno. “A novena ri Natali” (la novena di Natale) iniziava, di buon mattino, con una semplice e graziosa pastorale suonata da un gruppetto di musicanti che, muniti di zampogne, percorreva la fitta teoria di vicoli urbani e periferici diffondendo le nenie natalizie. Uno dei piatti tradizionali ancora in uso negli anni ’30 del secolo scorso era la “citrata”: un dolce a base di bucce di arance, miste a zucchero, miele e aromi naturali. A tale composto si dava la forma di un cuore o dell’agnello di San Giovanni. Il piatto forte della cucina casereccia natalizia era rappresentato dai “cuosti” (fette tagliate a tocchetti con l’osso) di suino che, unitamente alla “scannatura” (la zona del collo del maiale), erano cucinati in un “tianu” (tegame di coccio), a fuoco lento e con poca acqua. Il lardo ed il grasso presenti in quei tocchetti di carne col calore iniziavano a sciogliersi dando origine ad un composto omogeneo di una certa densità, per cui si rendeva necessario mescolarlo lentamente e di continuo con apposito cucchiaio rigorosamente di legno. Tale leccornia culinaria, nella cui fase conclusiva di cottura si inserivano semi di finocchio selvatico, era servita a tavola accompagnata da “feddi” (fette) di pane raffermo costituito dalle “nciminati” (rustiche pagnotte morbide). La vigilia di Natale era motivo di riunione, tra le famiglie numerose di quel tempo, per attendere tutti insieme, grandi e piccini, la nascita “ro Bamminu” (del Bambino Gesù), andando in chiesa per la Messa di mezzanotte. L’ultimo minuto della giornata era rivolto ad un’accorata preghiera che si recitava mentre si andava a letto: “Iu mi curcu pi durmiri / ‘nta stu suonnu puozzu muriri, / si non truovo cunfissuri, / mi cunfessu cu Vui, signuri”.

 

Giuseppe Nativo

 

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